venerdì 2 dicembre 2016

LECTIO: II DOMENICA DI AVVENTO (Anno A)

Lectio divina su Mt 3,1-12

Invocare
Dio dei viventi, suscita in noi il desiderio di una vera conversione, perché rinnovati dal tuo Santo Spirito sappiamo attuare in ogni rapporto umano la giustizia, la mitezza e la pace, che l'incarnazione del tuo Verbo ha fatto germogliare sulla terra.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». 3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. 5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: «Abbiamo Abramo per padre!». Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell'acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Il profeta Isaia è il profeta chiave dell’Avvento del Signore. Questa domenica ne abbiamo “uno più grande” (Mt 11,11): Giovanni il Battista, ultimo dei grandi profeti e apripista del Messia.
La figura del Precursore ha un forte rilievo in Matteo (vedi 3,13-17; 11,7-15; 17,10-13); l'evangelista è interessato a chiarire il suo rapporto con Gesù Cristo. L’evangelista Giovanni, nel suo vangelo, presenta la sua grandezza in tre modi: personalmente, in testimonianza e moralmente.
La predicazione del Battista non è altro che per i suoi uditori la stessa predicazione di Gesù partendo da quello stesso invito alla conversione: “il regno dei cieli è vicino”. Non rimane altro tempo per la conversione.
La forma fisica della figura del Battista, il vestito, il cibo, la voce, la riva del fiume sono lo sfondo o quel tempo breve di cui si parla, per accogliere l’invito.
Il tempo di Avvento è un momento forte per noi, per crescere nel rapporto personale con Dio, attraverso la preghiera e la penitenza, nel rapporto con gli altri, attraverso la riconciliazione e il perdono, e nel rapporto con la creazione, attraverso il rispetto e la pace. Sant’Agostino diceva: «Temo il Signore che passa». Tale passaggio del Signore potrebbe trovarci in questo momento della nostra vita distratti e superficiali.
Il primo passo da fare è metterci davanti al Signore e ascoltare la sua Parola perché giunga sino al cuore e lo trasformi. Infatti, il tempo d’Avvento è «conversione che passa dal cuore alle opere e, conseguentemente, alla vita tutta del cristiano» (San Giovanni Paolo II).

Meditare
v. 1:In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea.
Con una formula solenne in quei giorni, ripresa dai LXX, abbiamo una citazione di Es 2,11: “In quei giorni Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi”. Mosè, cioè, si rende conto, vede, i lavori pesanti, tremendi, in cui il suo popolo è costretto e da ciò che vede inizierà un processo che lo porterà poi ad essere il liberatore. Mosè sarà a capo dell'Esodo, della fuga degli ebrei dall'Egitto.
Anche qui, con Giovanni Battista viene segnato un nuovo periodo per mettere in scena, in una maniera diversa dagli altri Sinottici, all’improvviso, Giovanni Battista perché inizi, come Mosè, un processo di liberazione.
L’evangelista Matteo presenta la venuta di Giovanni, il Battista, nel deserto della Giudea come la venuta di Elia, il Tisbita (cfr. 1Re 17,1): di lui non dice nulla, ma solo il nome e il “soprannome” che indica la missione di colui che immerge nell’acqua, come segno del desiderio di purificazione.
Giovanni venne a “predicare”. La cosa principale è l’annuncio della Parola. Egli è colui che annunzia, proclama, intima (dall’etimologia greca di profeta). Ora questa predicazione avviene “nel deserto”. Il deserto lo sappiamo, non c’è nulla ma solo morte. Però il deserto è il luogo della speranza di ogni pio israelita (cfr. Es 15,22-18,27), dell’incontro tra lo sposo e la sposa (cfr. Os 2,12). Lì il Signore della vita fa nuove tutte le cose (Ap 21,5).
Il deserto è il luogo da dove verrà la salvezza: Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa” (Is 43,19).
v. 2: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».
Giovanni predica nel luogo dove il grande profeta Elia era stato assunto in cielo, dicendo: “Convertitevi…”.
Nel greco biblico questa parola si può adoperare in due maniere. 1. Indica il ritorno a Dio e indica quindi la conversione religiosa (tornare al tempio, alle pratiche religiose). 2. È un cambio di mentalità che deve incidere poi in un cambio di comportamento.
