mercoledì 8 luglio 2020

LECTIO: XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno A

Lectio divina su Mt 13,1-23


Invocare
Accresci in noi, o Padre, con la potenza del tuo Spirito la disponibilità ad accogliere il germe della tua parola, che continui a seminare nei solchi dell'umanità, perché fruttifichi in opere di giustizia e di pace e riveli al mondo la beata speranza del tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
1Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti».
10Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». 11Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete.
15Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca! 16Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
18Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. 19Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, 21ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. 22Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. 23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.

Dentro il Testo
Continua il discorso di Gesù, questa volta in parabole di cui il capitolo 13 di Matteo è costituito. Le parabole sono sette, tre delle quali sono comune ai sinottici: il seminatore e la sua spiegazione; il granello di senape; il lievito nella pasta; il buon grano e la zizzania e sua spiegazione; il tesoro occultato; la perla preziosa; la rete e sua spiegazione (quest'ultime quattro sono proprie del vangelo di Matteo). Sette le parabole perché per l'Ebreo il numero sette rievoca i sette giorni della settimana e della creazione, il simbolo della storia del mondo. 
A questo settenario si aggiunge ancora un'ottava parabola (vv. 51-52). Con le parabole Gesù rivela “cose nascoste sin dalla fondazione del mondo” (13,35); non si tratta dunque di un linguaggio esoterico o criptico, ma di rivelare cose che operano in maniera segreta e imprevedibile come sono i disegni di Dio. Infatti, le parabole hanno come tema il mistero del regno dei cieli.
Matteo colloca la parabola della semente con gli eventi precedenti dei capitoli 11 e 12 dove è menzionato il Regno di Dio che soffre violenza.
Un'altra caratteristica di questo capitolo è che per le prime due parabole (quella del seminatore e quella della zizzania) vi è una netta separazione tra i discepoli e le folle: le parabole sono per le folle ma la loro spiegazione è riservata unicamente ai discepoli.
Tutto questo capitolo si muove tra la casa e il mare e quasi tutte si ispirano al tema del seme, della semina e della mietitura.

Riflettere sulla Parola (Meditare) 
v. 1: Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare.
La parabola inizia con questo incipit, quasi a sottolineare che il tutto accade in un solo giorno. Questo incipit è importante, in quanto "quel giorno" è un Kairos. È la giornata delle parabole, dette in circostanze diverse, ma che l'Evangelista ha raggruppato qui.
Viene evidenziata una casa da cui Gesù esce. Essa è quella in cui aveva preso dimora a Cafarnao e dove si ritrova con i suoi discepoli (la casa di Pietro a Cafarnao). Questo suo uscire viene messo in relazione al v. 3 dove viene indicato l'uscita del seminatore. Matteo a differenza di Marco vuole indicare il passaggio dalla rivelazione speciale riservata ai discepoli alla rivelazione pubblica aperta alla folla.
Nell'uscire siede lungo il mare per insegnare come un Rabbi. Il mare è il luogo di passaggio verso i popoli pagani, quindi, rappresentava la frontiera fra Israele e il mondo pagano. Il mare è il luogo dell’esodo. 
Lo sfondo del discorso in parabole è, quindi, il lago di Genesaret, chiamato “mare” secondo l’opinione della gente. Questa diventa la cattedra del suo insegnare. Il mare o il lago richiama il momento in cui Gesù aveva chiamato i suoi discepoli (4,18).
v. 2: Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
E mentre Gesù è seduto in riva al mare, sorpreso dalle stesse folle che affluiscono a lui, è costretto a salire in barca. Gesù, Parola incarnata, riunisce. Essi ascoltano Lui seduto su una barca.
La barca, simbolo della missione della Chiesa, (mentre la Chiesa in sé è rappresentata dalla casa di Pietro) poteva sollevare il maestro dal suo uditorio, divenuto troppo numeroso. Ma data la crescente ostilità dei farisei, la si può anche considerare come una misura di sicurezza.
