mercoledì 26 dicembre 2018

LECTIO: SANTA FAMIGLIA DI GESÙ (C)


Lectio divina su Lc 2,41-52

Invocare
O Dio, nostro Padre, che nella santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, fa’ che nelle  nostre famiglie fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Nella concludere il Vangelo dell’Infanzia, Luca ci presenta il mistero di Gesù, partendo dalla sua libertà nei confronti della sua famiglia. Certo non è l'unico aspetto che può essere considerato da questa pagina biblica. Ma è una verità importante a cui ognuno deve dare la sua sottolineatura per capire i rapporti famigliari e in particolare il suo rapporto con Dio, così come fa Gesù.
La pericope di Luca, tradizionalmente titolata: “Gesù tra i dottori”, è l’unico episodio della vita del Signore, tra la nascita e l’inizio della vita pubblica, raccontato dai vangeli canonici (gli apocrifi invece sovrabbondano di narrazioni, forse per rispondere a una insopprimibile curiosità devota) in cui viene evidenziato il mistero di Gesù.
Luca riempie il lungo silenzio degli anni nascosti di Gesù con due frasi molto simili, che descrivono sommariamente il suo svilupparsi come uomo (2,40.52). Incorniciato dai due ritornelli sta il racconto del viaggio a Gerusalemme; il suo scopo è come quello di pilone di sostegno di un ponte dall'arcata troppo lunga: interrompe il salto sul vuoto e proietta profeticamente verso gli sviluppi futuri. Dodici anni indica l’uscita dalla fanciullezza, l’inizio della maturità. Questo primo viaggio di Gesù a Gerusalemme prefigura l’altro viaggio, “l’esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9,31), il cammino verso la croce, che occupa la seconda parte del Vangelo di Luca (in 9,51 è sottolineata con forza la svolta nella narrazione).
Il canto al Vangelo che troviamo nella liturgia, tratto da At 16,14, è la giusta disposizione all'ascolto.

Meditare
v. 41: I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Gerusalemme, tre volte l'anno si riempie dei pellegrini, che, secondo il comando del Signore, si recavano al Tempio per le celebrazioni: "Tre volte all'anno farai festa in mio onore: Osserverai la festa degli azzimi...Osserverai la festa della mietitura...la festa del raccolto, al termine dell'anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. Tre volte all'anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio" (Es 23,14-17).
L'obbligo era posto sul maschio ebreo, ma questi era inseparabile dalla sua famiglia, che così, in un certo senso, era computata come parte solidale di lui per ogni adempimento della Legge.
Andare tre volte l'anno al Tempio significa che Israele è un popolo "sempre in cammino verso il suo Dio e riceve la sua identità e la sua unità sempre di nuovo dall'incontro con Dio nell'unico Tempio" (Benedetto XVI).
Il versetto parla di “ogni anno”. Non tutti avevano questa possibilità di affrontare il viaggio tre volte l’anno. Almeno una volta sì. I genitori di Gesù compiono quanto detta la Legge e fecero più di quanto esigeva la legge e tutta la Santa Famiglia si unisce a questo popolo in cammino. 
v. 42: Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa.
Gesù ha dodici anni, l'età in cui, secondo tradizioni giudaiche, il dodicesimo anno di Gesù era legato all'usanza del bar mitsvah (il figlio del precetto). La Bibbia ci ricorda che a quell’età Samuele cominciò a profetizzare (1Sam 3) e Daniele pronunciò una sentenza molto saggia (Dan 13). 
La scena al Tempio possiamo collegarla a quella precedente (2,1-40): per la seconda volta, Gesù è nel tempio. La prima volta si era manifestato per mezzo del cantico profetico di Simeone: Adesso, seconda volta, la sua sapienza ai dottori della legge e la sua relazione con il suo Padre celeste ai suoi genitori.
v. 43: trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
La festa pasquale durava sette giorni. La partenza avveniva solo dopo il secondo giorno festivo. Alla fine della settimana Giuseppe e Maria partirono e si viaggiava suddivisi in gruppi di parenti e conoscenti Gesù si sottrae all'attenzione premurosa e si ferma nel tempio, nella casa di suo Padre.
