venerdì 24 febbraio 2017

LECTIO: VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A)

Lectio divina su Mt 6,24-34

Invocare
Padre santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle fatiche e alle preoccupazioni di ogni giorno non ci lasciamo dominare dall'avidità e dall'egoismo, ma operiamo con piena fiducia per la libertà e la giustizia del tuo regno.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Siamo ancora dentro il discorso della montagna (mancherebbe l'ultimo capitolo), in questa grande proposta di sano umanesimo e grande sapienza. L'evangelista concentra in quest'ultima parte del grande discorso (6,19-7,29), raccogliendo, senza un ordine preciso, alcune parole del Signore importanti per la vita cristiana, su come deve comportarsi il discepolo nei confronti dei beni del mondo. 
Questo modo di comportarsi ha un seguito, una nuova modalità di vita che vale per salute fisica e spirituale: non preoccupatevi per la vostra vita” (v. 25), ma avere fiducia nel Signore (v. 34) perché Egli è Provvidenza, ha cura di ciascuno di noi. Infatti, i temi dominanti del testo proposto in questa domenica (prima di iniziare la quaresima) sono l'esortazione a confidare non nelle ricchezze ma nella provvidenza di Dio che ci avvolge con il suo immenso amore, con la sua tenerezza, con la sua bontà.

