giovedì 21 settembre 2017

LECTIO: XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)

 Lectio divina su Mt 20,1-16


Invocare
O Padre, giusto e grande nel dare all’ultimo operaio come al primo, le tue vie distano dalle nostre vie quanto il cielo dalla terra; apri il nostro cuore all’intelligenza delle parole del tuo Figlio, perché comprendiamo l’impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. 8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dá loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 12Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. 15Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 16Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
La parabola odierna è una pagina dalle molteplici interpretazioni. È inserita nel contesto dei cap. 19-20 che registrano lo spostarsi di Gesù e dei discepoli dalla Galilea per poi dirigersi “decisamente” verso Gerusalemme.
La parabola degli operai nella vigna appare soltanto in Matteo e sembra sia una composizione di cristiani «giudei». Essa segnala l’aggravarsi della crisi farisaica dinanzi alla prassi di Gesù. La narrazione riflette una situazione analoga a Lc 15 e sostanzialmente omogenea è la risposta di Gesù. Il quale, ai farisei suoi critici, riconosce due cose: il loro essere sin dall’alba nella vigna e il loro lavorare con frutto. Costoro, come anche il figlio maggiore di Lc 15 da sempre sono con il Padre e da sempre possono essere detti “figli del comandamento”. La loro vita è sinceramente conforme alla Torah. Gesù non sminuisce questo loro comportamento, ma solo notifica ai farisei cosa è ad essi richiesto per divenire “perfetti” come il Padre, che fa scendere sole, pioggia e misericordia sui giusti e sugli ingiusti, sui buoni e sui cattivi: il gioire con lui per il peccatore ritrovato, il non avere l’occhio cattivo e invidioso dinanzi alla bontà di Dio, il divenire come lui, con passione incontenibile, la mano tesa per i pubblicani, per i peccatori, per uomini e donne simili a pecore smarrite e a folle senza pastore. A tutti è chiesto di entrare nelle viscere di misericordia sconfinata del Padre apparsa in Gesù.

