mercoledì 4 ottobre 2017

LECTIO: XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (A)

Lectio divina su Mt 21,33-43


Invocare
Padre giusto e misericordioso, che vegli incessantemente sulla tua Chiesa, non abbandonare la vigna che la tua destra ha piantato: continua a coltivarla e ad arricchirla di scelti germogli, perché innestata in Cristo, vera vita, porti frutti abbondanti di vita eterna.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
33«Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a  ritirare il raccolto. 35Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. 36Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! 38Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede;  venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. 39E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. 40Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». 41Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? 43Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
La parabola degli operai omicidi è racchiusa da Matteo nella cornice di altre due parabole: quella dei due figli (21,28-32) e quella del banchetto di nozze (22,1-14). Insieme le tre parabole contengono una risposta negativa: quella del figlio al padre, di alcuni contadini al padrone della vigna, di certi invitati al re che celebra le nozze del suo figlio. Le tre parabole tendono a mostrare un unico punto: si tratta di coloro che, come non hanno accolto la predicazione e il battesimo di Giovanni, ora sono unanimi nel rifiuto dell’ultimo inviato di Dio, la persona di Gesù. L’introduzione alla prima parabola di Mt 21,28-33 è da ritenersi anche per la parabola degli operai omicidi: Giunse al tempio e mentre insegnava i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo gli si avvicinarono domandandogli: Con quale autorità agisci così? Chi ti ha dato questa autorità? É l’aristocrazia sacerdotale e quella secolare ad avvicinarsi a Gesù quando egli entra nel tempio. Sono preoccupati della popolarità di Gesù e pongono delle domande a Gesù per sapere due cose: che tipo di autorità si attribuisce nel fare quello che fa, e la provenienza di tale autorità. In realtà la seconda risolve il quesito della prima. I sommi sacerdoti e i capi del popolo esigono una prova giuridica: non si ricordano più che i profeti avevano autorità direttamente da Dio.
La parabola inizia con una citazione del cantico isaiano della vigna (Is 5, 1-7). Questa citazione è importante perché Isaia offre una chiave di lettura: “La vigna del Signore era la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita”. Si dovrà dunque escludere a priori qualunque interpretazione della parabola che contraddica palesemente questa premessa: il Signore della vigna cambierà i vignaioli, ma non la vigna!