Attenzione, "rimase" e non si "smarrisce"! Gesù rimane nel luogo della preghiera; rimane nel luogo dell'ascolto; rimane ad insegnare. Un giorno in questo luogo resterà nuovamente per essere crocifisso.
v. 44: Credendolo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra parenti e conoscenti
Giuseppe e Maria non possono non pensare che Gesù sia nel "cammino con gli altri" (synodia). Un giorno, anche le donne al sepolcro cercheranno tra i morti colui che è vivo (Lc 24.5). Ma "le sue vie non sono le nostre vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri" (Is 55.8). Passano dalle tre alle cinque ore di viaggio, cioè siamo alla sera quando la famiglia si riunisce (durante il cammino ci si può mescolare), i Genitori di Gesù si accorgono che Lui non si trova tra i parenti o gli amici. Questo particolare tornerà ancora, quando ascolteremo che la famiglia di Gesù "sono coloro che ascoltano la Parola di Dio" (Lc 8,21).
v. 45: tornarono in cerca di lui a Gerusalemme
I Genitori di Gesù non lo trovano. Il cuore in questo momento è umanamente triste e religiosamente cieco. Maria comincia a vivere il distacco da Gesù e tutta la sua vita terrena sarà essenzialmente così. Il distacco vuol dire che pian piano il Bambino appare come colui che non appartiene a lei, di cui lei è la madre che ha generato non per se stessa, ma per Dio e per il mondo, perché faccia la volontà di Dio e compia la sua missione nel mondo.
Quello che è significativo è questo: il distacco di Gesù da Maria non vuole dire per Maria una perdita di significato e di fecondità, anzi, vuol dire che questa fecondità diventa ancora più grande. In realtà, la maternità di Maria viene dilatata, affiliata e diventa maternità ecclesiale. Ogni distacco che ci viene chiesto nella vita è solo l’occasione per una dilatazione della nostra vita. Di fronte al distacco una persona ha l’impressione che la vita diventi più stretta, misera, povera, perché perdiamo qualcosa di bello. La legge del vangelo è che ogni distacco, in realtà, arricchisce la vita, perché: “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
v. 46: Dopo tre giorni....
Almeno cinque volte nel Vangelo e un’altra negli Atti, Luca usa l’espressione “tre giorni” o “terzo giorno” in relazione alla morte e resurrezione di Gesù. Poiché l’episodio di “Gesù tra i dottori” è ricco di segnali e riferimenti alla vita adulta di Gesù, i tre giorni di ricerca di Gesù da parte di Maria e Giuseppe alludono allo spazio temporale tra la Croce e la Risurrezione.
La vicenda di Maria è quella di ogni credente che “trova Gesù nella casa del Padre dopo tre giorni”. Il terzo giorno nella teologia neotestamentaria è il giorno della risurrezione. Ritrovare Gesù nella casa del Padre dopo tre giorni è, quindi, lo sbocco ultimo della fede, è un annuncio pasquale, è un invito a cercare sempre Gesù dove realmente è.
lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava.
Il tempio di Gerusalemme è la meta finale del viaggio di predicazione di Gesù, è la “casa di preghiera” (Lc 19,46), il luogo in cui negli ultimi giorni della sua vita “insegnava ogni giorno” (Lc 19,47) e “annunciava la parola di Dio” (Lc 20,1).
Nel tempio si conclude il vangelo di Luca, con gli Undici che vi “stavano sempre lodando Dio” (24,53) e ancora nel tempio troviamo numerose volte gli apostoli agli inizi della Chiesa (At 2,46; 3,1ss; 5,20ss).
Con Gesù al tempio, Luca anticipa il punto d’arrivo della missione del Signore e il punto di partenza della missione della Chiesa.
Gesù è trovato seduto. il verbo greco kathézomai, stare seduto in luogo visibile richiama quello del maestro in cattedra (cfr. Mt 26,55).  Gesù è il nuovo Rabbino che viene ascoltato e interrogato dai rabbini del tempio. Gesù è un fanciullo sapiente e intelligente riguardo alle Sacre Scritture; in lui è nascosta e presente la volontà di Dio.
Con il suo stare seduto, Gesù preannuncia il suo ruolo di maestro escatologico venuto a esporre in maniera perfetta la volontà del Padre, così come il ritrovamento dopo tre giorni nella casa di suo Padre è un accenno che prefigura il mistero pasquale, la risurrezione.
v. 47: E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte
Il dialogo con i dottori del tempio, in cui Gesù “li ascoltava e li interrogava”, sta a significare il legame di continuità tra l’Antico Testamento e il Vangelo, il loro continuo interrogarsi e rispondersi. Nello stesso tempo, però, lo stupore che coglie i maestri di Gerusalemme “per la sua intelligenza e le sue risposte” raggiunge gli astanti. Già da adesso la dottrina del Signore suscita "meraviglia", in seguito questo risulterà anche da altri contesti evangelici (cfr. Mt 7,28-29; Gv 7,14b-15). Questa meraviglia la incontreremo nuovamente alla risurrezione, con i discepoli di Emmaus che raccontano la sorpresa che aveva suscitato la notizia della resurrezione portata dalle donne al gruppo di discepoli (24,22-23). Più avanti sarà chiamato e ritenuto maestro (10,25) e il popolo si meraviglierà della sua dottrina e dichiarerà che egli insegna come uno che ha autorità e non come gli scribi (Mt 7,28ss).
v. 48: al vederlo restarono stupiti…
“alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti” (Lc 24,22). Si tratta dello stupore di chi si trova dinanzi a un fatto che supera l'attesa e la comprensione. La stessa meraviglia la riscontriamo nei genitori. Questi, al vederlo, gli raccontano tutto il loro dolore della perdita e l'ansia della ricerca.
sua madre gli disse: figlio perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io angosciati ti cercavamo.