Qui troviamo un gruppo che sembra non fare il loro esodo: la folla. Gesù, nuovo Mosé, vuole aiutare la folla ad aderire al Regno di Dio. Per farlo usa le parabole.
v. 3: Egli parlò loro di molte cose con parabole.
A differenza di Marco che parla di "insegnare", Matteo qualifica il linguaggio come un parlare. I destinatari del suo parlare sono le folle. Il termine "molte cose" può essere anche inteso come un parlare loro a lungo, tutto il giorno. 
Che cos'è la parabola? Diverse sono le traduzioni per capire: un paragone, una similitudine, qualche volta un po' enigmatica, con la realtà naturale o sociale, che serve ad illustrare in modo allusivo, un po' misterioso, una realtà che non è dell'ordine naturale, come appunto il regno di Dio. Una giusta definizione può essere questa: «una metafora o una similitudine tratta dalla natura o dalla vita quotidiana che colpisce l'ascoltatore con la sua vivezza e originalità e lo lascia in quel minimo di dubbio riguardo il significato dell'immagine sufficiente a stimolare il pensiero» (C. H. Dodd).
E disse: Ecco, il seminatore uscì a seminare.
L'accento cade sull'attività del seminatore, protagonista del racconto parabolico. Matteo mette davanti l'articolo. Ciò vuole alludere al grande Seminatore per eccellenza Gesù che «uscito» dal Padre è venuto nel mondo a gettare il seme salvifico della Parola.
C’è un brano del libro del profeta Isaia: 55,10-11, in cui si dice che: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata».
Possiamo pure dire che è una parabola in movimento, in atto perché spiega cosa sta accadendo in quel preciso istante.
vv. 4-8: Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono.
Il contadino palestinese prima semina e poi ara. Semina ovunque e poi passa l'aratro. Facendo un po' di attenzione, possiamo notare che Matteo non accenna all'aratro o all'aratura. Allora di cosa si tratta?
Certamente non si sta parlando di agricoltura. Del seminatore possiamo dire che non sapeva dov'era il terreno buono e fertile, in quanto in Israele il terreno è roccioso, quindi spine e rovi potevano crescere più rapidamente del grano e soffocarne la crescita.
Il soggetto resta il seminatore, però l'attenzione è portata sul seme, anzi sui semi. L'evangelista qui non fa altro che mettere in evidenza la fiducia usata dal seminatore, da Gesù, in quel piccolo seme gettato, che sa farsi strada nella terra arida e nel terreno buono senza sapere qual è, dà fiducia a tutto il terreno. Così è Dio: dà fiducia a tutti, nessuno escluso, perché tutti campo di Dio!
Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno.
Il seminatore sapeva che da qualche parte il terreno era buono e gli avrebbe dato un buon raccolto: il trenta, il sessanta, il cento per uno.
In questi pochi versetti l'evangelista descrive quattro terreni. La strada: che vuole indicare l'impenetrabilità e quindi non può crescere, nascere qualcosa di buono. I sassi: rappresentano il facile entusiasmo, le persone volubili, superficiali. All'inizio la cosa prende, ma alla prima difficoltà finisce tutto.
Le spine: descrivono le condizioni esterne soffocanti, quando cioè la persona è sottoposta a grosse pressioni e non ha una struttura di personalità sufficientemente forte. Prova a crescere ma viene soffocata dall'esterno che è più forte della sua spinta interna. Il terreno buono: qui solo il seme germoglia e porta molto frutto.
La conclusione è che la triplice infruttuosità è controbilanciata, e in modo sovrabbondante. Il pessimismo iniziale cede il posto all'ottimismo. Il 100 è il numero della benedizione plenaria, come avvenne a Isacco quando seminò a Gerar (Gn 26,12). Nei numeri simbolici 100 (multiplo di 5 e di 50), la pienezza, 60, altra forma di pienezza (5 x 12) e 30, ennesima forma di pienezza (3 x 10).
v. 9: Chi ha orecchi, ascolti.
