giovedì 9 gennaio 2014

LECTIO: BATTESIMO DEL SIGNORE (Anno A)

Lectio divina su Mt 3,13-17


Invocare
Padre d’immensa gloria, tu hai consacrato con potenza di Spirito Santo il tuo Verbo fatto uomo, e lo hai stabilito luce del mondo e alleanza di pace per tutti i popoli; concedi a noi che oggi celebriamo il mistero del suo battesimo nel Giordano, di vivere come fedeli imitatori del tuo Figlio prediletto, in cui il tuo amore si compiace. Amen.  

Leggere
13 Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14 Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15 Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 16 Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17 Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Silenzio meditativo: Il Signore benedirà il suo popolo con la pace

Capire
Con il Battesimo del Signore, assieme all’Epifania e alle Nozze di Cana, la liturgia della Chiesa celebra la “manifestazione del Signore”: Cristo Gesù si manifesta Re-Pastore nella piccolezza (Epifania), Figlio amato del Padre (Battesimo), Sposo dell’umanità (Nozze di Cana). Con il Battesimo inizia la vita pubblica di Gesù e - liturgicamente - inizia il Tempo Ordinario.
Il contesto della nostra pericope è molto chiaro: dopo l’evangelo dell'infanzia del Signore (1,1-2,23), con la genealogia del Signore, è presentata la predicazione di Giovanni Battista che annuncia Colui che viene con lo Spirito Santo e il Fuoco e porta con sé i tempi ultimi (3,1-12); poi è narrato il battesimo (3,13-17) e le tentazioni del Signore nel deserto (4,1-11). Ora il battesimo e le tentazioni rendono in un certo senso Gesù idoneo e responsabile all'annuncio dell'evangelo che viene dopo in 4,12-25.
Nel racconto del Battesimo di Gesù, Matteo riprende la fonte di Marco (cfr. Mc 1,9-11; Lc 3,21-22) e l’ha inserita in un dialogo tra Giovanni e Gesù (Mt 3,14-15) che spiega perché Gesù abbia voluto sottoporsi al battesimo di Giovanni.
Il Battesimo di Gesù rappresenta la sua investitura ufficiale come Messia, l'inizio del suo ministero pubblico. ma è un Messia che lascia sorpresi, perché il primo gesto che compie è quello di mescolarsi con i peccatori.
La Liturgia ci fa celebrare questo mistero di Cristo per illuminare anche il nostro battesimo, fatto come quello di Gesù "in acqua e Spirito santo".


