venerdì 12 giugno 2015

LECTIO: XI Domenica del Tempo Ordinario (B)

Lectio divina su Mc 4,26-34


Invocare
O Padre, che a piene mani semini nel nostro cuore il germe della verità e della grazia, fa’ che lo accogliamo con umile fiducia e lo coltiviamo con pazienza evangelica, ben sapendo che c’è più amore e giustizia ogni volta che la tua parola fruttifica nella nostra vita.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
26 Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29 e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Silenzio meditativo: È bello rendere grazie al Signore.

Capire
Le due parabole del vangelo odierno costituiscono, insieme ad una precedente (vv.3-20), le "parabole del seme", in pratica il discorso in parabole del vangelo marciano.
Marco non ha la ricchezza delle parabole di Matteo e di Luca, ma le concentra nel cap. 4, dove si succedono così: Mc 4,1-12, parabola del Seminatore; 4,13-20, spiegazione di essa; 4, 21-25, la lampada sotto il secchio; 4,26-29, la crescita del seme; 4,30-34, il granello della senape. Ora, la prima di queste parabole è di gran lunga la più importante, per la clausola interrogatoria severa del Signore: «Non comprendete voi questa parabola? E come comprenderete tutte le altre?» (Mc 4,13).
Il brano è un testo chiave per la comprensione del secondo vangelo, ed è anche annoverato tra quelli di più difficile interpretazione. In questo testo Marco presenta la predicazione di Gesù in modo molto particolare. Vengono messi in scena due gruppi di uditori: le folle (cf. vv. 1-2.33) e "quelli che erano intorno a lui con i dodici" (v. 10; cfr. v. 34).
Il Regno di Dio che nel racconto di Marco è paragonato ad un seme è il seme della Parola, gettato dal Padre in quel terreno della storia umana, spesso è buio nella notte dove un raggio di luce attende di entrare perché l’uomo si apra alla bellezza della vita vera.

Meditare
v. 26: Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno
Gesù si rivolge nuovamente alla folla con un discorso parabolico. In questo versetto l’attenzione sul Regno di Dio paragonato ad un agricoltore che getta nel terreno il seme. L’agricoltore si attende tutto dalla sua semina. La semina avviene sulla terra, per indicare l’universalità (cfr. 2,10) e la terra darà il suo frutto (Sal 67,7).
Gesù è molto sensibile alla vita dei campi, la osserva e ne parla con simpatia evidente, al modo del fine osservatore, ma anche, come è dato di vedere analizzando i testi, anche con un enorme senso poetico.
v. 27: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.
Il tempo si computava partendo dal tramonto. Il tempo è la dimensione che struttura la vita umana. Dormire e vegliare; sonno e tenebra sono immagini di morte ma è proprio così per il seme: deve cadere a terrà e morire (Gv 12,24): è una necessità della passione, della morte, della croce. Il seme deve morire e dare origine a una nuova pianta che moltiplica i semi nella spiga, della vita.
“Così Gesù legge la propria morte e così ci rivela che anche per noi, uomini e donne alla sua sequela, diventa necessario morire, cadere a terra e anche scomparire per dare frutto”.
Forse non lo capiremo, sarà anche per noi una sorpresa come le donne al sepolcro la cui “bocca si aprì al sorriso, e la lingua si sciolse in canti di gioia” (Sal 126,2).
v. 28: Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga
Questo prodigio avviene in maniera automatica. Il verbo greco automátê nella Bibbia lo incontriamo in altre pagine con eventi particolari, a cui non si da spiegazione (cfr. Sap 17,6; Lev 25,5.11 dei LXX). L'uso del termine suggerisce che è Dio che si cela dietro la crescita.
Quattro le fasi della crescita: prima uno stelo, che l’occhio inesperto non distingue dall’erba; poi una spiga, cioè il frutto ma che necessità del tempo per la maturazione; poi grano pieno nella spiga, è già frutto maturo.
Quattro fasi, quattro tempi per cui la Parola ottiene risultati positivi nel cuore di chi è capace di ascoltare , essa darà frutto in modo anche invisibile. Questa la certezza del “seminatore” credente e consapevole di ciò che opera: la speranza della mietitura e del raccolto non può essere messa in discussione.
v. 29: e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Qui abbiamo una citazione di Gl 4,13: «date mano alla falce, perché la messe è matura». Chi mette mano alla falce è il seminatore e la mietitura è il regno di Dio, col suo giudizio di salvezza, raffigurato nella gioia del raccolto.
Il versetto ci ricorda che tutta la storia è di Dio: lui semina, lui fa crescere, lui garantisce il frutto. Se i popoli sono in tumulto, i potenti vogliono combatterlo, Lui dall’alto ride (Sal 2).
v. 30: Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?
Inizia qui la seconda parabola, sempre sul seme, ma questa volta su un seme di senape. In questo versetto introitale, Marco fa uno sforzo per trovare la giusta immagine per descrivere la grandezza del regno di Dio. Una analoga introduzione la ritroviamo in Is 40,18: «A chi potreste paragonare Dio, e quale immagine mettergli a confronto?». Questo linguaggio è tipico anche delle parabole rabbiniche più tardive.
v. 31: È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno
Il chicco di senape è tra i semi più minuscoli, non più grande di un granello di sale; eppure anch’esso, se seminato in terra, diventa un albero che si impone.
La proverbiale piccolezza del suo seme (cfr. Mt 17,20) è il termine di paragone per il regno di Dio. Plinio scrive nei suoi trattati che è una pianta resistente che cresce rapidamente e tende ad invadere il giardino. Il punto è che il regno è un qualcosa sia di resistente che invadente.
Questa piccolezza la ritroviamo in Gesù (Cfr. Lc 9,48). Egli è il Signore, il primo di tutti, ma è ultimo e servo di tutti. Qui sta la sua piccolezza: essere piccolo per amare.
La piccolezza è il segno della grandezza di Dio, diversa da ciò che è idolo (Dn 2,31-35; Lc 2,12).
v. 32: ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Il seme riserva sempre grandi sorprese: la bellezza della vita. Il versetto fa riferimento a Ez 17,22-23 Dio prenderà un ramoscello da un grande cedro e lo pianterà affinché possa portare frutto e diventare un nobile cedro. Poi, «sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all'ombra dei suoi rami riposerà». Questa corrispondenza verbale tra il versetto ed Ez 17,23, dove gli uccelli si riposano all'ombra (hypo ten skian), attesta che per Marco questa è la principale allusione all'AT.
Possiamo cogliere in questo eccesso parabolico che il regno di Dio proclamato da Gesù è, come il nuovo Israele, il luogo dove tutte le creature viventi troveranno rifugio, cominciando dagli ultimi e dai più lontani.
vv. 33-34: Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Gesù continua a parlare alla folla in parabole. È un linguaggio immediato. Ma non tutti capiscono o accolgono, perché, è vero, le parabole sono tante invece la Parola è una: quella della croce (1Cor 1,18) che ci dice due verità intimamente connesse: la verità su Dio, e la verità sull’uomo. Per comprenderla c’è bisogno di entrare in intimità con Lui, essere i “suoi veri discepoli”.