Meditare
vv. 1-2: Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba
Nel v. 1, al testo originale, troviamo il termine “gar” che corrisponde al nostro “infatti”; ciò congiunge al versetto precedente: “molti primi saranno ultimi e molti ultimi saranno primi” (19,30). Espressione che tornerà nella parabola.
La similitudine del regno dei cieli al padrone che esce di casa rappresenta il mistero dell’Incarnazione. Notiamo che non è il fattore che esce per assumere operai, ma il padrone stesso. È dunque Dio, cui appartiene il Regno che prende l'iniziativa di reclutare gli operai che gli occorrono.
La nostra fede incomincia nel momento in cui il Padre decide di uscire; decidere di uscire vuol dire decidere di comunicarsi, di rendersi partecipe a noi. Ciò che segna tutta la parabola è l’uscire del Padre. Ora, entrare a far parte della chiesa vuol dire, paradossalmente, uscire. Il nostro modo di essere nella chiesa è quello di uscire. Se ricordiamo, papa Francesco annota spesso questo termine nelle sue omelie o discorsi.
Quindi, ogni convocazione, ogni chiamata che ci viene per giungere alla fede nasce ed è preceduta da un Padrone che esce.
per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.
La vigna è l'immagine usata nell'AT per designare il popolo eletto (cfr. Sal 80,9ss). La fonte più esplicita di questo simbolismo è Is 5,1-7: “Il mio diletto possedeva una vigna... la vigna del Signore degli eserciti è la casa d'Israele”. Lo stesso simbolismo vigna/Israele compare in Ger 12,10: “Molti pastori hanno devastato la mia vigna”.
L’uscire per prendere a giornata lavoratori significa che è vicino il tempo della raccolta, il tempo del giudizio universale concepito come messe (13,39). Quindi la chiamata è per il regno. Però non è sufficiente la chiamata e neppure lavorare per un’intera giornata nella vigna per “un denaro” (la paga giornaliera dell'operaio cfr. Tb 5,15) per vivere realmente la realtà del Regno. Il rischio è quello di considerare il lavoro nella vigna solo fatica e impegno con cui accumulare meriti e rivendicare privilegi, senza quell’accordo, quella sinfonia che costruisce relazione, che costruisce amore.
vv. 3-4: Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono.
Il padrone esce ancora una volta: è l’ora terza. Uscirà ancora altre volte (versetti successivi). L'ora terza ci ricorda il dono dello Spirito sulla Chiesa nascente. L’uscita del padrone mostra che la bontà e la giustizia di Dio si sono manifestate in Cristo, nell’evento dell’incarnazione e della croce. Incarnazione e croce rinviano al dono di Dio e sono l’evento di rivelazione dell’amore e della giustizia di Dio: “Si è manifestata la giustizia di Dio… tutti sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù” (Rm 3,21.24).
La manifestazione della bontà di Dio è in Cristo e in Cristo crocifisso. Quell’evento – la Croce - parla di un amore non contraccambiabile, di un dono che non può essere ripagato, di una gratuità e di una unilateralità assolute da parte di Dio.
La giustizia e la bontà di Dio vanno comprese a partire da quell’evento che non è ascrivibile all’interno dei nostri parametri di giustizia, ma neppure all’interno dei nostri parametri di amore perché Dio, amando il mondo mentre gli è ostile, amando il peccatore e il nemico, non ama chi è amabile di per sé, chi presenta titoli per attirare amore, ma rende amabile chi amabile non è amandolo. Questa è la carità divina ed è la traduzione di “quello che è giusto” e che troverà riscontro nei vv. 12-13.
v. 5: Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.
La giornata lavorativa in Oriente andava dal sorgere del sole fino alla comparsa delle prime stelle, per un totale di 12 ore. L'ora prima, terza, sesta e nona scandivano le principali divisioni del giorno e corrispondono rispettivamente alle 6-9; 9-12; 12-15 e 15-18.
L'invio degli operai nella vigna nelle diverse ore della giornata, ha solo lo scopo di mettere in risalto l'ineguaglianza delle loro prestazioni, a cui il padrone darà uguale ricompensa.
Il padrone esce ancora: è l'ora sesta. È l'ora in cui Cristo paga il riscatto per la nostra salvezza. 
L’uscita del padrone indica anche una preoccupazione. Avremo in questo tempo già finita la vendemmia ed è ancora viva la preoccupazione che si ha per la propria vigna al punto che per essa si esce. A noi sta a cuore la condizione della nostra vigna. La preoccupazione per la vigna, l’invito a lavorarci fanno parte di un unico disegno: se ti preme la vigna, ti deve stare a cuore anche chi è chiamato a lavorarci. Quindi per questa vigna si esce.
vv. 6-7: Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?
L’ora undecima (le ore 17) è l’ora della bontà. Dentro questo contesto di amore e di bontà sorge la domanda sull’accidia, su quella tristezza corrosiva (ebraico “tugah”) del desiderio di Dio.
L’ozio è il nemico dell’anima (Gregorio Magno). L’arma che ci viene offerta è l’alternanza tra lavoro e la lectio divina, cioè il relazionarsi con Dio e nelle cose di Dio. Prega il salmista: “Io piango lacrime di tristezza; fammi rialzare secondo la tua parola” (Sal 119,28).
Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
Ci sta una preoccupazione per la vigna, per il lavoro. C'è una bontà e generosità del padrone che ingaggia sempre più operai. Qui il discorso è importante. Qui c’è la necessità e l’importanza del lavoro, l’importanza di poter lavorare: anche un’ora di lavoro è decisiva.  Ma il tutto ruota a dare un senso che nasce dalla generosità e non dalla necessità.
Il padrone chiama anche queste persone dell’ultima ora, ma non parla di compenso, dice soltanto di andare anche loro a lavorare nella sua vigna.
v.8: Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dá loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi.
In questo versetto inizia la parte più materiale del discorso: l’aspetto della paga. Il padrone viene riconosciuto come “Signore della vigna” e conosce la Legge e la rispetta: “Il salario del bracciante al tuo servizio non resti la notte presso di te fino al mattino” (Lv 19,13; cfr. anche Dt 24,15; Tob 4,15).
