venerdì 28 aprile 2017

LECTIO: III DOMENICA DI PASQUA (A)

Lectio divina su Lc 24,13-35


Invocare
O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto che apre il nostro cuore all'intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell'atto di spezzare il pane. Egli è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Questo episodio dei discepoli di Emmaus è un racconto di apparizione piuttosto anomalo, ci porta all'esperienza di Gesù risorto non più dei primi testimoni, ma delle generazioni successive. Apre l'era dei discepoli come Teofilo (colui al quale Luca dedica il suo Vangelo e gli Atti degli Apostoli), di coloro che non hanno avuto e non avranno il privilegio della presenza fisica di Gesù. È un racconto che Luca dedica alla sua comunità, ma anche a tutti noi, per insegnarci come e quando possiamo incontrare il Signore, pur senza vederlo con i nostri occhi.
Il racconto dei discepoli di Emmaus può essere suddiviso in due parti.
Nella prima parte (vv. 13-24) vi è una prospettiva di allontanamento. I due discepoli si allontanano da Gerusalemme, sono divisi tra di loro (discutono animatamente: v. 17), vedono Gesù come un estraneo, sono lontani dal capire cosa sia successo a Gerusalemme.
Nella seconda parte (vv. 25-35) gli opposti si avvicinano. Gesù diventa il protagonista dell'azione e spiega le apparenti contraddizioni della storia di quegli ultimi giorni, assume il ruolo dell'ospite, riunisce i due attorno alla tavola e si fa riconoscere nello spezzare il pane. Poi “si rende invisibile”, ma i due si sentono spinti a ritornare a Gerusalemme e a ricongiungersi con gli Undici.
Per chiudere con uno sguardo liturgico, nell'episodio di Emmaus, noi abbiamo la primissima forma o schema della celebrazione Eucaristica, dettata da Gesù stesso: liturgia della Parola (Gesù spiega le Scritture); liturgia eucaristica (Gesù spezza il pane) e riti di conclusione (andare e portare a tutti l’annunzio).

Meditare
13 Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme
Siamo nello stesso giorno, il giorno della risurrezione, il primo della settimana, il giorno in cui Luca situa tutte le apparizioni riferite nel suo vangelo.
I due protagonisti di questo racconto sono "due di loro", cioè degli altri discepoli che stavano insieme agli Undici e hanno ricevuto l’annuncio della risurrezione da parte delle donne senza credervi (Lc 24,11). Questi fuggono da Gerusalemme, fuggono da Dio, abbandonano la comunità perché delusi (cfr. v.21).
La loro destinazione è Emmaus, non è un luogo inventato da Luca, la sua identificazione è con la località che dista dalla capitale proprio 11 km, che si chiama El Qubeibeh. Emmaus qui vuol significare qualcos'altro: è la propria casa. A casa si è soddisfatti, vittoriosi (almeno si spera). Si vive una certa tranquillità.
vv. 14-15: e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro.
Il cammino non distoglie questi due discepoli dall’esperienza di Dio che hanno vissuto fino a quel momento.
Tra di loro, dice il testo originale, fanno l’omelia sugli eventi più recenti: la crocifissione di Gesù e la scoperta della tomba vuota. Una discussione animata; tra loro litigano: l’idea di uno vuole prevalere sull’altro. Quindi anche la vita di Gesù è oggetto di litigio. Possiamo dire che qui iniziano le prime dispute teologiche. E Gesù cosa fa? Si avvicina e cammina con loro, né più e né meno.
Qui forse apparirà strano, ma Gesù risorto è sempre presente nella nostra vita, anche quando non lo sappiamo.
Nel versetto, Gesù, lo sconosciuto, si avvicina ai due discepoli ma loro non lo sanno. Questo aspetto ha un significato nell'esistenza dei credenti: in compagnia del Risorto la vita degli uomini continua nella sua semplicità, nella casualità e negli imprevisti. Il Risorto è con noi anche se non ce ne accorgiamo.
