venerdì 21 aprile 2017

LECTIO: II DOMENICA DI PASQUA (A)

Lectio divina su Gv 20,19-31

Invocare
O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l'Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché, spezzati i vincoli del male, ti rendiamo il libero servizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria.
Egli è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
La II domenica di Pasqua è l'antica domenica detta "In deponendis albis", per il fatto che coloro i quali erano stati battezzati nella veglia pasquale, deponevano i loro vestiti bianchi quando si concludeva la settimana della loro iniziazione sacramentale. Diventavano così fedeli a tutti gli effetti. L'Evangelo è identico nei tre anni A, B e C. Il tema dominante di questa domenica è la fede nei segni della Risurrezione.
Il vangelo di Giovanni narra l’apparizione del risorto ai suoi discepoli il giorno stesso di Pasqua. I discepoli si trovano nel cenacolo, con le porte sbarrate “per timore dei giudei”. Viene Gesù in modo misterioso e la paura dei discepoli si trasforma in gioia. Paura e gioia ci fanno pensare subito ad alcune emozioni, a stati d’animo, ma il linguaggio di Giovanni non è psicologico, bensì teologico, non indica stati d’animo ma diverse collocazioni dell’uomo davanti alla realtà. La paura è l’atteggiamento di chi percepisce la realtà e gli altri come ostili; la gioia è piuttosto la fiducia e la pace con cui il credente guarda il mondo intorno a lui.
L'incredulo Tommaso dovette «vedere» per credere; i cristiani che verranno dopo credono senza aver visto, sebbene Cristo si accosti a loro con segni diversi della sua presenza gloriosa. Non con segni fisici e corporali. I segni con cui si manifesta sono i sacramenti: l'Eucaristia, il Battesimo, etc.
Questi sacramenti pasquali, non dimentichiamoli, sono segni della fede (cfr. dopo Comunione); anche la colletta, ispirata a 1Gv 5,6-8 chiede e insiste sulla fede.
Questo brano di vangelo chiude il vangelo di Giovanni ed è considerato la “prima conclusione” del quarto vangelo. Il vangelo di Giovanni si chiude quindi con la figura di Tommaso. A questa figura, dunque, viene dedicato tempo, spazio, importanza. Ma dove sta la grandezza di Tommaso? La grandezza di Tommaso sta in ciò che chiede di vedere. C’è una fede che Tommaso sa di dover chiedere, ma questa fede nasce dal vedere e toccare i segni dei chiodi, i segni della passione del Signore, i segni della continuità tra la croce e la Risurrezione. Questi sono i segni che Tommaso chiede di vedere!

Meditare
v. 19: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli
La scena si svolge a Gerusalemme, in un luogo non precisato. L'evangelista vuole sottolineare che i discepoli erano riuniti in un solo luogo e affermare il carattere ecclesiale dell'apparizione.
È il primo giorno dopo il sabato, quindi è l’inizio di una settimana nuova, l’inizio di un tempo nuovo, perché la resurrezione di Gesù ha creato un tempo alternativo e nuovo rispetto al Kronos della vita umana, della cronaca umana. Ha fatto irrompere nel tempo l’eternità di Dio, e ha fatto entrare nell’eternità il tempo dell’uomo. Quindi siamo davvero davanti ad un mondo nuovo che inizia, che si manifesta.
Questo “primo della settimana” è descritto con “la sera di quel giorno”. Ci sta qualcosa di non chiaro nell’espressione. Intanto secondo il computo antico del tempo la sera appartiene al domani, mentre qui viene sottolineato “di quel giorno”.
Il profeta Zaccaria ricorda: “In quel giorno non vi sarà né luce né freddo né gelo: sarà un unico giorno, il Signore lo conosce; non ci sarà né giorno né notte, e verso sera risplenderà la luce” (Zc 14,6-7). La risurrezione ha fatto sì che quella sera fa parte di un unico giorno, del giorno del Signore.