Meditare
v. 13: Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 
Gesù viene come una tra tanti. Viene al Giordano. Un luogo biblicamente molto importante. In questo versetto è usato il verbo paragìnetai (“si fece vicino”) che è usato anche al 3,1 anche per Giovanni Battista. Per Gesù è più intenso e pregnante: vuole indicare l'apparizione, grave e solenne del Re messianico, il Sovrano Salvatore.
La scelta di questo luogo non è casuale. Il luogo citato è quello che i geologi chiamano Bethabàra, un luogo geograficamente più basso della terra, 400 m sotto il livello del mare. Gesù viene in questo luogo più basso, perché raggiungere tutti, anche coloro che credono che la grazia di Dio non li possa raggiungere.
Gesù si fa vicino anche per coloro che innalzano un grido (cfr. Sal 130,1-2), quasi ad accompagnare la folla dei peccatori e mescolarsi con loro, quasi a indicare: “lo faccio io per primo”. Non è l'umanità che va da Lui, ma è Lui che va verso essa, secondo la logica dell'incarnazione. Gesù che viene dalla Galilea è Dio-con-noi, che si unisce al suo popolo per condividerne pienamente le attese e le speranze. In questo suo andare vi è l’intenzione esplicita dichiarata di essere battezzato.  
Se i Magi erano venuti dal Bambino e lo avevano riconosciuto, adorato e a Lui reso omaggio di doni, adesso Gesù compie la sua Parousia propriamente divina, venendo da Giovanni, per un atto di abbassamento estremo: farsi "battezzare", ossia ricevere un lavacro che dimostra, secondo la predicazione del Battista la penitenza la conversione, la  metanoia (cfr. 3,13b).
v. 14: Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 
Solo l'evangelista Matteo riporta il dialogo tra Giovanni e Gesù. In questo dialogo troviamo nel Battista un certo imbarazzo a battezzare Gesù. La reazione di Giovanni è di stupore e di venerazione e ciò lo porta al rifiuto. L’evangelista dice che il Battista "gli impediva" di accostarsi a lui, rifiutando dunque di dargli il segno battesimale penitenziale: "Io ho necessità di essere battezzato da Te!" In queste parole vi è il riconoscimento della diversità tra i due e la consapevolezza del nuovo (la Nuova Alleanza) che entra in scena: "Colui che viene dopo di me... vi battezzerà in Spirito santo e fuoco... ha in mano il ventilabro... pulirà... raccoglierà... brucerà..." (vv. 11-12). Tutto sta a manifestare il passaggio tra l'antico e il nuovo. Matteo prepara i lettori alla novità del Cristo: "avete inteso che fu detto, ma io vi dico" (Mt 5).
v. 15: Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». 
L'atteggiamento di Gesù è quello di sottomettersi al piano salvifico di Dio (adempiamo ogni giustizia), rispettando il modo (nell'umiltà-kenosi) e i tempi (l'ora-kairos). La risposta di Gesù è breve e senza repliche: "Lascia fare per ora" è l’inizio della Parousia.
Un parallelo si può vedere in Gv 13,7: il rifiuto di Pietro di lasciarsi lavare i piedi. Anche  in quel momento la risposta di Gesù è senza repliche: "quello che faccio adesso tu non lo capisci". L'opera divina non deve'essere impedita. Pur riconoscendo la superiorità del proprio battesimo, Gesù si comporta secondo le esigenze del battesimo di Giovanni.
Il motivo di questa reazione di Gesù è perché «adempiamo ogni giustizia». La giustizia di Dio coincide con la sua fedeltà alla promessa di salvezza. Allora si può dire che con la missione di Gesù inaugurata dal suo battesimo, arriva a compimento “ogni giustizia”, cioè l’attuazione integra della volontà di Dio.
v. 16: Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 
Anche qui abbiamo una epifania: il Signore risale dall’acqua. L’acqua qui assume tutta la sua valenza simbolica; Gesù scende nell’acqua, s’immerge, si abbassa … questo suo abbassarsi richiama la discesa nelle profondità, immagine che rimanda all’inabissarsi nella morte, alla discesa agli inferi.
