giovedì 24 agosto 2017

LECTIO: XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)

Lectio divina su Mt 16,13-20


Invocare
O Padre, fonte di sapienza, che nell'umile testimonianza dell'apostolo Pietro hai posto il fondamento della nostra fede, dona a tutti gli uomini la luce del tuo Spirito, perché riconoscendo in Gesù di Nazaret il Figlio del Dio vivente, diventino pietre vive per l'edificazione della tua Chiesa.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
I vangeli di questa domenica (XXI) e di quella seguente (XXII) fanno parte di una sezione molto importante e ben strutturata del vangelo di Matteo. Essa va da Mt 16,13 e termina con Mt 17,27. Il culmine è il racconto della Trasfigurazione (Mt 17,1-13) alla quale fanno da apertura e chiusura due episodi riguardanti Pietro.
Il primo riguarda il brano di questa domenica, dove Pietro riconosce Gesù come il Cristo. Il secondo, Mt 17,24-27, ritrae Pietro che paga l'imposta del tempio per sé e per Gesù.
All’interno di questa sezione, abbiamo altri due brani paralleli: i due annunci della passione di Gesù (Mt 16,21-23; 17,22-23) corredati da alcuni insegnamenti ai discepoli. In tutta questa sezione assume grande importanza il ruolo di Pietro. La fede di Pietro, tuttavia, non è ancora completa, come appare chiaramente se si leggono le righe del vangelo che seguono il testo di oggi, in cui Gesù parla esplicitamente della sua passione e da questo momento l’insegnamento si concentrerà sul tema della croce. Pietro, in nome di tutti fa la sua professione di fede.
Gesù sta gettando le fondamenta della futura Chiesa, la realtà che continuerà a renderlo presente e operante nel mondo dopo la sua morte, risurrezione e ascensione al cielo.