Nel nostro versetto viene usata la seconda indicazione (metanoein): il “cambiare modo di pensare”. Nel Vangelo di Matteo l’espressione è ripetuta ben cinquanta volte, mentre gli altri Evangelisti, Luca e Marco, preferiscono usare l’espressione “Regno di Dio” che indica la stessa identica Realtà; una realtà che non ha nulla a che vedere con i regni di questo mondo.
L’espressione oltre ad esser le prime parole che proclama il Battista (Mt 3,2), sono anche le parole annunciate da Gesù all'inizio della sua missione (Mt 4,17), e sono le primissime parole che dovranno predicare i discepoli quando saranno inviati in missione (Mt 10,7). Matteo vuole così mostrare Giovanni come l'anticipatore che prepara la strada al Cristo che viene, e i discepoli come i continuatori che proseguono la sua missione.
L’invito del Battista è un richiamo di ritorno a Dio, sembra quasi un registratore che è rimasto acceso nei secoli e che ogni profeta ha gridato. Per poter convertirci, cambiare direzione, volgersi a ciò che può cambiare la nostra vita da dissoluta e infelice, in vita autentica e gioiosa, è necessario cambiare mentalità, cambiare modo di pensare, volgere il nostro interesse verso il modo di porsi a Dio.
L'invito alla conversione, che Matteo, a differenza degli altri Sinottici, pone in modo diretto sulla bocca di Giovanni, è accompagnato dalla motivazione: perché il regno dei cieli è vicino.
L’espressione “Regno dei cieli” è tipica dell’Evangelista Matteo. Essa non significa regno nei cieli, come qualcuno pensa o erroneamente esprime. Mt infatti scrive per una comunità di Giudei. E i Giudei non dicevano mai, né lo scrivevano, né lo pronunziavano "Dio", ma utilizzavano delle perifrasi. Mt, quindi, è attento a non urtare la loro sensibilità e dice "regno dei cieli" invece di dire "Dio". Tutti gli altri vangeli, al posto di "regno dei cieli" hanno "regno di Dio". Quindi "regno dei cieli" è "regno di Dio".
Quando si parla di regno dei cieli, quindi, non è il regno dell'aldilà (il regno nei cieli) ma un modo diverso e nuovo di vivere che Gesù ha portato qui in questa terra.
L'idea biblica della conversione comporta un cambiamento radicale della propria vita; qui esso è richiesto perché il regno dei cieli si è fatto vicino, l'espressione regno dei cieli è tipica di Matteo e indica la pienezza del potere e della presenza di Dio che sarà riconosciuta da tutto il creato.
Il termine è ricco di gioiosa speranza e corrisponde al Disegno di Dio che tutti siamo chiamati ad attuare in tutti i momenti e gli aspetti della vita. Un Regno spirituale che va ricercato presso Dio, vicino a noi, intorno a noi e dentro di noi.
v. 3: Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Nei vangeli di Matteo (3, 3), di Luca (3, 4) e di Marco (1,3) alla menzione del profeta Isaia, segue subito il detto del profeta (voce di uno).
Qui l’evangelista Matteo presenta il Battista più da vicino dicendoci quale è il posto che Giovanni occupa nel piano di Dio. Già Isaia aveva preannunziato in anticipo questa venuta e sua funzione. Egli, invitava gli esuli Ebrei a organizzarsi per il ritorno in patria dall’esilio in Babilonia, dopo l’editto di Ciro (538 a.C), preparando una via nel deserto.
Il testo invitava le popolazioni a rendere più agevole il sentiero in cui dovevano passare i rimpatriati, guidati da Javhè; i Rabbini e i primi cristiani riferivano la profezia all’epoca messianica. (cfr. Is 40,3-59-11).
Giovanni, il Battista è quella “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”
La voce di Giovanni risuona nel “deserto”, ossia dove non c’è vita, non c’è attesa di salvezza, speranza di liberazione, ma opacità, sterilità, assenza di terreno fecondo. Così è il nostro mondo! Quante volte oggi, come ai tempi del Battista, la voce di chi annuncia la Parola del Signore, è come una voce che grida nel deserto delle nostre città, dove le case sono una accanto all’altra, le finestre si aprono quasi a ridosso le une delle altre, ma ciascuno vive come isolato, solo, in un deserto. L’invito pressate è di preparare la via del Signore. Egli è molto discreto, non è invadente, attende che manifestiamo il desiderio di accoglierlo.
vv. 4-6: E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.
