giovedì 1 maggio 2014

LECTIO: III DOMENICA DI PASQUA (A)

lectio divina su Lc 24,13-35

Invocare
O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane. 
Egli è Dio, e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
13 Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14 e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15 Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16 Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17 Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18 uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19 Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21 Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22 Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23 e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». 25 Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26 Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27 E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 
28 Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29 Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32 Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33 Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34 i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».  ascolta 35 Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Silenzio meditativo: Mostraci, Signore, il sentiero della vita.

Capire
L’evangelista Luca scrive (siamo intorno agli anni 80 d.C.) per le comunità cristiane della Grecia che al 90% erano formate da pagani convertiti. Gli anni precedenti furono quelli della persecuzione di Nerone e poi, nel 70 la distruzione di Gerusalemme da parte dei romani. Nel 72 nella fortezza di Masada ci fu il massacro degli ultimi giudei ribelli a Roma.
Erano gli anni in cui gli apostoli, cioè i testimoni della risurrezione, stavano scomparendo.
Ognuno avvertiva la stanchezza di un cammino e si chiedevano: dove attingere forza e coraggio per non scoraggiarsi? Come scoprire la presenza di Gesù in questa situazione così difficile? Come stare uniti? A queste domande piene di angoscia, vuol rispondere la narrazione dei discepoli di Emmaus. Luca vuole insegnare alle comunità come interpretare la Scrittura per poter riscoprire la presenza di Gesù nella vita.
Il brano dei discepoli di Emmaus si pone come didattico per chi vuol intraprendere un cammino di lectio divina.