Nel NT l'espressione ammonitrice la ritroviamo in ognuna delle sette lettere che il Cristo indirizza alle «sette Chiese dell'Asia minore» (cfr. Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22; 13,9).
Se la Parola è seme, la terra che l’accoglie è come l’orecchio che ascolta la parabola. Quindi la parabola narrata è seme. Seme della fede e della speranza che non delude.
Questo seme Dio “lo getta” a tutti, da sempre. E da sempre invita all'ascolto di Lui (cfr. Dt 5,1; Pr 2,2; Bar 3,9; Sal 78(77),1). L'evangelista Matteo ce lo ricorda dicendoci che il parlare di Dio non è subito comprensibile: chi ha orecchi, cioè capacità di comprendere attentamente, si metta in ascolto e cerchi di capire!
Solo quando viene ascoltato, e solo allora, il seme della Parola di Dio diventa vocazione, chiamata forte e vera a seguire e corrispondere l’amore grande di Dio per l’uomo.
vv. 10-11: Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?”. Egli rispose loro: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato”.
I versetti fanno osservare una certa riserva tra la folla e i discepoli. La parabola che Gesù racconta è un modo (o un invito) per stare accanto al Signore. Infatti, non è un racconto per venire incontro ai semplici. I discepoli stanno già col Signore, ma tanti altri no. Infatti, il verbo “avvicinare” vuole proprio indicare questo rapporto intimo dei discepoli con il Signore.
Discepolo vuol dire “disposto a imparare”. Se uno non vuole imparare è discolo, non è discepolo. Il discepolo è uno disposto ad accettare qualcosa di nuovo e questo indica l’apertura della mente. Ma sarà vero discepolo se a sua volta rivelerà quanto ha imparato insegnando ad altri fin quando non arriverà alla visione perfetta di Dio (1Cor 13,12; Gv 16,29).
Tra la folla possiamo trovare persone dal cuore chiuso e anche persone dal cuore aperto. La parabola ti parla a seconda della tua apertura di cuore. Tanti ascoltano e si allontanano, senza che le parabole siano diventate per loro l’occasione per stare con il Signore. Qui come in Mt 12,46-50 vi è una distinzione tra le folle e i discepoli. È quanto appare nella Chiesa delle origini, “che voleva passar oltre le parabole per cogliere direttamente la rivelazione a essa offerta dal Cristo” (G. Ravasi).
Incomincia a delinearsi la spaccatura palese nella parabola dell’ultimo giudizio (25,31-46). Chi possiede è il discepolo del Regno, chi non possiede è Israele che rischia di perdere tutto.
v. 12: Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha.
È la conclusione. È il valore finale di chi è disposto ad imparare, ad accogliere il seme della Parola. Forse possiamo cogliere il senso di quest'espressione dura nella parabola dei talenti (25,14-30). Tutti hanno ricevuto dall'inizio i loro talenti. Alcuni li sfruttano e dunque abbondano nella gioia del Signore; altri li congelano rendendoli sterili. A questi è tolto tutto, poiché è come se non avessero mai avuto.
Anche qui Matteo sta dicendo la stessa cosa: le parabole hanno precisamente questo doppio effetto: aggiungono e tolgono. Più uno già sa, più è in grado di aggiungere conoscenze al suo sapere. Non a tutti, però, è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma solo alle persone ben disposte, a quelle che accolgono le sue parole e le vivono.
Questa Parola di vita ci mette in guardia quindi contro una grave mancanza in cui potremmo cadere: quella di accogliere il Vangelo, facendolo magari solo oggetto di studio, di ammirazione, di discussione, ma senza metterlo in pratica.
vv. 13-15: Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!
Gesù non intende forzare a capire nessuno. Parla e agisce con chiarezza, ma le folle non comprendono. Per questo ricorre al linguaggio delle parabole che, essendo più velato potrà stimolare le folle a pensare di più, a riflettere sugli ostacoli che impediscono la loro comprensione dell’insegnamento di Gesù.
In qualche maniera la storia si ripete. Qui viene ricordato il tempo del profeta Isaia quando la gente era chiusa alla Parola di Dio.
