martedì 12 marzo 2024

LECTIO: V DOMENICA DI QUARESIMA (Anno B)

Lectio divina su Gv 12,20-33
 
 
Invocare
Ascolta, o Padre, il grido del tuo Figlio che, per stabilire la nuova ed eterna alleanza, si è fatto obbediente fino alla morte di croce; fa' che nelle prove della vita partecipiamo intimamente alla sua passione redentrice, per avere la fecondità del seme che muore ed essere accolti come tua messe nel regno dei cieli.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! 28Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
29La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me».33Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
La pericope di questa domenica, tratta dal cap. 12 del vangelo di Giovanni che con quello precedente costituisce, come un intervallo tra la prima parte del testo giovanneo, il libro dei segni (1-10), e la seconda, li libro della gloria (13-21). Mentre il cap. 11 narra la resurrezione di Lazzaro, il cap. 12 riporta diverso materiale, comune anche ai sinottici, riprendendo inoltre alcuni temi già affrontati da Giovanni.
Il nostro brano è legato al pellegrinaggio a Gerusalemme, al Tempio. Sono tre le feste che dovevano celebrare e quindi tre pellegrinaggi a cui, da tutta Israele, almeno gli uomini dovevano recarsi in pellegrinaggio nella città santa. Il primo pellegrinaggio riguardava Pasqua e Festa dei Pani Azzimi, dal 15 al 21 nissàn. Il secondo pellegrinaggio la festa di Pentecoste, detta anche Festa delle Settimane e Festa della Mietitura, nel mese di sivàn. Mentre il terzo pellegrinaggio la festa delle Capanne, detta anche Festa del Raccolto, dal 15 al 21 tishrì. Queste tre Feste fanno parte delle “solennità del Signore”, da celebrarsi “come sante convocazioni” (Lv 23:2).
Il pellegrinaggio a gerusalemme ha una sua bellezza in quanto musiche e danze precedono l’ingresso dei pellegrini. Questi pellegrini non sono solo ebrei osservanti ma tra loro ci sono anche dei pagani che appaiono come dei simpatizzanti della religione ebraica.
Il brano inoltre segue immediatamente la narrazione dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme (12,12-19) e partendo dalla domanda di alcuni di questi simpatizzanti o proseliti (20-22), offre l'annuncio dell'ora della passione di Gesù, della morte feconda (23-26) per Gesù e per chi vorrà servirlo.
Questa sarà l’ultima Pasqua di Gesù e nelle fasi successive verrà presentato il significato della morte di Gesù, luogo della sua glorificazione e del Padre, verso cui tutti sono attirati e dove il maligno viene sconfitto (27-33). È il problema della fede dinanzi a un Dio crocifisso, un Messia crocifisso.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 20: Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci.
Al tempio si sale. Gerusalemme è posta in alto. Tra i pellegrini abbiamo dei proseliti greci, quelli che in At 10,2; 13,16.43 vengono definiti “timorati di Dio”, che erano entrati a far parte della sinagoga nella loro patria. Vengono definiti greci perché non parlano l’ebraico o l’aramaico ma solo il greco. Questi greci non sono ebrei della diaspora, anche perché in Gv 7,35 il medesimo sostantivo «éllén» indica i pagani. Tuttavia, questi onoravano Dio secondo la religione ebraica ma non le prescrizioni cerimoniali, né si assoggettavano alla circoncisione.
La loro presenza è segno della universalità della salvezza, un fondamento storico della missione ai pagani nella vita di Gesù (cfr. 10,16) ed un anticipo dell'attrazione di tutti al Figlio dell'uomo (cfr. 12,32).
Tra questi greci ci siamo anche noi, che siamo proseliti e simpatizzanti e giungiamo a Gesù attraverso la fede di Israele.
vv. 21-22: Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
Questi Greci avevano sentito parlare di Gesù dalla testimonianza che gli rendevano coloro che erano presenti “quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti” (12,17), e così anche loro, come molti altri, erano curiosi di vederlo, cioè, vogliono parlare con lui. Questo è il desiderio di tutto il Vangelo: si vuole vedere, conoscere Gesù; nel Vangelo di Giovanni è il punto di arrivo; è la fede, che non è cieca, ma è vedere la realtà del Signore.