Meditare
vv. 13-14: Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
In questi primi versetti abbiamo una introduzione. E' l'introduzione alla vita. Una vita in cammino che parte dalla Pasqua. L'evangelista sottolinea che ci troviamo lo stesso giorno di Pasqua.
Sono solo due in cammino. Chi sono? Certamente discepoli. Potrebbero essere tra quelli che ricevettero insieme con gli Undici l’annuncio della risurrezione da parte delle donne (v. 9). 
Il numero può indicarci una nuova realtà. Può anche indicarci il cammino della quotidianità. Di uno di loro conosciamo solo il nome Cleopa (forse un parente di Gesù, cfr. Gv 19,25); l’altro anonimo, porta il nome di ogni lettore, chiamato a fare la stessa esperienza.
Il cammino che questi due discepoli stanno facendo, dice l'evangelista Luca, è verso Emmaus cioè verso le proprie cose, verso se stessi. Ciò che li guida non è la luce della Pasqua ma li trasportava il loro modo di pensare. Nel cuore di questi due uomini regna solo tetra delusione e amarezza Infatti, mentre camminavano discutevano appassionatamente. Il verbo che viene usato nel testo greco traduce quest'italiano: "Si facevano l'uno all'altro l'omelia". Su cosa? Sulla passione, morte e risurrezione di Gesù, il Maestro.
vv. 15-16: Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 
Questa "omelia" era senza la Parola, senza il Maestro. Però loro cercavano insieme. Ora un "misterioso viandante" si accosta al loro cammino, si accosta a questa discussione che conduceva alla morte. Il Salmista appassionatamente si rivolge a Dio dicendo: "se Tu non mi parli, io sono come colui che scende nella fossa" (Sal 28), cioè come un morto, come chi non ha più nessuna ragione, nessuna forza di vita. Ecco come si presentavano i discepoli. Senza Dio e la sua Parola e quindi morti. Anche l'allontanarsi da Gerusalemme, indica proprio la fine, un lasciare al passato tutto, anche Gesù.
Ma Gesù cammina con loro. Non li lascia nel dubbio. Non li lascia senza la luce della Sua Pasqua. La comunità che cerca Cristo non è lasciata a se stessa, ma è accompagnata e guidata invisibilmente da lui.
Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
I Vangeli sono concordi nel testimoniare che non è facile riconoscere il Signore dopo la sua risurrezione. Maria Maddalena lo scambia per il custode del giardino. Solo dopo aver fatto una pesca miracolosa e grazie a Giovanni che grida è il Signore, Pietro e i compagni lo riconosceranno mentre li attende sulla riva del lago. Qui, Cleopa e il suo compagno lo trattano da forestiero, non lo riconoscono.
Forse oggi, noi, dopo tante prediche magari pensiamo di riconoscere Gesù, eppure la Parola ci dice il contrario. Infatti, d'ora in poi è questo il modo della presenza di Gesù in mezzo ai suoi discepoli. 
Questo modo di non riconoscere, l'evangelista Matteo ce lo presenta così: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?».(Mt 25, 37-39). Gesù risorto mantiene la promessa di stare sempre con noi, ma lo fa a modo suo e non sempre si fa riconoscere. Si fa presente nel povero, nell'ammalato per darci la possibilità di fare qualche cosa per lui. Se osserviamo, il Risorto si presenta ai discepoli con le stesse trafitture della carne (v. 39).
Per riconoscere Gesù bisogna entrare nella prospettiva della risurrezione.
vv. 17-19a: Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». 
Era usanza, tra gli ebrei, discutere su temi religiosi durante il viaggio. L'intervento di Gesù è un modo di fare abituale nella pedagogia di Gesù con gli apostoli (cf Mc 933). Altre volte li ha colti a discutere tra loro e si è fatto raccontare ciò che già sapeva. Si mette in ascolto per permetterci di raccontarci. Abbiamo bisogno di parlare, di gridare la nostra angoscia, le nostre paure, le nostre delusioni. Gesù le ascolta.
Si fermarono, col volto triste; 
La descrizione del "volto triste", il testo greco lo descrive col termine skythropòi un termine che si ritrova anche in Mt 6, 16 dove Gesù dice: “quando digiunate non fate la faccia triste”: ciò non significa indignazione per la do­manda indiscreta di uno straniero, una esprime lo stato d’ani­mo in cui si trovano (erano «di malumore») e il loro stupore - come dice subito uno dei due - per il fatto che un abitante di Gerusalemme possa far domande su ciò di cui essi parla­no.
uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?».
Qui viene descritto il nome di uno dei viaggiatori, che con la sua retorica domanda permette di riprendere i fatti della passione e morte di Gesù come un fatto a conoscenza di tutti.
La domanda di Gesù apre il cuore dei due discepoli esprimendo la profonda delusione in quei fatti.Questa domanda permette di introdurre la risposta, che è un vero e proprio inizio dell’annuncio kerygmati­co, al quale manca ancora la proclamazione della risurrezione e il riferimento alle Scritture.
v. 19b: Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;
E' facile raccontare la speranza. I discepoli la raccontano ma si fermano alla croce. Sembra che Gesù ripeta: "la gente, chi dice che io sia?" (Mc 8,27). la risposta è stata vaga e anche qui non si va oltre. Mancano di quella parrésia (termine lucano che carat­terizza tutti i discorsi kerygmatici della prima parte del libro degli Atti! cfr At 4,13.29.31).Manca loro la chiave giusta per rileggere la vita di Gesù nella loro stessa vita, alla luce della Pasqua.