Le parole di Maria sono l'espressione spontanea del dolore e dell'angoscia di quelle lunghe ore di ricerca. Per Maria iniziano a compiersi le parole profetiche di Simeone (cfr. Lc 2,35).
Maria da vera madre, parla a Gesù come se fosse un bambino ma in realtà è un ragazzo. Comincia ad appianarsi il mistero che circonda Gesù. Egli ha la coscienza che supera quella di ogni altro uomo.
v. 49: Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».
In questa risposta di Gesù, risuona il verbo "devo", che lo troveremo in altri nove casi, ciò dimostra che la missione di Gesù (4,43) e soprattutto la sua passione-resurrezione (9,22; 24,26) rientrano nel piano divino della salvezza che egli si assume.
In questo versetto risuona quel "principio" di cui parla Giovanni nel suo prologo. Gesù ha la coscienza di essere presso il Padre, di essere Figlio di Dio secondo la Scrittura: “Proclama di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore” (Sap 2,13).
Gesù chiama Dio “Abba” “Padre”. C’è questo: “Padre mio” che sembra incominciare a costituire una forza di attrazione più grande che non la famiglia, la casa di Nazareth e i suoi genitori; c’è qualcosa che pian piano allontana Gesù. È vero che dopo Gesù ritorna con i genitori e “stava loro sottomesso”, però, intanto, questa piccola frattura si è manifestata.
Gesù ha percepito la sua vita è dominata da un “io devo” che guida la sua vita consacrata al regno di Dio (4,43). È un’attrazione fortissima nei confronti della sua vita, tanto da diventare tutto l’orizzonte del suo mondo e la motivazione delle sue scelte. E nel dialogo e nel rapporto che si sviluppa con i suoi genitori emerge una paternità divina che prevale sui rapporti umani.
v. 50: Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro
Maria e Giuseppe non compresero le parole del figlio. La fede dei due è una fede in cammino, che deve maturare. E' presto per comprendere.
Maria è cresciuta nella conoscenza del Figlio, per mezzo dell'angelo, dei profeti e della Sacra Scrittura. Ma qui, nonostante tutto rimane un enigma. Per Maria e Giuseppe, non comprendere l’agire del loro figlio equivale a non comprendere l’agire di Dio. Ogni rivelazione presenta nuovi enigmi: la nascita in una mangiatoia, la sua infanzia, la sua vita coi parenti e col popolo, il suo fallimento, la sua morte in croce. Abbiamo sempre bisogno della parola rivelatrice e della meditazione su Gesù e sugli eventi salvifici. Anche se Gesù ci fosse del tutto familiare, rimarrebbero ancora oscurità e misteri.
Maria e Giuseppe, come i discepoli di Emmaus, non capirono che bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua Gloria (24,26). Infatti, da questo luogo di culto inizia il cammino che avrà il suo culmine nella Croce.
v. 51: Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso.
Gesù ritorna coi Genitori a Nazareth, ritorna alla vita normale della sua famiglia vivendo in umiltà, semplicità, obbedienza verso i genitori terreni; questi non sanno qual è la missione di quel bambino; lui la conosce, sa quello che loro non sanno, però si sottomette a loro. Ma si sottomette a loro con una missione nuova e grande, quella missione che lo pone in un rapporto unico ed esclusivo con Dio.
L’esperienza cristiana è fondamentalmente un fatto di sottomissione che si concretizza nell'obbedienza alla Parola, ove “obbedire” significa “ascoltare la voce ponendosi sotto”. Mediante l'obbedienza, Gesù si prepara alla glorificazione dopo il battesimo. "E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono" (At 5,32).
Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.
Maria capisce che anche per lei deve iniziare quel faticoso itinerario di fede che le farà scoprire il mistero del suo Figlio ai piedi della croce. Maria inizia a comprendere che il suo distacco dal Figlio non è segno di lontananza ma di vicinanza, perché con la fede ella entra sempre più nel progetto di salvezza che il Cristo sta attuando.
Questi avvenimenti riempiono lo spirito di Maria e diventano luce della sua vita. Nella storia ci sono i segni del compimento della volontà d Dio, ma sono velati e possono essere colti solo attraverso una rivelazione di luce interiore.
Parte essenziale della vita spirituale è il silenzio, perché solo nel silenzio si può cogliere il mistero delle cose. La superficie delle cose la si coglie immediatamente perché bastano i sensi degli occhi o degli orecchi. Ma il mistero delle cose e degli avvenimenti richiede uno svelamento.
Maria ha custodito e amato “queste cose” nel suo cuore e pian piano dentro di lei le hanno rivelato il disegno di Dio: il loro pieno e vero significato.
