giovedì 8 marzo 2018

LECTIO: IV DOMENICA DI QUARESIMA (B)


Lectio divina su Gv 3,14-21





Invocare

Dio buono e fedele, che mai ti stanchi di richiamare gli erranti a vera conversione e nel tuo Figlio innalzato sulla croce ci guarisci dai morsi del maligno, donaci la ricchezza della tua grazia, perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore.

Per Cristo nostro Signore. Amen.



Leggere

14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».



Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato



Capire

Dopo che la volta scorsa abbiamo visto Gesù che rinnova o rovescia il “nostro tavolo religioso”, siamo un po’ in balia delle onde perché non sappiamo come comportarci. Ci aiuta in particolare un personaggio: Nicodemo che incontra Gesù per avere spiegazioni in merito.

Il colloquio, sottolinea l’evangelista, avviene di notte. La notte però non è da intendere in senso cronologico, ma teologico dove la “notte” indica la tenebra “quando nessuno può operare” (9,4) e se qualcuno cammina nella notte “inciampa perché la luce non è in lui” (11,10); il buio è lo spazio dove ogni attività è infruttuosa (21,3). Nicodemo, legato al passato, fa fatica a capire Gesù. Gesù inizia un grande discorso che è sintesi del mistero della salvezza, partendo proprio dal passato.

Il testo presenta elementi comuni o simili a quelli del prologo giovanneo (la luce, il rifiuto di credere, la partecipazione alla vita divina). In particolare in questo testo si mette l'accento sulla scelta degli uomini di credere o no al Figlio di Dio incarnato e innalzato.

Gesù parla della necessità di una “rinascita” per poter entrare nel Regno di Dio. Questa rinascita può avvenire per opera dello Spirito Santo e perché ciò avvenga bisogna che il Figlio dell’uomo sia “innalzato”. Quindi è importante l’incontro con Gesù Figlio di Dio e il confronto con la sua croce.

La Croce coincide con la più alta manifestazione della figliolanza divina di Gesù, Egli viene innalzato nella croce e nella gloria dei cieli.



Meditare

v. 14: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo

Il brano si apre ricordando Mosè di fronte alla piaga dei serpenti velenosi che uccidevano il popolo. Egli “fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita” (Nm 21,9; cfr. Sap 16,7). Il popolo finì poi per adorare quel serpente (alla fine distrutto da Ezechia che voleva escludere ogni rischio idolatrico; 2Re 18,4), ma Giovanni rilegge in chiave cristologica il brano di Numeri per presentare il nuovo serpente offerto da Dio per la salvezza dei Giudei e di tutti gli uomini: Gesù di Nazareth. Qui per la prima volta Gesù allude alla sua morte.

Il gesto di Mosè è segno di vita, di liberazione e guarigione. A maggior ragione la croce di Gesù innalzato è il segno che fa risplendere la vita, muove la guarigione, apre alla liberazione.

La Croce coincide con la più alta manifestazione della figliolanza divina di Gesù, Egli viene innalzato nella croce e nella gloria dei cieli.

La croce è il segno della salvezza. Essa porta in sé la gloria della resurrezione e quella finale, escatologica. L'elevazione del Figlio dell'uomo sulla croce simboleggia (in senso forte) l'elevazione nella gloria (cfr. Gv 8,28; 12,32) anticipando nel presente della vicenda di Gesù l'evento escatologico (X. Léon-Dufour).

vv. 15-16: perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

La similitudine del serpente è in riferimento alla fede, che è la strada per ottenere la vita eterna.  Gesù dovrà essere innalzato in croce per essere posto sotto lo sguardo degli uomini che potranno guardare Lui e vedere il Padre, trovando così il senso della propria vita e la vita eterna.

Questi versetti sono la motivazione del v. 14, ossia il credere nel Figlio di Dio per avere la vita. Come gli Israeliti dovevano guardare il serpente di bronzo per essere salvi, così ora si deve guardare/credere in Gesù per avere la vita.

Credere in Gesù significa tendere alla pienezza della vita, così come si è manifestata in lui, fino alla massima espressione dell’amore. Amare come Gesù si sperimenta la vita eterna.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

In questo versetto san Giovanni presenta l'origine del disegno di salvezza: l'amore di Dio.

L'affermazione “Dio ha tanto amato il mondo” è unica e tipica della prima parte del quarto vangelo (dal cap. 13 avremo l'amore del Padre per i discepoli, vedi Gv 13,1.34; 15,9.10.12; 17,23); all'origine del piano di salvezza e del ruolo del Figlio sta Dio e il suo amore per il mondo.

Questo termine che in Giovanni può significare l’umanità bisognosa di salvezza oppure quanti si oppongono all’amore di Dio.

Anche qui, come nel versetto precedente, lo scopo è il conferimento della vita eterna. La vita eterna non si ottiene, come insegnavano i farisei, osservando la legge, cioè un codice esterno all’uomo, ma dando adesione al Figlio dell’uomo.

In questo versetto Gesù appare come il dono dell’amore di Dio per l’umanità. Infatti, il fatto che in questo contesto venga usato il verbo “dare” (didômi) e non il più consueto “consegnare” (paradidômi), collegato alla morte del Servo di JHWH (Is 53,6 nei LXX), significa che l’evangelista non pensa semplicemente alla morte di Gesù in croce, ma a tutta la sua vita di amore e di dedizione ai fratelli.

v. 17: Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

L’evangelista ci trasporta di versetto in versetto, quasi a sbriciolare e rafforzando il contenuto. Qui ripresenta il tema del versetto precedente in modo negativo e parla dell'invio del Figlio per la salvezza: Dio vuole che tutta l'umanità partecipi della sua stessa vita.