Ci sta anche un’altra sera: quella della paura, quella che chiude gli occhi dinanzi alla realtà. I discepoli sono spaventati, quasi ossessionati dalla paura dei Giudei e Giovanni annota come le porte siano chiuse. I discepoli spaventati sono rassicurati da Gesù; non come un tempo «Sono io» (Gv 6,20), perché la sua presenza è ormai di un altro ordine, ma «Pace a voi» che non si tratta del consueto saluto ebraico, ma è l'adempimento della promessa fatta all'ultima cena (cfr. Gv 14,27). È la pace che li renderà capaci di superare lo scandalo della croce e ottenere la liberazione nella loro vita. Cosa importante da notare è che il saluto è ripetuto due volte.
per timore dei Giudei
La “paura” è la condizione del discepolo nel mondo, dove è un estraneo, perché pur vivendo nel mondo non appartiene al mondo, e proprio per questo subisce nel mondo una emarginazione che può diventare anche persecuzione e rifiuto violento. Quando san Giovanni dice che “i discepoli sono nel Cenacolo a porte chiuse per paura dei Giudei”, vuole indicare fondamentalmente questa condizione: il mondo ha crocefisso il Signore, e di fronte al mondo i discepoli del Signore si trovano in questa situazione di estraneità e di paura. Così è per quello che riguarda il senso della “gioia”, che è evidentemente gioia psicologica, emozione, sentimento… ma è ancora di più, è molto di più: è quel senso di pienezza che il discepolo sperimenta quando percepisce la presenza del Signore. Il discepolo vive per il Signore, nel rapporto con il Signore; e quando questo rapporto gli è donato, viene sperimentato in pienezza, c’è la pienezza della gioia. E questo passaggio “dalla paura alla gioia” è un elemento importante dell’esperienza della Pasqua, del Signore risorto.
venne Gesù, stette in mezzo
Questa immagine del Signore come “colui che viene” è caratteristica di Giovanni. È addirittura la parafrasi del nome di Dio che si trova nell’Apocalisse (Ap 4, 8): “Colui che era, che è, che viene!”: è una presenza dinamica, ricca di salvezza, di consolazione, di speranza.
Il “venne” di Gesù indica il suo venire nel nostro luogo chiuso e sta nel mezzo, dove nel mezzo vuol dire “al centro”, ma anche “dentro, al centro”.
disse loro: «Pace a voi!».
Non si tratta di un semplice saluto, ma del dono della pace che Gesù aveva promesso per il suo ritorno (cfr. 14,18-19.27-28; 16,16-23). La pace dei tempi messianici è il dono supremo di Dio annunciato dai profeti (cfr. Is 53,5), implica tutto il benessere di vivere (cfr. Ef 2,14).
v. 20: Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco.
Questo versetto dice la continuità tra il Gesù della croce e il Risorto. Il suo mostrare mani e fianco è un mostrare la sua identità. Egli è il Crocefisso e non solo: è il Risorto.
Non dobbiamo vivere la risurrezione di Gesù in modo trionfalistico, e la risurrezione non diventa neanche, necessariamente, la ricompensa per coloro che soffrono. Il mistero della croce è insieme mistero di morte, certo, ma che inevitabilmente richiama il mistero della risurrezione. Non si capisce il mistero della croce se non si capisce il mistero della risurrezione e viceversa. C’è questa unità. Giovanni sottolinea con forza che il Cristo che appare e che sta in mezzo ai discepoli è un essere reale, è lo stesso Gesù appeso sulla croce, per questo mostra i segni del suo martirio.
Gesù risorto mostra mani e fianco. La mano è il segno del potere, di quel potere che fa e disfa tutto. La mano di Dio è quella che lava i piedi e si fa inchiodare per amore dall’uomo.
Il fianco è messo in rilievo solamente da Giovanni. Esso è quello che fu trafitto da dove scaturì sangue ed acqua (Gv 19,34-35); è la carne da cui tutti noi siamo nati. Il fianco è la ferita d’amore di Dio che ci genera da cui scaturisce per tutti noi la pace e la gioia.
