giovedì 7 gennaio 2016

LECTIO: BATTESIMO DEL SIGNORE (C)

Lectio divina su Lc 3,15-16.21-22


Invocare
Padre d'immensa gloria, tu hai consacrato con potenza di Spirito Santo il tuo Verbo fatto uomo, e lo hai stabilito luce del mondo e alleanza di pace per tutti i popoli: concedi a noi che oggi celebriamo il mistero del suo battesimo nel Giordano, di vivere come fedeli imitatori del tuo Figlio prediletto, in cui il tuo amore si compiace. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
15 Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16 Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
21 Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì 22 e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Silenzio meditativo: Benedici il Signore, anima mia

Capire
La festa del Battesimo di Gesù è stata sempre l'occasione per riflettere sul battesimo dei cristiani. Scendendo nel Giordano, dicevano i Padri, Gesù ha idealmente santificato le acque di tutti i battisteri del mondo. Il battesimo è la porta d'ingresso nella salvezza. Gesù stesso nel Vangelo dice: "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato" (Mc 16, 16). Nessuno oggi dice che per il semplice fatto di non essere battezzato uno sarà condannato e andrà all'inferno. I bambini morti senza battesimo, come pure le persone vissute, senza loro colpa, fuori della Chiesa, possono salvarsi (queste ultime, naturalmente, se vivono secondo i dettami della coscienza).
Nel vangelo, Luca pone in parallelo il battesimo di Giovanni e il battesimo di Gesù perché appaia chiaramente la continuità che li lega e nello stesso tempo la distanza che li distingue. Uno è il battesimo “con acqua” amministrato dal precursore; l’altro è il battesimo “in Spirito Santo e fuoco” amministrato dal più forte, da “colui che deve venire”. Il battesimo in Spirito Santo e fuoco è quello che deve inaugurare l’esistenza della chiesa. È importante notare che il battesimo cristiano, che segna la nascita della chiesa, è preceduto dal battesimo di Gesù stesso.
Dal punto di vista esegetico, Luca, composto dopo Marco e Matteo, si manifesta sospettoso verso un tentativo del cristianesimo primitivo di presentare il Battista come un rivale o addirittura come un dichiarato oppositore di Gesù. Il vangelo di Giovanni (1,8.19-34) sarà assai esplicito nel far rilevare che Giovanni il Battista non è il Messia. A Luca non sembra interessare il battesimo di Gesù in quanto tale (di fatto non lo descrive), ma quello che è avvenuto “dopo” il battesimo.
Il battesimo di Gesù viene per ultimo, dopo quello di tutto il popolo; diventa così il battesimo amministrato da Giovanni l’ultimo atto del “tempo d’Israele”, tempo della preparazione. Da allora inizia un nuovo periodo della storia di salvezza, il “tempo di Gesù”, tempo del compimento.