Meditare
vv. 13-16: Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo
Cesarea di Filippo è una città posta ai piedi del versante meridionale del monte Hermon, vicino a una delle sorgenti del Giordano. Nell'antichità si chiamava Panion, in relazione al tempio del Dio pagano Pan che ivi sorgeva. Il figlio di Erode, Filippo, la ricostruì cambiandole il nome in Cesarea, in onore di Cesare Augusto. Anche Augusto, come tutti gli imperatori romani, richiedeva il culto riservato agli dei. Gesù sceglie Cesarea di Filippo per essere riconosciuto come Cristo, figlio del Dio vivente, proprio per sostituirsi ai culti pagani degli uomini.
domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?».
In questo luogo particolare, Gesù inizia a gettare le fondamenta partendo da se stesso nel porre domande agli altri nei suoi riguardi.
Il termine di “Figlio dell'uomo”, è molto usato da Gesù per designare se stesso. Indica la fragilità della sua condizione umana, ma lo collega in modo diretto alla profezia di Dn 7,13-14.
Questa domanda è ancora attuale. C’è sempre delle fondamenta da gettare.
Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
Ieri come oggi non è facile rispondere, anzi le risposte le moltiplichiamo, sono varie e sbagliate. Per capire, ci accompagna una domanda: come stiamo davanti al Signore? Come ci esprimiamo in merito alla sua identità? Il nostro rapporto con Gesù inizia con questo rivolgersi di Gesù direttamente ai discepoli: voi.
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Una domanda che risuona ancora dopo duemila anni. Una domanda che esige una risposta vissuta. Non è una questione di sapere ma di vivere. È esperienza di sequela e non studio teologico.
In questa espressione si cela una consegna. Gesù chiede di riconoscerlo attraverso una consegna di lui a noi. Alla stessa maniera, il mistero del Signore, che è costitutivo del nostro essere Chiesa, va riconosciuto nei “consegnati”. Quello che tu dici di Gesù, in realtà mette in gioco quello che tu sei. Se tu dici a una persona chi è per te, in realtà dici chi sei tu.
Rispose Simon Pietro:  Tu sei il Cristo
Pietro facendosi coraggioso e portavoce risponde prontamente affermando due cose di Gesù: il Cristo e il Figlio del Dio vivente.
La risposta di Pietro significa che riconosce in Gesù il compimento delle profezie dell’AT e che in Gesù abbiamo la rivelazione definitiva del Padre per noi. Nella misura in cui riconosce il consegnato, dice di sé e soprattutto si lascia dire di sé. Nella misura in cui noi ci compromettiamo con i consegnati, diciamo di loro, ma diciamo innanzitutto di noi, diciamo chi vogliamo essere. Il riconoscimento che nasce dalla fede, poi, compromette entrambi. Perché il Gesù che siamo invitati a riconoscere è già un Gesù compromesso con noi.
Questa confessione di Pietro non è nuova. Prima, dopo aver camminato sulle acque, gli altri discepoli avevano già fatto la stessa professione di fede: “Veramente, tu sei il figlio di Dio!” (Mt 14,33). Nel Vangelo di Giovanni, questa stessa professione di Pietro la fa Marta: “Tu sei il Cristo, il figlio di Dio venuto nel mondo!” (Gv 11,27).
La confessione di fede è un impegno di sequela. Il riconoscimento di Gesù Messia non è un impegno verbale, ma accoglienza del Messia servo sofferente, che attraverso la croce realizza la volontà del padre. Non solo le folle faticarono a entrare in questa logica messianica (che deludeva le attese di un Messia potente e glorioso) ma anche i discepoli stessi. Nel testo successivo a questo (Mt 16,13-20), Gesù, che annuncia la sua passione, rimprovera Pietro perché non pensa secondo Dio ma secondo gli uomini. E di seguito traccia le condizioni della sequela. La confessione di fede in Gesù Messia servo sofferente comporta un cambiamento di mentalità e l’impegno della sequela. Chi pronuncia il credo con le labbra chiama in causa la propria vita, si compromette con la croce. Credere non è una convinzione religiosa, ma è partecipazione della vita di Gesù, del suo stile, della sua obbedienza filiale al Padre. Non vi può essere confessione autentica di fede senza un autentico coinvolgimento di se stessi e della propria vita.
il Figlio del Dio vivente
In questa seconda affermazione troviamo quella caratteristica di “vivente” che è propria di Dio, al quale non possono resistere le forze della morte. Dio, datore di vita, comunica questa forza alla Chiesa che non verrà sopraffatta dal male.
v. 17: E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
Gesù proclama Pietro “Beato!” perché ha ricevuto una rivelazione da parte del Padre. Anche in questo caso la risposta di Gesù non è nuova. Prima Gesù aveva fatto un’identica proclamazione di felicità ai discepoli per aver visto e udito cose che prima nessuno sapeva (Mt 13,16), ed aveva lodato il Padre per aver rivelato il Figlio ai piccoli e non ai sapienti (Mt 11,25).
Pietro è uno di questi piccoli a cui il Padre si rivela. La percezione della presenza di Dio in Gesù non è frutto del merito di uno sforzo umano (“dalla carne né dal sangue”), bensì è un dono che Dio concede a chi vuole. Ciò che sei per la fede non dipende dal tuo peccato, ma dal vederti fatto oggetto di una rivelazione. Questo non mortifica la carne e il sangue; questo dice che nella condizione della carne e del sangue avviene la rivelazione dei misteri del Regno.
Questo è il ritenere le persone capaci di fede. Non è un giudizio rivolto alla condizione di miseria degli uomini, ma è il ritenerli, nella loro debolezza, capaci di fede per una rivelazione che viene loro fatta.
Avviene così anche di noi: il Signore ci rivela la sua identità, il suo essere Figlio di Dio, quello Vivente al di la della nostra miseria, del nostro peccato.
v. 18: E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa
Simone, il figlio di Giona, riceve da Gesù un nome nuovo che è Kephas, e ciò vuol dire, Pietra. Qui inizia un gioco di parole tra il greco e la lingua semitica.
Soffermandoci al greco, testo come è giunto a noi, Gesù dice «tu sei petros» (in greco: pštroj), che significa «una pietra», cioè un pezzo di pietra che si può raccogliere, lanciare contro il nemico o essere adoperato per la costruzione. Forse calza a pennello, perché proprio a Cesarea di Filippo, stanno costruendo e ingrandendo questa città, è piena di cantieri e le case vengono fatte con le pietre, quindi si può comprendere.