Meditare
v. 33: Ascoltate un’altra parabola:
La parola inizia con l'invito all'ascolto. Ciò significa l'incapacità nostra di stare ad ascoltare e nello stesso tempo, un richiamo alla professione di fede: shemà! Le parole dello Shemà sono 245. Ripetendone l'ultima espressione diventano 248, tante quante sono, per tradizione, le membra del corpo umano. Ciò vuole ricordare che bisogna aderire alle parole dello Shemà con tutta la propria persona. Ecco perché Gesù dice: “ascoltate!”, per porre attenzione con tutta la persona a quanto sta per dire. L'attenzione verte su un padrone della vigna.
C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò.
Innanzitutto c’è l’iniziativa di un padrone che pianta una vigna. Tale attenzione e cura viene descritta da Matteo con cinque verbi: piantò... circondò... scavò... costruì... affidò. Il versetto termina ancora con un verbo: andò.
Il tema della vigna è un tema molto caro a Israele e immediatamente percepibile è il richiamo a Isaia 5 e al salmo 79. C’è una grande dedizione per la quale il raccolto non è tanto qualcosa che viene chiesto, ma dobbiamo metterci nell’ottica della reciprocità. Tutta l’azione di Dio è azione aperta, è azione che può andare delusa. Pensiamo al canto della vigna: mentre aspettavo che producesse uva buona, essa fece uva selvatica. Qui non c’è semplicemente l’atteggiamento di delusione, quanto piuttosto l’atteggiamento di chi si vede deluso da un rapporto di amore. Per quanto lui ci abbia amato, di fatto siamo venuti a meno a questo rapporto. Pensiamo a come la sposa del Cantico parla di se stessa: la mia vigna, l’ho custodita; cioè, ho incontrato colui al quale appartenere. Proviamo a trasferire questo nel cuore di Dio, nel cuore di Colui che si vede deluso da un rapporto che è venuto meno a causa dell’infedeltà del suo popolo.
Il Regno di Dio non è offerto in dono ai vignaioli. Prova ne è che viene dato in affitto (soprattutto nel testo parallelo di Marco si specifica questo) ai vignaioli (cfr. anche Mt 25,14). Il Regno di Dio non è offerto in dono, ma il regno di Dio “è” il donare, è il dono. Dio non si offre in dono, Dio è il dono, è il donare. E i vignaioli pagano un affitto, pagano un prezzo. Non per accogliere il dono si paga un prezzo, ma per entrare nel dono, per avere parte a Colui che è il dono, che è il donarsi, si paga un prezzo. E il prezzo è diventare simili al dono, diventare come il donare.  
vv. 34-36: Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto.
Gli agricoltori messi nella vigna non erano mezzadri, bensì semplici braccianti, quindi dovevano consegnare al padrone tutti i frutti.
I servi non hanno il ruolo di esattori; infatti sono i profeti che Dio inviò ad Israele nei vari momenti della sua storia. La loro presenza è sinonimo della non rassegnazione di Dio a vedersi escluso da questo rapporto di comunione, da questo rapporto di amore.
Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo.
Purtroppo questo amore continua ad essere bastonato, ucciso. Un trattamento riservato dal popolo eletto ai messaggeri di Dio (cfr. Mt 23,37). Il profeta viene anche lapidato, così come accadde a Zaccaria in 2Cr 24,20-22 (cfr. Mt 23,35).
Con queste due riprese Matteo sembra alludere ai due gruppi di profeti della storia di Israele, i profeti anteriori e quelli posteriori, secondo la suddivisione della Bibbia ebraica. Comunque tutti questi vengono trattati allo stesso modo.
vv. 37-38: Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio!
L’espressione “da ultimo…” richiamano i vv. 29 e 32 dove il padrone, alla fine, decide di rischiare il tutto per tutto: l’invio del figlio. L’invio del Figlio è espressione dell'incarnazione del Verbo. È l'espressione di un Padre che ha dato fondo a tutta la sua capacità di alleanza, che non si è risparmiato, per il quale conta questa reciprocità di amore di coloro nei confronti dei quali ha avuto una grande cura.
Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità.
Ma il cuore dell'uomo è sempre ostinato, duro, invidioso. Il loro ragionamento non guarda in faccia nessuno: uccidono l’erede per avere l’eredità. Il problema non è tanto il pensare di poter possedere (l’eredità sarà nostra) e nemmeno tanto di aver ucciso l’erede (Dio avrebbe perdonato anche questo). Il vero problema è aver gettato l’erede fuori della vigna: in questo modo i vignaioli si sono esclusi dalla Trinità, da quel darsi eterno del Padre al Figlio nell’Amore. L’essere fuori dalla Trinità è la morte. Poiché la vita è in quell’eterno “darsi reciproco” che verrà affidato ad altri.
v. 39: E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero.
I vignaioli omicidi, senza saperlo, pronunciano una profezia. È evidente il riferimento alla passione di Gesù, condotto fuori dalla città per essere crocifisso (Gv 19,20; Eb 13,12). Viene alla mente la folla che accompagna Gesù alla crocifissione e che, ancora una volta in modo ignaro, grida: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. E sarà così. Ma proprio nella sua condizione di “cacciato fuori” dalla vigna e attraverso la sua crocifissione Gesù ci rende partecipi della sua eredità. Per noi la condizione di crocifisso è una condizione che pone fine al nostro rapporto con Dio; per Dio la crocifissione del suo Figlio esprime in pienezza la sua misericordia per noi.
Dell’eredità tutti possono essere partecipi per la decisione del Padre di consegnarci il suo Figlio e per il dono che Gesù ha deciso di fare della sua vita. In fondo la nostra vocazione è la vocazione di coloro che si sanno partecipi della comunione con Dio proprio per i “cacciati fuori”. Va in questo senso anche la citazione del Salmo: “la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo” (Sal 118,22-23). Attenzione: è la pietra scartata che diventa testata d’angolo. Non è che ci sia una azione previa per cui la pietra scartata viene di nuovo quadrata; ma in quanto scartata è pietra d’angolo.