Meditare
v. 15: Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo
Il versetto si presenta introduttivo. Luca ama far emergere la problematica che investiva la predicazione e l'opera del Battista. Vi era già una opinione diffusa (cfr. Gv 1,19-28) secondo cui Giovanni era il Messia atteso, elemento che non compare negli altri testi sinottici. Cristo e Messia due parole che indicano la stessa cosa. Una è greca e l’altra ebraica e che stanno ad indicare l’unto, il consacrato, l’inviato. Questi ha una missione affidatagli da Dio: la restaurazione di Israele.
Luca mette in risalto l'attesa del popolo, come se tutti si interrogassero sull'identità di Giovanni, e come se tutti fossero in attesa del Cristo. Di fatto, dice il Vangelo di Luca, che il popolo sta vivendo un’attesa ansiosa e piena di desiderio nei confronti del Cristo.
Sullo sfondo sta una convinzione profonda: l'uomo attende un compimento, porta con sé una domanda profonda, che spesso resta inespressa, una domanda di pace, di giustizia, un desiderio di instaurare relazioni positive e riconciliate. In modo particolare una simile attesa è condivisa da Israele, popolo scelto da Dio per avviare la storia della salvezza.
v. 16: Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali.
Per sottolineare la portata delle sue affermazioni riguardo al Messia, Giovanni si rivolge a tutti facendo osservare il simbolo del suo battesimo e la venuta di un Altro. Questo verbo, venire, vuol dire che sta entrando o che è entrato nell’esperienza di Israele. Un canto processionale dice: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Sal 118). Tale canto viene applicato da Luca a Gesù durante il suo ingresso a Gerusalemme. Anche il famoso annuncio messianico nel libro del profeta Zaccaria riporta lo stesso messaggio: «Ecco, Sion, a te viene il tuo re..» (9,9).
Il testo dice letteralmente: “viene il più forte di me”, non “uno più forte”, ma “il più forte”. C’è l’articolo «il» che indica una persona precisa, conosciuta come tale, attesa e preannunciata. Si riferisce ad un essere celeste, anche Dio stesso (cfr. Dt 10,17; 2Mac 1,24; Sal 93,1; Ap 18,8).
Il Salmista canta: “chi è questo re della gloria? Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia” (Sal 24,8; cfr. Is 9,5). Questo è il forte di cui parla Giovanni. Di lui non indica la forza fisica ma la sua autorità indiscussa di cui Gesù ricopre sull’altro: egli è l’Onnipotente.
Giovanni si presenta forte nella preparazione della venuta del Messia e umile nell’accoglierlo. Quest’umiltà la notiamo in particolare nel verbo chinarsi descritto dall’evangelista Marco: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”. San Paolo riprenderà lo stesso discorso nella sinagoga di Antiochia per evidenziare l’importanza del Messia e che Colui che fu mandato in croce era proprio il Messia risuscitato e glorioso (cfr. At 13,16-43).
Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Il Messia porta lo Spirito Santo in misura sovrabbondante a coloro che sono disposti alla penitenza; agli impedimenti invece porta la condanna, il fuoco della perdizione.
Il battesimo in Spirito e fuoco ha un riferimento al giudizio escatologico (si veda il battesimo amministrato da Giovanni) con riferimento ad Ez 36,25ss. Molto presto però questo testo è stato cristianizzato: per Luca il più forte è Gesù Cristo e il riferimento al fuoco, più che all’escathon è riferito alla Pentecoste. È interessante notare che questa espressione è ripresa dall’evangelista nel testo degli Atti (1,5 e 11,16) e attribuita a Gesù stesso.
Ma che cosa vuol dire in “Spirito Santo e fuoco”? Che rapporto c’è tra questi due elementi, nei quali si compie il battesimo di Gesù? Qualcuno dice: il fuoco, non è altro che il fuoco dello Spirito Santo, perché “lo Spirito Santo è sceso sugli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco” (At 2, 3); quindi Spirito Santo e fuoco non sono due cose diverse, sono il dono della forza che viene da Dio e il segno di questa forza nell’immagine del fuoco. Le ipotesi però sono varie. Ma possiamo chiudere il pensiero così: “Lo Spirito Santo allude alla forza creatrice e rinnovatrice che il Messia riverserà sui credenti per renderli uomini «nuovi». Il fuoco allude non solo alla purificazione che opererà il Battesimo, così come si purifica l’oro nel crogiuolo, ma anche al suo significato escatologico, di separazione definitiva tra bene e male “perché il nostro Dio è un fuoco divorante” (Eb 12,29).
