giovedì 18 novembre 2010

Lectio divina su Lc 23,35-43

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
Domenica XXXIV del Tempo Ordinario Anno C

Lectio divina su Lc 23,35-43

Signore, ricordarti di me quando entrerai nel tuo regno



Invocare
O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre; fa’ che camminiamo sulle orme del tuo Figlio, e come lui doniamo la nostra vita per amore dei fratelli, certi di condividere la sua gloria in paradiso. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] 35il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva
te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Gb 17,6; Sap 5,4; Sal 2,2; 35,16; 68,22; Is 42,1; 49,7; Ger 20,7; Mt 8,8; 11,28-29; 16,28; 27,4.37.43.44.51; Mc 15,26.29-31-32; Gv 1,29; 3,16; 6,38-39; 10,11.18; 1Cor 2,14; Ez 33,10-11; Ef 2,3; Col 1,19-20; 1Pt 2,4; 3,18; 1Gv 4,9-10; Ap 4,9-10.

Capire
In questa domenica XXXIV del Tempo Ordinario, festa di Cristo Re, la liturgia ci fa riflettere sulla passione del Signore.
Luca riferisce nel suo racconto gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù usando più volte i termini salvare e salvezza e in questo suo ripetersi, vuole comunicarci come Cristo è Re della nostra vita e della nostra storia.
La sua regalità si manifesta in modo contrario alla regalità umana: per Gesù la regalità è servizio per la salvezza del popolo, fino al dono di sé nel momento più cruento, estremo della sua vita.
Nella sua “nuova mangiatoia” Gesù trova due ladroni anch’essi crocifissi, di cui uno si associa a quanti lo desideravano, mentre l’altro la sua fede in Cristo. Questa fede viene premiata dalla promessa di Gesù rendendolo partecipe della vita divina.