E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
La presenza del Risorto fa gioire perché rischiara il nostro buio, la nostra sera. La gioia dei discepoli non è l’ultima parola; essa è seguita immediatamente dall’invio in missione. Non è gioia quindi che possa essere goduta privatamente, ma gioia che chiede di essere condivisa con generosità sincera. Il Cristo risorto è sorgente efficace di perdono, è “l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. I discepoli dovranno annunciare a tutti gli uomini questa possibilità di vita che viene loro offerta.
v. 21: Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
Il saluto pasquale ripetuto due volte: “Pace a voi” è il primo dono di Pasqua. La pace è un dono non è un augurio o un auspicio. Essa è liberazione dall’angoscia della morte che turbava il cuore dei discepoli e li teneva prigionieri della paura.
Al dono pasquale segue il mandato le cui parole somigliano a come io amai voi, anche voi amatevi gli uni gli altri… Vi ho dato un esempio: come io lavai i piedi a voi, lavatevi i piedi gli uni gli altri (cfr. Gv 13).
Gesù è essenzialmente un Mandato, che nella sua missione rende presente la parola, l’amore, la misericordia, il progetto e le promesse di Colui che lo ha mandato. Attraverso Gesù, Dio si fa visibile: proprio perché è un Mandato, quindi non ha autorità propria, rimanda continuamente a quel Padre da cui ha ricevuto tutto. La sua missione non è altro che l’espressione del dono totale di sé, dell’identità del Figlio come “colui che riceve la vita da…”.
Ora questa missione si perpetua nei discepoli del momento e di ogni tempo, perché sono come Lui.
Questa missione non è proporzionata alle nostre forze, ma è proporzionata all’amore del Signore, quindi al suo dono.   
Qualcuno ha detto che “lo Spirito Santo è capace di fare una cosa sola, ma la fa molto bene: è capace di fare Gesù Cristo”. Dove arriva lo Spirito Santo, il mondo assume la forma di Gesù Cristo. Dove c’è lo Spirito, lì il mondo viene plasmato secondo quella forma precisa che era la forma del Figlio di Dio, la forma di Gesù. La forma di Gesù è l’amore. L’amore è la missione verso l’altro, che ti porta fuori di te.
vv. 22-23: Detto questo, soffiò
Questa insufflazione sui discepoli da parte di Gesù evoca il gesto creativo di Dio. Il Creatore aveva alitato nell'uomo un soffio che fa vivere (Sap 15,11, cfr. Ez 37,9). Soltanto lo Spirito di Dio è capace di ricreare l'uomo e strapparlo al peccato (Ez 36,26-27; Sal 50,12-13; 1Re 17,21).
Il verbo utilizzato da Giovanni (emphysao) è usato solo in Genesi e in Sapienza, si tratta di una nuova creazione. Gesù glorificato comunica lo Spirito che fa rinascere l'uomo, concedendogli di condividere la comunione con Dio.
Qui c’è questo gesto, questo soffio di Gesù, che è una promessa che si verificherà a Pentecoste (At 2,1-4), dichiara la sua divinità, indicando, nel dono dello Spirito, la vera vita a cui la chiesa deve attingere, una vita che spinge la chiesa alla remissione dei peccati, che è il gesto stesso di Dio.
Ricevete lo Spirito Santo.
Il secondo dono pasquale è lo Spirito Santo che Gesù ha promesso come Consolatore e Spirito che li introduce nella pienezza della verità. Lo Spirito è il dono del Cristo, viene dal «soffio» del Cristo Risorto; in ebraico il termine «spirito» e «soffio» coincidono, ricorda Gv 19,30.
Il ricevere questo dono significa accoglierlo. Dall’alto della Croce aveva già fatto questo dono, ma non tutti l’hanno accolto perché chiusi nelle loro paure. Il dono va accolto se no muore. Anche la vita cristiana è un dono se non la si accoglie e non la si vive, giorno dopo giorno, è spenta nel proprio buio.
Nel testo originale davanti a Spirito Santo non ci sta l’articolo, perché Dio non dà lo Spirito Santo a misura ma ogni giorno e sempre di più, il che è tipico dell’amore: o cresce o non è amore. E così ogni giorno riceviamo sempre più Spirito Santo e ogni giorno siamo sempre più immersi in questo amore del Figlio verso di noi che è lo stesso del Padre. Ciò ci permettere di continuare la missione di Gesù.