Giovanni conduce una vita da asceta. Indossa un vestito di peli di cammello, una sorta di tunica rozza e ruvida, molto adatta a simboleggiare la penitenza interiore, come un profeta (Zc 13,4) e una cintura di pelle come Elia (2Re 1,8) (cfr. Mt 11,7-15; 17,10-13 dove l'evangelista recupera anche il riferimento a Ml 3,1.23); si nutre di locuste e di miele selvatico, i prodotti tipici del deserto di Giuda (cfr. Gn 3,21; Es 12,11; Rm 13,14; Gal 3,27 per la tunica e Dt 8,3; Sal 19,11; 119,103 per il cibo), come un povero nomade; ancora oggi infatti i beduini mangiano le cavallette, private solo della testa, delle ali e della coda.
Giovanni non impone una forma di vita ascetica, come quelli di Qumran, ma incarna in se stesso il messaggio che annunzia.
Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
La predicazione di Giovanni non è inascoltata ma raggiunge tutti e tutti si avvicinano per capire e per ravvedersi. La Giudea è la parte meridionale della Palestina, con centro a Gerusalemme.
Questa presentazione enfatica del successo ottenuto dalla predicazione di Giovanni, segno evidente dell’impressione profonda esercitata dalla sua singolare personalità. Quando una persona è autentica, la gente lo percepisce ed accorre per avere le indicazioni per una vita autentica, che valga la pena di essere vissuta. “Dove vibra la voce di Dio, non ci si arresta a fuochi di paglia, non si tratta di suggestione collettiva che presto svanisce: è il singolo che viene colpito fino in fondo ed è chiamato a una decisione personale” (W. Trilling).
Una voce che grida risuona solo nel deserto della nostra vita, una vita che, una volta purificata dal peccato in virtù dell’opera redentrice di Cristo, attende di rifiorire.
L’accentuazione: “tutta” è una caratteristica dello stile popolare, ma mette in evidenza che “tutti” in Israele sono chiamati a conversione. In ebraico, conversione si dice “teshuvah”, parola che significa “ritorno”. È proprio questa l’opera da compiere prima della venuta del Signore. “ Farò tornare i cuori dei vostri padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri (Ml 3, 24). Vale a dire che non ci può essere una riconciliazione con Dio senza una riconciliazione tra gli uomini Anche Gesù ricorderà questa esigenza della riconciliazione umana per una vera conversione a Dio (Mt 5, 23).
Convertirsi a Dio significa non guardare più a partire da sé, ma con gli occhi di Dio stesso, immettendosi nella nuova strada dove non più l’io, ma Dio, è il centro. Ma questo può avvenire solamente con l’azione divina e non umana.
La confessione dei peccati (cf. Mt 3,6) è segno della volontà di ritrovare la rettitudine del proprio cammino davanti a Dio attraverso il lucido coraggio di ritrovare la propria verità. Il battesimo di Giovanni era un segno esterno che anticipava il desiderio e l’efficacia del battesimo cristiano, che purifica dal peccato in virtù dell’opera redentrice di Cristo.
vv. 7-8: Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente?
Anche alla predicazione del Battista accorrono molti Farisei e Sadducei per farsi battezzare. Il Battista li sferza aspramente chiamandoli “razza di vipere”. Questi, nel corso del Vangelo si dimostreranno tali (cfr. 12,34; 23,33). L’intenzione di Giovanni è di preparare la via al Signore, ad aprire gli occhi di chi lo ascolta e fare in modo che non siano travolti dal veleno del serpente, e lo fa con il suo carattere focoso, irruente. Anche il profeta Isaia apostrofava gli israeliti così: “Dischiudono uova di serpente velenoso” (Is 59,5).
Il giorno di Jahvè è descritto come “ira imminente”. Non è un giorno di luce ma di tenebre. Questo giorno “alle porte” e sarà violento, fulmineo così come descrive il profeta Amos: “Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che cosa sarà per voi il giorno del Signore? Tenebre e non luce! Come quando uno fugge davanti al leone e s'imbatte in un orso; come quando entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. Non sarà forse tenebra, non luce, il giorno del Signore? Oscurità, senza splendore alcuno?” (Am 5,18-20). Nessuno può sentirsi sicuro, anzi chi della sua vita ne ha fatto una sicurezza (se vogliamo un sentirsi a posto con la coscienza), il giorno del Signore sarà anche per lui.
