martedì 11 dicembre 2012

LECTIO: 3ª DOMENICA DI AVVENTO (C)

Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo d'Israele
 
Lectio divina su Lc 3,10-18
 Invocare
Padre santo, tu che sei la Luce e la Vita, apri i miei occhi e il mio cuore perché io possa penetrare e comprendere la tua Parola.
Manda lo Spirito Santo, lo Spirito del tuo Figlio Gesù sopra di me, perché io accolga con docilità la tua Verità
Donami un animo aperto e generoso, perché nel dialogo con te io possa conoscere e amare il tuo Figlio Gesù per la salvezza della mia vita e possa testimoniare il tuo vangelo a tutti i miei fratelli. Per Cristo nostro unico Signore. Amen.

Leggere
10 Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11 Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12 Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13 Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14 Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». 15 Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16 Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17 Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
18 Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
 
- silenzio meditativo perchè la Parola risuoni in noi

Capire
Nella tradizione liturgica, la terza domenica di Avvento assume un carattere gioioso (infatti viene chiamata domenica Gaudete) che si riflette nelle prime due letture e nel cantico di Isaia. Anche l'Antifona di ingresso alla Messa ci fa pregare gioiosamente: «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino» (cfr. Fil 4, 4-5).
Questa gioia ed esultanza è indirizzata a tutti. Tutti infatti, chiamati a partecipare alla festa sicuri del suo amore che fa nuove tutte le cose. Di conseguenza c'è da chiedersi: di che cosa e di chi dovremmo aver paura? Anche il vangelo, con l’annuncio della buona notizia al popolo da parte di Giovanni Battista si unisce a questa gioia.
Il tema della gioia si snoda nel Salmo responsoriale (Is 12,2-3;4-6) che è un canto di lode al Signore che viene in mezzo a noi, azione di grazie per le meraviglie, i prodigi che rinnova continuamente: «mia forza e mio canto è il Signore; Egli è stato la mia salvezza. Cantate al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra».
Il testo evangelico, Lc 3,10-18, fa parte dell'esposizione lucana della predicazione del Battista come preparazione al ministero di Gesù.
Domenica scorsa, avevamo il Battista che si presentava come "voce" sulla strada dell’evangelo. Questa Domenica, l’evangelista Luca propone i temi essenziali del messaggio profetico centrati su alcune esortazioni morali (vv. 10-14) e sull'annuncio propriamente messianico (vv. 15-17). Il v. 18 si presenta come un sommario dell'attività del Battista.
Giovanni Battista annunzia la venuta imminente del giorno del Signore: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all'ira imminente» (Lc 3, 7). I profeti avevano annunciato la venuta di questo giorno di ira e di salvezza, come pure la venuta di un messaggero riconosciuto come Elia (Sir 48, 11), che preparasse la via davanti al Signore (Mal 3, 1-5).
Nella tradizione cristiana Giovanni Battista è il messaggero che prepara il giorno della venuta del Signore Gesù, il Messia: «viene uno che è più forte di me» (Lc 3, 16). Il ministero di Giovanni infatti si svolge in un tempo di grandi aspettative messianiche: «il popolo era in attesa» (Lc 3, 15) e chiede al Battista se era lui il Messia.
Questa domanda, più tardi si farà pure in confronto alla persona di Gesù (Lc 9, 7-9, 18-21) che di seguito, rivela la sua identità con la confermazione implicita della professione di fede di Pietro.

