giovedì 10 novembre 2016

LECTIO: XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (C)

Lectio divina su Lc 21,5-19


Invocare
O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni tutta l'umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, fa' che attraverso le vicende, lieti e tristi, di questo mondo, teniamo fissa la speranza del tuo regno, certi che nella nostra pazienza possederemo la vita.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
5 Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, disse: 6 «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 7 Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8 Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io", e: "Il tempo è vicino". Non andate dietro a loro! 9 Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». 10 Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11 e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. 12 Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, conse-gnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13 Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14 Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15 io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16 Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17 sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18 Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19 Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

Silenzio meditativo: Il Signore giudicherà il mondo con giustizia.

Capire
Il brano, fa parte dell’unità letteraria di 21,5-36 e riguarda l'inizio del discorso di Gesù sulla fine dei tempi. Luca fa riferimento alla fine dei tempi anche in altre parti (12,35-48; 17,20-18,18).
Si avvicina la passione di Gesù ed Egli, in questo momento, si trova a Gerusalemme, negli atri del Tempio. I Vangeli sinottici (cfr. anche Mt 24; Mc 13) fanno precedere, al racconto della passione, morte e risurrezione, il discorso cosiddetto "escatologico". Eventi da leggere alla luce della Pasqua. Il linguaggio è quello "apocalittico". L'attenzione non va posta su ogni parola, ma sull'annuncio di capovolgimento totale.
La comunità di Luca già era a conoscenza degli avvenimenti riguardante la distruzione di Gerusalemme (anno 70). L'evangelista universalizza il messaggio ed evidenzia il tempo intermedio della chiesa in attesa della venuta del Signore nella gloria.
I discepoli sono chiamati a vivere nella certezza che il giorno del Signore verrà. Nell’attesa non devono cadere nell’inganno di messaggeri diversi da Gesù e fare proprie scadenze diverse da quelle stabilite da Dio
Il Vangelo di questa domenica è un aiuto a comprendere questa condizione del credente nel mondo e a viverla correttamente. Il Vangelo, infatti, non vuole essere un "manuale per gestire le emergenze" quanto invece una bella notizia sulla vita. L’antifona d’ingresso alla Messa, presa dal libro del profeta Geremia, insegna che proprio nella catastrofe nazionale dell’esilio egli prevede e preannuncia i propositi di pace, di salvezza propri del Signore e non di tribolazione (cfr. Is 55,8-11): “Dice il Signore: «Io ho progetti di pace e non di sventura; voi mi invocherete e io vi esaudirò, e vi farò tornare da tutti i luoghi dove vi ho dispersi»” (Ger 29,11.12.14), e li reintrodurrà per sempre nella loro patria vera e desiderata.