Per esprimere il loro desiderio, procurarsi un abboccamento, si rivolgono a Filippo, un discepolo dal nome greco, che probabilmente parlava la loro lingua o di origine da una regione della Palestina, aperta ai pagani e chiamata «Galilea delle genti» (Filippo era di Betsaida, come Andrea, Gv 1,44; cfr. anche Is 8,23 e Mt 4,15). L’evangelista Giovanni presenta più volte Filippo nella veste di mediatore (cfr. 1,45;6,5).
Filippo ed Andrea gli unici tra i dodici ad avere un nome greco, vengono presentati in coppia anche in altre occasioni (cfr. 6,5-9), li guidano a Gesù.
L’evangelista non riporta il dialogo come per Nicodemo. La sua teologia affonda in quello che sarà alla fine: “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (19,37), in cui effettivamente Gesù attrarrà tutti a sé, giudei e pagani.
v. 23: Gesù rispose loro: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato.
Gesù invece di farsi vedere, risponde ai discepoli dicendo: “È venuta l’ora”. La prima volta che appare la parola “ora” la troviamo a Cana di Galilea (Gv 2,4), con la Samaritana (Gv 4,21) dopo la guarigione del paralitico (Gv 5,25) e poi dopo l’incontro con l’adultera (Gv 8,20.28). L’ora di cui si parla adesso è l’ora della Croce, l’ora decisiva in cui Dio si rivela.
La presenza dei Greci sta a significare che adesso è giunta l’ora della morte e della glorificazione del Salvatore, condizione previa perché il Vangelo possa essere annunciato in tutto il mondo.
Gesù risponde con una risposta non consone alla domanda appena formulata. Egli dà inizio al discorso annunziando che l’ora alla quale egli stesso (7,6.8) e l’Evangelista (7,30; 8,20) hanno accennato ripetutamente, è ormai giunta (13,1; 17,1) e tutti i popoli potranno godere della salvezza e di venire alla fede, e dunque di vedere Gesù.
Ciò significa che Gesù ha piena coscienza dell'imminenza della sua tragica morte, ma anche che essa coincide con la sua glorificazione.
v. 24: In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
L’ora di Gesù è giustificata con una piccola parabola sul grano di frumento che richiama sul discorso del pane di vita che troviamo al cap. 6.
Al v. 28 è scritto chiaramente che è il Padre che glorifica il Figlio. Qui se ne dà il senso o la spiegazione. La gloria di Gesù è cadere in terra e morire per dare frutto; perdere la vita per “conservarla”. Chi segue Gesù non può far altro che come ha fatto Lui.
Chi invece cerca la gloria degli uomini si rifiuta di morire, che ha paura di perdere, costui non porterà frutto, anzi verrà tagliato e gettato nel fuoco, come Giovanni ci dice nella parabola della vite e dei tralci (15,1-10), e troverà una morte inutile, vuota.
Questi è paragonato all’empio di cui il Sal 1 dichiara l’infecondità, di fronte alla rigogliosità del giusto che si affida a Dio e che, piantato lungo corsi d’acqua, darà frutto a suo tempo.
La fecondità salvifica di Gesù deriva dall'accettazione del disegno divino che ha posto la sua glorificazione in dipendenza dalla passione e morte (S. A. Panimolle). Come tutta la sua vita è stato un dono d’amore, così la sua morte sarà il dono d’amore pieno.
La similitudine del grano di frumento destinato a morire è ripresa da san Paolo: “Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere” (1Cor 15,36-37).
Il paragone del chicco di grano che muore vale per tutti (cfr. Mt 16,25; Mc 8,35).
v. 25: Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
In questo versetto, una continuazione del precedente, abbiamo l'uso di parole diverse in greco per indicare vita è significativo: la psyché, la vita di questo mondo, è opposta alla zoè aiònios, alla vita eterna. La contrapposizione è racchiusa in quattro verbi usati in forma dialettica: all'amare corrisponde il perdere, all'odiare il conservare per la vita eterna.
In pratica: chi ama la sua vita, cioè, chi non è disposto a sacrificare la sua esistenza terrena, rimane privo della vita eterna; al contrario, chi la odia, cioè chi non la ama (cfr. Dt 21,15), in quanto è disposto a darla, la preserva, cioè, conseguirà la vita eterna.
I sinottici riportano più volte questo insegnamento, ma nel testo di Giovanni assume un significato specifico a causa del contesto in cui è inserito. Il discepolo (ogni cristiano) di Gesù è chiamato a seguire il maestro sulla via della morte di croce; anch'egli deve accettare di morire per poter conservare la sua vita autentica, quella escatologica, «per la vita eterna», la comunione con Dio.