L’evangelista Matteo fa capire che il giorno del Signore sicuramente verrà, ma sarà diverso per coloro i quali faranno penitenza.
Fate dunque un frutto degno della conversione.
Nel testo greco il termine frutto sia al singolare, come giustamente leggiamo nella traduzione offerta dalla CEI nei nuovi Lezionari. Quale frutto siamo chiamati a portare? Quale frutto maturo appeso all’albero porta la salvezza all’umanità perduta, quando dal frutto di un albero è venuta la morte a causa del peccato?
Anche Gesù dirà ai suoi discepoli nell’ultima cena: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). Ma solo con Colui che porta la linfa della salvezza è possibile portare frutto buono, è qui il cuore della conversione. (Gv 15,5).
La conversione deve dimostrarsi coi fatti: nel totale orientamento verso Dio e corrispondere a una vita nuova. Siamo chiamati a portare al mondo lo stesso frutto che ha portato Maria, la Tutta Santa. Lei ci ha donato il Frutto Benedetto del suo Grembo Immacolato con la disponibilità piena alla Parola del Signore! C’è un solo modo per portare frutto come Lei. Essere disponibili ad ascoltare la voce del Signore e metterla in pratica. “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,35).
v. 9: e non crediate di poter dire dentro di voi: «Abbiamo Abramo per padre!». Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo.
Il potere religioso (farisei e sadducei) si giustificava così: “Noi siamo i discendenti di Abramo; noi siamo gli eletti; noi siamo il popolo di Dio”. Pensavano cioè che per il fatto di essere quello che erano, di essere già garantiti nell'accettazione di Dio, di essere già a posto.
Alle volte capita che ci rifugiamo dietro alle nostre belle opere o alla nostra pia devozione o al nostro gruppo “preferito”. Il vangelo ci dice che non è sufficiente, non dimostra che sono un cristiano, che “io sono da Dio”. Anche l’israelita che si vanta di essere discendente di Abramo, non è sufficiente. È necessaria la vera conversione per dimostrare che “io sono da Dio”; un mutamento radicale di fede per comprendere la verità che è luce sfolgorante. Di fronte ad essa si è liberi di farsi illuminare la mente per discernere il cammino posto di fronte a noi e incamminarsi al seguito di Colui che viene per portare la salvezza, o chiudere l’intelligenza alla illuminazione e continuare il cammino ponendo la fiducia nella ricchezza, nel potere, nel dominio andando verso il disfacimento. Il beato J.H. Newman faceva capire che questo nuovo orientamento della Parola di Dio va inteso così: «Qui in terra vivere è cambiare ed essere perfetto è aver cambiato spesso».
v. 10: Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco.
Il versetto descrive due categorie di alberi. Ma descrive anche un tempo breve per il discernimento.
Discernere non è facile. Questa capacità cresce nella misura in cui si matura umanamente e nella fede, nell’uomo interiore.
Il versetto riporta nuovamente la parola “frutto”. L’aggettivo che accompagna il termine frutto nell’originale greco è bello. Bello, perché ciò che è buono è anche bello, ed è bello non solo nell’apparenza, ma anche nell’interiorità.
Questa estetica che troviamo nella Parola di Dio, l’autore sacro la descrive così: “Dio vide che tutto era bello” (Gn 1,4.10.12.18.21.25.31). Colui che fa discernimento deve trovare il suo frutto bello in Colui che ha dato origine a tanta bellezza! C’è tanto bisogno di discernimento, perché molte cose che attraggono lo sguardo per la loro apparenza esterna, in realtà all’interno sono piene di marciume e portano alla perdizione.
L’immagine della scure posta alla radice degli alberi esprime l’urgenza della conversione, perché se l’albero non da frutti va solo tagliato. Se non vengo da Dio, se non accolgo il fuoco di Dio (cfr Lc 12,49-53), preghiere e funzioni religiose non servono a nulla, ma solo esigenza di radicalità, che non tollera ritardi o ricerca di consensi.
v. 11: Io vi battezzo nell'acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Qui inizia l’annuncio del Messia. Giovanni Battista annuncia che il suo battesimo (quello d'acqua) precede un altro battesimo (Spirito Santo e fuoco).