Il Battesimo con e nello Spirito Santo non è una elite di qualche gruppo ecclesiale o cristiano, ma è la realtà che ogni battezzato ha sperimentato conoscendo Cristo Gesù (cfr. 1Cor 12,12-13).
v. 21: Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì.
Quasi a distinguere l’unità letteraria, ancora una volta Luca introduce con una formula: “ed ecco” dando un certo peso a quanto sta per accadere: inserisce il battesimo di Gesù in quello di tutto il popolo presentandolo in preghiera.
Alla preghiera di Gesù il cielo si apre. L’apertura dei cieli è un motivo ricorrente nei testi di rivelazione, e prelude sempre a una visione: così per esempio: Is 6,1; Ez 1,1 e anche At 7,56.
Nel nostro episodio, a differenza di Mc 1,10, l’apertura dei cieli non prelude a una visione del mondo celeste (cfr. Is 63,19), bensì alla discesa dello Spirito Santo. «Spirito» è parola che significa «vita», dal primo soffio di Dio che accende la fiamma misteriosa nel guscio d'argilla che è Adamo. «Santo» significa «di Dio» (Silvano Fausti). Vivere la «Vita di Dio», soffio che rianima la fiamma smorta, vitalità nuova per ogni battezzato.
Al battesimo di Gesù: dopo un lungo periodo di silenzio da parte di Dio e da parte del suo Spirito, ora inizia il tempo atteso, nel quale Dio di nuovo si dona agli uomini e torna a parlare.
v. 22: e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba,
Per Luca, Gesù concepito dallo Spirito Santo (Lc 1,35) non riceve solo l’investitura messianica che lo mette in relazione con il Padre ma viene presentato pubblicamente come l’unto messianico.
Lo stesso Spirito accompagnerà Gesù per tutta la sua vita terrena e in questo momento inaugura il tempo della salvezza.
Infatti, san Pietro Crisologo afferma: "lo Spirito Santo si libra sulle acque sotto forma di colomba, perché, come la colomba di Noè aveva annunziato che il diluvio universale era cessato, così, a indicazione di questa, si comprendesse che l’eterno naufragio del mondo era finito; e non portò come quella un ramoscello dell’antico ulivo, ma effuse tutta l’ubertosità del nuovo crisma sul capo del nuovo progenitore".
Oggi, questa colomba è la sposa (cfr. Ct 2,14; 5,2; 6,9), la comunità credente e missionaria amata da Dio che perpetua la missione del Cristo.
e venne una voce dal cielo:
Questa parte del versetto, non significa tanto la provenienza quanto l’autorevolezza. È uno stile biblico comune che ricorre sotto varie forme, e si riferisce a un messaggio o a un'azione che esprime le speranze di Dio e la sua determinazione (Es 19,9; 1Sam 3,4 ss; 7,10; Sal 29).
La voce indica una presenza. Questa è più che una presenza perché è la presenza del Padre. Il testo indica non colui che emette questa voce, ma piuttosto colui che ne è il destinatario: Gesù.
“La voce del Padre esprime la Parola che è suo Figlio. Egli è l'amato, il Figlio unico del suo amore, votato come Isacco al sacrificio dell'obbedienza e, proprio per questo, principio del nuovo popolo di Dio (cfr Gen 22,2)” (Lino Pedron).
Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento
Il Padre dà del «tu» al Figlio, ne rivela la predilezione, ma senza nominarsi, quasi che il Figlio esaurisca completamente la paternità di Dio. Non dimentichiamo che Luca presenta al popolo Gesù come Figlio di Dio (cfr. 1,32.35 e 1,67ss).
Qui vi è l’identità personale di Gesù che vuol dire il suo rapporto con il Padre, il suo essere una cosa sola con il Padre; questa identità è manifestata nello Spirito. Le parole "Figlio mio" sono una deliberata sostituzione neotestamentaria dell'ebraico ebed (servo). Poiché il servo del Signore è un persona ideale ma anche il rappresentante dell'intera comunità (Is 42,1).
Gesù è completamente incarnato nella comunità escatologica, fino al punto da essere battezzato come tutti gli altri uomini; ma egli incarna pure nella unicità singolare della sua persona i loro ideali più sublimi e le loro speranze.
A motivo della sua unione totale con ogni debolezza, il Servo Gesù deve assoggettarsi anche alla morte umana in modo da poter infondere la vita in ogni sfera dell'esistenza umana. Questa associazione del battesimo di Gesù con la sua futura morte e risurrezione emerge chiaramente in Lc 12,50 (Mc 10,38).
Quello che sta facendo l’evangelista Luca non è altro che rivelarci l’identità profonda e la missione di Gesù.