Gesù non compie solo un gesto penitenziale ma ogni suo gesto è una chiara allusione a tutto quello che vivrà nella passione, morte e risurrezione! Lo “spirito” indica la potenza di Dio che scende su Gesù per abilitarlo a compiere la sua missione, che ha appunto inizio proprio con questa potenza.
Lo Spirito di Dio è presentato in forma di colomba. Era il modo in cui gli ebrei rappresentavano lo Spirito (rùach). Nel Cantico dei Cantici la voce della colomba (2,12) è interpretata come la voce dello Spirito Santo. Dato che presso i rabbini riunisce e guida Israele, anche Israele è a volte paragonata nei Salmi a una colomba: “Si coprono d'argento le ali della colomba e d'oro le sue piume” (Sal 68,13); una colomba che posa il volo su grossi alberi, i “terebinti lontani” (Sal 56,1).
Nella tradizione biblica la colomba è legata alla fine del diluvio. Terminato il periodo in cui le acque avevano annientato la vita sulla terra, Noè lascia uscire la colomba la quale ritorna con un ramoscello di ulivo nel becco, segno che la vita riprende: quella colomba è l’annuncio della fine del diluvio. Così l’evocazione della colomba – che caratterizza in qualche modo lo Spirito Santo – ci fa comprendere che in quel momento, quando cioè Gesù inizia la sua missione scendendo fino in fondo, finisce il diluvio, finisce il naufragio dell’umanità: è il momento decisivo in cui Dio interviene nella storia dell’uomo.
La discesa di Cristo nelle acque prefigura la sua discesa agli inferi e si realizza la parola del salmista (cfr. Sal 74, 13-14), egli schiaccia la testa al nemico. Il Battesimo non solo prefigura, ma inaugura e anticipa la sconfitta di Satana e la liberazione di Adamo.
Da questo momento il compito di Giovanni “il Battista” finisce ed esce di scena.
v. 17: Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». 
La voce dal Cielo è un'espressione che ricorre nella letteratura rabbinica. Impiegata ogni volta che si voleva attribuire a Dio un'affermazione. Qui definisce l'identità del Figlio di Dio.
La voce del Padre parla due sole volte nel Vangelo, al Battesimo e alla Trasfigurazione. La prima parola che dice è Figlio, termine ricco di passione, la seconda parola è Amato.
La parola “figlio” in ebraico suona con “ben” che indica non solo la relazione (in senso generativo) con il padre terreno, ma anche l’affetto verso chi è chiamato “figlio”. Il popolo di Israele, che Dio ama dopo averlo scelto per puro amore, è chiamato “figlio” (cfr. Es 4,22; cfr. Is 1,2; Ger 31,8, Os 11,1). Il re davidico è chiamato lui pure “figlio” (cfr. 2Sam 7,14). Il “servo” messianico (Is 42,1), nonostante sia presentato come una creatura amata da Dio, non è mai tradotto con “figlio” ma con “schiavo”. Per rilevare l’amore di Dio verso Gesù, questi è anche chiamato “l’amato”.
Matteo dice proprio "Questi è" e non "tu sei" il mio Figlio diletto. Gesù è di natura divina e allo stesso tempo è il nuovo Adamo, inizio di un'umanità nuova riconciliata con Dio insieme alla natura riconciliata anch'essa con Dio, attraverso l'immersione del Cristo nelle acque.
Il diletto, in greco fa  ho-agapètòs, dove l'articolo ha la funzione di sottolineare la straordinaria potenza e significato del titolo. Ciò richiama a Gen 22, dove l'ebraico ha jahid = l'unico, il Monogenito (vv. 2.12.16) che è la vittima sacrificale, quella che il Padre dona per tutti gli uomini come ci ricorda san Paolo: "Egli che il proprio Figlio non risparmiò, bensì a favore di noi tutti o consegnò" alla croce (Rm 8,32).
Il compiacimento di cui si parla fa riferimento a Is 42,1. In esso riscontriamo il Servo incarnato da Gesù e annunciato dal profeta. Gesù sarà il Servo che porta a compimento la missione offrendo se stesso sulla croce.
In Gesù il Padre vede il Figlio amato, capace di una relazione filiale autentica con Lui e una relazione fraterna autentica con la gente, e in particolare con i falliti della storia. Nel Figlio amato, il Padre vede anche tutti noi, immersi per mezzo del nostro battesimo nel mistero pasquale del Signore (Rm 6,3-7), chiamati a conformarci all’immagine del Figlio suo (Rm 8,29).