v. 20: come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.
Viene descritta la passione e morte di Gesù attraverso le autorità. Luca fa notare che l'espressione "i nostri capi" è contrapposto al "noi" del versetto seguente quasi a ribadire la divisione fra il popolo. La responsabilità della morte di Gesù è dei capi e non dei romani
v. 21: Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
Questa era la loro speranza che lui fosse davvero il Cristo di Dio, l’Inviato, il Salvatore, colui che avrebbe liberato Israele. Tutto portava in questa direzione secondo una concezione giudaica, tipica da partigiani, ma non la sua morte infame. Una prospettiva miope. Ed ora sono passati tre giorni. 
Il "tre giorni" secondo una credenza giudaica, vuole significare che l'anima si aggira per tre giorni ancora intorno al corpo dopo di che lo abbandona definitivamente alla de­composizione e perciò dopo tre giorni dalla morte non c'era più speranza alcuna.
vv. 22-24: Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 
Sembrava che il racconto dovesse terminare qui invece subentra un fatto nuovo, una notizia sconvolgente che ha dell’incredibile, raccontata dalle donne e confermata da alcuni dei discepoli: quel condannato a morte che è stato crocifisso è vivo. 
In Luca, l'espressione "è vivo" vuol indicare che Gesù è il Vivente.
Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Tuttavia manca qualcosa perché questa notizia possa essere accolta come vera: Lui non lo hanno visto. 
Questo andare alla tomba riprende il v. 12: la visita di Pietro («corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende»). L'evangelista Luca, sembra che voglia darci un'altro messaggio da altra fonte: le donne giungono alla fede, Pietro non giunge alla fede: la loro fede riposa sull'apparizione del Risorto in persona! Pietro ancora pensa che senza la comunione diretta e personale del Risorto la fede è impossibile. 
Tommaso non crederà nemmeno a quelli che lo hanno visto e dovrà aspettare ancora altri otto giorni per vedere e credere.
Adesso anche qui. Gesù cammina con i due discepoli ed essi non lo riconoscono. 
vv. 25-26: Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
Gesù, a questo punto, interviene e rovescia "le carte". Ad un tratto Egli stesso è il protagonista di tutto. Gesù più volte si è scontrato con l’incredulità di coloro che avevano sempre bisogno di “vedere per credere”. 
"Stolti e lenti di cuore". E' un modo amorevole di Gesù per rimproverarli, scuoterli. La loro lentezza è in riferimento alla Parola dei Profeti, in riferimento a tutte quelle volte che si sono messi in ascolto della Parola. Anzi ascoltare la Parola ascoltavano se stessi e i loro problemi. La loro lentezza li ha portati a credere a tutto ciò che non era vangelo. Credevano che lo fosse, ma non si è rivelato così.
Infatti, il Cristo annunciato non era un liberatore alla maniera dei potenti della storia, era un salvatore che doveva attraversare la sofferenza per entrare nella sua gloria.
v. 27: E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Qui Gesù inizia la sua lectio divina. Luca qui non fa altro che iniziare un tema che ha notevole importanza nella sua opera: la spiegazione della Scrittura nella Chiesa (Lc 24,45; At 8,28-34; 17,3; 28,23). Gesù agisce come fonte e modello di ciò che diverrà l’uso cristiano della Scrittura. 
Quello che Gesù fa, non era la prima volta. Ci sono altri esempi, raccontati dagli evangelisti in cui Gesù ricorre alla Scrittura per dire chi è e qual è la sua missione (Cfr. Mt 5,22 ss; Mc 9, 11-13). Sono piccoli squarci di luce. Tanto che Filippo aveva potuto dire a Natanaele: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret" (Gv 1,48). Qui però Gesù si rivela Maestro, cominciando da Mosè passa in rassegna tutti i profeti, soprattutto illustranti la sua morte e risurrezione. Gesù risorto è l'ermeneuta (viene usato proprio il verbo tecnico di-erméneusen, aoristo attivo di di­-ermeneuò, «interpretare, spiegare», che Luca usa solo in questo versetto), l’esegeta della Parola e dell’evento-Cristo.
Tutta la Scrittura parla di Lui. "Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell'apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo" (San Girolamo). 
vv. 28-29: Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 
Il viaggio termina. Termina anche la lectio divina. Gesù in una maniera catechetica, fa come se dovesse andare più lontano. È come se volesse essere invitato, non s’impone Gesù, non pretende. Colui che cerca vuol essere cercato. Nulla lascia intendere nel senso di una simulazione o di una finzione di an­dare. Il termine ricorre solo qui in tutto Luca e in tutto il NT. L’evangelista introduce un nuovo e ultimo richiamo al «cammino di Gesù » (due volte citato il verbo del cammino poreuomai: vv. 13.28).
San Giovanni nell'Apocalisse dirà: "«Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20).  
Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Qui l’invito arriva, pressante, adeguato alla situazione: la notte è vicina, perciò offrire ospitalità a un viaggiatore è necessario in luoghi dove camminare nell'oscurità rappresentava un vero pericolo concreto. 
"Resta con noi!" Forse un po di poesia risuona in questa espressione, ma la sera richiama a quella stessa sera del banchetto pasquale di Gesù con i suoi, in un'altra casa, al piano superiore.
L’esortazione ora diventa invocazione paradigmatica della comunità dei discepoli, sulla base di ciò che Gesù aveva promesso: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23; cfr. 15,4). questo ora lo realizza. Il dialogo lungo il cammino non è stato inutile.
Gesù questa volta non entra per andarsene anche se sparirà dalla loro vista, entra per rimanere. Perché ormai ha preso dimora nei loro cuori. Lo ha fatto con la spiegazione delle Scritture e ora sta per farlo spezzando il pane eucaristico. Questa è la forma che egli ha scelto per rimanere con i suoi. Sempre. Fino alla fine del mondo.
vv. 30-31: Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 
Gesù spezza il pane che compete al padrone di casa. L'usanza dell'ospitalità cedeva il posto all'ospite. Egli compie i gesti di un pasto giudaico normale, ma per un cristiano i termini scelti per descriverlo sono significativi: è il linguaggio del gesto eucaristico. 
Gesù "prese il pane, e spezzato lo diede (lett. dava) loro". Notiamo che mentre nell'istituzione dell’Eucarestia (22,19) si dice "lo diede loro" (è usato un indicativo aoristo, edoken), qui si dice: "dava loro" (con epedidou: un imperfetto greco): un'azione passata che continua. Infatti, ciò che fu dato nell'ultima cena è donato fino alla fine del mondo nella celebrazione eucaristica.
La cena eucaristica di Emmaus è la prima eucaristia della comunità cristiana dopo l’istituzione del giovedì santo. 
È una eucaristia domenicale e domestica. La casa dei discepoli di Emmaus è la prima domus ecclesiae. 
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
Ancora non lo sanno i discepoli i quali, però, a quel gesto lo riconoscono. Quello che essi sperimentano a Emmaus è paragonabile alla guarigione del cieco nato. Si aprirono loro gli occhi. La loro vista interiore, impedita da tutte le idee che si erano fatte sul Messia, ora si apre e “lo riconoscono”. 
I discepoli si sono preparati al banchetto con l’ascolto della Parola, ma hanno riconosciuto Gesù solo quando hanno preso parte al suo sacrificio, non cultuale, non rituale, ma reale e vitale, attuato cioè con l’offerta di se stesso all'umanità.
v. 32: Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
L'evangelista riporta al cuore dell'esperienza: la Sacra Scrittura. Prima Gesù ha aperto loro le Scritture poi ha aperto loro gli occhi. È lo stesso verbo che viene usato da Luca. Le Scritture possono restare chiuse anche se vengono lette e studiate come si può essere ciechi anche se ci si vede. La presenza del Risorto entra nella vita dei credenti attraverso le Scritture interpretate in senso pasquale e attraverso l’eucaristia, facendo ardere il cuore e rendendolo capace di comprendere. 
vv. 33-35: Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 
Ecco che tutto ormai è chiaro ed è così bello che non si può rimandare a domani la gioia di comunicarlo agli altri e alle altre che sono rimasti a Gerusalemme. 
Ritornare a Gerusalemme ma con occhi nuovi, risplendenti della Pasqua del Risorto. Hanno ricevuto quel ci­bo che dà forza per compiere il lungo viaggio che ancora rimane. Non ci fu giorno come quello, né prima né dopo: stette il sole e non si affrettò a calare (Gs 10,12-14).
Qui inizia l'annuncio pasquale. Qui inizia il rientro nella comunità pasquale.
I due discepoli hanno fatto esperienza che «il Signore è vivo». Si riconferma dunque il convincimento che il luogo privilegiato della comunione di fede con lui è la celebrazione eucaristica. Con gli Undici c'è lo scambio della fede. Con gli Undici si scopre il luogo dove si annuncia la Risurrezione e ci si regala la propria esperienza, dell'incontro con il Signore.
Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Quest'ultima parte chiude l'episodio con l'esplicito riferimento al tema del "cammino" (lungo la via). Il tema del cammino è un tema antropologico forte che presenta i discepoli di Emmaus come persone in continuo cammino. Solo mettendosi realmente in cammino si può incontrare il risorto.

La Parola illumina la vita
Quest'episodio lucano è l'icona della vita cristiana. ognuno dentro quest'icona è chiamato a percorrere un cammino che parte dalla Parola. Un cammino che parte dal riconoscersi lenti e tardi di cuore. Un cammino che spazza le false ideologie e che apre alla speranza.
i discepoli di Emmaus fanno un cammino mai concluso: di partenze e ripartenze; di smarrimento e riconoscimento; di fuga e di ritorno; di racconto e di rilettura; di cammino e di sosta; di delusione e di gioia.
Questa è la vita cristiana!

Pregare
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra. (Sal 15).

Contemplare-agire
I discepoli di Emmaus ritornarono a Gerusalemme dagli Undici. Anche noi dopo aver incontrato il Signore nell'ascolto della parola e nella condivisione del pane eucaristico, andiamo e condividiamo il nostro cuore ardente, acceso dal Risorto.