La Parola illumina la vita
In che gruppo colloco la mia vita cristiana: tra le folle o tra i discepoli “intimi”?
La vita oggi è una frenesia. Sono paziente, con me stesso, con gli altri? Oppure continuo nella frenesia?
Quale fede posseggo? Quello della convenienza o l'amore per Cristo e la sua Parola?
Ho capito che la debolezza dei mezzi umani è una ragione di forza nel Regno di Dio?

Pregare
È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte. 

Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.  

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità. (Sal 91)

Contemplare-agire

Nelle mani di Dio, ogni uomo che accolga il Suo dono, che viva della sua Parola, che cammini sui passi del suo Figlio, può diventare annunciatore di salvezza e operaio solerte del Regno di amore, di giustizia e di pace che ognuno desidera. (sr Maria Giuseppina Pisano o.p.)


lunedì 8 giugno 2015

LECTIO: Domenica del Corpus Domini (B)

Lectio divina su Mc 14,12-16.22-26


Invocare
Signore, Dio vivente, guarda il tuo popolo radunato attorno a questo altare, per offrirti il sacrificio della nuova alleanza; purifica i nostri cuori, perché alla cena dell'Agnello possiamo pregustare la Pasqua eterna nella Gerusalemme del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
12 Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 13 Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. 14 Là dove entrerà, dite al padrone di casa: «Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?». 15 Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». 16 I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
22 E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23 Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24 E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. 25 In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». 26 Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Silenzio meditativo: Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.