Il verbo greco usato non è condannare ma giudicare (il termine greco krinein indica la separazione, l’attività del filtraggio tra diverse sostanze). Usando questo verbo, Gesù destruttura il modo di pensare di Nicodemo che come tutti i farisei attende un messia giudice; prevale invece il Cristo che fa brillare l’amore libero, che dà Vita continuamente e instancabilmente a tutti e a ciascuno. Ogni uomo è invitato a volgere lo sguardo su Gesù. Chi si rifiuta ottiene solo la morte eterna.

v. 18: Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

Vediamo qui un richiamo a Dt 30,15-19 (cfr. Sal 119,10; Pro 6,23) dove era la fedeltà alla Legge la via attraverso cui l'umanità poteva giungere alla vita. Mentre il tema del giudizio nella Bibbia in linea di massima è collegato agli ultimi tempi, in Giovanni abbiamo un anticipazione all'oggi.

Anche di fronte a Gesù la decisione è personale: si tratta di credere all'amore che egli rivela, l'unica opera richiesta per avere la vita è la fede nel Figlio (cfr. Gv 6,29). Credere in Gesù significa avere ora la vita, non credere al contrario è scegliere la morte definitiva, è scegliere la condanna. Dio dona la vita attraverso il Figlio, chi non aderisce a lui con la fede si autoesclude dalla vita.

v. 19: E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.

Il versetto racchiude la realtà del giudizio e sul fatto che gli uomini sembrano preferire le tenebre alla luce, si è rifiutata di accoglierla con fede, preferendo rimanere nelle tenebre, ossia nella morte. La ragione di questo rifiuto va cercata nelle opere malvagie. Cosa sono queste opere? Siamo semplicemente su di un piano morale, del comportamento? Sembrerebbe di no, infatti nella Bibbia mai la condotta dell'uomo è una condizione previa alla fede, ma se mai la conseguenza di essa (cfr. 1Gv 3,11-13).

Il riferimento è al prologo (Gv 1,9-12; vedi anche 8,12 e 12,35 dove Gesù si definisce "la luce"); ma appare un elemento nuovo, relativo alle opere (érga).

vv. 20-21: Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.

Pur non spiegandone la modalità, il pensiero giovanneo presenta la condanna del peccatore essenzialmente come conseguenza di una decisione presa dal peccatore stesso. 

Dio offre a Nicodemo e al Nicodemo di ogni tempo, costantemente la vita e chi non opera per la vita ma per la morte rimanendo così nell’oscurità, diventando prigioniero del buio, delle tenebre, rimanendo intrappolato da sé stesso dentro ciò che sceglie di vivere.

Di fronte a un’offerta di pienezza di luce, chi fa il male si rintana ancora di più nelle tenebre e ne rimane intrappolato.

Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio

L'Antico Testamento attesta: Dio è sorgente di ogni verità. La sua Parola è verità (cfr. Pro 8,7; 2 Sam 7,28). La sua Legge è verità (Cfr. Sal 119,142). La sua “fedeltà dura per ogni generazione” (Sal 119,90; cfr. Lc 1,50). Poiché Dio è il «Verace» (Rm 3,4), i membri del suo popolo sono chiamati a vivere nella verità (Cfr. Sal 119,30).

Gesù dice: la verità non va creduta trasformandola in dottrina, ma la verità va fatta. Gesù non dice di avere la verità, ma di essere nella verità, cioè nella semplicità conforme al volere di Dio (cfr. Gv 14,1-31).

In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. Pieno di grazia e di verità (Cfr. Gv 1,14), egli è la “luce del mondo” (Gv 8,12), egli è la verità (Cfr. Gv 14,6).

Chiunque crede in lui non rimane nelle tenebre (Cfr. Gv 12,46). Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi (Cfr. Gv 8,31-32) e che santifica (Cfr. Gv 17,17).

Seguire Gesù è vivere dello Spirito di verità (Cfr. Gv 14,17) che il Padre manda nel suo nome (Cfr. Gv 14,26) e che guida “alla verità tutta intera” (Gv 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l'amore incondizionato della verità: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no” (Mt 5,37).

Nicodemo ha afferrato il messaggio di Gesù. Pur non conoscendo l’esito del suo percorso di fede, egli è un uomo in seria ricerca che fa il passaggio dalle tenebre alla luce e il suo sguardo si incrocia con lo sguardo di Cristo Gesù crocifisso.



La Parola illumina la vita e la interpella

Vivo le tre virtù teologali attraverso l'ascolto della Parola, crescendo nella verità e testimoniando l'amore di Cristo Salvatore?

Mi apro alla fede nel nome del Figlio unico di Dio generato dallo Spirito?

Cosa comporta per la mia vita quotidiana credere in Lui?

Il cammino quaresimale che sto percorrendo mi attira verso Dio? mi fa fare la verità?

Il mio sguardo si incrocia con quello di Gesù crocifisso?



Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole

Lungo i fiumi di Babilonia,

là sedevamo e piangevamo

ricordandoci di Sion.

Ai salici di quella terra

appendemmo le nostre cetre.



Perché là ci chiedevano parole di canto

coloro che ci avevano deportato,

allegre canzoni, i nostri oppressori:

«Cantateci canti di Sion!».



Come cantare i canti del Signore

in terra straniera?

Se mi dimentico di te, Gerusalemme,

si dimentichi di me la mia destra.



Mi si attacchi la lingua al palato

se lascio cadere il tuo ricordo,

se non innalzo Gerusalemme

al di sopra di ogni mia gioia. (Salmo 136)



Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…

Chi non si fida di Dio non lo raggiunge, non va da lui.  Lascio che facciano eco in me queste parole: "Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio" tenendo fermo lo sguardo su Cristo Gesù crocifisso.