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati.
La manifestazione dello Spirito è nel perdono dei peccati. Durante il suo cammino terreno Gesù aveva parlato di perdono e conversione. Ora con la risurrezione lo chiede nuovamente.
La misericordia e il perdono costituiscono ciò che la chiesa è invitata a compiere. La parola di Gesù sul potere di rimettere i peccati accompagna il gesto col quale egli mostrava le piaghe della passione.
La missione, il dono dello Spirito, il potere di rimettere i peccati sono dati all'intera comunità, che però si esprime attraverso coloro che detengono il ministero apostolico. Infatti i verbi usati, rimettere e ritenere, sono l’attività per la quale è conferito lo Spirito. Il dono dello Spirito sancisce l’incarico di missione. I discepoli infatti prolungano la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre.
Al di fuori del ministero apostolico, tutta la Chiesa è chiamata a vivere e a testimoniare il perdono che è un miracolo più grosso che risuscitare i morti, perché i morti muoiono ancora, se risorgono prima della risurrezione finale, mentre invece se io perdono uno, io nasco come figlio di Dio, proprio perdonando, divento come Dio che ama senza misura.
vv. 24-25: Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
Inizia qui un’altra scena, quasi a fare da anello di congiunzione tra coloro che hanno visto e coloro invece che non hanno visto.
Tommaso non era rimasto con gli altri discepoli che, seppure intimoriti erano insieme, sapendo che questo loro convenire era amato dal Signore (cfr. Gv 17,20-21). Non essendo con gli altri Tommaso non riceve con loro la visita del Risorto e non accogliendo prontamente l’annuncio evangelico della risurrezione che gli viene dato, ma ricercando altre conferme, si preclude la gioia della comunione che viene dallo Spirito Santo ed è donata ai "piccoli" (cfr. Mt 11,25 e 1Cor 1,21).
Tommaso viene chiamato Didimo, che significa gemello. Di chi è gemello Tommaso? È gemello di Giuda che dopo aver mangiato dallo stesso piatto di Gesù esce nella notte per tradirlo. Tommaso come Giuda esce nella notte della sua esistenza, esce dalla comunità e brancola nel buio, nella solitudine.
Tommaso è anche gemello di Gesù è disposto a morire a fianco di Gesù, con coraggio (cfr. Gv 11,16). Egli sfidando anche la morte, ama davvero Gesù. Però lo ama senza speranza. E l’amore senza speranza si chiama anche inferno. Pensa che Gesù vada a morire e invece Egli va al Padre passando da una inconsueta solidarietà coi fratelli: la Croce.
Siamo davanti alla prima testimonianza ecclesiale e al suo primo insuccesso; Tommaso non crede.
Egli dovrà ripercorrere a ritroso la sua esperienza con Gesù per scoprire la via di Gesù attraverso le ferite della storia, della quotidianità. Dovrà imparare che ci sta un amore più forte della morte.
Tommaso, inoltre, è gemello a tutti noi che sempre cerchiamo una fine a tutto.
Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Gli altri discepoli fanno la loro professione di fede. È la stessa della Maddalena agli apostoli i quali non le hanno creduto. Ora gli altri fanno lo stesso annuncio.
Questo annuncio è fatto dal vedere il Signore che significa cambiare realmente e radicalmente la vita. Vuol dire risorgere a vita nuova e perpetuare la missione di Gesù.
Tommaso a tutto questo, per principio, non crede. Egli è colui che si vuole “rendere conto” bene della propria fede; Tommaso non è un curioso perché Gesù non si manifesta ai curiosi. Gesù viene apposta per lui, a lui che si vuole rendere conto della propria fede: il Signore è risorto, ma c’è qualcosa di più. Tommaso va a cercare questo qualcosa di più.
Egli vuole immergersi nelle ferite di Dio facendone esperienza e vivere la sua Pasqua. Proprio in queste ferite scoprirà e scopriremo il mistero di comunione con Dio, di un Dio che va verso l’uomo e di un uomo che entra in Dio.
vv. 26-27: Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!".