Il testo di Isaia, uno dei più citati nel NT, serve a spiegare l'insuccesso della predicazione di Gesù, come già quella di Isaia (6,9-10) stesso: non si tratta di un giudizio di condanna.  
«L’indurimento del cuore, la miopia dello spirito, la sordità della mente del popolo spingono dunque Gesù a usare un annuncio della sua verità attraverso il velo dei simboli. La causa di questo modello di predicazione è, dunque, la povertà spirituale degli ascoltatori e la loro superficialità» (G. Ravasi).
vv. 16-17: Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano
Dopo le terribili parole di Isaia, Matteo riporta delle parole di approvazione rivolte da Gesù ai suoi discepoli partendo da una beatitudine. I discepoli sono esattamente in contrapposizione a loro, hanno occhi che vedono, cioè sono venuti alla luce. Sono illuminati e capiscono la realtà. E questi sono nella beatitudine.
Non è la prima volta che Gesù dice “beati”. Già l’AT risuona la beatitudine in coloro che ascoltano la Parola di Dio (cfr. Dt 6,3; Sal 1,1-3; 94,12s; 106,3; 112,1-5; 128; Pr 8,34; 29,18; Sir 14,20-27; Bar 4,4). Ma anche in altre pagine del NT lo si riscontra (cfr. Lc 11,28; Ap 1,3; 22,7). La beatitudine, inoltre ha molteplici sfumature. È legata a un vedere in profondità, a un cogliere quello che Gesù voleva comunicare. 
In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Questa beatitudine è il desiderio di tutta la storia umana, della sua verità profonda, della profezia e dei giusti. La beatitudine ci riguarda ancora oggi. Saremo beati ogni qualvolta ci mettiamo in ascolto della parola di verità, della parola del Figlio, della parola che ci fa fratelli, della parola che ci dona la vita di Dio, che ci dona lo Spirito Santo, che ci dona il Suo Amore.
v. 18: Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore.
Da qui inizia la spiegazione della parabola. Qui abbiamo un imperativo ed ha lo stesso sapore del credo religioso di Israele: “Ascolta Israele” (Es 6,4). Il termine dell’ascolto è ripetuto in ebraico per altre 1159 forme. L’ascolto non deve essere sterile ma fattivo.
L’udire nell’ascolto biblico richiede un atto mentale del comprendere e per il popolo ebreo quest’aspetto non è separabile dai sensi. Quindi interesse, applicazione e studio, se si vuole prendere sul serio la Parola.
Per questo Gesù dice: voi dunque che potete capire e non avete il cuore indurito, ascoltate la spiegazione della parabola, iniziate a capire il mistero della Parola dentro di noi. 
Essa viene chiamata la parabola del seminatore, ma la si può chiamare anche "dei quattro terreni" che corrispondono a diverse persone oppure sempre alla stessa persona in momenti diversi della propria esistenza e del suo ascolto della parola di Dio. L’uomo è identificato, col seme, col terreno e il suo modo di ascoltare.
v. 19: Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.
Questa spiegazione inizia al singolare, a differenza di Marco. È l’impegno personale, il banco di verifica del vero ascolto e della vera comprensione. È necessario entrare nel suo significato profondo e salvifico (più che intellettuale) della parola del Regno per evitare il Maligno.
Il primo terreno corrisponde a quel seme gettato lungo la strada. Matteo lo identifica con l'uditore che lo riceve. Su questo terreno il seme non ha neppure il tempo di germogliare. “Il maligno”, espressione tipica di Matteo e Giovanni, è stata ricollegata all' “impulso cattivo” che fa lotta con quello buono nel cuore dell'uomo. Il male ha origine nel non ascolto e nella disobbedienza.
vv. 20-21: Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno.