Egli è realmente presente, perché, anche se inconsciamente, ti sta a cuore. Egli segue le nostre fughe, continua ad essere il buon Pastore in cerca della pecorella smarrita (Lc 15,1-7).
v. 16: Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ci sono gli occhi impossessati. Avere lo sguardo, gli occhi impossessati è come dire che sono impossessati dal demonio che non fa mai leggere la realtà per come veramente è, i due discepoli non erano in grado di riconoscere la novità che Gesù è risorto.
Infatti i discepoli vedono solo delusione, delirio, paure e desideri. Questo aumenta la suspence. È la menzogna di Satana che ci impedisce di aprire gli occhi, perché siamo abitati da tutto questo racconto falso su Dio, sugli altri e su di noi che realmente ci impedisce di vedere ciò che siamo e chi siamo.
v. 17: Ed egli disse loro: "Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?". Si fermarono, col volto triste;
Gesù continua ad essere sconosciuto a loro e ai fatti e si introduce nella discussione con una domanda. Quell’omelia non è più tale. I due discepoli sono arrivati al punto più basso del loro camminare insieme. L’evangelista qui usa il verbo antiballein che significa “ributtare, ribattere lanciando dardi” e suggerisce quindi una discussione animata.
La reazione alla domanda è particolare: “si arrestarono col volto scuro”. Un volto cupo, sono tristi o addirittura arrabbiati.
Il volto è ciò che è relazione. Un volto scuro è la negazione della relazione, è il buio. Quindi indica la morte che hanno dentro, e manifestata dal volto.
v. 18: uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: "Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?".
Luca ci rivela il nome di uno di loro: Cleopa. L'altro discepolo resta nell'anonimato. Cleopa reagisce allo sconosciuto con una domanda, che letta da questa parte è strana. Egli parla di fatti come se fossero successi a lui e invece sono capitati proprio a Gesù.
Ancora oggi Dio appare estraneo, sconosciuto ai fatti e noi continuiamo a dire: dove è Dio? Senza pensare che capita a Lui tutto ciò.
vv. 19-20: Domandò loro: "Che cosa?". Gli risposero: "Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.
In questi due versetti si riassume una catechesi su Gesù, ma soprattutto vediamo un Gesù che lascia lo sfogo alle ansie, alle delusioni, ai deliri. Egli li ascolta in piena liberta, li lascia parlare.
Nelle prime parole sulla descrizione di Gesù, abbiamo il Kerigma, l’annuncio usato dagli Apostoli per annunciare l'evento Gesù.
Di questo kerigma i discepoli fanno professione di fede riconoscendo in Gesù "il profeta", non un profeta qualsiasi, ma il profeta escatologico simile a Mosè secondo Dt 18,15, che fu crocifisso e che le autorità giudaiche furono le dirette responsabili della crocifissione.
Però qui manca ciò che è più importante: il riferimento alle Scritture e la notizia della risurrezione. E non solo. Questi sono capaci di parlare di Gesù, dire come è vissuto e come ma non di incontrarlo, di vederlo nonostante che ce l’hanno davanti.
v. 21: Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
La cecità fa compagnia alla delusione, alla morte di quella speranza racchiusa nella restaurazione nazionale. Per loro Gesù avrebbe dovuto essere anche un leader politico capace di cacciare i romani e ristabilire il ruolo di Israele come luce delle nazioni. Quindi non possono vederlo Risorto perché loro sono chiusi nel loro fallimento, nella loro tristezza, col volto scuro, triste, arrabbiati con tanto di subbuglio interiore, in litigio anche con l’altro con cui si parla insieme delle stesse cose e si litiga.
Il versetto ricorda il terzo giorno. Perché? È la speranza nella risurrezione. Ormai, però, son passati «tre giorni» da quanto avvenuto e la promessa antica della resurrezione non si è verificata (cfr. Os 6,1-2), non si è vista, quindi tutto è perduto!