Capire
La Domenica dopo la SS. Trinità si celebra la festa in onore del mistero eucaristico. Il contenuto di questo gran mistero lo possiamo cogliere dalla Liturgia stessa che ci offre orazioni e tre prefazi relativi.
Il brano di questa domenica appare sdoppiato. La prima sequenza (14,12-26) propone una visione teologica degli avvenimenti del giorno, che culmina nella eucaristia con l’interpretazione anticipata della morte di Gesù come volontaria e salvifica (14,24: il sangue dell’alleanza mia versato per tutti;
cfr. trad. lett.) e come inaugurazione di un nuovo rapporto degli uomini con Dio attraverso Gesù, formulato per il nuovo Israele in termini di alleanza (dell’alleanza mia, cfr. trad. lett.).
La seconda sequenza (14,27-15,47;16,8) è di stile narrativo e in essa Gesù è presentato come soggetto passivo dell’evento storico. Lo sdoppiamento presenta separatamente la spiegazione e il fatto, unificati sotto la stessa data.
La prima sequenza costituisce un trittico, inquadrato tra la preparazione della Cena (14,12-16) e l’eucaristia (14,22-26); al centro si trova la denuncia del traditore (14,17-21).
I nomi non appaiono solo quello di Gesù per poter dare importanza all’evento che Gesù ha in programma per i suoi discepoli.
Per chiudere, una considerazione che deve far riflettere tutti: come nell'eucaristia la presenza di Gesù il Risorto è «vera, reale, sostanziale» (Concilio di Trento) lo è anche nel fratello ignorato, maltrattato, sfruttato.... Difatti Gesù ha detto: «Ebbi fame e mi deste da mangiare; ero forestiero e mi avete ospitato...».

Meditare
v. 12: Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua
Il primo giorno degli Azzimi era la vigilia di Pasqua (cfr. 15,42); la cena pasquale si celebrava al tramonto del sole, quando, secondo il computo giudaico, iniziava il giorno di Pasqua. Probabile riferimento al 14 di Nisan, nel pomeriggio, il giorno della preparazione in cui gli agnelli venivano immolati nel tempio.
Il racconto sembra ripetere quello dei preparativi dell’entrata in Gerusalemme (cf 11,1-7). Non si accenna all’agnello da immolare, perché l’agnello è Dio è Gesù stesso (cf Gv 1,29); l’agnello senza difetti e senza macchia (1Pt1,29).
i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
C’è una iniziativa che parte dai discepoli che vogliono preparare la cena pasquale giudaica. Sarà Gesù che indicherà loro qual è la Pasqua che devono preparare.
v. 13: Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo.
Secondo il testo greco, qui vi è l’espressione “bastazòn” (= che porta). Esso richiama all’altra parola greca “baptizòn” (= che battezza). I Padri parlano di quest’uomo come colui che dando il battesimo introduce nella sala superiore, dove si celebra l’eucaristia.
Tutto l’episodio ha un significato figurato, l’uomo che porta (generalmente erano le donne) l’acqua allude a Giovanni Battista, colui che battezzava con acqua (1,8), come segno di cambiamento di vita. La brocca, in greco keramion, in ebraico marekah, richiama al nome di Marco, autore del Vangelo. Forse la casa ove si svolse l’ultima cena era proprio quella dell’evangelista Marco.
Seguire l’uomo della brocca significa cambiare vita dando una rottura al passato
vv. 14-15: Là dove entrerà, dite al padrone di casa: «Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?».
In questo versetto è la prima volta che Gesù si definisce Maestro. Gesù indica la stanza con l’aggettivo possessivo che determina qualcosa di particolare: la fine di un cammino (1,2)
Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
Gesù celebrerà la sua Pasqua in un locale in alto, fuori dall’ordinario della vita. È un luogo teologico. Allude senz’altro al monte dove si realizzò l’antica alleanza (Es 24,4-8). Ora indica quella croce innalzata sulla terra. La croce è grande perché destinata a tutti, ad una moltitudine (14,24). In questo luogo Gesù dona il suo corpo e appare risorto; qui gli undici dimorano con Maria e altri in preghiera nell’attesa del dono dello Spirito Santo (At 2,1ss). qui si ritrova la prima comunità per ascoltare la Parola, per la frazione del pane, per la preghiera (At 2,42). La stanza superiore è simbolo della Chiesa che nasce, Chiesa radunata nel nome di Gesù
Gesù l’ha preparata, è pronta. Anche l’Agnello è pronto, prima della creazione del mondo (Ap 13,8). Però occorre la conversione, la stessa dettata da Giovanni: collaborare nella realizzazione della nuova Pasqua (lì preparate); lo faranno con la loro dedizione personale (allusione ai posti alla destra e alla sinistra, 10,37).
v. 16: I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Chi ascolta la Parola, Gesù maestro, trova la verità in ciò che Lui dice: "Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20).
I discepoli non fanno altro che eseguire la Parola di Gesù che qui si presenta sia sul piano narrativo che teologico.
v. 22: E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo».
I discepoli sono a cena con Gesù, nella stanza superiore, dove Lui mangia con loro e loro con Lui. Il mangiare insieme significa condividere tutto, insieme, compreso la mèta.
Si rinnova la creazione dell’uomo. Anche Adamo prese la vita ma senza benedire Dio. Gesù prende nuovamente la vita e benedice Dio. Ossia, prende se stesso, la propria vita come dono d’amore del Padre.
Questo dono d’amore è condiviso (lo spezzò e lo diede loro) perché capacità di donarsi per amore. E nell’imperativo di “prendete”, si rinnova il dono d’amore da vivere e da desiderare.
v. 23: Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.
Diversamente da come aveva fatto per il pane, Gesù dà il calice senza dire niente, mentre è detto esplicitamente che tutti ne bevvero. Dopo Gesù spiega il significato del calice: sangue versato, morte violenta. Come il servo sofferente, Gesù nella sua morte prende su di sé il destino di una moltitudine che si estende a tutti, vicini e lontani! La sua morte sarà l’offerta estrema attraverso la quale la comunità dei peccatori di ogni epoca può accedere la regno di Dio.
Bere dalla coppa significa, quindi, accettare questo tipo di morte di Gesù e impegnarsi, come Lui, a non desistere dall’attività salvatrice (rappresentata dal pane) nemmeno per paura della morte (8,34;10,38.45;13,37;14,3; cfr. 10,38: “la bevanda/coppa”); a questo impegno risponde il dono dello Spirito (1,10).
v. 24: E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti.
In questo versetto vi è un parallelo con Mosè. Mosè asperse con il sangue il popolo e l’altare, esprimendo l’unione di Dio con Israele (Es 24,8).
Nella cena, invece, il vino/sangue viene bevuto; la sua penetrazione nell’interno dell’uomo esprime la comunicazione dello Spirito, forza divina che mette in grado di vivere la proposta di Gesù.
Fare alleanza con Gesù significa lasciarsi rinnovare, trasformare realizzando pienamente l’antica. Questa alleanza è universale e Marco lo sottolinea (molti = un semitismo per dire tutti) (cfr. Is 53,12 = moltitudini).
v. 25: In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Il vino è bevanda della terra promessa. Nel pensiero ebraico l'astenersi dal mangiare e dal bere aveva diversi significati: pentimento (Gl 2,11-13), lutto (2 Sam 12,22-24), preparazione al contatto con il sacro (2 Cr 20,20-22), preghiera di petizione (Is 58,2-4; Esd 8,22-24) e preparazione per il giorno del Signore (Gl 2,12-14). Poiché il ministero di Gesù è il tempo propizio per celebrare la presenza dello sposo, e poiché il digiuno comincerà quando lo sposo verrà tolto di mezzo (2,19-21), il voto di Gesù di astenersi dal bere fatto durante la Cena è un simbolo profetico della sua morte imminente.
v. 26: Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
L’inno di cui si parla è il grande Hallel, che segue il piccolo Hallel (Sal 113-118). Esso manifesta le grandi meraviglie di Dio nella creazione, nell’epopea dell’esodo, nella conquista della terra promessa, nella continua assistenza al suo popolo e infine nella universale provvidenza. Esso è eco dei secoli in cui si continua a cantare l’eterno amore di Dio che trasforma la storia degli uomini in storia di salvezza, perché eterna è la sua misericordia.
L’andare verso il monte degli ulivi (altro luogo posto in alto) è anticipare realmente una nuova Cena: la Morte e la Resurrezione (Mc 14,26). Cantare l’inno è comprendere che la sua misericordia è eterna e onnipotente, capace di capovolgere in bene ogni male e di salvare tutto e tutti.

La Parola illumina la vita
Vivo la liturgia come dono, occasione, per incontrare Dio?
Come vivo la celebrazione eucaristica domenicale? È momento forte nel mio cammino di Alleanza con Dio?
Quale spazio ha nella mia vita l'attesa della piena realizzazione delle promesse di Dio? Attendo i "cieli nuovi e terra nuova"? Opero per favorire l'arrivo del regno di Dio?

Pregare
Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.      

Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.

A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo. (Sal 115)

Contemplare-agire

"E' solo quando hai imparato per esperienza personale quanto Gesù si curi di te e quanto egli desideri essere il tuo cibo quotidiano, è solo allora che impari anche a vedere ogni cuore come dimora di Gesù. Quando il tuo cuore è toccato dalla presenza di Gesù nell'eucaristia, ricevi occhi nuovi, capaci di conoscere la stessa presenza nel cuore degli altri. I cuori si parlano fra loro. Il Gesù che è nel nostro cuore parla al Gesù che è nel cuore dei nostri fratelli e delle sorelle. È questo il mistero eucaristico di cui noi facciamo parte". (H.J.M. NOUWEN).