La Parola illumina la vita
Mi fermo da solo a solo con la Parola lasciando fuori ogni preoccupazione per capire se sono obbediente alla volontà di Dio, affinché si compia ogni giustizia e se la logica del servo di Dio prende anche la mia vita.
Il mio essere "battezzato" è un conformarmi a questo mondo o un continuo, anche se faticoso, cammino di coerenza cristiana come testimone della Fede in Cristo?
Quanto so essere per gli altri, e per me, uomo della Speranza e della fiducia in Colui che tutto può, anche nei momenti più critici della vita?
Quanto sono capace di realizzare nei piccoli gesti quotidiani l'attenzione e la Carità verso gli altri?

Pregare
Date al Signore, figli di Dio,
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore nel suo atrio santo. 

La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza. 

Tuona il Dio della gloria,
nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!».
Il Signore è seduto sull’oceano del cielo,
il Signore siede re per sempre. (Sal 28). 

Contemplare-agire
Siamo chiamati alla vita buona del Vangelo e alla missione. Strutturiamo la nostra vita sul modello del Servo del Signore, secondo la logica della Pasqua. Sentiamoci anche noi prediletti per restare fedeli irradiando amore divino a quanti incontreremo sul mio cammino.


domenica 5 gennaio 2014

LECTIO: EPIFANIA DEL SIGNORE (ANNO A)

Lectio divina su Mt 2,1-12



Invocare
O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2 e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3 All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
6 E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: 
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele».
7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
9 Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Silenzio meditativo: Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra

Capire
Oggi è grandissima festa; mai ne penetreremo a sufficienza lo splendore. Epifania è una parola che viene dal greco e vuol dire: "manifestazione". In questo giorno celebriamo infatti la certezza che il Signore Dio manifesta il suo Amore ad ogni persona, cioè si fa vedere e conoscere agli uomini e alle donne di ogni parte del mondo. Scrive san Paolo che “si è manifestata la misericordia e l’amore di Dio per gli uomini”. Questa è la Epifania che celebriamo: la rivelazione di Dio nella carne umana, cioè la rivelazione dell’interesse e dell’amore di Dio per l’uomo.
Questo brano è il terzo quadro che ci viene presentato dall’evangelista Matteo. Esso ci offre il bel racconto del percorso dei magi, che vengono da lontano, perché vogliono cercare e accogliere, amare e adorare il Signore Gesù. Ma il loro lungo viaggio, la loro ricerca instancabile, la conversione del loro cuore sono realtà che parlano di noi, sono già scritte sul rotolo della nostra storia sacra.
In questo episodio non c’è solo il significato di Cristo, ma anche quello della Chiesa. La pagina dei Magi è una solenne dichiarazione di missionarietà e di universalismo. Questo episodio richiama la conclusione dell’intero Vangelo: “Andate e istruite tutte le genti…” (28,18). 
Due pagine missionarie che aprono e chiudono la storia di Cristo, con una differenza: nell’episodio dei Magi sono le genti che arrivano a Gerusalemme, alla fine del vangelo è la Chiesa inviata al mondo. Questo seconda annotazione esprime più profondamente la concezione della missione come servizio, come un uscire da sé per andare alla ricerca degli altri.