La Parola illumina la vita
Il battesimo di Gesù mi ha convinto che Dio non è lontano, chiuso nella sua trascendenza e indifferente al bisogno di salvezza dell'umanità?
Come vivo il mio essere figlio di Dio? Lo sono dentro il mio cuore o solo perché porto il nome di cristiano?
Come vivo l’azione dello Spirito Santo nella mia vita di battezzato?
Nel mio servizio, sono voce o il mio servizio è molto diverso dall’essere voce?
Questa verità di Gesù Figlio di Dio, l'unico, amato è una convinzione condivisa e consapevole per me?

Pregare
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri. (Sal 72).

Contemplare-agire
Rallegriamoci nel Signore e viviamo in profonda umiltà la nostra vita di fede. Solo l’umiltà e la consapevolezza della nostra fragilità ci dischiudono il cuore di Dio. È il dono di grazia che viene a noi nel Battesimo.


lunedì 4 gennaio 2016

LECTIO: EPIFANIA DEL SIGNORE (C)

Lectio divina su Mt 2,1-12


Invocare
O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria. 
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2 e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3 All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: 6 E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele».
7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
9 Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Silenzio meditativo: Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra

Capire
Epifania è una parola che viene dal greco e vuol dire: "manifestazione". In questo giorno celebriamo infatti la certezza che il Signore Dio manifesta il suo Amore ad ogni persona, cioè si fa vedere e conoscere agli uomini e alle donne di ogni parte del mondo. Scrive san Paolo che “si è manifestata la misericordia e l’amore di Dio per gli uomini”. Questa è la Epifania che celebriamo: la rivelazione di Dio nella carne umana, cioè la rivelazione dell’interesse e dell’amore di Dio per l’uomo.
Questa pericope ci offre il bel racconto del percorso dei magi che vengono da lontano. Essi vogliono cercare e accogliere, amare e adorare il Signore Gesù. Ma il loro lungo viaggio, la loro ricerca instancabile, la conversione del loro cuore sono realtà che parlano di noi, sono già scritte sul rotolo della nostra storia sacra.
In questo episodio non c’è solo il significato di Cristo, ma anche quello della Chiesa. La pagina dei Magi è una solenne dichiarazione di missionarietà e di universalismo. Questo episodio richiama la conclusione dell’intero Vangelo: “Andate e istruite tutte le genti…” (28,18).
Due pagine missionarie che aprono e chiudono la storia di Cristo, con una differenza: nell’episodio dei Magi sono le genti che arrivano a Gerusalemme, alla fine del vangelo è la Chiesa inviata al mondo. Questo seconda annotazione esprime più profondamente la concezione della missione come servizio, come un uscire da sé per andare alla ricerca degli altri.