Il secondo terreno corrisponde al seme gettato sui terreni sassosi. Qui abbiamo le tre componenti dell’uomo: identificato col seme, cioè con la Parola, con la terra e il modo di accogliere la Parola. La risposta è accogliente, cordiale, gioiosa, ma “momentanea”, cioè di breve durata: c'è un problema di impazienza, di incostanza, di mancanza di radici che viene messo in luce nei momenti di persecuzione o di tribolazione. All’entusiasmo dell’inizio segue la discontinuità della scelta, dovuta sicuramente a esperienze di sofferenza e persecuzione, inevitabili in ogni cammino di fedeltà all’ascolto di Dio.
La Parola non dà frutto a causa di una tenuta insufficiente: nella prova, "subito" uno viene meno.
v. 22: Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto.
Il terzo terreno è quello infestato da spine. Qui c'è stata sia l'accoglienza, sia una certa durata nel tempo: qualcuno che ha dato una buona prova di sé. Purtroppo alle preoccupazioni materiali, a un cuore pieno di paura, senza speranza e allora davanti alle difficoltà si cede subito, si soffoca la Parola e tutto si arresta. 
Le altre realtà convivono accanto alla parola e finiscono per avere il sopravvento e per soffocarla: la preoccupazione e soprattutto l'illusione della ricchezza, ossia di “mamon”, del denaro.
v. 23: Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno.
Il quarto terreno è quello che dà frutto, ma in proporzioni diverse (cento, sessanta, trenta). Uno studioso ha paragonato questi tre rendimenti con l'osservanza del triplice comandamento che gli ebrei ripetevano ogni giorno nella loro preghiera quotidiana: «Ascolta Israele, amerai il Signore con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza». Nella comune interpretazione rabbinica “con tutta l'anima” significa “perfino se egli ti strappa l'anima”, cioè fino al martirio; mentre “con tutta la forza” significa “con tutte le tue ricchezze” (mamon).
Il versetto riprende la parte finale del cap. 12: Chi è mia madre? Chi sono le mie sorelle ed i miei fratelli? È la gente seduta attorno a Lui che ascolta la sua Parola e che compie la volontà di Dio, che diventa uguale a Lui. Ascoltando la Parola diamo corpo a Dio nel mondo, gli diamo vita, gli siamo madre, come la madre terra che germina il seme, così ciascuno di noi fa germinare Dio nella propria vita, diventiamo madre e poi diventiamo fratelli e sorelle di Gesù perché generando la Parola, divento simile a Dio, divento figlio, divento come Gesù, suo fratello: ho prodotto il cento, il sessanta, il trenta per uno.
Quelli che producono il cento sono coloro che hanno un cuore talmente obbediente da sacrificare non solo la loro proprietà (mamon), ma anche la cosa più preziosa di tutte, la loro vita (anima), questi sono i martiri.
Quelli che producono il sessanta hanno un cuore obbediente e danno via i loro averi, ma non si trovano nell'occasione di dare le loro vite a causa della parola.
Quelli che producono il trenta hanno pure un cuore obbediente e indiviso, ma non si trovano nell'occasione di offrire, per amore di Dio, né la loro vita né la loro proprietà.
Questi tre aspetti, segnano l’atto del credere, attivo e perseverante: l’ascoltare, il comprendere e il portare frutto ognuno secondo la propria misura.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Quale è la mia capacità di conoscere e comprendere la Parola di Dio?
Mi sento vicino a Gesù come un discepolo o piuttosto distante, come le folle?
Ognuno di noi è un terreno diverso a seconda delle situazioni della propria vita. In quali diverse occasioni sono stato/a strada, terreno pietroso, spine, terreno buono?
Cosa ho saputo donare di me stesso/a finora per dare spazio alla Parola di Dio?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Tu visiti la terra e la disseti,
la ricolmi di ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque;
tu prepari il frumento per gli uomini.

Così prepari la terra:
ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.

Coroni l’anno con i tuoi benefici,
i tuoi solchi stillano abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono di esultanza.       

I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di messi:
gridano e cantano di gioia! (Sal 64).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
La parola di Gesù germoglia e fruttifica in cuori disponibili alla sua azione, ma non bisogna desistere nello scuotere il torpore, l’indecisione e la durezza d’ascolto di molti credenti.