Otto giorni dopo, cioè la domenica seguente; questa affermazione sottintende le assemblee eucaristiche della Chiesa primitiva. È il giorno del Signore. è il giorno senza tramonto. È il giorno della Comunità che si riunisce attorno alle ferite di Dio, attorno al suo amore estremo per attingere vita.
Il rituale è lo stesso della prima apparizione (v. 19), Gesù ritorna, ed è sempre lui, Gesù, che viene e sta nel mezzo della comunità. Le porte sono ancora chiuse ma non per la paura ma nello Spirito per poi uscire verso l’altro ed essere testimoni della gioia e della pace.
Poi disse a Tommaso: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani tendi la tua mano e mettila nel mio fianco;
Una volta rivoltosi alla comunità, Gesù ora si rivolge verso Tommaso e gli fa constatare la sua identità, calma le sue apprensioni e lo invita a non comportarsi da incredulo.
Il testo originale usa un indicativo presente che indica la continuità di un’azione. Quel “metti” quasi un invito a continuare il gesto del mettere il dito. Ciò vuol significare che nonostante l’assenza di Tommaso, egli era presente perché è sempre presente nel cuore di Dio. Dio conosce ogni suo desiderio e gli viene incontro perché nulla gli è impossibile.
Questo andare incontro è un rafforzare la propria fede, farla crescere. Egli non deve limitarsi alla fede nel messia, deve credere al Figlio dell'uomo glorificato nella sua morte.
Il Signore risorto si concede a Tommaso e non lascia a Tommaso nessuna replica. Quel Gesù che ha patito ed è morto è quel medesimo Gesù che è risuscitato. La prova della sua risurrezione è quella di essere con lui, nel mezzo, a toccare le sue piaghe: quelle piaghe sono la prova della sua risurrezione.
Questo mettere si rinnova anche per noi ogni otto giorni: vedere e toccare le ferite dell’amore di Dio. Attraverso l’Eucarestia chiamati a contemplare il Trafitto.
e non essere incredulo, ma credente!
Credenti o non credenti non dipende dalla nascita ma dal divenire. In noi ci sta solo il germe della fiducia da coltivare nella comunità. Ma ci sta anche il germe opposto, quello del divisore che ci porta fuori della comunità e isolati si muore.
Sta a ciascuno di noi la scelta: coltivare uno oppure l’altro.
Tommaso qui può diventare credente perché è insieme agli altri e insieme agli altri che getta il suo dito, la sua mano nelle ferite di Dio, del Trafitto.
Nelle ferite di Dio possiamo leggere le piaghe del mondo, la sofferenza del mondo che non sono il segno di un Cristo sconfitto, ma sono il segno di un Cristo glorioso, perchè Cristo ha fatto della sua morte il segno della sua risurrezione.
vv. 28-29: Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Tommaso pone finalmente fine a una fede per sentito dire e compie qui una confessione di fede assoluta “il mio Signore e il mio Dio”. Questa professione, afferma che Gesù è Kyrios (Signore) ossia il Messia inviato da Dio e poi Theos (ossia Dio stesso).
In nessun punto del Vangelo Giovanneo c'è una professione di fede così decisa e chiara. Tra la prima professione del discepolo Natanaele (1,49) all'ultima di Tommaso è contenuto il viaggio di fede della comunità. Siamo certi del Risorto per questo. Il mondo ha bisogno di cristiani come Tommaso, di gente che dica: “Proprio perchè ho messo il dito nelle piaghe il Signore è risorto”. E non è facile toccare le piaghe del mondo e dire: “Mio Signore e mio Dio”. È un sentire appartenenza. Anche la Maddalena sentì questa appartenenza.
Per due volte Tommaso ripete l'aggettivo “Mio”, che cambia tutto. Nel Cantico dei Cantici troviamo scritto: «Il mio amato è per me e io per lui» (6,3), che non indica possesso geloso, ma ciò che mi ha rubato il cuore; designa ciò che mi fa vivere, la parte migliore di me, le cose care che fanno la mia identità e la mia gioia. “Mio”, come lo è il cuore. E, senza, non sarei. “Mio”, come lo è il respiro. E, senza, non vivrei. Questa appartenenza, quel “Mio” lo si può esclamare solo se immersi nelle ferite di Dio, perché da lì Lui esce verso di me e io entro in Lui.