Meditare
vv. 1-2: Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme
Questi primi due versetti non ci fanno sostare a Betlemme ma a Gerusalemme. Gesù è già nato. Il suo annuncio c’è già stato. Ora abbiamo alcuni magi che dall’oriente arrivano a Gerusalemme. Il nome magi (in greco magoi) proviene dal persiano maga che significa “dono di Dio, rivelazione”, da cui magu che significa “partecipe del dono / della rivelazione di Dio”. Si tratta certamente di saggi dell’Oriente, forse appartenenti allo Zoroastrismo (un’antica filosofia-religione fondata sulle dottrine del profeta Zoroastro o Zarathustra, diffusasi in Persia, l’attuale Iran). La tradizione cristiana ha fissato il loro numero a tre, ispirandosi ai doni da essi offerti. L’oro, l’incenso e la mirra riecheggiano il Sal 72,10; Is 60,6. Si tratta di doni simbolici: l’oro al Re dei Re, al Signore dei regnanti, l’incenso a colui che è il Figlio di Dio, «Luce da Luce, Dio vero da Dio vero», la mirra a Colui che sarebbe entrato nella gloria della Risurrezione passando attraverso gli aspri sentieri della passione, della morte e della sepoltura.
L’arrivo dei Magi è il segno che Gesù compie le promesse antiche, ma il compimento è accompagnato dal giudizio su Israele: i lontani accolgono il Messia e i vicini lo rifiutano. Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa: basti pensare alla parabola dei vignaioli omicidi (21,33ss.) o alla parabola della grande cena (22,1-14), ambedue mostrano che il regno passa da Israele ai pagani, e che questo passaggio rientra nel disegno di Dio.
e dicevano: Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei?
La prima parola di Dio rivolta ad Adamo è: “Dove sei?” (Gen 3,9) perché anche l’uomo chiedesse a sua volta a Dio: dove sei? E i due si potessero incontrare. In questo momento i magi rappresentano ciascuno di noi, in quanto cercatori di Dio nella vita di tutti i giorni (cfr. Sal 27,7-9). Infatti, “Dio si rivela a coloro che lo cercano” (beato Paolo VI).
Anche da parte dei magi c’è semplicemente, nascosto nella loro domanda, l’invito che ci viene rivolto di chiederci chi è questo bambino, dove risiede oppure come diranno i primi discepoli: “dove dimori?” (Gv 1,38).
Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo.
Questi magi hanno una guida nella loro ricerca: una stella. In essa hanno letto un segno.
La stella nell’antico Oriente era il segno di un dio e, di conseguenza, di un re divinizzato. Matteo ci riferisce questo fatto, non perché è interessato dal fatto che una stella abbia confermato la nascita del messia, ma perché esiste una profezia messianica esplicita nel libro dei Numeri (24,17), che parla di una stella. La profezia di Balam.
Il racconto dei Magi illustra il tema del Cristo cercato e rifiutato: il Messia è il segno di contraddizione.
Per tre volte nel racconto dei magi risulta il verbo greco dell'adorazione, che di sua natura indica il curvarsi dell'uomo nella venerazione della grandezza divina (Mt 2,2.8.11).
Questo gesto sembra anticipare quanto l'evangelista dirà in seguito: “Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e riceveranno a mensa...” (8,11). Dopo l'adorazione, scatta l'intimità espressa attraverso il simbolo del banchetto. Purtroppo l'umanità spesso “ha venerato e adorato la creatura al posto del Creatore” (Rm 1,25). “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” dice Pietro nella sua lettera (1Pt 3,15). Tuttavia l'adorazione non è solo un atto di timore, è anche espressione di adesione gioiosa, di libertà, di intimità.
v. 3: All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.
Dunque Gesù è re. Matteo ha però cura di collocare questo titolo in un contesto di opposizione. Accanto al re Messia c’è il re Erode. E il secondo ha paura del primo.
In che senso Gesù può dirsi re? Un cenno alla regalità era già presente nella genealogia: Davide è il re, e Gesù discende da lui. Però fra Davide e Gesù c’è l’esilio, la fine del regno di Davide, la perdita di ogni prestigio politico: Gesù è re, ma senza corona.
Il seguito del vangelo chiarirà meglio questo: il titolo di re è attribuito a Gesù solo nel contesto della Passione, dove ricorre con una certa insistenza. È la passione il luogo dove si coglie il vero significato della regalità di Gesù, una regalità diversa da quella a cui gli uomini sono abituati. Purtroppo Erode con il suo orgoglio non entra in questa dimensione della regalità di Gesù. Si crede l'unico re assoluto, altri non sono che usurpatori, per questo ne rimane turbato.