Meditare
vv. 5-6: Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi
L’amante archikromico rimane estasiato nell’osservare, ammirare la bellezza artistica delle cose, del lavoro dell’uomo. Anche ai tempi di Gesù accadde la stessa cosa.
Si parla del tempio costruito da Erode in 10 anni, impiegando 100.000 operai e 1.000 sacerdoti addestrati come muratori per i lavori nelle parti più sacre. La fabbrica, iniziata nel 20 a C, continuerà a lungo per le decorazioni; finirà solo nel 64 d.C, sei anni prima della sua distruzione. Passeggiando in uno dei cortili del tempio alcuni anonimi esprimono la loro ammirazione per la colossale costruzione e per i doni votivi che la adornano provenienti dalla pietà dei principi e di privati (cf. 2 Mac 2,13). Certamente il tempio è bello e Gesù non nega che sia decorato bene.
Ma quando l’opera umana va in contrasto con l’opera divina Gesù risponde con una parola profetica:  
«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Parole di sventura quelle di Gesù (cfr. 17,22; 19,43) nel riprendere le ammonizioni dei profeti riguardo al tempio (Mi 3,12; Ger 7,1-15; 26,1-19). È una considerazione anche sulla caducità di ogni realizzazione umana, pur meravigliosa. Qui possiamo considerare il nostro atteggiamento verso le cose effimere, che terminano col tempo. La minaccia dei profeti era motivata dal tradimento dell’alleanza da parte del popolo e anche Gesù denunzia con le lacrime agli occhi l’incomprensione e l’infedeltà di Israele, che lo ha rifiutato come Messia e Salvatore (cf. 19,41-44).
Questi “giorni che verranno” sono gli stessi di 5,35: «Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno»; l’esecuzione del Messia, lo sposo, coinciderà con la distruzione del Tempio (cfr. 23,45). Il crollo materiale sarà solo una conseguenza dell’esodo definitivo dal Tempio della presenza di Dio, perché essi hanno trasformato “questo luogo”, che era stato concepito come “casa di preghiera ” (Lc 19,46), “tenda della testimonianza ” (At 7,44), in un “covo di ladri” (Lc 19,46b), un tempio fatto “da mano d’uomo” (At 7,48), a gloria e lode dei potenti e non di Dio.
Dio non vuole edifici singolari che puntellino il potere, ma luoghi funzionali in quanto dono suo. L'uomo spirituale ricerca, realizza ed usa tutte le realtà umane senza farne il fine ultimo.
v. 7: Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?».
Le stesse persone del popolo che ammiravano la bellezza del tempio, ora dopo l'annuncio della sua distruzione, chiedono al Maestro il momento e il segno di «queste cose», una domanda formulata in prospettiva apocalittica.
La domanda manifesta un atteggiamento ansioso che viviamo ancora oggi: “quando” e il “segno”. È la domanda tipica degli Ebrei che stavano nell’attesa febbrile della redenzione messianica, poiché questa si sarebbe preannunciata con “segni” grandiosi e irresistibili. La medesima domanda gliela pongono perfino dopo la resurrezione: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?» (At 1,6).
Un’ansia che anticipa la fuga dal presente per proiettarsi in quel momento critico del futuro. Gli ascoltatori sono interessati agli sconvolgimenti esteriori che caratterizzeranno questo avvenimento.
Gesù non risponde a questa specifica domanda. Il disastro per costoro non è definitivo, ma è il momento in cui Dio interverrà per iniziare la “rivolta” (il compimento della profezia delle settanta settimane di Dn 9,24-27), oggi la chiameremmo “la crociata ” o “guerra santa”, la rivolta che dovrà culminare con la sconfitta dei pagani (Dn 7,27).
Quando i potenti sono troppo ben armati per provocare guerre sante, allora organizziamo crociate moraleggianti, campagne per la vita (in astratto), movimenti fondamentalisti, tutto meno il cambiamento radicale della scala dei falsi valori che provocano le crisi mondiali, le guerre civili e i disastri familiari.
Purtroppo non è questo il Regno di Israele o il Regno di Dio, perché manca Dio e la sua Parola al vertice della scala dei valori che non ama tutto ciò!
v. 8: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io", e: "Il tempo è vicino". Non andate dietro a loro!
Questa risposta di Gesù non avrà soddisfatto il proponente della domanda. In questo monito di Gesù, Luca, rispetto agli altri evangelisti, aggiunge il riferimento al tempo. La prima comunità cristiana sta superando la fase di un ritorno prossimo del Signore e si prepara al tempo intermedio della chiesa.
Gesù raccomanda di non lasciarsi ingannare o meglio, sedurre dai falsi profeti, da impostori. Il preambolo (vv. 8-9) costituisce una messa in guardia dai falsi messia. Gli Atti degli apostoli ne citeranno due (intorno al 44-46 d.C): un certo Tèuda, «che pretendeva di essere qualcuno» (At 5,36), e Giuda il galileo che «indusse molta gente a seguirlo» (At 5,37). Costoro diranno: «Il momento si è avvicinato», riprendendo le parole di Gesù a proposito del regno (10,11), e arrogandosi la capacità di riconoscerne la venuta (19,11; cfr. 12,56). Lo stesso vale per le prospettive allarmiste o avventiste che credono di scoprire nelle guerre e negli sconvolgimenti della storia – Luca allude forse alla rivolta giudaica degli anni 66-70 –un segno della fine del mondo. L’evangelista insiste, sottolineando che ciò di cui si parla qui non riguarda il termine degli avvenimenti umani, ma lo sviluppo storico di ciò che avviene nel tempo e nello spazio degli uomini. Per questo l’evangelista Luca non accenna più ai «dolori del parto» (cfr. Mt 24,8.19-28; Mc 13,8), che nei profeti sono presagio della liberazione finale (cfr. Mi 4,9-10; Ger 30,5-7; Is 66,7-13).
L’espressione: “sono io” richiama a quell’«Io sono», cioè a JHWH (cfr. Es 3,13ss). Questa è la pretesa di sostituirsi a Dio o di spacciarsi come un suo ministro o mediatore, investiti di prerogative divine. Era già accaduto al tempo dei Profeti, contro l’avvertenza contraria del Signore (cfr. Ger 14,14), accadrà anche dopo l’Ascensione (cfr. 1 Gv 2,18).