vv. 40-41: Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?. Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
Ora Gesù coinvolge nella storia i suoi uditori e fa emettere loro la condanna che i colpevoli si meritano. Come il profeta Natan fece con Davide, anche Gesù si mette su un piano di giustizia umana e fa sì che i colpevoli si condannino da soli. Infatti, la loro risposta è la condanna in uso a quel tempo: il male commesso doveva essere punito con un male della stessa entità.
I principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo non hanno capito la logica di Dio, che non esita a donare il suo Figlio per la vita del mondo. Ma soprattutto non hanno capito che quei malvagi su cui invocano la morte sono loro. Proprio loro sono quei vignaioli omicidi che non esiteranno, nella passione del Signore, a mettere a morte Gesù. Ma in quei malvagi potremmo essere anche noi, perché nessuno, durante la passione di Gesù, si è schierato dalla sua parte o a sua difesa. A tutti e a ciascuno è rivolto quel che dice S. Pietro: “Questo Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36).
vv. 42-43: E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?
Qui Gesù risponde citando la Sacra Scrittura. Si tratta del Sal 113-118, l’ultimo del piccolo Hallel. Un salmo di ringraziamento. Di ritorno dalla battaglia, da cui è uscito vittorioso, il re sale al tempio con il popolo per il rendimento di grazie. I sacerdoti gli rendono onori all’ ingresso del santuario. Il Sal 118,22 è un versetto che usa la simbologia delle costruzioni, in cui la pietra angolare è fondamentale perché tiene uniti due muri che si congiungono ad angolo. Questa Pietra è Cristo, che scartata dagli uomini, cioè buttata via, in realtà diventa il fondamento della costruzione. È la vittoria di Dio sul male. È un vittoria che non ha morti né feriti, perché Gesù una vota per tutte ha preso questo male, ne  ha condiviso gli effetti  insieme agli uomini di tutti i tempi scartati, considerati un intralcio al potere e all’egoismo e l’ha vinto con l’amore. E ogni domenica celebriamo  la vittoria di Dio  sul male, che si realizza nella resurrezione. Il  Cristo crocifisso pietra scartata, adesso risorto è la pietra angolare del nuovo edificio, la Chiesa popolo di Dio, segno d’amore e di riconciliazione a favore di tutta l’umanità.
Gesù canta il grande Hallel (salmo 113-118) dopo l’ultima cena, in cammino verso l’orto degli ulivi, in un momento drammatico della sua vita. Nessuno è profeta in patria (cfr. Mc 6,4), neanche il figlio di Dio, perché nessuna patria ama i suoi profeti. Il profeta vero, facilmente dunque va a cozzare contro l’incredulità della sua patria, dei suoi amici e dei suoi parenti i quali si rendono incapaci di accogliere la manifestazione di Dio nel quotidiano e nelle situazioni più semplici.
A tutt’oggi è ancora così. È più facile che accogliamo lo straniero dimenticando che in realtà nella terra di Dio siamo tutti stranieri.
Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.
Il versetto indica la solennità dell’azione di Dio con cui viene segnata la storia dell’antico d’Israele e quella del nuovo popolo.  Qui “popolo” (ethnos) non sta ad indicare - come di consueto - le nazioni pagane (i gentili) né il popolo eletto (concetto reso con il termine laos), ma la nuova comunità dei credenti Ebrei e pagani che formano la Chiesa di Cristo; quella comunità che nasce dal costato trafitto di Cristo e dal suo dono all’umanità  dello Spirito Santo, quello Spirito che guida l’esistenza cristiana.
Questa parte finale del racconto parabolico afferma la perdita del regno di Dio e la sua cessione a un altro popolo capace di portare frutti, cioè capace di una fede viva ed operante in una prassi d’amore. Gesù è la vite che porta frutto. Dall’albero della croce scaturisce la vita; dall’albero della croce nascono i germogli della nuova vita. Dalla croce di Gesù, dalla sua morte e dal suo fianco squarciato scaturisce per l’umanità il dono dello Spirito Santo, quel frutto che è in grado di portare frutto a sua volta. Dalla croce di Cristo si ha l’apertura al mondo dell’amore trinitario, l’apertura di Dio fuori di sé.

La Parola illumina la vita
Quale volto di Dio ricerco nella vita di tutti i giorni?
Che opere mi ha chiesto il Signore di compiere quando mi ha mandato nella sua vigna?
Mi sono ritrovato tra coloro che rappresentano l'umanità che dimentica di essere in affitto, che non sa vivere nella gratitudine del dono della vita, che gli viene soffiata a ogni istante?
Quale eredità desidero? Ne sono geloso? La ricerco? Come?

Pregare  Rispondi a Dio con le sue stesse parole…
Hai sradicato una vite dall’Egitto,
hai scacciato le genti e l’hai trapiantata.
Ha esteso i suoi tralci fino al mare,
arrivavano al fiume i suoi germogli.

Perché hai aperto brecce nella sua cinta
e ne fa vendemmia ogni passante?
La devasta il cinghiale del bosco
e vi pascolano le bestie della campagna.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.

Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo,
fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. (Sal 79).

Contemplare-agire
La parola di Dio non la si può comprendere se Dio stesso non apre il cuore (At 16,14). A noi, però, compete l’ascolto che è adesione, assenso silenzio. Per non far prevalere la curiosità sull’ascolto, sosta in silenzio davanti alla Parola e lasciati trasportare da Essa nella ricerca del volto di Dio.