Meditare
v. 35: il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Siamo al Calvario, un luogo di morte, di pianto. Questo luogo in questo preciso istante è stato trasformato in un “palcoscenico”. Infatti, troviamo chi sta a vedere e chi a deridere.
Nei sguardi dai mille perché, nella derisione dei capi, in qualche maniera dicono chi è Gesù: il Cristo di Dio, l’eletto. Senza volerlo descrivono la regalità di Cristo Gesù.
La tentazione per Gesù è sempre forte e si rinnova ancora in questo momento cruento. Il popolo, i soldati, uno dei malfattori invitano Gesù a salvarsi visto la sua origine divina.
Dietro queste parole c’è un ragionamento puramente umano, un rifugiarsi per salvare se stessi. Ma Gesù non è venuto per salvare se stesso (Cfr. Mt 5,17).
In questa tentazione vi è la tentazione di ciascuno di noi, perché anche noi cerchiamo di metterci in salvo, di lavarci le mani: vogliamo sopravvivere! Però l’uomo della Croce ci sta dicendo tutto l’opposto. La propria salvezza consiste nel donare la propria vita. Gesù in questo momento non fa altro che donare la sua vita.
Salvare se stessi e non la vita altrui, non è da cristiani!
vv. 36-37: Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sembra che tutti deridono Gesù, persino i soldati che di campo religioso sono proprio asciutti. Eppure anche loro ripetono in qualche maniera l’ansia umana.
I soldati porgono a Gesù assetato dell’aceto, quasi a ricordare le parole del Salmista: “Nella mia sete mi diedero da bere aceto” (Sal 69,22). Ciò sta ad indicare che si compiono le Scritture, che quanto sta per accadere è un evento salvifico e non una storia qualsiasi da raccontare.
Inoltre a Gesù viene inflitta una colpa, un titolo che gli da fastidio: “re dei giudei”. Titolo che è stato motivo di discussione al suo processo. Ma Gesù è Re ma non alla maniera umana, la sua regalità sarà “scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23). La sua regalità consiste nel fare la volontà del Padre e cioè donare la sua vita per salvare quello che era perduto (Lc 19,10).
v. 38: Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». La sua colpa Gesù la porta sopra, al collo come qualsiasi delinquente. Una tavoletta continua a deridere Gesù. Però una tavoletta reca sempre un messaggio da leggere, questo messaggio è la regalità di Cristo che chiede ancora oggi non solo di leggerla, ma di posare, a noi che la leggiamo, il nostro sguardo, il nostro cuore sul cuore del vangelo: l’amore.
Inoltre, questa tavoletta diventa anche una consegna che Gesù fa: “prendete il mio giogo sopra di voi … Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,29-30).
Gesù è Re offrendoci la sua stessa vita, il suo stesso giogo e non ha bisogno di scettri per regnare, perché il suo scettro è l’amore per ogni persona.
vv. 39-41: Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Accanto al Crocifisso due sono i malfattori appesi, ma ben diversa la conclusione della vita di ognuno dei due. Anche Gesù l’aveva detto: “in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato” (17,34). Due sono i malfattori crocifissi con lui, uno però solamente esteriormente perché partecipa agli scherni degli altri e cerca la via di fuga per salvare se stesso. La sua pretesa è una bestemmia; è un continuo deridere il disegno salvifico di Dio. Quindi la sua reazione è sterile, priva di vita, già morta in sé.
L’altro malfattore, invece, imbocca la via della salvezza perché condivide la condanna di Gesù. Egli fa discernimento e accetta quanto sta accadere, accoglie quel mistero divino e riconosce nel crocifisso il Figlio di Dio.
Accogliere il mistero divino, essere con Cristo, essere accanto a lui significa rimproverare l’altro che non vede la vita che ha davanti agli occhi e che continua a sciuparla. In altre parole qual malfattore si è fatto voce di Cristo, riconoscendo le sue responsabilità e aiutando l'altro a leggere il momento presente come una opportunità di salvezza: Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
La conversione di quest’uomo è segno che ha letto quella tavoletta appesa al collo e che in qualche maniera, anche noi stessi ci siamo messi al collo. In quel segno siamo visitati da Dio. Qui viene colto il senso della propria crocifissione, una crocifissione meritata per una colpa commessa. Ma ci sta anche il coraggio di confessare i propri falli davanti a Gesù, riguardo al quale è convinto che pensa innocente dalla croce.
vv. 42-43: E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Nella Bibbia il ricordo di Dio e quello dell’uomo s’intrecciano e costituiscono una componente fondamentale della vita del popolo di Dio.
Nell’AT, se qualcuno prega nelle sue difficoltà, alza la sua voce a Dio perché si ricordi della sua opera salvifica, della sua alleanza (cfr. Gn 9,15; Es 2,24; Sal 104,8; 110, 5). Anche il ladrone fa la stessa cosa con Gesù: ai piedi di quel trono di gloria chiede un ricordo nel regno di Cristo. È una bella preghiera che si rinnova sempre sulla bocca di chi ha fede: “Signore Gesù, ricevi il mio spirito” (At 7,59). E ogni discepolo che “invocherà il nome del Signore sarà salvato” (At 2,21).
La preghiera del ladrone viene esaudita da Gesù, non perché era buono (Luca non lo dice) ma perché è stato capace di accogliere la salvezza che in quel momento passava dalla croce. Infatti, “Il fondamento della divina misericordia si rivela nella croce di Cristo, il quale prende il posto di molti e muore per loro” (Alois Stöger).
Cristo non entra da solo nel suo regno, porta con sé il primo dei salvati. Stessa umanità, stesso giudizio, stessa sorte, stessa vittoria.
Il malfattore pentito sarà “con lui”, cioè con Gesù, che è il paradiso tanto bramato da Paolo: “Bramo dissolvermi ed essere con Cristo” (Fil 1,23; cfr. 1Tes 4,17).