Il battesimo o immersione nell´acqua era un rito comune nella cultura giudea. Significava la morte a un passato, che rimaneva simbolicamente sepolto nell´acqua, un cambiamento di vita.
E Giovanni prepara i suoi ascoltatori alla venuta del Signore conducendoli a fare verità in se stessi.
L’espressione “Per la conversione” è propria di Matteo per indicare non l’effetto, ma lo scopo del battesimo di Giovanni. Il “Veniente” è più forte e battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Nel Vangelo di Giovanni si legge che il Battista dichiara apertamente: “Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,28-30).
Giovanni Battista assume in pieno il suo mandato di precursore. Prepara l’umanità ad accogliere Colui che prende la sua stessa carne per farsi un tutt’uno con Lei. Il dono che farà lo sposo sarà lo Spirito Santo. Isaia l’aveva preannunziato: infine in noi sarà infuso uno spirito dall'alto; allora il deserto diventerà un giardino” (32,15) e ancora Verserò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri” (44,3).
Tre sono gli elementi del battesimo narrati in questo versetto: l’acqua, lo Spirito e il fuoco. L´acqua é simbolo di vita, di trasformazione interiore. L´acqua purifica, lava e distrugge; penetra nella terra e la fa germinare.
Il secondo elemento è lo spirito. Nella lingua ebraica “spirito” e “vento” sono uguali. Lo Spirito é una forza misteriosa e invisibile che spinge l´uomo in avanti: parla, sussurra, a volte si trasforma in uragano e sconvolge tutto, come avvenne il giorno di Pentecoste (At 2,1-4).
Il terzo elemento è il fuoco. Esso brucia quello che non resiste al suo calore. Fuoco (interiore) capace di distruggere le sottili menzogne con cui ci difendiamo. Lo ha portato Gesú (Lc 12,49) perché arda, bruci e illumini e dia vita. 
Al Battesimo cristiano li troviamo tutti e tre perché a niente serve il battesimo (l’acqua) quando manca il cambiamento radicale (spirito e fuoco) di mentalità.
v. 12: Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile.
Sembra che Giovanni anticipi il modo di parlare di Gesù e il suo grande desiderio per quanti lo vogliono seguire. Sappiamo benissimo che Gesù il suo parlare è tratto dalla vita. Anche qui abbiamo una immagine tolta dalla vita. E in questa immagine abbiamo una indicazione forte per dire quanto il Signore desidera che ognuno sia purificato e da ciascuno sia tolta ogni cosa vana per godere della vita, e gioire dell’incontro con l’amante dell’umanità per sempre.
Il fuoco di cui si parla tanto non è altro che quella potenza che crea e fa nuova ogni cosa. Un popolo che vive il non senso sarà reso nuovo popolo spirituale capace a sua volta, con la grazia divina, di rendere bella ogni cosa.
Non resta altro che accogliere l’invito di san Paolo: “Perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri ed irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo a lode e gloria di Dio” (Fil 1,9-11).
La gioia è il sentimento che emerge negli annunci dei profeti dell’AT quando scorgono che il Signore sta per venire in mezzo al suo popolo per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi (Cfr. Lc 4,18) può solo esprimere quel desiderio che deve animare il nostro cuore: Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.

La Parola illumina la vita
Nel profondo di me stesso, sono come il Battista? Vivo la grandezza della mia vita in testimonianza, come voce di chi grida nel deserto?
Sono convinto che il Signore chiama anche me ad essere lampada tra i miei contemporanei?
Come il Battista, so condurre altre persone a Gesù? Vivo la mia vita in umiltà come il Battista per essere “l’amico dello sposo”?
Sono capace di discernere per capire come vivere da protagonista nella storia di ogni giorno?
Sono capace di raccogliere l'invito alla conversione? Mi nutro abbondantemente della Parola di Dio?
Sono capace di aprire il cuore alla venuta di Cristo sapendo che Lui può cambiare la mia vita?

Pregare
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato. (Sal 71).

Contemplare-agire
Come Giovanni fu per quei tempi «voce che grida nel deserto», così pure noi cristiani siamo invitati dal Signore ad essere voci che gridano agli uomini l’anelo dell’attesa vigilante: «Prepariamo i cammini, si avvicina già il Salvatore; usciamo, pellegrini, all’incontro del Signore.