Questo discorso come vale per Gesù vale anche per noi, è una legge generale: chi ama la sua vita, la perde; chi ama sé stesso, chi ama la sua vita, chi vuole trattenerla è l’egoista. L’egoista ha perso la vita, perché la vita è amore e dono. Infatti, l’egoista, non solo perde la sua vita, ma anche fa perdere la vita agli altri, domina gli altri, li opprime li sfrutta e distrugge la vita.
v. 26: Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.
Gesù continua il suo discorso parlando di “servizio”. Il versetto raccoglie il significato del discepolato. I discepoli dovranno seguire la via della croce, se vogliono essere tali. La sequela di Gesù implica la rinuncia anche alla vita terrena, per condividere fino in fondo la sua sorte. Saranno poi i discorsi di addio (cap. 13-17) ad approfondire il tema del servizio e della sequela di Gesù.
Se uno serve me, il Padre lo onorerà.
Queste parole, che chiudono il versetto, non sono che un altro modo di esprimere lo stesso pensiero. Il servo deve farsi imitatore di Gesù nella morte. Il richiamo del Padre che onorerà il servo fedele, non è altro che la continuazione dell’imitazione nel vivere la comunione piena e permanente in Dio.
Proprio chi ha questo spirito di servizio il Padre lo onorerà, cioè, è figlio di Dio, è uguale a Dio, perché Dio è servizio e amore.
vv. 27-28: Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Gesù si trova in profondo turbamento. Al cap. 18 Giovanni racconta l’arresto di Gesù nel giardino e concentra qui in questi versetti l’ora di Gesù.
Davanti al destino di morte, Gesù ha avuto turbamento come davanti alla morte di Lazzaro, anzi, ci dicono gli
altri Vangeli, ha avuto angoscia, paura. L’autore della lettera agli Ebrei lo descrive così: “con forti grida e lacrime pregava Dio che lo liberasse da quell’ora” (Eb 5,7). Questo realismo (preghiere, suppliche, grida, lacrime) ci spiazza del tutto per la sua finale: «venne esaudito». Sì, Gesù è stato proprio esaudito! Gesù si abbandona pienamente al Padre e venne esaudito. Egli insegna la via per raggiungere questo “esaudimento” e conformare la nostra volontà alla volontà di Dio.
Perché la volontà del Padre si realizzi, l’unica preghiera da farsi è “Padre, glorifica il tuo nome”. In queste parole c’è una presa di coscienza del disegno del Padre e la prontezza di Gesù di portare a compimento fino al dono di sé, fino alla morte in croce.
Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La voce dal cielo (cfr. Dt 4,12; Es 19,19; Dan 4,28; Mt 3,17; Mc 1,11; Lc 3,22; At 11,9; Ap 10,4; 14,13) conferma la preghiera esaudita. Questa voce ricorda il passato in cui Gesù ha reso gloria al Padre con le sue opere (cfr. 9,38; 11,4.40 vedi anche 5,36; 10,32) e il futuro, in cui lo glorificherà con la morte in croce, rivelando così il suo amore per i fratelli.
Gesù con la sua morte in croce testimonierà l’amore assoluto di Dio Padre per tutti i suoi figli, amando così i fratelli.
v. 29: La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato».
Cambiano i personaggi: dai greci passiamo alla folla. È una folla anonima, la quale si divide, come di solito, di fronte alla rivelazione, dimostrando così di non comprendere. Anche in At 9,7; 22,9 i compagni di Saulo sulla via di Damasco sentono la voce, ma non riescono a distinguere.
Due gli elementi vengono messi in risalto: il tuono e l'angelo. Il tuono nell'Antico Testamento (cfr. 1 Sam 12,17-18; Sal 29,3-9) era considerato la «voce di Dio». Abbiamo un richiamo Mosè che ricevette la rivelazione di Dio in mezzo ai tuoni. (cfr. Es 9,28; 2Sam 22,14; Sal 29,3; Gb 37,5; Ger 10,13).
Il secondo elemento, l'angelo: abbiamo un richiamo all’agonia narrata in Luca dove si dice che un angelo andò a confortarlo (Lc 22,43). Oppure che la folla ebbe l’impressione che Gesù abbia ricevuto un preciso messaggio da un angelo del cielo (cfr. At 23,9).
v. 30: Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi.