L'unica prova valida per loro non la videro; come adesso «non lo vedono» (Gesù risorto). Continuano a non vederlo perché il Signore è Colui che ama e la croce è la testimonianza del Suo amore infinito per me, per tutti, che lo metto (mettiamo) in croce. Quindi il motivo per cui non possono riconoscerlo è perché non accettano, non credono all’amore; all’amore più forte della morte. Credono che vince il più potente, quindi quello che dà più morte alla fine; non che vince l’amore che sa dare la vita.
vv. 22-24: Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
Benché il corpo di lui sia scomparso e le donne dicano di aver assistito ad una scena strana, con visioni di Angeli, alcuni discepoli corsi al sepolcro, trovarono tutto come le donne avevano detto, ma non trovarono «lui». Dopo il terzo giorno ecco il segno della tomba vuota. Il narratore continua con gli elementi fondamentali della risurrezione di Gesù che i discepoli mostrano di non capire e non solo: sono sconvolti come se nulla fosse di quanto raccontato.
Di ciò si guardano bene dal dire che alle donne non hanno creduto perché pensavano che fosse un vaneggiamento.
Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto".
La visita degli altri discepoli alla tomba allude all'episodio di Pietro (Lc 24,12) e suggerisce che forse Luca aveva a sua disposizione un'altra tradizione. I discepoli che sono andati alla tomba hanno confermato la testimonianza delle donne sulla tomba vuota, ma non sono arrivati alla fede nella resurrezione di Gesù. La frase finale "ma lui non lo videro" sintetizza bene tutta la delusione e l'incomprensione venute alla luce nei versetti precedenti. Luca però non vuole colpevolizzare i discepoli di Emmaus. Egli piuttosto vuol far capire ai lettori che i discepoli non possono credere se non gli viene dato il dono di comprendere, e questo dono viene soltanto dal Risorto stesso.
vv. 25-26: Disse loro: Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!
Dopo lo sfogo, Gesù interviene. Prende in mano la situazione facendone una diagnosi. La diagnosi è che i discepoli sono dei senza testa, cioè la testa c’è tutta, ma sono scerebrati – e poi bradicardici, dice in greco; cioè quanto a testa vi manca solo il cervello, quanto al cuore batte ogni tanto, cioè pulsa moltissimo, vibra moltissimo per tutte le vostre paure, ma lenti nel credere a tutte quelle cose di cui parlarono i profeti. 
Per loro è più facile credere alle menzogne, velocissimi, palpitano di ogni cosa; all’aver fiducia nell’amore, no, questo è fatica, è impossibile. Questa, quindi, è la diagnosi: non hanno colto il senso della passione, dell’amore di Dio per noi, per questo non possono capire perché è il grande mistero dell’amore che vince la morte e non è come il potere che produce morte ed è il più violento che vince; mentre nell’amore vince esattamente chi sa farsi talmente forte da portare il male senza restituirlo e vincere il male col bene.
Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?.
Della diagnosi Gesù va al cuore del problema: “non bisognava…?”. C’è un bisogno, una necessità. “Attenzione, non il destino ma la necessitas illumina la morte di Gesù: in un mondo ingiusto, il giusto viene rifiutato, osteggiato e tolto di mezzo, perché “è insopportabile al solo vederlo” (Sap 2,14); e se il giusto, il Servo del Signore, resta fedele a Dio e alla sua volontà, rifiutando le tentazioni del potere, della ricchezza e del successo, allora è condotto alla morte rigettato da tutti” (Enzo Bianchi). La croce, quel particolare da cui vorremmo stare lontano, quel particolare che continua a farci paura in ogni istante della nostra vita. Però la croce rimane l’ingresso nella gloria perché è nella croce che Lui ha testimoniato l’amore estremo, una solidarietà assoluta con l’uomo, col perduto, col male, con chi lo uccide, perché non può non amare ogni uomo perché ogni uomo è perduto perché non si sente amato e fa il male solo per questo.