La realtà e la verità è difficile da accettare, da accogliere, da sentire e da vivere. Lo è per tutti. L’illusione crea sempre delusione quando cade. L’illusione è una sicurezza a cui ci attacchiamo; per questo facciamo di tutto perché non cada. È una sicurezza, un muro che ci impedisce di vedere ciò che per noi è doloroso e difficile d’accettare. Quando l’illusione cade dentro di te senti la voce: “Ma come?” e rimani attonito, non l’avresti mai creduto. È proprio questo il punto: che ogni illusione ti costringe a cambiare credo.
vv. 4-6: Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo.
Anche Erode si informa, ricerca. La sua però è spinta dall’invidia, dalla superbia: è negativa non coglie la presenza della Luce. Paradossalmente può accadere quello che dice il Vangelo: i vicini non colgono la presenza della luce. Erode abitava a otto chilometri di distanza da Betlemme, quindi vicino; poteva facilmente trovare il bambino. Non l’ha trovato. I Magi sono lontani dal punto di vista fisico, spirituale e morale; eppure camminano; la luce è sufficiente per dare a loro un itinerario di salvezza. Per questo è il mistero paradossale del Natale che dobbiamo accogliere e fare nostro.
Per tanti aspetti noi siamo i vicini, però questo non ci garantisce. Bisogna che vicini come siamo riusciamo a cogliere questa luce, a lasciarci illuminare. E se siamo lontani per un motivo o per l’altro, però possiamo ricordare che il Natale è per noi, che la manifestazione del Signore è per noi. Non siamo così lontani da non intravedere la luce. Nessuno è così lontano. La luce di Dio è andata a scomodare i Magi, là dov’erano. Così nessuno è così lontano da non potere intravedere questa luce. È a tutti che viene data la possibilità di trasformare il proprio vagabondaggio in pellegrinaggio, il proprio camminare senza meta in un itinerario che ha come meta l’amore di Dio, il luogo dove l’amore di Dio si è manifestato.
Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele».
Erode sa, attraverso il profeta Michea, che il Messia deve nascere a Betlemme (Mi 5,1), ma non lo va a cercare. Si sperimenta quello che è uno dei drammi della storia dell’uomo e in fondo della storia della elezione di Dio. Il Signore chiama; quando il Signore chiama, ama con un amore di predilezione. Però chi è amato, e chi è scelto, deve stare attento a non trasformare la vocazione e la elezione in privilegio, come se la elezione di Dio lo collocasse al di sopra degli altri, in una posizione di potere. Perché nell’ottica della Scrittura l’elezione di Dio c’è: ha scelto un popolo. Ma non lo ha scelto perché quel popolo allontanasse da sé gli altri, ma perché si rendesse strumento, perché attraverso di lui l’amore e la predilezione di Dio diventasse universale, perché tutti gli altri popoli vedendo quel popolo e vedendo il suo rapporto con Dio venissero condotti a ricercare il Signore.
vv. 7-8: Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
La stella sconvolge la vita di re Erode, viene a competere con la sua autorità, la sua ricchezza, il suo prestigio tanto che la sua indagine meticolosa è travestita di devozione e cela, in realtà, gli interessi meschini dell'uomo preoccupato di salvaguardare il suo potere. Il re dei giudei, infatti, era lui; egli riteneva di essere il punto di riferimento e di unità del suo popolo.
Anche lui, come israelita, era a conoscenza delle antiche profezie riguardo al Cristo, l'Unto di Dio. Il suo è un sapere che non ama, un sapere che è al servizio solo di ciò che a lui interessa: il potere. Anche lui, come i suoi connazionali, lo immaginava, tuttavia, come un capo politico, rivestito di forza e potere, un pericoloso concorrente, dunque, che occorreva eliminare prima che fosse troppo tardi.
vv. 9-11: Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino.
Ricompare la stella (notiamo che questa riappare, dopo che "si allontanano" da Erode e da Gerusalemme), che si muove insieme ai magi e li conduce fino al luogo preciso della presenza del Signore Gesù.