Questo ha fatto di Maria l'immagine della Chiesa, che custodisce la parola nel suo cuore, fin dal principio (cfr. 1,1-4) e la trasmette.
v. 52: Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini
L'evangelista conclude, riprendendo la Sacra Scrittura, dicendo che Gesù "progrediva in sapienza e in statura e in grazia presso Dio e uomini". Luca usa per Gesù l'esperienza del giovane Samuele: “Andava crescendo e avvantaggiandosi presso Dio e presso gli uomini” (1Sam 2,26). Infatti “tutti i profeti, quanti parlarono da Samuele in poi, anche essi annunziarono questi giorni (di Gesù Cristo)” (At 3,24; cfr. 13,20).
"Grazia" indica amabilità nei confronti di Dio e degli uomini che include non soltanto la santità ma anche la gentilezza, il tatto, il fascino. Gesù crebbe sotto ogni aspetto - fisico, intellettuale, emotivo, spirituale - per la grande opera che l'aspettava.
Da questo momento in poi la sua sapienza è compiere la volontà del Padre e resistere a Gerusalemme. La sua statura è quella che assumerà crescendo nel cuore dei credenti fino alla consegna definitiva del Regno al Padre. La sua grazia è il suo essere insieme presso il Padre e presso di noi.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
▪ Sosto davanti alla Parola? Sono capace sull'esempio di Gesù a vivere sottomesso?
▪ Resto nel tempio per occuparmi delle cose di Dio?
Vi è nella mia famiglia il senso del sacro? Come genitore, mi preoccupo spesso di più dei progetti sui figli, che di quelli di Dio?
Ho ancora rispetto del piano di Dio sulla mia vita? Come genitore pongo attenzione a questo "piano", attraverso la fede, la preghiera, una pedagogia fondata sulla Parola di Dio?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.

Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore.

Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato (Sal 83).

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
La santità della vita familiare di Gesù, Maria e Giuseppe sono un modello da seguire per la santità delle nostre famiglie, luogo privilegiato per scoprire la figliolanza e la volontà di Dio Padre, perché possiamo compierla nella libertà, nella fedeltà e nella giustizia.
Nel silenzio del cuore incontra il Signore. Ripeti spesso e vivi questa Parola: "devo occuparmi delle cose del Padre mio".

martedì 25 dicembre 2018

LECTIO: NATALE DEL SIGNORE (C)


Lectio divina su Gv 1,1-18

Invocare
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana.
Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere 
1In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Giovanni scrive molti anni dopo dei Sinottici e la sua opera è un cammino meditativo-fattivo della Parola per una comunità matura nella fede. Un vangelo per quanti hanno fatto un bel percorso di fede nel discepolato.
Questa sua meditazione fattiva della Parola, apre il quarto Vangelo con questo straordinario brano poetico, che non è altro che un inno alla Parola di Dio rivelatrice e operante nel mondo. È una sintesi meditativa di tutto il mistero del natale, per capire chi è colui che nato e chi siamo noi, perché il bambino di Betlemme è la rivelazione di Dio, la verità di Dio e dell'uomo.
I primi tredici versetti, che costituiscono la prima parte dell’inno, ci presentano il Verbo dalla sua origine: siamo nell'ambito della relazione tra le Persone Divine. La Parola di Dio, ad un certo momento, entra in contatto col mondo, con l’umanità, si fa Luce cioè si rende visibile a noi, incarnandosi. 
Tale evento viene cantato in una irruzione di gioia al versetto 14, in cui comincia la seconda parte del Prologo (vv. 14 al 18), ove viene evidenziata la possibile accoglienza del Verbo per diventare figli di Dio: la «buona novella» della figliolanza divina si trova proprio al centro dell’inno (vv. 12-13).
Tuttavia questo dono di Dio, totalmente gratuito, molti non lo vedono o lo rifiutano. Ci sono però anche coloro che se ne accorgono e lo accettano. E' l'incarnazione per amore degli uomini fino alla fine, senza tirarsi indietro, rispettando la libertà dell’uomo di crocifiggere l’Autore della vita. 

Meditare 
v. 1: in principio
Così inizia questa meditazione profonda. San Giovanni ama iniziarlo riprendendo l'inizio del cammino biblico (Gen 1,1). Infatti, qui troviamo i temi di creazione, di luce e tenebre. Il “principio” di cui parla l’Evangelista non è uguale al principio della creazione, perché la creazione viene nel v. 3. Giovanni si riferisce  al periodo prima della creazione ed è una designazione, più qualitativa che temporale, della sfera di Dio.
era il Verbo
Qui troviamo l’affermazione di un’esistenza che precede questo inizio: fin da questo principio «esisteva» il Verbo. “Verbo” è la Parola. La parola è il mezzo attraverso il quale ci si esprime. Il testo afferma che in principio, al momento dell’atto creatore, c’era la Parola, cioè la comunicazione che Dio fa di se stesso. 