I discepoli di questo sono ciechi perché non sono illuminati dalla fede pasquale.
v. 27: E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Perché Gesù spiegò la Scrittura? Non potevano arrivarci da soli? No, perché per comprendere la Scrittura, per capire la parola di Dio, bisogna leggerla con gli occhi dell’amore, gli occhi dell’amore che vedono il bene dell’uomo come valore assoluto; solo così si comprende quello che è scritto nella Scrittura, altrimenti non soltanto non la si intende, ma si rischia di darle un significato contrario.
Qui Gesù fa la sua lectio divina, Egli stesso è l'esegeta dell'evento-Cristo. Egli è il culmine a cui tendono tutte le Scritture. Al tempo stesso è lui la fonte dell'interpretazione delle Scritture. La lettura cristiana della Bibbia e la predicazione della Chiesa trovano in Cristo risorto la garanzia della loro autenticità. Ora, apre l'intelligenza delle Scritture ai suoi discepoli, li rende credenti, abilitandoli a essere “testimoni” (mártyres: Lc 24,48).
Ciò si realizzerà pienamente con “la Promessa del Padre” (Lc 24,49), il dono dello Spirito Santo (At 2,1-12).
v. 28: Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano.
I discepoli vogliono tornare al luogo della tradizione, della sicurezza, al riparo nella propria casa lontano da tutto e da tutti.
Purtroppo Gesù non va con loro. L’evangelista dice “come se” come se fosse per finta. Ma non è così. Gesù non va con la tradizione, non va col vecchio, va più lontano. Egli va col nuovo perché Egli è la novità del Vangelo.
v. 29: Ma essi insistettero: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto". Egli entrò per rimanere con loro.
I discepoli forzarono Gesù, lo strattonarono per restare con loro. Il motivo appartiene al costume orientale dell’ospitalità ed è adeguato alla situazione: la notte è vicina. Nella motivazione possiamo leggere la situazione concreta e non il semplice costume orientale: Gesù è il giorno senza tramonto che rischiara le tenebre del mondo a cui ogni discepolo deve andare incontro.
Nel versetto possiamo cogliere altre risonanze (cfr. Mt 18,20; 25,35; Ap 3,20). In queste risonanze cogliamo un Dio amore che vuole abitare nella nostra casa, nella nostra famiglia, nella nostra vita. Il versetto, infatti, dice che Gesù entra ma non dice dove. L’amore può vivere solo dove è amato. Altrove, la tradizione è il luogo della sua crocifissione che sempre si ripete.
v. 30: Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
In questo suo dimorare con noi, Gesù fa quel gesto che ricorda la sua dimora definitiva con noi, l’ultima sera, del suo corpo dato per noi. Era per quello che si è dato, per essere accolto.
Luca ci propone ora il momento culminante del racconto. Gesù compie i gesti del rituale di un pasto giudaico normale. Il testo originale usa l’imperfetto che indica il continuo darsi di Gesù.
v. 31: Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
Finalmente capiscono, davanti al pane vedono, si aprano gli occhi, dopo che ha spiegato attraverso le Scritture la passione, si aprono gli occhi sul senso dell’Eucaristia, il mistero della croce presente nell’Eucaristia, della nuova ed eterna Alleanza che non potrà mai essere rotta perché Lui dà la vita per chi lo uccide, quindi non puoi rompere un’alleanza così fedele. È lì che si spalancano gli occhi, davanti a questo amore che si è fatto pane e vita. E allora lo riconobbero.
Riconoscere Gesù significa spezzare il pane per gli altri. Essere pane spezzato per gli altri, perché lì si sperimenta il Cristo risuscitato.
Una volta riconosciuto, Gesù si sottrae alla vista, “divenne invisibile” (traduzione dal greco): la sua presenza diventa «visibile» alla fede che lo riconosce nella sua realtà (invisibile) di Risorto. Prima era con noi e lo si vedeva e non lo riconoscevi; quando lo riconosci e lo accogli, è dentro di te.
Fare questa esperienza è vederlo, e il nostro volto sarà raggiante di luce al vederlo, cambiato, la mia e la tua vita è cambiata. È il proprio volto è riflesso del suo; sei diventato anche tu come Lui.
v. 32: Ed essi dissero l'un l'altro: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?".
