venerdì 17 gennaio 2014

LECTIO: 2ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)

Lectio divina su Gv 1,29-34




Invocare
O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini a formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo. 
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
29 Il giorno dopo, (Giovanni) vedendo venire Gesù verso di lui disse: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30 Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”.
32 Giovanni testimoniò dicendo: “Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33 Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. 34 E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”. 

Silenzio meditativo: Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà

Capire
La celebrazione del Battesimo di Gesù ha fatto da cerniera nel chiudere il Tempo della Manifestazione ed aprire quanto "rimane" del Tempo Ordinario.
Nella II domenica del Tempo Ordinario, il vangelo in tutti i tre cicli liturgici è sempre preso da San Giovanni.
Ci troviamo "a Betania al di la del Giordano", nel luogo dove il Battista amministra il battesimo di conversione. In questo luogo Gesù viene presentato come l’Agnello di Dio.
Il quarto vangelo, dopo l'inno formato dal prologo (Gv 1,1-18), si apre con la solenne testimonianza di Giovanni Battista. La pericope di Gv 1,19ss è infatti «il prologo della parte storica..., è la traduzione nel linguaggio della storia di ciò che il prologo vero e proprio esprime in termini più astratti, nel linguaggio della teologia».
Come Marco, l'evangelista Giovanni omette gli episodi della nascita e dell'infanzia di Gesù; e inizia il suo racconto, descrivendo la comparsa sulla scena del Battista. Ma, a differenza dei sinottici, non riporta la predicazione di questo profeta; per lui la missione del Battista si riduce a una testimonianza solenne, resa a Gesù, proclamandolo agnello di Dio, che toglie il peccato 'del mondo, e riconoscendolo come l'eletto di Dio che battezza con lo Spirito santo. I sinottici invece si compiacciono di riportare la esortazione del Battista alla conversione.
Il battesimo di Gesù non viene narrato direttamente nel quarto vangelo; si suppone che sia avvenuto in precedenza e Giovanni ne fa memoria davanti a un pubblico imprecisato di ascoltatori. Veniamo così a sapere che lo scopo stesso del battesimo di Giovanni era di poter ‘rivelare’ Gesù. Emerge, in primo piano, la “conoscenza” di Gesù.