Nell'ambiente filosofico greco questo termine indica la «parola che porta un senso», che lo svela pienamente. Mentre, nell'ambiente giudaico, la parola, dabar, come tale appartiene alla sfera di Dio; essa rivela l’essenza stessa di Dio.
Il verbo greco utilizzato: ‘en (essere, esistere) è tradotto in italiano, per rendere l’idea, aggiungendo un già, che possiamo dare l'idea di questa lettura: All'inizio (della creazione) già c’era il Verbo che con il suo imperfetto esprime in modo particolare l’esistenza.
Nel suo Prologo, Giovanni riformula l’identità del Verbo alla luce di categorie veterotestamentarie.
Il Verbo era presso Dio 
L’espressione verbale esprime l’idea di innanzi, presso, in relazione a e viene usata per indicare l’esistenza del Logos in relazione a Dio. Si può anche pensare che il Verbo era in compagnia di Dio; oppure: era verso Dio, cioè in relazione con Dio. Nei testi originali Dio viene specificato con il titolo di Padre. Il Verbo, quindi, partecipa della sua vita come persona distinta orientata a lui.
Il Verbo era Dio
Non si può indagare in che modo la Parola giunse all'esistenza. Più avanti Gesù dirà: “Io Sono” un richiamo a Es 3,14-15 e che Giovanni citerà più volte.
In queste pochissime parole Giovanni descrive un accenno al mistero della relazione Padre-Figlio, nell'unicità di Dio che nel testo greco Theòs én o’ logos: l’uso di theòs, senza articolo, esprime meglio la partecipazione alla natura divina. Il Logos possiede la natura divina pur non essendo il solo ad averla.
v. 2: Egli era in principio presso Dio
Qui viene ripreso il v. 1 ponendo l’attenzione del lettore nuovamente verso la creazione. Giovanni ripetendo che il Verbo era presso Dio sembra voler sottolineare che l’atteggiamento fondamentale del Verbo, il suo essere verso Dio, dovrà servire da modello rispetto a tutto ciò che nascerà mediante la Parola.
v. 3: Tutto è stato fatto per mezzo di lui
Dopo aver presentato il Verbo nella sua relazione immediata con Dio, ora lo sguardo è concentrato sulla relazione del Verbo con il mondo. Già l’AT collegava la creazione del mondo alla parola di Dio o alla sapienza divina. 
Ora, affermando che tutto avviene per mezzo del Verbo, l’evangelista vuole dire anche che tutto mediante il Verbo prende senso.
Senza di lui nulla è stato fatto
Attraverso quest’espressione viene rafforzato il pensiero precedente. Il mondo, sia fisico che umano, riflette Dio Padre in quanto è fatto secondo il Figlio di Dio incarnato, che è l’immagine di Dio. Il verbo egèneto esprime molto bene la creazione di ogni cosa dal nulla (Viene usato in Gen 1 per descrivere la creazione). È sostanzialmente diverso da ‘én, ed è tipico di tutto ciò che non è Dio.
v. 4: In lui era la vita
Dopo aver dichiarato la presenza efficace del Verbo in tutto ciò che è stato fatto, l’opera del Verbo viene ora caratterizzata dal dono della vita.
Possiamo leggere questo versetto così: Ciò che aveva avuto origine in lui (nel Verbo) era vita. La vita di cui Giovanni parla nel suo vangelo non è semplicemente quella fisica, ma una vita qualitativamente superiore e piena. 
In altri passi del Vangelo viene anche identificata con Gesù stesso. L’identificazione di questa vita con la luce degli uomini nella riga seguente fa pensare che si intenda vita eterna.
La vita era la luce degli uomini
Il Verbo, entrando in rapporto con gli uomini, manifesta ciò che egli è per essi, cioè la luce. Il Verbo risplende come luce di vita. Grazie al Verbo gli uomini vedono la luce che li guida alla pienezza della vita. Giovanni riprenderà questo pensiero su Gesù al cap 8: «Io sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
v. 5: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
Qui viene sintetizzato l'opera del Verbo e dei suoi avversari. Giovanni medita sulla luce che è il Verbo nella sua funzione d’illuminare tutta l’umanità che giace nelle tenebre.
La luce splende nelle tenebre
La frase si presta a diverse interpretazioni. Possiamo leggervi un’allusione alle infedeltà d’Israele che i profeti hanno denunciato ripetutamente e sulle quali Dio trionfava sempre nuovamente. Inoltre abbiamo un’anticipazione degli eventi accaduti durante la vita di Gesù fino alla sua vittoria finale con la risurrezione.
Con il termine “tenebra” s’intende anzitutto quanti sono lontano da Dio, cioè non ancora illuminati dalla luce divina. Questa parola possiamo intenderla come il disorientamento interiore, cioè quando si è confusi e non si sa dove e come andare. Tale disorientamento può diventare un sistema di vita, fino ad arrivare a non sapere più il vero perché delle cose, lasciandosi così trascinare dagli impulsi e dalle situazioni. 