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Ogni azione di Cristo è gloria della Chiesa, ma la croce è gloria sopra ad ogni gloria. Lo capì bene Paolo che disse: Di null’altro mi glorierò, fuorché della croce di Cristo (Gal 6.14). Che un cieco abbia potuto riavere la vista presso la piscina di Siloe, è certo un fatto meraviglioso. Ma quanto conta questo singolo episodio se si pensa ai ciechi di tutto il mondo? Avvenimento grande, superiore alle forze della natura, fu la risurrezione di Lazzaro, morto ormai da quattro giorni. Ma questo favore concesso a lui solo, poteva forse giovare a tutti coloro che erano morti per i propri peccati? Cosa mirabile fu sfamare con cinque pani cinquemila uomini. Ma quale utilità poteva avere per tutti gli ignoranti affamati di verità? La gloria della croce invece ha illuminato tutti quelli che erano ciechi per ignoranza, liberato tutti quelli che erano schiavi del peccato, redento tutto il genere umano. Gloriamoci della croce del Salvatore. Il linguaggio della croce è stoltezza per quelli che si perdono, ma per noi che siamo salvi è potenza di Dio (1Cor 1.18) (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 13.1-2).

Vuoi vedere un’altra sua opera meravigliosa? Oggi ci ha aperto il paradiso, ch’era chiuso da più di cinquemila anni. In un giorno e in un’ora come questa, vi portò un ladro e così fece due cose insieme: aprì il paradiso e v’introdusse un ladro. In questo giorno ci ha ridato la nostra vera patria e l’ha fatta casa di tutto il genere umano, poiché dice: "Oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43). Che cosa dici? Sei crocifisso, hai le mani inchiodate e prometti il paradiso? Certo, dice, perché tu possa capire chi sono, anche sulla croce. Perché tu non ti fermassi a guardare la croce e potessi capire chi era il Crocifisso, fece queste meraviglie sulla croce. Non mentre risuscita un morto, o quando comanda ai venti e al mare, o quando scaccia i demoni, ma mentre è in croce, inchiodato, coperto di sputi e d’insulti, riesce a cambiar l’animo d’un ladro, perché tu possa scoprire la sua potenza. Ha spezzato le pietre e ha attirato l’anima d’un ladro, più dura della pietra e l’ha onorata, perché dice: "Oggi sarai con me in paradiso". Sì, c’eran dei Cherubini a custodia del paradiso; ma qui c’è il Signore dei Cherubini. Sì, c’era una spada fiammeggiante, ma questi è il padrone della vita e della morte. Sì, nessun re condurrebbe mai con sé in città un ladro o un servo. L’ha fatto Cristo, tornando nella sua patria, v’introduce un ladro, ma senza offesa del paradiso, senza deturparlo con i piedi d’un ladro, accrescendone anzi l’onore; è onore, infatti, del paradiso avere un tale padrone, che possa fare anche un ladro degno della gioia del paradiso. Quando infatti egli introduceva pubblicani e meretrici nel regno dei cieli, ciò non era a disonore, ma a grande onore, perché dimostrava che il padrone del paradiso era un così gran Signore, che poteva far di pubblicani e meretrici persone così rispettabili, da meritare l’onore del paradiso. Come, infatti, ammiriamo maggiormente un medico, quando lo vediamo guarire le più gravi e incurabili malattie, cosi è giusto ammirare Gesù Cristo, quando guarisce le piaghe e fa degni del cielo pubblicani e meritrici. Che cosa mai fece questo ladro, dirai, da meritar dopo la croce il paradiso? Te lo dico subito. Mentre per terra Pietro lo rinnegava, lui in alto lo proclamava Signore. Non lo dico, per carità, per accusare Pietro; ma voglio rilevare la magnanimità del ladro. Il discepolo non seppe sostenere la minaccia d’una servetta; il ladro tra tutto un popolo che lo circondava e gridava e imprecava, non ne tenne conto, non si fermò alla vile apparenza d’un crocifisso, superò tutto con gli occhi della fede, riconobbe il Re del cielo e con l’animo proteso innanzi a lui disse: "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno" (Lc 23,42). Per favore, non sottovalutiamo questo ladro e non abbiamo vergogna di prendere per maestro colui che il Signore non ebbe vergogna di introdurre, prima di tutti, in paradiso; non abbiamo vergogna di prender per maestro colui che innanzi a tutto il creato fu ritenuto degno di quella conversazione che è nei cieli; ma riflettiamo attentamente su tutto, perché possiamo penetrare la potenza della croce. A lui Cristo non disse, come a Pietro: "Vieni e ti farò pescatore d’uomini" (Mt 4,19), non gli disse, come ai Dodici: "Sederete sopra dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele" (Mt 19,28). Anzi neanche lo degnò d’una parola, non gli mostrò un miracolo; lui non vide un morto risuscitato, non demoni espulsi, non il mare domato; eppure lui innanzi a tutti lo proclamò Signore e proprio mentre l’altro ladro lo insultava... Hai visto la fiducia del ladro? La sua fiducia sulla croce? La sua filosofia nel supplizio e la pietà nei tormenti? Chi non si meraviglierebbe che, trafitto dai chiodi, non fosse uscito di mente? Invece non solo conservò il suo senno, ma abbandonate tutte le cose sue, pensò agli altri e, fattosi maestro, rimproverò il suo compagno: "Neanche tu temi Dio?" (Lc 23,40). Non pensare, gli dice, a questo tribunale terreno; c’è un altro giudice invisibile e un tribunale incorruttibile. Non t’affannare d’essere stato condannato quaggiù; lassù non è la stessa cosa. In questo tribunale i giusti a volte son condannati e i malvagi sfuggono la pena; i rei vengono prosciolti e gl’innocenti vengono giustiziati. Infatti i giudici, volenti o nolenti, spesso sbagliano; poiché per ignoranza o inganno o per corruzione possono tradire la verità. Lassù è un’altra cosa. Dio è giudice giusto e il suo giudizio verrà fuori come la luce, senza tenebre e senza ignoranza... Vedi che gran cosa è questa proclamazione del ladro? Proclamò Cristo Signore e aprì il paradiso; e acquistò tanta fiducia, che da un podio di ladro osò chiedere un regno. Vedi di quali beni la croce è sorgente? Chiedi un regno? Ma che cosa vedi che te lo faccia pensare? In faccia hai una croce e dei chiodi, ma la croce, egli dice, è simbolo di regno. Invoco il Re, perché vedo il Crocifisso; è proprio del re morire per i suoi sudditi. Questo stesso disse: "Il buon pastore dà la vita per le sue pecore" (Jn 10,11). Dunque, anche un buon re dà la vita per i sudditi. Poiché dunque diede la sua vita, lo chiamo Re. "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno". (Crisostomo Giovanni, Hom. de cruce et latrone, 2 s.).