Meditare
v. 24: Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro.
L’affermazione che abbiamo in questo versetto, si serve di due termini molto crudi, che richiamano la non libertà dell’uomo: “odierà ... amerà”.  
Il contrasto che vi riscontriamo ha sapore del linguaggio di Dt 21,15-17. Sempre nell’AT, il profeta Elia denunciava uno stato religioso zoppicante (cfr. 1Re 18,21). Mentre in alcuni scritti rabbinici era prevista la possibilità in cui uno schiavo appartenesse a diversi padroni.
In questo versetto, ognuno di noi è invitato a rileggere la propria vocazione. Una chiamata alla vita, alla libertà. La novità è saper scegliere: con Dio o senza.
Non potete servire Dio e la ricchezza.
Il termine “Mammona”, nella radice ebraica, ‘mn,  ha lo stesso significato di una parola che ripetiamo tante volte e tutti i giorni: “amen”.
Nella lingua italiana il termine significa “così sia”, cioè qualcosa che è sicuro, che è certo.
Nella lingua aramaica ed ebraica, significa “ciò che è certo”, ciò “che da sicurezza”, “ciò su cui si può contare” (non a caso il termine è legato alla radice semitica ’aman, che indica l’aderire con fede). Ancora, il termine traduce ciò che è ricchezza, denaro, proprietà.
Qui è vero che la ricchezza è ciò che ti permette di avere una sicurezza, per cui vi riponi fiducia, però la ricchezza non può diventare un idolo, opponendosi a Dio. «Mammona non è la ricchezza in sé, ma quella nascosta, avara, chiusa alla solidarietà, e che produce ingiustizia» (papa Francesco).
Gesù contrappone il “servire la ricchezza”, “servus”, con il “servire Dio”, “minister”. Se ci si fa “dominare” da “mammona”, si cade in una vera schiavitù: questa in realtà assoggetta anzitutto l’anima, ma anche il corpo, e corrompe radicalmente la prima e apre alla corruzione del secondo.
Noi dobbiamo servirci del denaro in modo intelligente ed evangelico. Altrimenti ci può essere il rischio serio di diventare servi del denaro, preoccupati solo di accumularlo e immiserendo così i nostri rapporti personali, compreso quello con Dio.
v. 25: Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Con la congiunzione “perciò”, solenne e piena di sicurezza e fiducia, che possiamo tradurre con: «Per questo, Io parlo a voi», Gesù si presenta come il Verbo del Padre.
Con queste parole, Gesù lega quanto sta per dire a ciò che ha appena affermato al v. 24, circa l'incondizionata dedizione al servizio di Dio creando un atteggiamento di fede da assumere nella provvidenza di Dio. Non si tratta di un invito alla pigrizia o all'apatia, bensì alla fiducia in Dio che nella preghiera del Padre Nostro (vv. 9-13) trova una sua specifica manifestazione.
Gesù dice: “non preoccupatevi”. Qui viene usato il termine merimnáô, che indica la nostra tipica ansia in ogni cosa che facciamo o dobbiamo fare e che toglie alla nostra vita ogni possibilità di resistenza e di reazione.
Il Padre celeste è colui che ci libera dalle preoccupazioni della vita. Qui per vita intendiamo secondo i semiti tutto l’uomo fatto di anima e corpo. La vita è un dono più prezioso del cibo, il corpo un bene più importante del vestito. Entrambi provengono dalla bontà creatrice di Dio.
La vita necessita della preoccupazione, nel senso di “essere occupati soprattutto da qualcosa, e se l’oggetto della preoccupazione è il denaro, la sicurezza della vita, allora il cuore è sequestrato da un amore narcisistico di sé che impedisce ogni relazione e comunione.
v. 26: Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?
Ecco la prima esemplificazione relativa al cibo, con il riferimento a gli uccelli del cielo, fatta di uno sguardo contemplativo. A differenza di Luca che cita i corvi (Lc 12,23), Matteo dice “uccelli del cielo”. La motivazione può essere affidata perché il corvo è un animale impuro (Lv 11,15; Dt 14,14). Dicendo “uccelli del cielo” allude a una vasta cerchia del regno animale.
Costoro non possono dedicarsi alle pesanti attività dei campi, eppure l'amore provvidente di Dio Padre non li trascura. Il guardare a questi esseri è un guardare verso l’alto, verso Dio. È un contemplare la realtà, la creatura, per gustare il tesoro ricevuto, l'amore gratuito del Creatore. 
Guardare verso Dio significa riporre fiducia in Lui. Si tratta di sentirci amati, di percepire che esistiamo grazie a qualcuno che ci ha voluti e creati.
Gesù usa ancora un’altra espressione riferendosi sempre agli uccelli de cielo: “Non cade a terra un passero senza il Padre vostro” (la traduzione italiana aggiunge il verbo transitivo “volere”; cfr. Mt 10,29). L'espressione è molto bella e significativa. Non dice che un passero cadrà perché Dio lo vuole, ma che non cadrà abbandonato da Dio, Dio cadrà insieme a lui!
v. 27: E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
Ciò che è tradotto "di poco" è un cubito, cioè un unità di misura ebraica che faceva riferimento a una parte del corpo: dal gomito alla punta delle dita corrispondente a circa 45 cm. 
In questo versetto ciò che noi traduciamo "vita" è il termine helikia che significa l’esistenza terrena (cfr. Gv 9,21) e non la statura come in Lc 2,52: essa viene paragonata a un cammino, prestabilito da Dio; nessuno può aggiungere mezzo metro in più (= un cubito circa) a tale percorso, prolungando la propria età. È Dio che fissa per ciascuno un termine improrogabile.
Il preoccuparsi, dice Gesù, è indice di poca fede. Per questo rimprovera. Egli vuole che cerchiamo il senso della vita. L'uomo in se ha paura, ma lui stesso ha le capacità per sconfiggerla.
vv. 28-30: E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.
Il rimanere legati alle cose materiali è tipico dei pagani, di chi si ride di Dio, di chi non vive l’essenziale e continuano a buttare la propria vita nel baratro.