Meditare 
vv. 1-2: Nato Gesù a Betlemme di Giudea
I capitoli 1-2 del Vangelo di Matteo raccolgono l'infanzia di Gesù. Il secondo capitolo si apre con l'adorazione dei Magi a Betlemme, luogo di nascita di Davide e luogo di origine del futuro re messia. A conferma di ciò Matteo cita Michea 5,1-3.
alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme
Il termine greco magoi (magi da cui il termine italiano) ha una vasta gamma di significati: sacerdoti persiani, detentori di poteri soprannaturali, astrologi. La menzione della “stella” mostra che essi sono esperti in astrologia. La tradizione cristiana li ha identificati con sovrani provenienti dall’Oriente (ciò lascia pensare alla Mesopotamia, la patria dell’astrologia del mondo greco) e ha fissato il loro numero a tre, ispirandosi ai doni da essi offerti che ritroviamo nel Sal 72,10 e in Is 60,6.
L’arrivo dei Magi è il segno che Gesù compie le promesse antiche, ma il compimento è accompagnato dal giudizio su Israele: i lontani accolgono il Messia e i vicini lo rifiutano. Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa: basti pensare alla parabola dei vignaioli omicidi (21,33ss.) o alla parabola della grande cena (22,1-14), ambedue mostrano che il regno passa da Israele ai pagani, e che questo passaggio rientra nel disegno di Dio.
dov’è il re dei Giudei che è nato?
La prima parola di Dio rivolta ad Adamo è: “Dove sei?” (Gen 3,9) perché anche l’uomo chiedesse a sua volta a Dio: dove sei? E i due si potessero incontrare. Anche da parte dei magi c’è semplicemente, nascosto nella loro domanda, l’invito che ci viene rivolto di chiederci chi è questo bambino.
Gesù è re. Matteo ha però cura di collocare questo titolo in un contesto di opposizione. In che senso Gesù può dirsi re? Un cenno alla regalità era già presente nella genealogia: Davide è il re, e Gesù discende da lui. Però fra Davide e Gesù c’è l’esilio, la fine del regno di Davide, la perdita di ogni prestigio politico: Gesù è re, ma senza corona.
Il seguito del vangelo chiarirà meglio questo: il titolo di re è attribuito a Gesù solo nel contesto della Passione, dove ricorre con una certa insistenza. È la passione il luogo dove si coglie il vero significato della regalità di Gesù, una regalità diversa da quella a cui gli uomini sono abituati. 
Abbiamo visto spuntare la sua stella
La stella nell’antico Oriente era il segno di un dio e, di conseguenza, di un re divinizzato. Matteo ci riferisce questo fatto, non perché è interessato dal fatto che una stella abbia confermato la nascita del messia, ma perché esiste una profezia messianica esplicita nel libro dei Numeri (24,17), che parla di una stella. La profezia di Balam.
Il racconto dei Magi illustra il tema del Cristo cercato e rifiutato: il Messia è il segno di contraddizione.
siamo venuti ad adorarlo
Per tre volte nel racconto dei magi risulta il verbo greco dell'adorazione, che di sua natura indica il curvarsi dell'uomo nella venerazione della grandezza divina (Mt 2,2.8.11). Questo gesto sembra anticipare quanto l'evangelista dirà in seguito: “Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e riceveranno a mensa...” (8,11). Dopo l'adorazione, scatta l'intimità espressa attraverso il simbolo del banchetto. Purtroppo l'umanità spesso “ha venerato e adorato la creatura al posto del Creatore” (Rm 1,25). “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” (1Pt 3,15). Tuttavia l'adorazione non è solo un atto di timore, è anche espressione di adesione gioiosa, di libertà, di intimità. 
v. 3: il re Erode restò turbato
Se nei magi la nascita del re dei Giudei prova gioia, il re Erode, invece, ne resta turbato.
Purtroppo Erode con il suo orgoglio non entra nella dimensione della regalità di Gesù. Si crede l'unico re assoluto, altri non sono che usurpatori. Non solo si turba Erode ma tutta la città santa: l’evangelista mette in rilievo come il popolo delle promesse, che attende da secoli la venuta messianica reagisce con la paura e il turbamento, la derisione e l’ignoranza. La realtà e la verità è difficile da accettare, da accogliere, da sentire e da vivere. Lo è per tutti. L’illusione crea sempre delusione quando cade. L’illusione è una sicurezza a cui ci attacchiamo; per questo facciamo di tutto perché non cada. E’ una sicurezza, un muro che ci impedisce di vedere ciò che per noi è doloroso e difficile d’accettare. Quando l’illusione cade dentro di te senti la voce: “Ma come?” e rimani attonito, non l’avresti mai creduto. E’ proprio questo il punto: che ogni illusione ti costringe a cambiare credo.
vv. 4-6: Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo
C'è un informarsi che significa ricerca. Ma attenzione la ricerca di Erode è negativa non coglie la presenza della Luce. Paradossalmente può accadere quello che dice il Vangelo: i vicini non colgono la presenza della luce. Erode abitava a otto chilometri di distanza da Betlemme, quindi vicino; poteva facilmente trovare il bambino. Non lo ha trovato. I Magi sono lontani dal punto di vista fisico, spirituale e morale; eppure camminano; la luce è sufficiente per dare a loro un itinerario di salvezza. Per questo è il mistero paradossale del Natale che dobbiamo accogliere e fare nostro.
Per tanti aspetti noi siamo i vicini, però questo non ci garantisce. Bisogna che vicini come siamo riusciamo a cogliere questa luce, a lasciarci illuminare. E se siamo lontani per un motivo o per l’altro, però possiamo ricordare che il Natale è per noi, che la manifestazione del Signore è per noi. Non siamo così lontani da non intravedere la luce. Nessuno è così lontano. La luce di Dio è andata a scomodare i Magi, là dov’erano. Così nessuno è così lontano da non potere intravedere questa luce. È a tutti che viene data la possibilità di trasformare il proprio vagabondaggio in pellegrinaggio, il proprio camminare senza meta in un itinerario che ha come meta l’amore di Dio, il luogo dove l’amore di Dio si è manifestato.
A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta
Il responso degli scribi è unanime: il Messia nascerà a Betlemme di Giudea (Mi 5,1). La citazione del testo profetico sottolinea che il capo che uscirà da Betlemme «pascerà» il popolo di Israele. Matteo sottolinea la dimensione pastorale del messia, del re davidico (cfr. Sal 23; Ez 34,23; 37,24).