Ma il “tempo” è solo quello stabilito irrevocabilmente da Dio (Dn 7,22; Mt 3,2), non da avventurieri rovinosi. Dio attua il suo progetto di salvezza secondo un proprio ordine e conserva il segreto dei momenti decisivi per se stesso (At 1,7). Per gli uomini i Kairòs vengono all’improvviso (1 Ts 5,1-2), un momento di questi è la parusia (= avvento del Signore, del suo Giorno). Dunque l’imperativo a non seguirli!
Nella comunità di Tessalonica gli abitanti, col pretesto di aspettare l’imminente ritorno del Signore, si erano dedicati ad una spiritualità vuota, solo di attesa, inconcludente, ritenendo inutile ogni progetto ed ogni attività in questo mondo, visto che tutto dovrà scomparire.
S. Paolo condanna energicamente la loro condotta e li richiama alla realtà, a vivere il tempo presente con dignità e responsabilità.
Il credente è ottimista nella Parola di Gesù perché si fida della promessa, non segue i consigli degli ingannatori, non si lascia terrorizzare dalla malvagità, ma coglie occasione per dare buona testimonianza.
v. 9: Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine".
Anche gli avvenimenti bellici e, diremmo oggi, le azioni terroristiche, non sono l'inizio della fine. Tutto questo accade, ma non è il segno della fine (Dn 3,28). Luca usa «rivoluzioni (rivolte, sommosse)» invece di «rumori di guerre (vedi Mc 13,7); allude alla rivolta del 66-70 d. C, che porterà alla distruzione di Gerusalemme. Con quel «prima» l’evangelista Luca pone un distacco netto tra i segni e la fine, specifica che questi e simili fatti appartengono ancora alla storia e non alla fine dei tempi (vedi anche inizio della parabola delle mine, Lc 19,11ss).
Luca vuole prevenire l'illusione della fine imminente dei tempi con la conseguente delusione e abbandono della fede.
Coloro che profetizzano una fine ormai imminente, possono aver additato tali segni della fine in alcuni avvenimenti del loro tempo. Piuttosto questi avvenimenti devono richiamarci ad una vita più ascetica che a guerre e divisioni anche nel campo della fede. Un richiamo a spandere il profumo di Cristo, il suo amore infinito, la Sua vittoria sul peccato e sulla morte che scaturiscono dalle nostre opere, come un giorno sangue e acqua, battesimo e cibo di vita, zampillarono dal costato di Cristo.
vv. 10-11: Poi disse loro: "Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno,
Il “poi disse” è una ripresa del discorso dopo gli avvertimenti iniziali. Le espressioni utilizzate da Luca appartengono a temi e linguaggio apocalittici; l’espressione «si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno» si trova in Isaia (19,2), in un oracolo contro l’Egitto sconvolto dalle vittorie assire (722-711 a. C.) e nel secondo libro delle Cronache (15,6), in una profezia del tempo del re di Giuda Asa (sec. IX-VIII a. C).
L'immaginario catastrofico è come un sipario che vela la bellezza dello scenario che è dietro: la venuta del Signore nella gloria.
e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.
Le calamità naturali, non hanno come origine immediata e diretta Dio, bensì la struttura limitata e il carattere dinamico del cosmo creato. Sia nell’Antico come nel Nuovo Testamento il terremoto è spesso associato a rivolgimenti catastrofici. Segno di qualcosa che finisce e qualcos’altro che comincia. «L’Agnello aprì il sesto sigillo, e vi fu un violento terremoto» (Ap 6,12), «Nella mia gelosia e nel mio furore ardente io vi dichiaro: In quel giorno ci sarà un grande terremoto nella terra d’Israele» (Ez 38,19), e via dicendo. Notizie di terremoti storici ci arrivano però anche dalla stessa Sacra Scrittura. Le visioni del profeta Amos, per esempio, risalgono «al tempo di Ozia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele, due anni prima del terremoto» (Am 1,1), e cioè alla metà dell’VIII sec. a.C.
Nella Bibbia, piuttosto, il terremoto è segno della presenza “dirompente” di Dio: è come se la terra si scuotesse perché incapace di “reggere” tanto peso. La presenza di Dio “destabilizza” l’uomo, gli dà vertigini da capogiro! «Il Signore regna: tremino i popoli. / Siede in trono sui cherubini: si scuota la terra» (Sal 99,1), assicura il salmo, ma già sapevamo dalla teofania sul Sinai che durante la discesa di Dio «tutto il monte tremava molto» (Es 19,18)! Anche se al disilluso Elia, ed esattamente sullo stesso monte di cui prima, toccherà scoprire che «il Signore non era nel terremoto», tanto quanto non era nel fuoco né nel vento impetuoso, ma piuttosto in un sussurro di vento sottile (1Re 19,11). E sarà nuovamente e significativamente un terremoto a preannunziare il Cristo risorto: «Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa» (Mt 28,2).
La storia, anche quella di oggi disseminata di cadaveri, non è altro che un povero urlo di disperazione in attesa dell'amore definitivo. Gesù dice diversamente: la storia è il luogo in cui Dio realizza il suo progetto, è – perciò – luogo benedetto e da salvare. La perseveranza, dono celeste, è il nostro sigillo sul mondo, la nostra vita è il fianco squarciato del Signore, la porta spalancata sul cuore di Dio, amore gratuito preparato per ogni uomo. La nostra vita perduta per Cristo è consegnata, in Lui, per la salvezza del mondo.
vv. 12-13: Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza.
Prima ancora avverrà la persecuzione generale dei discepoli a causa del nome di Gesù Cristo. La persecuzione a causa del nome di Gesù è indice di appartenenza e di condivisione del suo stesso destino.
Non so se ci rendiamo conto di questa ammonizione. Le cose sono due: o non si riesce a vedere la raffinatezza della persecuzione che è in atto contro i cristiani, anche se spesso non cruenta (ci si limita sempre ai fatti di cronaca cruenti), o si è talmente tiepidi che con la nostra fede non provochiamo più nessuno.