La domanda di questo versetto ci riporta al v. 29 quando il cuore dei discepoli ardeva, al punto da non voler più separarsi dallo straniero. Ora c’è un prendere atto, un rendersi conto di quanto è accaduto: la Parola udita dal viandante, di Gesù risorto, ha risvegliato il loro cuore. La presenza di Gesù risorto è stata elusiva ma sufficiente per i due discepoli, i quali riconoscono che alla sua parola il cuore ardeva nel loro petto e che con la sua vita eterna egli poteva farsi presente e spezzare il pane. Ed è il cambiamento del cuore la vera resurrezione perché “non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi” (Antoine de Saint-Exupéry).
v. 33: Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,
Qui il versetto omette l’originale. È scritto: “nella stessa ora, levatisi”. È l’ora della risurrezione. I due discepoli risorgono e fanno il cammino a ritroso: tornano a Gerusalemme dagli Undici, tornano insieme a tutti i discepoli, insieme alla nuova comunità dei credenti, della Chiesa nascente.
v. 34: i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!".
Luca ha cura di sottolineare la valenza ecclesiale della conversione dei due discepoli. Infatti, ancor prima che essi raccontino la loro esperienza fatta sulla strada per Emmaus, ascoltano dagli Undici la professione di fede ecclesiale “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Questa apparizione, anche se non abbiamo dati concreti in merito, fa dunque di Pietro il primo testimone ufficiale della risurrezione. Inoltre, diventa il primo “grido pasquale” nella storia della Chiesa.
v. 35: Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Qui la testimonianza dei due discepoli che si aggiunge a quella degli Undici. Luca conclude il racconto sintetizzando i punti culminanti della narrazione: ciò che è accaduto per la via, cioè la spiegazione delle Scritture ad opera dello sconosciuto compagno di viaggio; il riconoscimento del Risorto nella "frazione del pane". Per la comunità cristiana, la Scrittura e l'Eucaristia sono il luogo di incontro con Gesù risorto.
Il versetto, appare lontano dal racconto, ancora i discepoli dovevano purificare qualcosa della loro vita e accogliere il dono dello Spirito Santo.
In quanto primi credenti in Gesù, prima di prendere il nome di Cristiani, vennero chiamati “Quelli della via” (At 9,2). Questi hanno un modello a cui ispirarsi, un esempio a cui fare riferimento, sanno che la meta per Gesù è stata Gerusalemme e che la sua gloria è passata attraverso la croce. Hanno un cammino specifico da percorrere, una meta da raggiungere, non possono quindi sentirsi degli arrivati, ma dei pellegrini (1Pt 2,11), attraversano la vita da stranieri perché “sono nel mondo ma non sono del mondo” (Gv 17.11,14), per questo desiderano la patria celeste, ma sono chiamati a vivere nella ferialità della vita. 
Debbono sfuggire le scorciatoie, come quelle esemplificate nel racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto (Lc 4,1-13), per procedere nel loro cammino fatto di incontri, ma anche di separazioni, di accoglienze come di rifiuti, pronte ad un confronto esigente, senza sconti ed anche denso di sofferenza. 
Sono però consapevoli di non essere soli lungo la via (cfr. Mt 28,20), fanno il loro percorso insieme perché sono chiamati a riconoscere in ogni uomo un compagno di cammino "in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa" (Papa Francesco).

La Parola illumina la vita
Mi è mai capitato di sentirmi deluso/a rispetto a quanto mi aspettavo dal Signore?
Riesco qualche volta a rendermi conto della presenza del Signore che cammina accanto a me, anche se non lo riconosco subito?
Ho mai sentito il mio cuore "ardere" davanti alla parola di Dio particolarmente forte?
Come vivo la celebrazione eucaristica?

Pregare  Rispondi a Dio con le sue stesse parole…
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra. (Sal 15).

Contemplare-agire
Proviamo a fare esperienza del Signore Crocifisso e Risorto nel mistero eucaristico, perché possa aprire il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture e farci diventare pane spezzato per gli altri.