Guardando alla natura, Gesù porta ancora un esempio, contrapponendo la vita serena dei fiori alla fatica del filare. Questo tipo di lavoro apparteneva alla donna (poiché alle donne era affidato il compito di filare e di tessere) per assicurarsi di che coprirsi, in particolare la propria famiglia.
Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.
Del re Salomone si ricordava la magnificenza e la ricchezza (cfr. 1Re 10,4-5 e 2Cr 9,13-22), questo poteva essere riferito anche alle sue vesti, sebbene non siano mai state esplicitamente ricordate. I fiori del campo vengono presentati più belli di Salomone e delle sue vesti! Notiamo anche lo spirito di osservazione di Gesù, che si compiace dell'opera creatrice del Padre.
Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Il contrasto è ancora più forte, Gesù sottolinea che l'erba del campo non dura più di un giorno. Lo ricorda anche Is 40,6-8, pur paragonando questa realtà alla transitorietà della vita umana.
Gesù si preoccupa che non perdiamo il senso delle proporzioni nella nostra vita. Facilmente ci attacchiamo all'effimero. Ci rinchiudiamo in una prigione quotidiana utilitarista, dove non respiriamo più la vita.
“La vita umana stessa nella sua totalità comprende la cura della casa comune. […] Come opera di misericordia spirituale, la cura della casa comune richiede «la contemplazione riconoscente del mondo» che «ci permette di scoprire attraverso ogni cosa qualche insegnamento che Dio ci vuole comunicare»” (papa Francesco).
L'espressione gente di poca fede l'evangelista Matteo ne fa grande uso, e si riferisce alla stretta cerchia dei suoi discepoli in situazioni particolari (vedi anche Lc 8,24-26; 12,28; Mc 8,17; 4,39-40). Qui è inteso in senso ampio.
vv. 31-32: Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?" Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Gesù riprende qui le fila del discorso esortando i suoi uditori a non temere per il necessario ogni giorno. Si ricordano proprio le necessità più importanti: il cibo, la bevanda e il vestiario. La preoccupazione per queste cose è dei pagani, di coloro che non hanno un Dio che provveda a loro. 
Ovviamente il discorso della montagna è rivolto solo a Israele, ma si estenderà poi con la predicazione a tutti i popoli. Il nuovo Israele confida nel suo Padre celeste, che sa di cosa hanno bisogno i suoi figli.
v. 33: Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Questo è il compito principale e urgente per il discepolo: la ricerca del regno di Dio. E la parola dice di farlo “oggi!” (Sal 95,7). Ce lo ricorda il Concilio Vaticano II: "Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a sfuggire il male, quando occorre chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore…" (GS 16).
Nel linguaggio biblico, ascoltare significa aderire interamente, obbedire, adeguarsi a quanto ci viene detto. Ciò significa cercare ogni giorno che Dio regni nella nostra vita.
Ciò non è facile, soprattutto quando pensiamo al futuro, al domani, alla precarietà. Qui Dio passa in secondo piano. Ecco perché Gesù invita a questa nuova preoccupazione.
Questa preoccupazione è la giustizia del regno, un tema caro a Matteo che lo aggiunge al suo testo base (la fonte Q in comune con Luca) intendendo qui una ricerca attiva di tale giustizia così come viene ora rivelata dall'insegnamento di Gesù (cfr. Mt 5,6.10.20).
I discepoli devono essere affamati e assetati di giustizia, la loro giustizia deve essere superiore a quella dei farisei. Qui la ricerca di essere giusti e di servire la giustizia mantiene nella giusta relazione con Dio e permette di non temere per il futuro.
v. 34: Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.
Riprendendo il v. 33, siamo invitati a vivere l’oggi senza gettare sguardi al passato o al domani. L’hic et nunc, che sottintende il versetto, significa adesione alla realtà ascoltando in maniera decisiva la voce di Dio. Andando verso il futuro, nella certezza che in esso c’è la venuta del Signore, la vita eterna.
La seconda parte della frase è molto bella: il giorno di domani avrà cura di superare le difficoltà da lui stesso portate.
Questo versetto, che ripete l’invito a confidare nella provvidenza di Dio, riprende un detto popolare che si può trovare anche nei libri sapienziali: «Non ti vantare del domani, perché non sai neppure che cosa genera l'oggi» (Pro 27,1; vedi anche Qo 2,23).
Ogni giorno ha il suo bagaglio di pena ma anche la giusta quantità di bene necessaria a sostenerlo. Al discepolo Gesù guarda con occhio di predilezione in quanto si preoccupa della sua vita. Lo invita allora a guardare al Signore e cercare di realizzare la Sua giustizia. Nella fiducia che porrà in Dio, avrà quanto occorre alla vita.

La Parola illumina la vita
Che tipo di preoccupazione, dinanzi a Dio vivo?
Ci sono stati momenti in cui ho toccato con mano la presenza e l'aiuto anche materiale del Signore?
Cosa significa per me cercare il regno di Dio e la sua giustizia?
Credo veramente di non dovermi affannare per il mangiare, il bere e il vestire?
Mi affido veramente a Dio oppure, magari con qualche sotterfugio, il nostro affidamento è riposto nel denaro?
Nelle nostre famiglie crediamo veramente che Dio è la nostra pace che ci libera dalla paura e dall'angoscia?

Pregare
Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.         

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.         

In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore (Sal 61).

Contemplare-agire
Dio è un Padre degno di fiducia e attento ai nostri bisogni. Ci chiede di imitarlo, e di modellare la nostra vita ricercando la sua giustizia.