Giovanni con queste poche parole, ci consegna un messaggio fondamentale: il non riconoscere Gesù fatto uomo fra noi, come senso ultimo della realtà, che dà valore ad ogni cosa è a tutti gli effetti un essere nelle tenebre, senza alcun punto di riferimento.
Le tenebre non l’hanno vinta
Il verbo greco katalambànein è una parola un po’ complessa e difficile da tradurre. Ci si può orientare su quattro significati: “afferrare”, “comprendere”“accogliere”, “ricevere”, “accettare”“sorprendere”, “vincere”“dominare”. Una lettura che possiamo dare è che gli uomini non hanno compreso la prima manifestazione del Verbo avvenuta nella creazione, ma anche che la Luce sfugge ai loro tentativi di conquistarla e di dominarla.
vv. 6-7: Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone
Letteralmente: ci fu. Questo non è l' ’én usato per la creazione nei vv. 3-4: Giovanni Battista è una creatura.
Qui viene introdotta la testimonianza di Giovanni. Forse è tardivo questo versetto ma è necessario per non confondere, fin dall'inizio, il Battista col Messia. Tra i due c’è una differenza radicale che separa “colui che era fin dal principio, rivolto verso Dio” da quest’uomo, che è venuto da parte di Dio per essere testimone. Giovanni rende solo testimonianza alla luce davanti alle autorità giudaiche (1,19-34), davanti al popolo d’Israele (1,31-34) e davanti ai propri discepoli (1,35-37).
L’ultima volta che Giovanni è menzionato nel vangelo, è quando viene elogiato per essere stato un testimone fedele: “Tutto ciò che egli disse di Gesù era vero” (Gv 10,41). Giovanni diventa «figura» di tutti i testimoni che nel corso della storia hanno ricevuto la missione di testimoniare nel mondo la presenza della luce divina: la sua figura e il suo messaggio assumono una portata universale.
v. 8: Egli non era la luce
Il Battista è un testimone della luce, ma non la luce. In 5,35 Gesù chiama Giovanni Battista “lampada che arde e risplende”; ma Gesù stesso è luce. L’evangelista stima così tanto il Battista che parla di lui come l’intermediario autorizzato fra il Verbo e l’umanità. Giovanni Battista deve testimoniare che colui che Israele attendeva era presente. Giovanni sa che Costui gli è superiore in dignità (1,27).
v. 9: Veniva nel mondo la luce vera
Il v. 9 segna l'inizio di un nuovo quadro della storia di Dio che si comunica, attraverso la rivelazione del Verbo, nella concretezza dell’incontro fra il Verbo-Luce e gli uomini.
Viene usato l'aggettivo “vero” che tornerà spesso nel vangelo: vero pane (6,32), vera bevanda(6,55), vera vita (15,1). Quest'aggettivo in ebraico caratterizza "un timbro divino" (cfr. 7,28; 17,3). In questo modo, Giovanni afferma che soltanto nella rivelazione avvenuta in Gesù, attraverso la sua Parola e il suo operare, viene data a tutti gli uomini l’autentica comprensione della loro esistenza.
Il Verbo è qui qualificato come luce vera. La posizione del Verbo è precisata non solo nei confronti di Giovanni, che era soltanto il testimone della luce, ma anche nei confronti di tutte le false luci che sarebbero apparse nel mondo: esse non sono altro che ingannevoli idoli, mentre solo il Dio vivente è veritiero.
quella che illumina ogni uomo
Con questa espressione Giovanni si riferisce a ciascuno uomo nella sua singolarità: il Verbo viene incontro a ciascun uomo nello scorrere del tempo.
v. 10: Egli era nel mondo
Mondo, «kosmos»: è un termine molto importante; per tre volte viene ripetuto nei versetti 10-11, ma con sfumature diverse.  Inizialmente Giovanni parla del mondo nel senso di universo creato da Dio, come era nel pensiero dei greci. Nella citazione successiva, il termine allude non solo all'universo fisico ma include il mondo umano. Giovanni non fa altro, quasi a riprendere lo stile del Salmista, di far riflettere ogni singola persona se accettare o meno la Luce.
L’accoglienza della luce, mediante la fede, porta la vita divina e la salvezza. Il mondo diventa peccatore soltanto dal momento in cui rifiuta la rivelazione di Cristo e non riconosce la gratuità del dono di Dio. Non viene data nessuna giustificazione del rifiuto di questa luce: c’è solo la costatazione del suo rigetto. 