Tommaso ha trovato la sorgente della vita e dell’amore in queste ferite.
Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!".
Il verbo vedere ha un rilievo particolare nel racconto giovanneo dell’incontro del Cristo con i discepoli la sera di pasqua. L’evangelista Giovanni usa due verbi diversi per indicare questa “visione”, ideìn e horàn.
Giovanni ha scelto una gamma diversa di verbi per esprimere i gradi differenti della comprensione del mistero di Gesù. Si va da un vedere esteriore a un vedere più intimo che conduce alla fede. Anzi, come dice oggi il Risorto, allora non sarà più necessario il vedere diretto perché la comunione avverrà su un altro canale di conoscenza, sarà la visione in un senso perfetto e pieno.
A Tommaso Gesù concede la possibilità di una percezione diretta della sua nuova presenza in mezzo a noi.
Gesù Risorto indica una nuova beatitudine per coloro che credono senza vedere. Qui il destinatario sono le prime comunità cristiane che non hanno fatto esperienza diretta del Risorto. Siamo anche noi, discepoli di questo secolo.
Anche se il suo modo di accesso alla fede non è lo stesso, sono beati coloro che nel corso dei tempi avranno creduto senza vedere il Signore, ma ascoltando la sua Parola, credendo alla testimonianza, perché si fa l’incontro con il Risorto e si entra in quelle ferite, in comunione con Lui, accogliendo il suo Spirito e il Suo Amore e vivendo di questo!
vv. 30-31: Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Gli ultimi versetti. pur essendo la conclusione dell'intero vangelo sono particolarmente collegati al racconto dell'apparizione Tommaso e alla beatitudine della fede. Sono il passaggio al tempo dello Spirito, al tempo della Chiesa, al tempo della Testimonianza, al nostro tempo scandito dal silenzio operoso fatto di testimoni del risorto.
I prodigi operati da Gesù per Giovanni sono dei segni medianti i quali il Verbo incarnato rivela la sua natura divina e la sua carità immensa per i suoi fratelli, poveri e peccatori. Ma lo scopo della rivelazione del Cristo consiste nel suscitare la fede nella sua persona divina. La lettura e la meditazione dei segni operati dal Cristo devono alimentare la vita spirituale, per favorire l’adesione personale al Signore Gesù. Quindi tutti i cristiani devono impegnarsi ad approfondire la conoscenza dei Vangeli, per nutrirsi abbondantemente di questo cibo divino.

La Parola illumina la vita
Quanti dubbi e incertezze ci sono dentro di me? Come è possibile credere nella resurrezione in questo mondo che mi circonda che è assetato di potere e di denaro? Come poter credere alla vittoria della vita sulla morte quando milioni di persone lottano ogni giorno per sopravvivere alla fame e alle violenze della guerra? Come posso credere alla pace del Signore risorto se non trovo pace dentro di me quando mi scontro quotidianamente con i miei limiti e con le cattiverie del mio prossimo? Come posso credere che Cristo è vivente nella sua Chiesa, quando quest'ultima mi mostra un volto di potere che non sembra affatto quello di Gesù?
Come alimento la mia fede, come coltivo il rapporto diretto con Gesù risorto, nel suo Spirito? Quali sono le occasioni in cui incontro il mio Signore?

Pregare  Rispondi a Dio con le sue stesse parole…
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».

Mi avevano spinto con forza per farmi cadere,
ma il Signore è stato il mio aiuto.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
Grida di giubilo e di vittoria
nelle tende dei giusti:
la destra del Signore ha fatto prodezze.

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo! (Sal 117).

Contemplare-agire
Proviamo a immergerci nell'esperienza di Tommaso, ripercorrendone le tappe: dall'incredulità che segna anche la nostra vita, a un'adesione di fede sempre più limpida e forte, che pure desideriamo.