La paga ha inizio. La cosa sorprendente è che il pagamento inizia dagli ultimi arrivati e che tutti i lavoratori ricevono la stessa paga.
vv. 9-10: Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.
Alla fine della giornata viene dato il salario, e si comincia da quelli dell’ultima ora. Questi ricevono il salario di una giornata intera; non solo dunque hanno potuto lavorare un po’, ma recuperano tutto il periodo di disoccupazione, potranno dunque aver da mangiare a sazietà.
Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno.
I primi che hanno lavorato tutta la giornata vengono pagati per ultimi: prendono la stessa paga, come quelli che hanno lavorato solo un’ora, e se ne lamentano, come avremmo fatto noi! Pare che salti ogni rapporto di giustizia distributiva – quella virtù per cui si dà a ciascuno quello che gli spetta – se uno lavora “dieci”, il guadagno è dieci, se uno ha lavorato trenta, riceve trenta. Ma nella parabola, non si usa la giustizia distributiva.
vv. 11-12: Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo.
Il verbo mormorare, inserito al v. 11, è un peccato grave (cfr. Es 17,1-7). Il problema non è la paga, visto che il salario è giusto, ma l'invidia che rode dentro nei confronti dei vantaggi che gli altri hanno ricevuto.
L'invidia è la madre della superbia. Gli operai della prima ora non si lamentano per un danno subito ma con la loro invidia vogliono difendere una differenza. È questo che li irrita: la mancanza di una distinzione. Il torto che credono di subire è nel vedere che il padrone è buono con gli altri. È l’invidia del giusto di fronte a un Dio che perdona i peccatori.
Gli Ebrei in esilio dicevano: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti” (Ez 37,11). La condizione di avvilimento toglie il gusto di fare, di lavorare, di impegnarsi. A tutti gli angosciati invece la parabola dice: Non temere! Quando ascolti la voce di Cristo, cioè quando ascolti questa parabola, che è parola di Gesù, devi capire che è una parola per te, operaio dell’ultima ora, se ascolti e accetti di andare a lavorare nella vigna del Signore. Il tempo è ora, non conta quello che è stato il passato. Non è mai giustificata la rassegnazione: devi andare adesso a lavorare. E non devi affannarti per produrre molto: se puoi lavorare, lavora; puoi solo pregare, prega; puoi solo accettare il peso della sofferenza: anche questo è un modo di lavorare nella vigna del Signore. Non stare a contare quello che hai prodotto: il salario non corrisponde mai alla quantità di lavoro fatto.
vv. 13-14: Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te.
Qui si innesta la risposta del padrone nei confronti di chi mormora. Il padrone fa notare che in realtà non ha rubato niente a nessuno: quelli che hanno lavorato un giorno intero, hanno lo stipendio esatto secondo le norme e secondo il contratto. Non è violata la giustizia.
C’è un insegnamento anche per gli operai della prima ora, che hanno lavorato tutto il giorno, sopportando il caldo e che, ora, mormorano perché ricevono solo un denaro come gli ultimi.
Nell’ottica della parabola, invece, dovrebbero essere contenti di aver potuto lavorare tutto il giorno, di non aver mai avuto un momento di insicurezza, certi di poter mangiare; dovrebbero essere contenti di aver potuto lavorare e produrre di più per il Signore. Questi operai dovrebbero capire che il rapporto con Dio non è semplicemente un rapporto salariale, – per una certa quantità di lavoro, tu mi rendi un certo salario –; il lavoro nella vigna del Signore infatti non si basa su un rapporto di salariato-padrone, infatti il padrone chiama l’operaio “amico”. Lavorando nella vigna del Signore, il salario è Dio stesso; non è qualche cosa, ma la comunione con Dio, che rimane sempre un dono infinitamente più grande di quello che abbiamo potuto fare noi, un dono che viene dalla generosità di Dio per tutti e per il quale possiamo semplicemente benedire e ringraziare senza pretendere niente.
vv. 15-16: Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
Bisogna entrare in una concezione non farisaica della vita religiosa: “farisaico” ha per noi un significato negativo, ma, di per sé, esprime l’esigenza per cui alle mie opere, Dio risponde con un salario equivalente: se moltiplico le opere, avrò di più.
Nell’ottica di Gesù invece, questo rapporto non ha senso: non conta la quantità delle opere. Occorre, sì, farle con amore, con spirito filiale, ma poi dobbiamo fidarci del Signore, senza più misurare niente. E se a qualcuno questo comportamento può sembrare ingiusto, e non gli sta bene, è perché il suo è un “occhio maligno” (Mt 20,15), quello dell’avaro, dell’invidioso (Dt 15,9), di colui che fa tutto per la sua convenienza. Questi non potrà mai capire l’agire di un Dio che non “cerca il proprio interesse” (1 Cor 13,5), ma quello dell’uomo.

La Parola illumina la vita
Quali sentimenti suscita in me la parabola degli operai chiamati alla vigna?
Come cristiano/a, che importanza do’ al mio lavoro. Lo svolgo seriamente, con impegno, con una professionalità adeguata? Mi lascio identificare come cristiano sul lavoro o preferisco rimanere in una ‘zona grigia’ non ben distinta?
Mi capita mai di sentire invidia o rancore per qualcuno che riscopre la fede dopo una vita "disordinata"?
Quali fatiche trovo nell'accogliere gli altri come fratelli e sorelle?

Pregare  Rispondi a Dio con le sue stesse parole…
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Grande è il Signore e degno di ogni lode;
senza fine è la sua grandezza.  

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità. (Sal 144).

Contemplare-agire
“Guardate al vostro modo di vivere e verificate se siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello che fa e consideri se lavora nella vigna del Signore” (Gregorio Magno).