L’affermazione del fallimento dell’incontro fra il Verbo e gli uomini non contraddice ciò che è stato dichiarato precedentemente, cioè che le tenebre non hanno arrestato la luce: all'evangelista interessa sottolineare il paradosso del rifiuto che la creatura oppone al suo Creatore.
v. 11: Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto
La TOB traduce: È venuto nella sua proprietà, in casa propria… Verosimilmente Israele rappresenta storicamente l’umanità che tutta intera appartiene al Creatore (cfr. Es 19,5; Dt 7,6; 14,2; 26,18; Sal 135 [134], 4). Il versetto vuole precisare ulteriormente la natura del rifiuto opposto al Verbo. "I suoi" sottolinea l'insieme degli uomini.
“Venne fra i suoi”. Quest’affermazione richiama la presenza del Verbo nel mondo che egli ha creato. Il Verbo è venuto nella “sua proprietà”. Il termine sottolinea una relazione speciale fra due persone o fra una persona e un gruppo. Possiamo richiamare alla mente le allusioni di Gesù circa la relazione che unisce il pastore alle sue pecore, per indicare il rapporto generato tra Lui stesso e i suoi discepoli.
Dopo aver accennato al “mondo” in generale, Giovanni sembra che qui voglia ricordare il comportamento speciale di Dio verso il suo popolo eletto, che si mostra infedele.
v. 12: A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio
Diventare figli di Dio implica una capacità che viene da Dio. È riferito agli uomini che hanno riconosciuto nel Verbo il principio della loro esistenza e il senso della loro storia, lasciandosi illuminare da lui.
A quelli che credono nel suo nome
La formula è stata applicata frequentemente a Gesù Cristo nel Nuovo Testamento; è un’espressione tipica dell’Antico Testamento che si riferisce a Dio. Credere nelo suo nome è lo stesso che credere in lui come messia e Figlio di Dio.
Egli ha dato il potere di diventare figli di Dio
Abbiamo anzitutto un dono, un dono del Verbo all'uomo. Quale? un potere: il potere che dona a coloro che credono evidentemente non può trattarsi di una facoltà autonoma, sottolinea, invece, la dignità che comporta il divenire figli di Dio.
Nell'Antico Testamento l’espressione figlio di Dio è usata normalmente al singolare. Da principio viene applicata esclusivamente al re oppure a Israele, in quanto popolo eletto, per indicare il legame particolare di protezione e di benevolenza che unisce a Dio chi è designato come suo figlio. In questo passo i figli di Dio sono tutti gli uomini che credono in Dio, Israeliti o no.
v. 13:  Non da sangue
L’uomo non diviene figlio di Dio con la procreazione carnale, come ci ricordano le parole del Battista: "Dio può suscitare da queste pietre dei figli ad Abramo" (Gv 8,37-39). E non avviene neppure in forza di un «volere della carne», cioè in forza del desiderio che ha la creatura mortale di sopravvivere alla morte attraverso la propria discendenza.
Possiamo pensare che c’è coincidenza tra l’azione dell’uomo che accoglie il Verbo e quella di Dio che genera. Queste due azioni formano una cosa sola, nella diversità dei rispettivi ruoli. È importante tenere presente il passo precedente dove si diceva che il Verbo illumina ogni uomo. Ora infatti sappiamo che questa illuminazione, nella misura in cui viene accolta, produce la filiazione divina.
Da Dio sono stati generati
Il senso fondamentale è che la figliolanza divina è opera esclusiva di Dio. Attraverso le espressioni seguenti il ritmo dell’inno si costruisce in un crescendo. Giovanni qui distingue la generazione che nasce secondo lo spirito in opposizione alla nascita carnale. Più tardi, sarà nel colloquio con Nicodemo che sarà chiarificato (3,1-11).
v. 14: E il Verbo si fece carne
Questa è una delle affermazioni più incisive di tutto il vangelo. La parola “carne” designa la natura umana nella sua debolezza e fragilità. Il Verbo entra nel tempo. Colui che esisteva da tutta l’eternità è entrato nel tempo e nella storia umana. 
Questo è il mistero dell’Incarnazione per cui la Parola eterna assunse la nostra identica natura umana, divenendo in tutto simile a noi, fatta eccezione per il peccato (Eb 4,15). Cioè in tutto, escluso ciò che era incomprensibile con la divinità. 
e venne ad abitare
Letteralmente “Ha posto la sua tenda”. Per esprimere questo mistero, Giovanni ha deliberatamente scelto l’immagine biblica della tenda: “Ha posto la sua tenda in mezzo a noi”. Il vocabolo evoca la tenda (skenè) del deserto (Es 25, 8-9) costruita perché Dio potesse “abitare in mezzo a loro”.
Il tempio di pietra di Sion (come si dirà esplicitamente in Gv 2, 18-22) è ora sostituito dalla “carne” di Gesù, cioè dalla sua corporeità e dalla sua esistenza storica che condivide con noi.