Per questo, è chiamato Pietro. Pietro deve essere pietra, cioè, deve essere fondamento sicuro, solido per la Chiesa a punto di essere investita dalle porte degli inferi. Gesù non adopera il femminile di pietra che ha usato per Pietro, ma adopera il greco “petra” (pštra) che significa “una roccia” che non si può neanche scalfire da quanto è dura. E la roccia, nell’AT e nel NT, indica sempre Dio.
Essere pietra, quale base della fede, evoca la parola di Dio al popolo in esilio in Babilonia: “Ascoltatemi voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai” (Is 51,1-2).
Con queste parole di Gesù a Pietro, Matteo anima le comunità sofferte e perseguitate della Siria e della Palestina che vedevano in Pietro un leader su cui appoggiarsi per le sue origini. Malgrado il fatto di essere comunità deboli e perseguitate, avevano una base sicura, garantita dalla parola di Gesù.
La Chiesa, la comunità cristiana nasce dall’Eucaristia, dal dono cioè che Gesù ha fatto della sua vita per noi. Nell’Eucaristia la passione di Gesù diventa un dono da assimilare, qualcosa che si introduce nella esistenza dell’uomo e produce qualcosa. Questa vita trasformata in dono Gesù l’ha collocata davanti ai discepoli nel segno di un pane spezzato di cui cibarsi per assimilarsi a Lui, per seguirlo, per diventare come Lui. La costituzione della comunità cristiana, la forma della comunione che la sostanzia ha sempre una dimensione di croce.
e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.
Cosa sono queste potenze? Di cosa si tratta? Stiamo parlando di una caverna sotterranea, denominata in greco “ade” e in latino “inferi”. Stiamo parlando del regno dei morti e della morte.
Ade è una divinità mitologica alla quale, nella divisione dei regni, era spettato il regno dei morti. Nel latino, questa località sotterranea, si chiama “inferi”, dal nome delle divinità che abitavano il regno dei morti, da non confondere con l’inferno. Nel Credo professiamo che “Gesù Cristo morì, fu sepolto e discese agli inferi”, non all’inferno, ma nella caverna sotterranea dei morti, per dare vita a chi non ce l’ha. Quindi Gesù sta dicendo a Pietro che le porte dell’ade, cioè del regno dei morti e della morte, non avranno il sopravvento contro di essa. Quando la comunità di Gesù è costruita da pietre che, come il Dio vivente, sono capaci di trasmettere vita, il regno della morte non avrà nessun potere contro di essa, perché la Chiesa appartiene a Cristo.
v. 19: A te darò le chiavi del regno dei cieli
Pietro riceve le chiavi del Regno dei cieli (espressione usata da Matteo) per legare e sciogliere, cioè, per riconciliare le persone tra di loro e con Dio. Abbiamo un rimando a Isaia 22,20-25 in cui si parla dell'insediamento di Eliakim come portiere del palazzo reale con poteri incontestabili di aprirne e di chiuderne le porte.
Il simbolo delle chiavi nella tradizione biblica indica autorità e responsabilità. Il potere delle chiavi, tuttavia, è strettamente legato alla croce. A Pietro è consegnato lo stesso potere che ha esercitato Gesù in terra, il potere della croce, il potere di offrire la sua vita. Ecco che qui di nuovo lo stesso potere di legare e sciogliere, viene dato non solo a Pietro, ma anche agli altri discepoli (Gv 20,23) ed alle proprie comunità (Mt 18,18).
Allora Gesù, dando a Pietro le chiavi della comunità cristiana, lo rende il responsabile della sicurezza e della vita di quanti abitano lì dentro.
tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli
Il legare e lo sciogliere rientra nel linguaggio rabbinico e significano l’autorità di insegnamento della dottrina. I due verbi sono da ricondurre all’attività di Gesù, perché in realtà il problema non è legare o sciogliere, ma è che queste due azioni sono le azioni compiute nei cieli, cioè in Dio. Sono azioni che solo Dio sa compiere e noi le compiamo in nome suo.
Che cosa o chi, dunque, legare? In Mt 12,29 si dice: “Come potrebbe uno penetrare nella casa dell’uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega?” Gesù è colui che lega l’uomo forte, satana; e lo ha legato e vinto una volta per tutte sulla croce. Allora la Chiesa ha il potere sulla terra di legare l’uomo forte, e questo potere le è stato dato da Gesù. Ma come ha vinto Gesù satana? Sulla croce, di fronte all’ultima tentazione: “se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce” Gesù ha risposto affidandosi al Padre e donando la vita.
Chi e che cosa sciogliere? In Lc 11,21 si dice: “quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino”. Gesù allora è quell’uomo più forte che distribuisce il bottino, cioè scioglie le catene inique del male, libera gli oppressi e i prigionieri, coloro che l’uomo forte (satana) teneva come suo bottino. Questo la Chiesa, in Gesù, è chiamata a compiere.
Perché la terra non è più separata dai cieli; in Gesù si è ricostituita l’alleanza; Gesù ha inaugurato il
Regno dei cieli sulla terra. Il Regno dei cieli esiste già, qui, sulla terra, perché Dio è l’Emmanuele, il Dio con noi.
v. 20: Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Prima abbiamo una professione di fede nel Cristo. Adesso dobbiamo nasconderla. Quale stranezza?
La stranezza sta nell’articolo. In Italiano forse non badiamo, anzi siamo più rigorosi. Dire il Messia equivale a dire il Messia della tradizione. Gesù però non lo è. Egli è Messia, è unto, è Cristo.
Gesù è l’inviato del Signore ma non con quei metodi che la gente si aspetta. Ecco perché Gesù intima i suoi discepoli, perché la loro concezione del messia non era ancora purificata completamente.
Egli subito, nei versetti seguenti spiegherà ai discepoli che cosa significa veramente la messianicità di Gesù: è una gloria che passa attraverso la sofferenza, la passione e la morte. Solo allora, nella risurrezione apparirà veramente in tutta la sua pienezza.

La Parola illumina la vita
Abbiamo visto varie opinioni su Gesù che si possono nuovamente elencare, ma quale è la mia opinione su Gesù? Chi sono io per Gesù?
Pietro é pietra, solidità, in due modi. Che tipo di pietra sono io per gli altri? Che tipo di pietra è la mia comunità? Quale è la missione che ne risulta per me, per noi?

Pregare  Rispondi a Dio con le sue stesse parole…
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.           

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani. (Sal 137).

Contemplare-agire
La preghiera è anche la nostra forza. Professiamo la nostra fede non solo con le labbra ma anche con la vita.