Meditare
v. 10: “che cosa dobbiamo fare?”. L’annuncio del regno suscita una domanda: Noi cosa dobbiamo fare? La domanda è la sfida provocatoria da parte di queste categorie di persone che vengono da lui. La folla ha capito che la fede è qualcosa di concreto e non fantasioso. La domanda è sottile in quanto invita a una disposizione interiore: che le opere sono l’espressione della genuinità della fede. L’intuizione di questa domanda viene dai rapporti interpersonali che si sono stabiliti. Queste parole aprono delle prospettive nella vita.
La domanda di questa gente è giustificata dalla violenza con cui Giovanni annuncia la venuta dell’ira. Questa domanda è perciò molto importante perché implica un cambiamento totale del nostro modo di agire: è la metànoia, vale a dire fare nuova la mente, cambiare mentalità adeguandosi ai pensieri di Dio.
Chiedere a Giovanni cosa dobbiamo fare vuol dire prendere sul serio la venuta del Figlio dell’uomo.
Dobbiamo prestare attenzione a questa domanda perché è coraggiosa. Chiedere questo a Giovanni vuol dire iniziare un cammino di conversione.
v. 11: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”. E' una esortazione a vivere la carità, quella di cui parla il Battista. E’ la condivisione di una vita d'amore, il far parte agli altri di quello che si ha. Non si può, infatti, essere felici da soli!
La felicità è un cammino a due: chiede di essere raggiunta insieme, condividendo quello che si ha, in semplicità, ciascuno nel suo piccolo.
Vicino a noi, vicino alle nostre case o alle nostre scuole, nelle strade più in periferia del quartiere, ma pur sempre qui, in questa nostra città, ci sono persone che non hanno niente e hanno bisogno di tutto.
Gesù propone di “lasciare tutto” a chi vorrà seguirlo in modo speciale. La condivisione delle proprie sostanze di cui parla Giovanni non pretende che i suoi ascoltatori diano anche l'unica tunica che possiedono. Non pretende dalla gente l'eroismo, ma la misericordia, il concreto amore del prossimo, la solidarietà sociale. La vera conversione si dimostra dal posto dato all'uomo, soprattutto bisognoso e povero, prima ancora che dal posto dato a Dio.
v. 12: “Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare…”. I pubblicani erano ebrei esattori delle imposte. Avevano il diritto di esigere qualcosa in più per il lavoro che svolgevano rispetto alle tasse che i romani chiedevano. Erano mal visti nell’ambiente per via della loro collaborazione con gli occupanti pagani e delle maggiorazioni che molti di loro praticavano. L’opinione pubblica li metteva tra i peccatori.
I pubblicani incarnano la cupidigia del guadagno, la malafede, il tradimento verso il proprio popolo, perché spesso stavano al servizio dei dominatori stranieri. Neppure loro sono esclusi dalla strada verso la salvezza. Giovanni non esige che abbandonino il loro mestiere di gabellieri, ma che non arricchiscano frodando. Più tardi Gesù tratterà il pubblicano Zaccheo come fa ora Giovanni.
v.13: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Se il primo frutto della conversione è la carità, il secondo è la giustizia. Secondo Giovanni, i pubblicani qualche volta avevano agito onestamente e perciò dovevano continuare a non esigere più del fissato. Questi pubblicani, dice Luca, pur se condannati dall’opinione pubblica ebraica, restando in quella condizione potevano vivere onestamente. L'imperativo presente dà l'idea di questa continuità.
v. 14: “Lo interrogavano anche alcuni soldati”. Questi soldati potevano essere dei romani, quindi pagani. Oppure Erodiani. Però al di là di chi fossero, i peccati consueti del militare sono il latrocinio vessatorio, l'estorsione con false denunce, l'abuso di potere. La radice di questo modo di agire è l'avidità. L'avidità delle ricchezze dev'essere sostituita con la soddisfazione dello stipendio guadagnato onestamente.
Qui l'intento dell'evangelista è di far capire che ogni restrizione è superata. La buona Novella è per tutti: "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio" (Lc 3,6).
v. 15: "il popolo era in attesa". E' la folla che circondava il Battista. Questi li aveva preparato ad essere quel "popolo ben disposto" ad accogliere la rivelazione dell'amore (Lc 1,17).
“tutti si domandavano in cuor loro”. Un atteggiamento legittimo. Volevano capire se era arrivata l'era messianica tanto attesa e se lui fosse il messia (cfr. Gv 1,19-23). E' un problema che il Battista chiarisce contrapponendo il proprio battesimo a quello di Gesù. In altre parole il battista descrive e stabilisce la superiorità di Gesù su di lui.
L'evangelista piace far emergere la problematica che investiva la predicazione e l'opera del battista (cfr. Gv 1,25).
v. 16: “Io vi battezzo con acqua; ma viene uno...”. L’autorevolezza con cui Giovanni parla è garantita da quello che lui dice a proposito di un personaggio senza nome. Giovanni usa questo termine: viene uno. Giovanni si rende conto che c’è qualcosa che va oltre lui e comincia a descriverlo: Egli vi battezzerà, egli tiene in mano, egli raccoglierà. Colui che verrà, innanzitutto per il fatto che viene, dice che l’attesa non può essere consumata, non può finire. La sua vita rimanda a qualcuno che viene dopo di lui.