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Quale mio atteggiamento di fronte alla sofferenza? Sto anch’io a vedere?
Butto al vento quanto è scaturito dalla Parola di Dio per me e per gli altri?
Che tipo di preghiera faccio? Egoista o secondo il cuore di Dio?
Accolgo la salvezza che passa dalla mia casa, dalla mia vita o la respingo deridendola?
Anche io come Paolo, come il ladrone “bramo dissolvermi ed essere con Cristo”?

Pregare
Nel carcere di Scheveningen, tra il 12 e il 13 febbraio 1942, p. Tito Brandsma, compose una breve poesia ispirata dall'immagine di Cristo in croce. Tutto il canto poetico esprime la lieta accettazione delle sofferenze che uniscono a Dio.

Davanti all' immagine di Gesù
O Gesù,
quando ti guardo mi sento rivivere.
Ti voglio bene.
Anche tu mi vuoi bene,
come il tuo miglior amico.
La tua amicizia mi porta sofferenza.
Ma ogni sofferenza va bene per me.
Così rassomiglio a te: verrò dove tu abiti.
Nel dolore mi sento felice.
Non lo chiamo più dolore
ma felice occasione di essere a te più unito.
Mi avvolgano il silenzio, l'umido, il freddo.
Lasciatemi qui.
Nessuno mi visiti.
Non mi tormenta lo star solo.
Tu, infatti, Gesù, sei con me:
mai mi sei stato così vicino.
Resta con me,
qui, accanto a me,
dolce Gesù.
La tua presenza mi è pace.

Contemplare-agire
Lasciamoci illuminare dalla forza che scaturisce dalla Croce, in maniera che anche il palpito più nascosto, il sospiro impercettibile, lo sguardo più insignificante e la parola più banale, ci faccia dire nella vita di tutti i giorni che il Cristo Re è signore della nostra vita e della nostra storia.