L’espressione «prima di tutto» riporta il lettore alla concretezza delle situazioni che attendono i discepoli nel corso della storia. Quello che viene tracciato qui, è già il programma degli Atti degli apostoli, che si concluderanno a Roma, crocevia del mondo, dove la Parola è proclamata a tutti «senza impedimento» (At 28,31). Attraverso gli avvenimenti narrati in quel libro, si può scoprire che la persecuzione, e a volte persino il martirio, non sono una barriera tragica e insormontabile. Infatti, né la misericordia di Dio, né il suo disegno di salvezza vengono meno per questo.
La parola di Gesù dice che dalla persecuzione nasce la testimonianza. In italiano questa testimonianza viene designata con la stessa parola greca «martyrìa»; il testimone è associato al destino di colui a cui rende testimonianza (cfr. Ap 11,3-12). Ma la testimonianza è anche quella resa dalla parola di Dio nella vita dei discepoli perseguitati e a loro favore.
L’essenziale non è vincere; nemmeno aver ragione; nemmeno sopravvivere; l’essenziale è poter rendere testimonianza all’amore di Dio in ogni circostanza. Istruito con la luce che viene dal Signore, pur perseguitato, il credente proclamerà davanti al mondo una sapienza misteriosa ma capace di contrastare efficacemente gli avversari. Accanto alla persecuzione da parte degli avversari ci sarà anche il tradimento da parte di amici e parenti; addirittura “Sarete odiati da tutti per causa del mio nome” (v. 17). E tuttavia anche in questa situazione il discepolo deve mantenere la fiducia.
vv. 14-15: Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Il termine greco «pro-meletao» (premeditare) è usato anche col significato di fare esercizi ginnici o far la prova di una danza; i cristiani non dovranno comportarsi come attori di teatro.
In che cosa consisterà questa sapienza? È la sapienza che manifestò Gesù, fin da fanciullo, nel tempio tra i dottori (Lc 2,42ss). È Gesù stesso che “cresceva in età, sapienza e grazia” (Lc 2,52) ; e ancora: “la grazia di Dio era sopra di lui” (Lc 2, 40).
Nel linguaggio dell’evangelista l’“essere sopra” ad una persona eletta da Dio a una missione è attribuito allo Spirito Santo, come nel caso di Maria e di Simeone. La grazia che, sempre secondo Luca, era “su Gesù”, e nella quale “cresceva”, indica la misteriosa presenza e azione dello Spirito Santo, nel quale, secondo l’annuncio del Battista riportato dai quattro Vangeli, Gesù avrebbe battezzato.
Ciò che il Signore ci darà è per manifestare la falsità del mondo e delle sue promesse, e rivelare l’amore di Dio presente in mezzo alla storia come segno di speranza per l’uomo.
Giunge il momento di riporre la fiducia totale in Dio, solo Dio basta. Gesù sta con chi resiste, offre un linguaggio a cui nessun nemico resisterà. Una resistenza che sia solidaria nella comunità di quanti hanno fede, cioè la nuova famiglia di Gesù, giacché i cristiani corrono il pericolo di essere traditi dai propri familiari.
Gesù si esprimerà per mezzo loro ed essi, pur non essendo colti, difenderanno il suo interesse nel modo giusto, al punto che gli avversari non potranno resistere.
In ogni caso Gesù non promette in linea di principio che salverà i discepoli dagli avversari e del resto essi non si sono mai aspettati da lui un patto del genere. Tuttavia Dio continuerà a tenere la sua mano sui discepoli di Gesù per cui succederà a loro solo ciò che egli ha stabilito per la loro salvezza.
vv. 16-18: Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Luca usa ancora un linguaggio particolare e guarda la divisione nelle famiglie come tribolazione escatologica, enumerando in ordine decrescente i legami affettivi (cfr. Lc 12,51ss; 14,25ss).
Seguire Cristo non è una cosa semplice per nessuno. Comporta una certa radicalità nel superamento delle relazioni di sangue, quelle che affettivamente credevamo più sicure. Seguire Cristo è una testimonianza piena e coraggiosa: significa rischiare di rimanere soli, come Gesù nella sua passione, anzi è un rivivere quei momenti dolorosi insieme a Lui.
Il dolore qui viene letto anche con la parola odio. Ma Gesù rassicura: «Nemmeno un capello del vostro capo perirà». Riprendendo Lc 12,7 ricorda la protezione divina assicurata nei momenti della prova.
Cosa significano queste parole? Gesù non dice altro che, pur avendo delle vere sofferenze, delle reali difficoltà a causa delle persecuzioni, dobbiamo sentirci interamente nelle mani di Dio che ci è Padre, conosce tutto di noi e non ci abbandona mai. Anzi, «beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate» (Mt 5,12).
v. 19: Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.
Questa «perseveranza» (gr. hypomonḗ) manifesta la lunga pazienza dell’azione di Dio nella vita degli uomini, espressa dalla parabola della semente (cfr. 8,15). Frutto della fede, essa è il segno dell’assimilazione del destino del credente a quello di Gesù (Rm 2,7; 5,3f; 8,25; 2 Cor 12,12; 2 Ts 3,5; Gc 1,3f; 5,11; Ap 2,2; 13,10).
“Perseveranza” è la parola chiave per la salvezza, è la condizione a cui dobbiamo tendere. Questa parola tradotta dal greco è ricca di contenuto: include pazienza, costanza, resistenza, fiducia.
La perseveranza è la vera virtù cristiana (cfr. Lc 8,15). In merito a questa virtù, i discepoli resteranno in saldo possesso della loro anima, ossia della salvezza finale.
La perseveranza (cfr. anche At 11,23; 13,43; 14,22) è necessaria e indispensabile quando si soffre, quando si è tentati, quando si è portati allo scoraggiamento, quando si è allettati dalle seduzioni del mondo, quando si è perseguitati: è indispensabile per produrre frutto (8,15). È un continuo "rimanere" in Cristo di cui parla tanto l’evangelista Giovanni, vivendo una spiritualità del quotidiano
«Con la vostra perseveranza possiederete le vostre vite». La vita si salva non nel disimpegno ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite. Senza cedere né allo scoraggiamento né alle seduzioni dei falsi profeti. Ed è importante questo, perché Gesù nel vangelo sembra riconoscere alla perseveranza che noi avremo vissuto, non una salvezza avuta come pacco regalo, ma una salvezza di cui lui ci rende partecipi, protagonisti.