Luca ci fa capire che non siamo noi l’ultima parola di Dio nei riguardi del mondo. Non siamo noi coloro che le persone devono guardare. Dobbiamo meditare molto su questo, sul fatto che Giovanni indichi Gesù come il Veniente, colui che ci viene incontro, come qualcuno di cui anche lui non sa esattamente che cosa sarà. Colui che viene è colui al quale non siamo nemmeno degni di allacciare i lacci; stando bene attenti però: colui al quale non siamo degni di allacciare i lacci è colui che si è fatto indegno. Cioè noi siamo indegni di un indegno. Questo contrasta con tutte quelle cariche che venivano ricordate domenica scorsa. Siamo in un discorso stridente: non c’è tolleranza tra le cariche e la condizione che Giovanni dice di sé e che il Cristo dirà di sé. La venuta del Figlio dell’uomo è la venuta di colui che non possiamo nominare, nel senso che non possiamo dire chi sarà. Possiamo dire che è più forte di noi, che viene dopo di noi, che la storia non ha l’ultima parola, che i potenti non hanno l’ultima parola. Ed è colui che verrà e che ci immergerà nello Spirito Santo e nel fuoco.
“...che è più forte”. Nell'AT, forte, era riferito a Dio (cfr. Is 28,2; Dt 10,17; Ger 32,18; Is 10,21); in Is 9,5 la nascita del bambino di stirpe regale, che è il re-Messia, apportatore di pace, gioia e prosperità, tra i suoi titoli porta quello divino di «Dio forte».
In Luca il termine equivale a un titolo messianico. Gesù è il Forte. La prova di questa sua forza è nel dono che arreca: il battesimo definitivo in Spirito Santo e fuoco, a cui il battesimo di acqua è preparazione provvisoria. Giovanni si qualifica semplicemente come voce che esorta e che indica all’uomo il sentiero da seguire, per diventare terreno pronto ad accogliere i doni del Messia, che sono il perdono e lo Spirito Santo.
“vi battezzerà in Spirito Santo...”. Luca oppone il battesimo di acqua amministrato da Giovanni al battesimo in Spirito che sarà inaugurato alla Pentecoste. Lo Spirito, in questo caso, non è uno strumento, ma una presenza attiva. Gesù ci otterrà l’immersione nella vita stessa di Dio, nel suo Spirito.
“…e fuoco”. Il fuoco nell'AT è molto presente, sia sotto l'aspetto teofanico (es. il roveto ardente) e sia in riferimento alla Parola di Dio.
Luca vede certamente in questa parola un annuncio della Pentecoste: la discesa dello Spirito Santo sotto forma di lingue di fuoco. Questa immagine significa per lui l’opera purificatrice dello Spirito.
Il battesimo in Spirito Santo e fuoco è perciò partecipazione alla vita stessa di Dio.
v. 17: “… tiene in mano la pala…”. In questa immagine risuona quanto avevano annunziato i profeti: il giudizio di Dio attraverso scene di mietitura con una larga pala di legno usata sull'aia per separare dal grano la pula spargendola al vento.
Il giudizio di Dio collegato all’annuncio della buona novella (del versetto successivo) ci fa pensare “all’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Allora la pula, il nostro peccato, sarà estinto per sempre e “brucerà con fuoco inestinguibile”.
Luca tratteggia un Messia diverso da quello atteso da Giovanni. Non un Messia proteso a pulire e spazzare violentemente via i peccatori come la pula, separandola dal grano; ma un Messia che dichiara all'umanità la bontà di Dio e la sua continua ricerca del peccatore, per riportarlo, come ci insegna la mirabile parabola del figlio ritrovato, nell’abbraccio del Padre.
v. 18: “Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo”. La traduzione letterale suona diversamente: "Consolando evangelizzava", quasi a riprendere Isaia. Tanto è vero che la stessa predicazione del Battista si presenta come una "consolazione" più che una esortazione.
Il compito principale del Battista non è quello di annunciare un messia giudice, ma salvatore, consolatore. Si può dire che nel trattare il ministero e la missione di Gesù, Luca ci fa vedere il perfezionamento della predicazione e dell'annuncio del Battista.
Più tardi Gesù stesso, nella sinagoga di Nazaret, dirà: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi" (Lc 4, 21).
 
- per la riflessione personale e il confronto:
Attendo io la venuta del Signore, o sono tutto preso dalla vita materiale, e per conseguenza, attaccato disordinatamente a tutto ciò che passa?
Che posso fare io per preparare la seconda venuta del Signore? Che cosa posso fare per promuovere la giustizia in un mondo che sembra tirare avanti con strutture di ingiustizia sociale?
Siamo ben disposto ad accogliere quella consolazione che viene da Dio?
Chi ci incontra riconosce in noi delle persone felici e capaci di infondere serenità e speranza?
Siamo convinti che la gioia e l'amore sono inseparabili e che far felice qualcuno è una forma squisita di carità, fonte anche di gioia per noi stessi?
 
Pregare
Raccogliamoci in silenzio ripercorrendo la nostra preghiera e rispondiamo al Signore con le sue stesse parole (Is 12):

Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.

Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.

Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.


Contemplare-agire
Nel silenzio del cuore incontriamo il Signore. Vediamo quanto ci separa orgogliosamente dagli altri. Chiediamo il dono di essere solidali con tutti, con quanti soffrono perchè anche in quella sofferenza ci siamo ciascuno di noi.