Meditare
v. 29: Il giorno dopo vedendo Gesù venire verso di lui disse: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!
Con questo versetto, inizia "la successione dei giorni" in un totale di sei per dire che l'opera di Gesù completa la creazione dell'uomo (Gv 19.30; 20,22).
L'evangelista Giovanni vede in Gesù il culmine della creazione e presenta il Veniente col suo nome: Gesù indicandolo come l’Agnello di Dio. 
L'espressione Agnello di Dio è un titolo messianico e rimanda all'agnello pasquale che, sacrificato nel tempio, veniva consumato nella cena pasquale. L’evangelista sottolinea qui che Gesù è l’Agnello pasquale e con il suo sacrificio libera definitivamente l’umanità. Ricordare che Gesù è l’Agnello di Dio si allude al "Servo del Signore" che Isaia, nell'annunciare in anticipo la sua passione, paragona a un "agnello condotto al macello", aggiungendo anche che "portava il peccato di molti (Is 53, 7.12).
Questa è l'opera dell’ "agnello": "toglie il peccato del mondo". Una delle cose che possiamo fare attenzione è l’uso singolare che abbiamo nel vangelo, che facilmente nella popolarità la trasportiamo al plurale. Giovanni usa il singolare, perché l’Agnello di Dio toglie, si addossa quell'unico e grande peccato.
“Il peccato del mondo”, nel Vangelo di Giovanni la risposta è abbastanza chiara: è l’incredulità, cioè il non credere nell'amore di Dio e di conseguenza non credere nell'amore fraterno. Il peccato viene da quella  specie di dubbio profondo e radicale che ci portiamo dentro, che a volte ci pone in un atteggiamento di rassegnazione di fronte al male o all'egoismo. Come se ci venisse da dire: Ci crediamo davvero nell'amore? Per san Giovanni questo è il peccato e da questo vengono tutti gli altri; dalla mancanza di fiducia nell'amore sono giustificati tutti i nostri comportamenti di egoismo, di chiusura e di cattiveria. Inoltre, “il peccato del mondo”, è la disobbedienza a Dio, che è il peccato che apre ad ogni peccato. Ogni peccato  ha in sé la disobbedienza a Dio, in modo più o meno grave. Cristo ha tolto, si è caricato su di sé il peccato del mondo con la sua obbedienza.
vv. 30-31: Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele
Giovanni continua a descrivere Gesù come uomo. Il termine greco usato qui per definire uomo, aner, indica un maschio adulto, sposato (cfr. Gv 4,16-18). Giovanni non intende riferire lo stato matrimoniale di Gesù, ma presenta Gesù come l'anello della sposa, lo sposo della nuova alleanza.
In questi versetti, l’evangelista non fa altro che affermare nuovamente la preesistenza di Gesù. Giovanni, benché sia parente di Cristo, nato solo sei mesi prima, dice che non lo conosceva; fatto impossibile secondo l'informazione umana. In realtà Giovanni non conosceva il Nome e il Volto di Colui-che-viene, ma sa che deve anzitutto manifestarsi ad Israele, il popolo dell'alleanza; la sua attività battesimale aveva infatti il preciso scopo di preparare gli uomini alla venuta del Messia secondo le parole dell'angelo a Zaccaria suo padre (cfr. Lc 1,16-17).
v. 32: Giovanni testimoniò dicendo: Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 
Ricompare lo stesso verbo greco che fa riferimento alla contemplazione e che abbiamo riscontrato nel prologo in 1,14 in riferimento alla gloria di Gesù. La visione di Giovanni ha come
oggetto lo Spirito (senza l’appellativo: santo), la totalità dell’amore di Dio che scende e rimane su Gesù, dimora dello Spirito.
L'evangelista Giovanni non sta facendo altro che "circoscrivere l'incorporeo nel corpo" (San Giovanni Climaco) 
Quello che Giovanni contempla e lo Spirito (senza l'appellativo santo). Nella Bibbia lo Spirito è la forza di Dio, la vita di Dio, è la forza con cui Dio ha creato il mondo, è la ricchezza di amore con cui Dio ama eternamente di un amore infinito. Ebbene, questo Spirito viene donato a Gesù. Non solo viene donato, ma viene donato e rimane. Fu soltanto quando battezzò Gesù che il Battista lo riconobbe come il Messia.
Qui l'evangelista presuppone il racconto sinottico del battesimo di Gesù (cfr. Mc 1,9-11 e parali.) senza tuttavia parlarne.
Possiamo notare che la discesa dello Spirito “è come una colomba”, non nella forma fisica del volatile, ma del suo modo di volare che infonde fiducia ed è bello a vedersi.
San Giovanni insiste su questa parola: “si è fermato su Gesù”, in modo tale che tutta la vita di Gesù è stata animata interiormente dalla forza dell’amore. Al Re messianico era promessa la dimora dello Spirito, la sua pienezza sapienziale; sul virgulto di Jesse infatti riposa lo Spirito di Dio (Is 11,2), in modo permanente, poiché Dio sta con lui (cfr. At 10,38).
v. 33: Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo. 
L’espressione rimanda a qualcosa di più di una conoscenza anagrafica. Egli ci rimanda al battesimo in confronto al battesimo di Gesù. Troviamo infatti, il verbo greco baptìzein che ha il significato di sommergere o impregnare. Giovanni sommergeva l’uomo nell’acqua, come segno di morte a una condizione precedente e la rinascita a una nuova.
I profeti dell'AT avevano preannunziato un'effusione dello spirito nell'era messianica (cfr. Gal 3,1-2; Is 32,15; Zc 12,10); il N.T. vede il compimento di questa profezia nella Pentecoste e nel battesimo cristiano (At 2,16-18; 10,45; Rm 5,5; Gal 4,6).
"È Lui che battezza nello Spirito Santo". Anche qui ci sta una immersione ma dello Spirito Santo nell'uomo. Lo Spirito Santo sarà quella sorgente zampillante, quel dono in abbondanza, che dà la vita eterna (Gv 4,14).
Inoltre, più in generale, si intende il dono permanente dello Spirito che il Risorto, e soltanto Lui, fa alla Chiesa e che è sgorgato dalla sua morte redentrice.
v. 34: E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio. 
I verbi in cui ruota questo versetto sono “vedere” e “testimoniare”, anzi i due verbi sono collegati. Per rendere testimonianza bisogna “vedere”. Il vedere di cui parla Giovanni è un vedere in profondità, un vedere oltre l’orizzonte. Il Battista dice di Gesù che è il Figlio di Dio. Ciò non è solo pura costatazione ma riconoscimento di un mistero. L’evangelista questo lo riprenderà in 1Gv 1,1-3: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi”. La vita di cui si parla è quella eterna che “era presso Dio”. Essa è invisibile agli occhi umani, ma quello che era divino si è fatto visibile e percepibile ai sensi dell’uomo: “… e noi abbiamo visto la sua gloria” (Gv 1,14).
Giovanni testimonia Gesù, Figlio di Dio. Chissà quante volte chiamati a compiere questa professione di fede! Per la sua natura divina Gesù Cristo vanta il titolo di Figlio di Dio (Mt 4,3; Lc 1,35; Gv 1,18; Gv 10,36) già prima della resurrezione e poteva dire al Padre di glorificarlo con la gloria che aveva presso il Padre prima che il mondo fosse (Gv 17,5), perché Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13,8).
Come Figlio di Dio, Gesù Cristo è pertanto anche Dio, come testimonia tutto il NT (Gv 1,1; Gv 20,28; Rm 9,5; Tt 2,13; 1 Gv 5,20).
Testimoniare che Gesù è il Figlio di Dio è credere nella forza profetica scaturita dalla Parola di Dio che dona senso pieno al nostro esistere. Ancora oggi questa testimonianza è credibile ed è il dono più grande che possiamo fare a quanti incontreremo nel nostro cammino.

La Parola illumina la vita
Ecco l’Agnello di Dio! Questa espressione l’ascolto sempre durante la Messa. Cosa significa per me?
Sono sicuro/a di conoscere Gesù? Da che cosa lo deduco?
Chi è Lui, vitalmente, per me? Posso dire che ogni giorno lo riscopro con un'impronta di novità: la novità del suo insondabile Amore? 
Lo Spirito discende anche su di me e rende santa la mia vita, la mia storia. Ne sono consapevole? Come lo testimonio?

Pregare
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai. (Sal 39)

Contemplare-agire
Nel silenzio del cuore, contemplo questa Parola di salvezza per riconoscere una Presenza che
mi aiuti nel cammino purificandomi dal peccato, da tutto ciò che è rifiuto della vita, disperazione, sfiducia per continuare ad annunziare il Verbo della Vita!