A partire dal versetto 14 la parola Verbo sparisce dal Vangelo. Il Vangelo è una testimonianza non alla Parola eterna ma alla Parola fatta carne, Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
v. 15: Giovanni gli dà testimonianza e proclama
Questo versetto riprende la testimonianza di Giovanni Battista, la cui missione nei confronti della luce è stata descritta nella prima parte del prologo. Adesso la sua testimonianza viene proclamata.
La missione della Parola nel mondo fu precisamente quella di porre gli uomini in grado di divenire figli di Dio, partecipi cioè della vita divina e di esserne testimoni. 
Avanti a me
Gesù Cristo è al di sopra di Giovanni. L’espressione ha una sfumatura qualitativa. La testimonianza del Battista ribadisce il primato di Cristo che è “prima” di lui, anche se venuto cronologicamente “dopo” di lui. 
Prima di me egli era
Giovanni Battista, personaggio storico e ispirato, ha qui la funzione confermare a tutti che quest’uomo venuto «tra noi» (1,14) era precisamente il Verbo di cui si è parlato fin dall'inizio del prologo.
v. 16: Noi tutti abbiamo ricevuto
Tutti noi partecipiamo alla pienezza di grazia, propria dell’Unigenito di Dio. L'evangelista non vuole escludere nessuno. La comunità confessa la sua fede. Questa è un’affermazione giubilante di tutti quelli che hanno creduto in Cristo e perciò hanno la capacità di crescere nella loro realtà di figli di Dio. Il Figlio di Dio offre all'uomo “la grazia e la verità". 
Grazia su grazia
 Quest’espressione viene anche tradotta con: “Amore in luogo di amore”; questa idea di sostituzione, come è stata sostenuta dai Padri greci, significa implicitamente la hesed di una nuova alleanza in luogo della hesed del Sinai. Indica un’esperienza vissuta e cioè la capacità di ricevere dalla sovrabbondanza di Dio benevolenza-amore. Si vuole sottolineare non tanto un succedersi nel tempo cioè “grazia dopo grazia” quanto piuttosto un aumento in intensità: si tratterebbe di un accumulo di grazie, che rivela la continuità dell’azione di Dio nella storia. Paolo ai Colossesi svilupperà quest'abbondanza di grazia (cfr. Col 2,9-10).
v. 17: Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo
La “Legge”, come parte integrante dell’alleanza, è tutto il complesso di istruzioni che Dio ha consegnato al suo popolo per mezzo di Mosè. Gesù, che è il Figlio di Dio, viene a proporre un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull'accoglienza e la somiglianza del suo amore.
Questa espressione “grazia e verità” significa un amore generoso che si dona. Esse vengono abbinate come dono proprio dell’unigenito del Padre. Quest'amore non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo precede, un amore addirittura che precede la creazione stessa e ne è la conseguenza.
Per Giovanni la Legge è già un dono di Dio, una grazia che si espande al mondo intero, tuttavia egli sottolinea la profondità della verità rivelata da Cristo: “in” e “mediante” Gesù Cristo, Figlio unico, Dio si rivela come Padre.
v. 18: Dio, nessuno lo ha mai visto
In tutte le esperienze religiose anche dell’Antico Testamento, troviamo il desiderio di vedere Dio faccia a faccia, ma, salvo eccezioni, quest’aspirazione deve attendere il Cielo per potersi realizzare. Giovanni evidenzia che Cristo permette di superare l’impossibilità di vedere Dio.
Il Figlio unigenito
Il mediatore di questo accesso alla gloria è Gesù Cristo. Unigenito non soltanto per sottolineare che Gesù è lo stesso Figlio unico di Dio, ma anche che è lo stesso Verbo incarnato (1,1). Giovanni aggiunge che l’Unigenito è lui stesso Dio: Dio solo può rivelare Dio.
Nel seno del Padre
L’espressione sottolinea non solo la tenerezza e l’intimità dell’amore tra il Padre e il Figlio, ma anche la finalità del rapporto: il Figlio unico è rivolto verso il cuore del Padre. Possiamo notare che, come nel v. 14, il termine Dio viene sostituito da quello di Padre.
è lui che lo ha rivelato
Soltanto il Figlio unigenito, che condivide senza limiti la vita del Padre, può condurre gli uomini alla conoscenza e alla vita. Con tutto ciò che è, che fa e che dice, Gesù sarà il rivelatore e l’espressione di Dio e si rivolgerà ai discepoli dicendo: Il Padre mio e il Padre vostro, il Dio mio e il Dio vostro (20,17).

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Quali reazioni da parte nostra al mistero del Natale?
Ci riscopriamo veramente felici perché il Salvatore è nato anche per me / per noi?
Come Cristo occupa un posto nella mia vita personale?
Il Natale esprime la gioia e la bellezza dell'accoglienza? Come vivo questo dono?
Come non riamare Colui che ci ha amato tanto?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore. (Sal 97).


Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Nel silenzio del cuore incontra il Signore. Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché, conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all'amore delle realtà invisibili.