Alla divisione della gente, interviene Gesù e descrive la voce come un segno del quale ognuno è libero di accoglierlo.
Questo è il segno del tempo decisivo per il giudizio e la salvezza. La voce è venuta per rendere testimonianza che solo attraverso la morte, la risurrezione e l’esaltazione del Figlio suo Dio vuol glorificare il proprio nome.
Quanto a Gesù egli non ha bisogno né di testimonianza e tantomeno di approvazione in quanto il Padre lo esaudisce sempre (11,42). Ed è proprio a questo punto che Gesù allora rivela definitivamente il senso della Croce.
v. 31: Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.
Con la parola “mondo”, l’evangelista Giovanni vuole indicare il complesso delle potenze mondane che sono contro Dio ed il suo inviato, «il principe di questo mondo» è colui con il quale Gesù si confronta (14,30); nel NT esistono anche altre denominazioni (vedi il diavolo: 6,70; 8,44; 13,2; il maligno: 1 Gv 2,13-14; 3,12; 5,13).
L’evangelista è interessato a mostrare che proprio nella passione la forza del male viene definitivamente sconfitta (cfr. 3,19 in cui il giudizio/condanna, la krisis, è destinato al mondo inteso come coloro che si chiudono alla rivelazione di Gesù).
La prospettiva specifica di Giovanni è evidente se confrontiamo il v. 31 con Lc 22,53 quando Gesù, appena prima di essere arrestato, afferma: "questa è la vostra ora e il potere elle tenebre". Mentre Luca mette in luce il ruolo del maligno nella passione.
v. 32: E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me».
Gesù parla per tre volte nel Vangelo di Giovanni del Figlio dell’uomo innalzato da terra (Gv 3, 14; 8,28; 12,32) Questo versetto introduce nell’umanità una frattura: da una parte gli increduli, cioè quanti associati al destino del mondo e dall’altra quanti appartengono a Cristo glorificato.
L’esaltazione di Gesù sembra dare compimento a Is 52,13 e 53,12. In Giovanni il verbo “innalzare” raccoglie un doppio significato. Talvolta si riferisce all’innalzamento alla destra di Dio (cfr. At 2,33, 5,31; 12,34) e quindi a quanti credono in lui possano ottenere la vita eterna. E talvolta significa, come in questo caso, che Egli attira i suoi dietro a sé sulla croce, esponendoli all’odio e alla persecuzione che hanno colpito anche lui.
Gesù, innalzato e glorificato, diventa centro di salvezza universale donando la vita per questo mondo. E proprio dando la vita per questo mondo, adesso, viene espulso dal mondo colui che è il capo del mondo: l’antidio, colui che si è impadronito del mondo con la menzogna, con la violenza, con l’egoismo, producendo morte. Proprio sulla Croce viene vinta la radice del male, perché ci si rivela appunto chi è davvero Dio.
v. 33: Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
Il presente versetto è una sottolineatura redazionale dell’Evangelista che ritornerà in 18,32: “Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire”.
Nella Pasqua di Gesù, la morte si trasforma misteriosamente in gloria. E la croce, luogo della debolezza e dell’annientamento, diventa paradossalmente luogo, trono della gloria, della presenza di Dio, vittoria sul male del mondo.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Anche io, come i Greci, desidero incontrare Gesù? Oppure cerco la popolarità, la gloria a poco prezzo?
In questo tempo forte dell’anno liturgico sono aperto nel profondo desiderio di incontrare Cristo nella preghiera?
Assimilo anche io l’ottica del chicco di grano, prendendo la strada della debolezza e del decentramento da sé?
Sono capace di gesti concreti di ascolto sincero del prossimo, di accoglienza, di carità? So dare il giusto spazio agli altri, o sono perennemente accartocciato su me stesso?
L'atteggiamento di Gesù di fronte alla sua passione e morte cosa mi dicono soprattutto nei frangenti in cui sono (o siamo) di fronte alle prove della vita e dinanzi alla morte?
Riesco a fare spazio nel cuore alle esigenze della vita cristiana, della santità, che è forgiata mediante lo scalpello della Croce?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
 
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
 
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
 
Insegnerò ai ribelli le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
Lode e onore a te, Signore Gesù! (Salmo 50)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Vedere Gesù significa vivere e condividere il progetto del Padre. Vivere come Lui un amore fino all'estremo limite. Gesù invita a seguirlo in questo cammino.