Erode sapendo ciò, sperimenta quello che è uno dei drammi della storia dell’uomo e in fondo della storia della elezione di Dio. Il Signore chiama; quando il Signore chiama, ama con un amore di predilezione. Però chi è amato, e chi è scelto, deve stare attento a non trasformare la vocazione e la elezione in privilegio, come se la elezione di Dio lo collocasse al di sopra degli altri, in una posizione di potere. Perché nell’ottica della Scrittura l’elezione di Dio c’è: ha scelto un popolo. Ma non lo ha scelto perché quel popolo allontanasse da sé gli altri, ma perché si rendesse strumento, perché attraverso di lui l’amore e la predilezione di Dio diventasse universale, perché tutti gli altri popoli vedendo quel popolo e vedendo il suo rapporto con Dio venissero condotti a ricercare il Signore.
vv. 7-8: Allora Erode, chiamati segretamente i Magi... Andate e informatevi accuratamente sul bambino
Forse Erode non aveva bisogno di informazioni date da stranieri. Poteva farlo benissimo con i suoi soldati. Questi versetti ci portano a una riflessione del tutto personale, forse voluta dallo stesso evangelista: il cristiano che si confronta con i dominatori di questo mondo. Ciò sarà ricordato nuovamente da Gesù (cfr. Mc 10,35-45). Che cosa vuol dire? Il modello da imitare non deve essere quello dei capi di questo mondo: loro esercitano il potere dando ordini, pretendendo privilegi; davanti a loro bisogna inginocchiarsi, baciare la mano, dosare i titoli ed elogi. Il modello da imitare invece è lo schiavo! Colui che occupa il livello più basso nella società, colui al quale tutti sono in diritto di dare ordini! 
Infatti, l'indagine meticolosa del sovrano, travestita di devozione, cela, in realtà, gli interessi meschini dell'uomo preoccupato di salvaguardare il suo potere. 
vv. 9-11: essi partirono. Ed ecco, la stella
Ricompare la stella (notiamo che questa riappare, dopo che "si allontanano" da Erode e da Gerusalemme), che si muove insieme ai magi e li conduce fino al luogo preciso della presenza del Signore Gesù.
Quando Dio entra nella vita degli uomini lo fa sempre utilizzando un "linguaggio" che il destinatario può comprendere, rivelando così la sua condiscendenza: non dobbiamo, dunque, cercare i segni della presenza del Signore al di fuori della nostra storia, ma leggere il nostro quotidiano alla luce della Parola di Dio per scoprire le "stelle" e le "mangiatoie" in cui il Signore si fa trovare.
Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima
Provare gioia... la presenza del Signore che ci riempie il cuore fino a farlo trasalire di gioia. La sua vista li riempie di una gioia profonda, quella che solo Dio può dare all'uomo, ai popoli; quella che ci rende capaci di uscire da noi stessi, superando ostacoli e contraddizioni, per comunicare ad altri ciò che è avvenuto nel nostro incontro con la Luce.
Gli annunzi profetici del Salvatore sono carichi di parole gioiose e di trasalimenti di felicità. "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda... Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine" (Is 9,1-6; cfr. Mt 4,14-15 ).
videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono
I magi in questo "bambino di periferia" riconoscono il "re della giustizia" e vedendo "il bambino e la madre" offrono il loro tributo e si prostrano in adorazione. In altre parole, aderiscono al progetto di Dio che salva le persone a partire dal piccolo e dal povero e non dai potenti e violenti come Erode.
aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra
I magi offrono doni significativi, che ci permettono di cogliere il mistero in tutta la sua profondità: oro, incenso e mirra. Di per sé quelle offerte sono il simbolo del riconoscimento di Gesù come messia, a cui si presenta un tributo di venerazione, come suggeriva la Bibbia: Sal 72, 10-11 (offerto dalla liturgia), come pure Gen 49,10; Num 24,17; Mi 5,1-3; Is 49,23; 60,1-6.
Per sant'Ireneo di Lione nel II secolo e per un inno del poeta cristiano Prudenzio del IV secolo, queste ricchezze, tributate a Gesù, simboleggiano la regalità (oro), la divinità (incenso) e la passione di Gesù (mirra). In altre parole, i magi - simbolo di quanti accettano il potere di Dio manifestato nel bimbo Gesù - in primo luogo si donano al servizio del Salvatore (si prostrano) e poi, mettono a disposizione di Gesù il meglio di ciò che hanno, i loro doni.
Questo atto di omaggio richiama il cristiano all'esistenza quotidiana da vivere con le buone opere, con l'orazione e col sacrificio.
v. 12: Avvertiti in sogno... per un’altra strada fecero ritorno al loro paese
Anche per i magi un sogno. Dio si rivela loro, parla loro. Questi sono uomini nuovi. Hanno in sé un nuovo cielo e una nuova terra. Sono liberi dagli inganni dell'Erode del mondo e perciò ritornano alla vita per una via del tutta nuova, che la Sapienza aveva loro indicato (cfr. 1Re 13,9-10). Una volta incontrato Cristo, non si può più tornare indietro per la stessa strada. Cambiando la vita, cambia la via. L'incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento di abitudini.

La Parola illumina la vita
La Parola ascoltata in questo giorno solenne, parla di Dio che entra nella mia storia riprendendosi il suo ruolo regale che è quello di liberare il misero e provvedere ai poveri (Sal 71,2.12-13). Per entrare come i magi per adorare ho bisogno di stare in ascolto profondo della voce silenziosa del Signore e lasciare che il soffio del suo Spirito mi raggiunga e mi investa, riempiendomi e avvolgendomi. Ho bisogno di conversione per riconoscere i segni dei tempi, e tornare nuovo per altra via, superando la prepotenza umana e glorificando Dio nella vita.

Pregare
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Contemplare-agire
L'Epifania che oggi celebriamo è aprire la nostra vita all'incontro con Cristo ed aprire tutti gli spazi possibili perché egli prenda possesso del nostro cuore e della nostra mente, per assaporare la gioia di appartenergli e di vivere per Lui, con Lui ed in Lui.