La Parola illumina la vita
Quale è il mio "Tempio di Gerusalemme" per il quale ho tanta ammirazione?
Nei momenti della prova tengo fissa la speranza nell’adempimento del Regno?
Quali sentimenti prevalgono in me: angoscia, spavento, sicurezza, fiducia, speranza, dubbio...?
Leggo la storia della mia vita come un rilanciare la mia fede in Dio mio Salvatore?  
Sono convinto/a che la mia quotidianità non è mai sprecata se la vivo in letizia come un servizio a Lui e agli altri?
Noi cristiani, popoli occidentali, popoli del benessere, ci impegniamo a fare giustizia, siamo disposti a farci giudicare con rettitudine?

Pregare
Acclamate il Signore, abitanti di tutta la terra,
date in canti di gioia e di lode,
salmeggiate al Signore con la cetra,
con la cetra e la voce del canto.

Con trombe e al suono del corno acclamate il re, il Signore.
Risuoni il mare e quanto contiene,
il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani, esultino insieme i monti
davanti al Signore.

Poich'egli viene a governare la terra;
egli governerà il mondo con giustizia,
e i popoli con rettitudine. (Sal 97).

Contemplare-agire
In ogni nostra prova, chiediamo al Signore forza e sapienza secondo la sua Parola per continuare ad essere suoi testimoni.