Quando Dio entra nella vita degli uomini lo fa sempre utilizzando un "linguaggio" che il destinatario può comprendere, rivelando così la sua condiscendenza: non dobbiamo, dunque, cercare i segni della presenza del Signore al di fuori della nostra storia, ma leggere il nostro quotidiano alla luce della Parola di Dio per scoprire le "stelle" e le "mangiatoie" in cui il Signore si fa trovare.
Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima.
Provare gioia... è la seduzione di Dio. La presenza del Signore che ci riempie il cuore fino a farlo trasalire di gioia. La sua vista li riempie di una gioia profonda, quella che solo Dio può dare all'uomo, ai popoli; quella che ci rende capaci di uscire da noi stessi, superando ostacoli e contraddizioni, per comunicare ad altri ciò che è avvenuto nel nostro incontro con la Luce.
Gli annunzi profetici del Salvatore sono carichi di parole gioiose e di trasalimenti di felicità. "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda... Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine" (Is 9,1-6; cfr. Mt 4,14-15 ).
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono.
Bisogna entrare nella casa, bisogna entrare in quella periferia per incontrare “il bambino con Maria sua madre” per riconoscere il "re della giustizia". A lui si prostrano adorandolo, aderiscono al progetto di Dio che salva le persone a partire dal piccolo e dal povero e non dai potenti e violenti come Erode.
Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.
I magi offrono doni significativi, che ci permettono di cogliere il mistero in tutta la sua profondità: oro, incenso e mirra. Di per sé quelle offerte sono il simbolo del riconoscimento di Gesù come messia, a cui si presenta un tributo di venerazione, come suggeriva la Bibbia (Sal 72,10-; Gen 49,10; Nm 24,17; Mi 5,1-3; Is 49,23; 60,1-6).
Per sant'Ireneo di Lione nel II secolo e per un inno del poeta cristiano Prudenzio del IV secolo, queste ricchezze, tributate a Gesù, simboleggiano la regalità (oro), la divinità (incenso) e la passione di Gesù (mirra). In altre parole, i magi - simbolo di quanti accettano il potere di Dio manifestato nel bimbo Gesù - in primo luogo si donano al servizio del Salvatore (= si prostrano) e poi, mettono a disposizione di Gesù il meglio di ciò che hanno, i loro doni.
Questo atto di omaggio richiama il cristiano all'esistenza quotidiana da vivere con le buone opere, con l'orazione e col sacrificio.
v. 12: Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.
Avendo contemplato e adorato il Signore, i magi ricevono da Dio stesso la rivelazione; è Lui stesso che parla a loro. Sono uomini nuovi; hanno in sé un nuovo cielo e una nuova terra. Sono liberi dagli inganni dell'Erode del mondo e perciò ritornano alla vita per una via tutta nuova,che il discernimento aveva loro indicato (cfr. 1Re 13,9-10). Una volta incontrato Cristo, non si può più tornare indietro per la stessa strada. Cambiando la vita, cambia la via. L'incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento di abitudini.
L'Epifania che oggi celebriamo è aprire la nostra vita all'incontro con Cristo ed aprire tutti gli spazi possibili perché egli prenda possesso del nostro cuore e della nostra mente, per assaporare la gioia di appartenergli e di vivere per Lui, con Lui ed in Lui.

La Parola illumina la vita
Mi pongo in ascolto profondo della voce silenziosa del Signore e lascio che il soffio del suo Spirito mi raggiunga e mi investa, riempiendomi e avvolgendomi?
Quali sono le mie attese nei confronti del vangelo? E' una parola, quella del vangelo, che ascolto in profondità? Significa qualcosa per me? Ogni giorno apro il mio cuore a Dio che mi parla? Sono soltanto belle parole, affascinanti ma che tengo distanti da me oppure realmente mi lascio interpellare, mettere in crisi?
Del Messia ne so abbastanza, so tutto oppure sono alla sua ricerca?
Posso dire che sono nelle “tenebre”, e che ho bisogno di essere “illuminato”? Posso dire che la “gloria di Dio” trasfigura la mia esperienza concreta, il mio modo concreto, di pensare e di vivere?

Pregare
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri. (Sal 72).

Contemplare-agire
Cercherò di vivere la giornata di oggi nella certezza che il Signore è presente nel mio quotidiano: nelle persone che incontro, nel lavoro che svolgo, nella mia famiglia...
Ripeti spesso e vivi questa Parola: Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce.