mercoledì 7 dicembre 2022

LECTIO: III DOMENICA DI AVVENTO (Anno A)

Lectio divina su Mt 11,2-11
 


Invocare
Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore il nostro cammino incontro a colui che viene e fa’ che, perseverando nella pazienza, maturiamo in noi il frutto della fede e accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».  7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio
 
Dentro il Testo
Il Vangelo odierno, in questa terza domenica d’Avvento, detta “Gaudete”, è nel contesto di una serie di racconti circa l’attività di Gesù che fa seguito al discorso sull’apostolato (cfr. Mt 10-13).
In questa sezione non vengono narrati molti miracoli, ma l’evangelista pone l’accento sulla polemica fra Gesù e i suoi avversari, in un crescendo che continuerà per tutto il resto del vangelo.
In questo tratto evangelico, dominato in modo preponderante dalla diffidenza e dall'ostilità, la predicazione di Gesù è costretta a farsi misteriosa e Gesù, per non togliere del tutto la luce dei suoi insegnamenti al popolo d'Israele, propone sotto il velo del genere parabolico i vari aspetti della misteriosa realtà del Regno.
Anche questa domenica entra in scena Giovanni Battista ma questa volta appare “vacillante”. Ciò è indice di quell’umanità di Giovanni sempre in cerca della Verità, la stessa che ha proclamato, la stessa di cui è amico, la stessa per cui è disposto a perdere la sua vita. Di lui Gesù ne fa un grande elogio con una grande testimonianza e risponde al profeta con le profezie di Isaia e approfitta per ricordare a tutti il ruolo che ha Giovanni nella storia della salvezza.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 2-3: Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo
Parlando del Battista, Matteo ci ha lasciati al suo arresto in 4,12 dicendo che Gesù incominciò a predicare dopo aver sentito che Giovanni era stato arrestato. Successivamente, in Mt 14,2-12, spiegherà i motivi dell'arresto di Giovanni e le circostanze della sua uccisione.
Giovanni si trova in carcere nella fortezza di Macheronte, che si trova a mt 1.120 di altezza circa; un luogo di segregazione, un mondo a parte.
Paolo scrivendo a Timoteo dice: “la Parola di Dio non è incatenata” (2Tim 2,9), non si lascia mettere nessuna catena, perché essa «è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4, 12).
Giovanni è convinto di questo e non ripiega la sua vita su se stesso, anzi, non smette di fissare lo sguardo verso ciò che ritiene lo scopo della sua vita: preparare la strada al Messia. In Lui è tutta la sua gioia, da Lui aspetta la sua salvezza. È attento ai segni dei tempi anche se questi segni sono molto diversi da quelli da lui stesso annunciati.
per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Giovanni, sentendo parlare delle “opere del Cristo”, si pone una domanda drammatica, colma di mille dubbi. Forse un dubbio della stessa comunità per cui scrive Matteo. Può essere anche il nostro dubbio, specialmente per quelle volte che chiediamo a Gesù di venire allo scoperto.
Non sappiamo il motivo per cui il Battista è spinto alla domanda; forse l’ambiente stesso l’ha portato a questo. In questo momento egli rappresenta tutti quegli uomini giusti dell’Antico Testamento e di tutte le epoche, che hanno il valore di esprimere i loro dubbi, di mettersi in discussione con serietà, di cercare una risposta alle loro domande.
Giovanni da uomo pieno di Spirito Santo si mette in discussione e si apre ad una nuova proposta da parte di Dio, pur con la fatica che avrà fatto nel comprendere questo progetto. La sua è una domanda aperta alla verità che gli viene da un Altro.
vv. 4-5: Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo.
Alla domanda precisa di Giovanni, Gesù non dà una risposta altrettanto precisa, ma facendo parlare i fatti, elencando i segnali che la tradizione profetica (Is 35,4-6) considerava premonitori dell’avvento del Messia, attesta esplicitamente la sua missione.
I verbi “udite” e “vedete” messi al presente descrivono un'azione che si sta svolgendo ora, in questo momento, con tendenza a durare verso un immediato futuro.
Qui Gesù invita, non solo Giovanni, ma i discepoli di ogni tempo, a leggere i segni dei tempi per riconoscervi la presenza del Messia-Gesù. Questa “è la via della fede, che iniziando dall’attività visibile culmina nel riconoscimento di Gesù. È la via che conduce dall’oscurità alla luce, dal segno alla realtà” (W. Trilling).
Con il metodo narrativo matteano, Gesù citando alcune profezie di Isaia: Is 35,5-6 (ciechi sordi e zoppi); 26,19 (morti); 29,18 (sordi); 61,1 (buona novella ai poveri), afferma che in Lui le Scritture hanno avuto il loro compimento e ci invita a raccontare noi stessi ciò che abbiamo visto e udito (cfr. 1Gv 1,1-4). Inoltre, ci invita a porci degli interrogativi sulla verità nascosta: un incitamento anche per noi ad essere svegli per essere portatori di un annuncio vivo e vissuto della nostra fede in Lui.
v. 6: E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!
È forte quest’affermazione di Gesù! C’è una beatitudine per chi riesce a superare lo sconcerto che prova davanti a un Messia povero e disarmato. Questa è una beatitudine che invita a leggere i segni dei tempi per dare risposta a noi stessi e a quanti ci circondano.
Gesù le aveva già proclamate le beatitudini. Qui sembra aggiungerne ancora una. In realtà il discorso è legato all’atteggiamento del discepolo che dovrà vivere il vangelo del regno ai poveri, della misericordia, della pace, della giustizia. Seguire gli insegnamenti del Maestro: la via per giungere al Regno di Dio. Quanti sapranno accogliere questo messaggio e questo stile di vita, senza che esso gli provochi inciampo nel cammino, saranno felici perché avranno trovato la via della vita e della vera libertà.
La beatitudine è anche uno scontro, una crisi di fede. La parola “scandalo” vuole indicare la “pietra d’inciampo”, che non ti permette di proseguire il cammino, ma che te lo rende presente se ne prendi coscienza.
Oggi lo scandalo è anche qualcosa di negativo, ma qui parliamo di Gesù. Egli si presenta come uno che “scandalizza”. Lo scandalo di cui parla Gesù è quello che scaturisce dal vivere radicalmente il vangelo, che va controcorrente, quello che ci scuote dalle nostre abitudini di vita e dai nostri schemi mentali.
A nostra volta, siamo chiamati tutti a “scandalizzare” il mondo con “lo scandalo del vangelo” dimostrando con la vita di non assoggettarsi a usi e costumi lontani dalla fede cristiana, di rifiutare compromessi che provocherebbero ingiustizie, di preoccuparsi dei poveri e degli ultimi.
v. 7: Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?
Il versetto si presenta come la corsa della curiosità. Gesù ancora ci interpella con queste parole. In particolare, noi che continuiamo a seguirlo, ad ascoltarlo.
Gesù parla del Battista, rendendogli testimonianza, come il Battista l'aveva data per lui in Mt 3, non come noi che continuiamo ad arrampicarci sugli specchi o che passiamo da un pensiero ad un altro. Egli è il discepolo fedele, che ha annunciato con schiettezza gridandolo alla coscienza di ognuno.
Giovanni compie il suo ministero in funzione della venuta di Gesù, su di lui occorre riflettere probabilmente per poter accogliere meglio il Messia. È un vero elogio quello che Gesù fa del suo Precursore: gli riconosce una solidità interiore; non si è lasciato agitare dai venti contrari seguendo ora questo, ora quello. Giovanni non è una canna sbattuta dal vento (1Re 14,15), cioè non era un debole che si piegava ai poteri più forti di lui; il solo vento che lo muove è quello dello Spirito che lo ha condotto nel deserto, dove ha predicato la conversione e il ritorno a Dio. Infatti, fu incarcerato proprio per la sua franchezza davanti a Erode.
A tal proposito, gli studiosi dicono che nelle monete coniate da Erode Antipa in occasione della fondazione di Tiberiade attorno al 19 d.C., ci stava una canna. L'immagine della canna sbattuta potrebbe alludere dunque allo stesso Erode Antipa.
v. 8: Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 
Gesù ribadisce cercando di arrivare all’identità del Battista: un profeta, compendio della profezia dell’Antico Testamento e anticipo della profezia nel Nuovo Testamento.
C’è nella gente – e anche in noi – un modo diverso di pensare. L'uomo incontrato dalla gente nel deserto non era certo una canna mossa dal vento e non era immerso nel lusso, ma un grande difensore della giustizia. Egli è più che un profeta: è il precursore del Messia. Il suo status, quindi, non è un privilegio, ma una missione; anzi la sua scelta così radicale dice il totale abbandono del mondo per dare a Dio il primato di tutto, per dire che Dio è l’unico vero bene. Questo è un interrogativo per noi quando non siamo in grado di accettare i profeti, quando non accettiamo coloro che parlano nel nome del Maestro.
Giovanni non immischiandosi in faccende politiche, con riconoscimenti e favoritismi era anzitutto un “modello di sopportazione e di pazienza” (Gc 5,10) e come tale divenne l’araldo del Signore. Il richiamo al rispetto della Legge di Dio gli ha procurato la prigionia da parte dei potenti.
v. 9-10: Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via.
Anche noi, spesso, ci ritiriamo nel deserto. Un po’ suggerito da un animatore religioso. Un po’ perché lo desideriamo per fare una pausa nella nostra vita. Ma nonostante questo, Gesù ci ripete la domanda.
La prima domanda fatta da Gesù dovrebbe scuotere le nostre coscienze che spesso confondiamo i verbi, le parole. Vedere non è imparare. Dio non si impara ma si vede perché Lui si mostra. Il profeta non insegna Dio, ma lo mostra e Giovanni non ha fatto altro che mostrare Dio. Giovanni è un profeta, l’ultimo dei profeti che annunciavano l’intervento di Dio a favore del suo popolo.
Gesù, combinando tra loro i brani di Ml 3,1 ed Es 23,30 presenta il Battista come Elia, il profeta atteso per il tempo messianico. Questo messaggero divino, che è stato Giovanni il Battista, ha preparato la strada al Signore. In questo modo Matteo sta definendo in modo indiretto la natura divina di Gesù.
Anche noi dovremmo fare o stare nel deserto per ritrovare la “via santa” e preparare la via al Signore.
v. 11: In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Ancora un elogio notevole che Giovanni riceve da Gesù. Giovanni è “Tra i nati di donna” (Sir 10,18), una figura di primo piano, ma proprio perché con lui si apre una nuova epoca, il più piccolo di questa nuova situazione è più grande di lui. Giovanni è il più grande; perché mentre agli altri fu affidato di prefigurare e preannunziare il Redentore futuro, a lui fu riservato di mostrarlo presente.
Tuttavia, la logica del Regno dei cieli è un’altra. Con Gesù, cioè Dio che viene a noi, il Regno non è più guadagnato con sforzi umani, ascesi, meriti derivanti da una buona condotta.
Nel suo discorso della montagna il Maestro insegna: “beati i poveri, perché di essi è il Regno dei cieli”. A chi non ha nulla, neppure opere buone da offrire da Dio (e di cui vantarsi), e si presenta a Lui in totale nudità e vuoto, a questi è data la beatitudine del Regno. Paolo afferma: “il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17). Tutto deriva dal Padre mediante Lui, che dona lo Spirito. Tutto torna al Padre mediante Lui, con il dono dello Spirito.
Nel Vangelo di Matteo essere piccoli nel regno dei cieli è un'espressione che ricorre spesso. La grandezza del Regno rende grande colui che ne fa parte ed è puro dono gratuito dell’Amore di Dio per noi. I più piccoli del Regno sono coloro che assumono la forma di schiavo e sull’esempio del figlio di Dio “nato da Donna” (Gal 4,4), desiderano servire «fino alla morte di Croce» (Fil 2,6-11).
In altri luoghi Gesù stesso spiega che per far parte del Regno di Dio occorre una nuova esistenza, una rinascita (Gv 3,2ss.). Questo ha annunciato il Battista con umiltà e ardore profetico, un morire per risorgere.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
La Parola che ascolto è chiusa nel carcere del mio cuore oppure l’annuncio?
Per Giovanni Battista fu difficile riconoscere, in Gesù, il Messia. E io? Lo conosco? Lo riconosco?
La domanda di Gesù si rinnova ancora oggi per noi. Nel deserto cosa sono andato a vedere? Che tipo di deserto è la mia vita? Cosa vado a cercare?
Cosa penso sia necessario fare ed essere per entrare a far parte del Regno dei cieli?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
 
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
 
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. (Sal 145).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Prepariamo la venuta del Salvatore con la speranza, la gioia e la carità percorrendo le strade della verità e dell’amore indicandole agli altri, come fece Giovanni il Battista.  


lunedì 5 dicembre 2022

LECTIO: IMMACOLATA CONCEZIONE (Anno A)

Lectio divina su Lc 1,26-38
 

Invocare
O Padre, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
26Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio
 
Dentro il Testo
In questo cammino di Avvento, la Liturgia ci fa fare una sosta mariana, celebrando solennemente l'immacolato Concepimento della Vergine Maria. Il Vangelo è quello dell'annunciazione.
L’annunzio della nascita di Gesù a Maria di Nazareth costituisce il centro del Vangelo dell’infanzia secondo la narrazione lucana. Il nome della Vergine Maria, importante per la nostra vita, assume un ruolo misterioso, ma eminente. L’ebraico Mirjam va tradotto con “Illuminatrice del mare” o con “Stella del mare”, traduzione, quest’ultima, preferita da san Bernardo.
Di Maria l’evangelista Luca ama sottolineare la povertà della sua condizione: è una donna (quindi socialmente debole), è vergine, priva dell’unico valore socialmente riconosciuto alla donna nella società antica: la maternità; vive a Nazareth (oscuro villaggio di una regione religiosamente infida). Ma Dio ama compiere le meraviglie della sua opera proprio nella debolezza della condizione umana; san Paolo ricorda che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza (cfr. 2Cor 12,7-10). Così Maria diventa la “proclamazione della grazia di Dio”; niente in lei è grandezza puramente umana; tutto è opera di Dio nella creatura umana.
Nel brano dell'annunciazione abbiamo il mistero dell’incontro tra l’uomo e Dio che non si può spiegare perché è l’incontro dell’amore. Avviene e basta. È un incontro che lascia il segno: qui sta la grandezza.
La novità è questa: la speranza del popolo trova il suo compimento nella Vergine di Nazareth, Maria, che sta per diventare madre del Figlio dell’Altissimo, del Salvatore del mondo.
San Giovanni Crisostomo ci aiuta a capire questa novità con queste parole: “È in te colui che si trova dappertutto; è con te e viene da te, lui che è il Signore in cielo, Altissimo nell’abisso…, Creatore al di sopra dei cherubini…, Figlio in seno al Padre, Unigenito nel tuo ventre, Signore – egli sa come – interamente dappertutto e interamente in te”.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 26: Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret
La Parola porta un evento, un annuncio, qualcosa di nuovo, bello, inaudito. È il sesto mese. Da cosa? Abbiamo un dato cronologico, un'informazione che ci riporta all'episodio precedente, che racconta del concepimento di Giovanni Battista. Il sesto mese è in riferimento alla gravidanza di Elisabetta. Nel pensiero lucano, presentare Maria al “sesto mese” significa presentarla in quell’umanità imperfetta e fragile. Non è ancora sette, ma in questa cifra vi è racchiusa la vocazione di Maria, la sua umile e “potente” comparsa sulla scena della salvezza, segno dell’amore di Dio per ciascuno di noi.
Dio si fa presente proprio in questo contesto per mezzo dell’angelo Gabriele. Egli viene ricordato solo due volte nell'AT. È il messaggero che svela a Daniele i tempi della fine (Dn 8,16 e 9,21). È l'angelo che apre il tempo del compimento delle promesse divine.
Questo accade a Nazareth. Non è Gerusalemme, la città santa, la città del culto, dove avvenne l’annunzio a Zaccaria (si potrebbe fare una lectio di confronto tra la vita di Maria con quella di Zaccaria) ma un villaggio di una regione disprezzata, infedele e semipagana; un villaggio che non gode di buona fama (cfr. Gv 1,46) e totalmente ignorato dall'AT.
v. 27: a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
La prima parola con cui l’autore del Vangelo qualifica Maria è: “vergine, promessa sposa”.
La parola “vergine” in greco parthenos mentre in ebraico 'almah, designa sia una ragazza vergine e sia una donna appena sposata. Senza esplicitare ulteriormente il termine greco vuole anche indicare una fanciulla che non ha avuto rapporti sessuali. Nella Bibbia, inoltre, indica una vita sempre disposta ad accogliere.
Questa descrizione dell’Evangelista, come una intuizione, ci trasporta nelle pagine dell’AT che aveva visto e desiderato per la donna sterile un destino di grazia: “Beata la sterile non contaminata… avrà il suo frutto alla rassegna delle anime” (Sap 3,13). Maria rappresenta, nella prospettiva del Vangelo, la novità compiuta dalla grazia di Dio.
La menzione di Giuseppe, discendente di Davide, serve a giustificare, sul piano storico, e legale, la promessa riguardante il figlio di Maria: Dio gli affiderà il trono di Davide suo antenato (v. 32).
Luca riporta anche il nome della Vergine, ma non la sua discendenza: Maria, il cui nome significa “amata”.
v. 28: Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
Qui inizia il dialogo. L'ascolto è strutturato da un saluto e un appellativo, seguiti dalla garanzia di protezione divina.
Nel testo originale greco il saluto suona così:Kaire kekaritoméne; cioè: «rallegrati tu che sei stata trasformata (o ricolma) dalla grazia» (cfr. Sof 3,14ss.; Zc 2,14). Possiamo leggere questo saluto con queste parole: “rallegrati, Dio ti ha guardato con favore, con benevolenza, ti ha guardato con la ricchezza della sua generosità e ha trasformato la tua vita con il suo dono di grazia; per cui la forma che la tua vita ormai ha assunto è la forma prodotta in te dalla grazia di Dio, dal dono di Dio”.
Il participio greco usato indica una condizione permanente, quindi sostituisce il nome. Maria è identificata dall’inviato di Dio come colei che è totalmente avvolta da suo amore gratuito e benigno.
Questo saluto si conclude con la protezione divina: “Il Signore è con te”. È una espressione familiare che troviamo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento e ricorda il patto veterotestamentario tra Dio e l’umanità (attesa messianica da parte di Israele) ma da collocare nella novità dell’evento cristiano.
vv. 29-33: A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo.
Qui inizia il messaggio dell’angelo Gabriele, al quale fanno da contrappunto una riflessione e una domanda di Maria. Maria rimane turbata: è il suo travaglio che si pone davanti al suo Signore con timore. Il turbamento di Maria, più che per l'apparizione, come accade a Zaccaria, è per il senso del saluto rivoltole. Ella continua a stare alla Sua presenza, diventa modello e icona del cammino di ciascun cristiano.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Non è un saluto, ma una realizzazione messianica. Maria sarà la madre del Messia atteso e annunciato. Il turbamento che troviamo nella vita di Maria non è un semplice “turbare”, ma un perturbare, sconvolgere profondamente e fa parte del genere letterario delle annunciazioni (cfr. Lc 1,12) corrispondendo alle perplessità che avviene in ciascun chiamato ancora oggi (nella Bibbia possiamo vedere la chiamata di Mosé, Gedeone, Geremia, etc.).
Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Espressione tipicamente biblica (cfr. Gen 16,11; 17,19; Gdc 13,5-7). Il profeta Isaia aveva annunciato: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Maria è la donna che, nella routine della vita ordinaria, si trova davanti al piano divino (elezione) che Dio intende realizzare per mezzo della sua persona a favore del popolo (vocazione e missione).
Maria è la donna che fa passare Dio nel suo cuore (re-cor-dare) per concepire un figlio, darlo alla luce e chiamarlo Gesù; accoglie i segni della realizzazione di quanto le viene prospettato nell’evidente miracolo del concepimento di Elisabetta e finalmente pronuncia il suo fiat.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Questa descrizione è la spiegazione del mistero. Fa riferimento ad una serie di titoli messianici ("sarà grande", lo stesso titolo è dato a Giovanni Battista); "Figlio dell’Altissimo" nel suo grembo l'Altissimo stava per assumere forma umana.
In queste parole pronunciate vi è una composizione teologica postpasquale, che Luca mette sulla bocca del Messaggero di Dio. Ogni parola fa riferimento all'AT. Possiamo cogliere la profezia di Isaia (cfr. Is 9,5-6); l'oracolo di Natan a Davide (2Sam 7,12-17).
Nel NT troviamo un'applicazione in Lc 6,35) che prepara al significato teologicamente più pregnante che avrà l’espressione Figlio di Dio del v. 35.
v. 34: Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?».
In questa domanda troviamo sempre quell’opposto con Zaccaria che cercava un segno. Maria, invece, cerca la sua obbedienza in Dio in maniera cosciente e responsabile. È una ricerca di come dovrà svolgere il suo ruolo, di come realizzare i disegni di Dio.
Maria in questa sua ricerca comincia a dare corpo a questa chiamata divina, a capire che “Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome” (Is 49,1).
v. 35: Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra.
La risposta dell’angelo del Signore affonda sull’azione dello Spirito Santo, potenza creatrice, fonte di vita, che aleggiava sulle acque (Gen 1,2), atteso per i tempi finali e che rinnova tutto, dato alla Chiesa il giorno di Pentecoste, ma già operante nella vita pubblica di Gesù.
Lo Spirito opera in Maria il grande intervento divino della salvezza. Egli è Colui che copre, adombra come una nube.
L'ombra, la nube nell'AT, sono i segni della presenza divina (cfr. Es 13,21; 19,16; 40,34-35). Anche nel NT viene ripreso con lo stesso significato (cfr. Lc 9,34-35). Non si tratta di una presenza qualunque, come quella che nell'AT Dio riservava ai grandi uomini, ma di una presenza divina speciale (cfr. Es 40,35).
Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio.
Gesù nascerà santo, nella santità che si addice a Dio solo, e per questo motivo sarà chiamato Figlio di Dio, sarà riconosciuto come tale. Luca si fa portavoce di ciò che la comunità cristiana aveva accolto a riguardo della figura di Gesù: lo aveva riconosciuto come il Messia davidico atteso. Egli è figlio di Dio sia in quanto Messia, sia in forza della novità creatrice con cui è stato generato da una vergine.
vv. 36-37: Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile:  nulla è impossibile a Dio».
È la conclusione del discorso che si fa garanzia di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Garanzia che riscontriamo in altri personaggi: i tre angeli a Mamre (Gen 18,14); a Giobbe (Gb 42,2); a Geremia (Ger 32,27).
Per Maria non è una novità quel “nulla è impossibile a Dio”, l'ha meditato! Ha ricordato cioè ha fatto passare Dio nella sua vita, nel suo cuore, più volte.
In questa garanzia vi è la fede di un popolo, la gioia di chi ripone fiducia in Dio (2Tm 1,12).
v. 38: Allora Maria disse: Ecco la serva del Signore
La risposta di Maria, eccomi, la ritroviamo frequentemente circa 200 volte, perché Dio passa sempre dalla vita dell'uomo, lo chiama. L'espressione infatti è di colui o colei che ripone fiducia in Dio, che si mette a completa disposizione per compiere la sua volontà.
Anche in questo versetto troviamo ancora una qualifica di Maria: “serva del Signore” o “schiava”.
avvenga per me secondo la tua parola. E l'angelo si allontanò da lei.
Il sì di Maria è un sì gioioso (ghénoito) è il primo sì alla consegna che Dio fa di se stesso nelle mani di ogni uomo e di ogni donna. Gesù è il consegnato dal Padre nelle mani dell’altro. E Maria, attraverso il suo sì, permette questo: permette che attraverso di lei abbia inizio la consegna di Gesù.
Al sì di Maria, non importa più la presenza dell'Angelo. È lei il nuovo Angelo, l'ancella, titolo riservato ai grandi personaggi di fede (e solo uomini) e che ora è chiamata a donare il Verbo all'umanità!
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Mi metto in ascolto, pieno e totale, della Parola di Dio?
Percepisco nella mia vita lo stato di grazia, il favore, della benevolenza di Dio?
Mi sono mai sentito coinvolto in una missione che sembrava più grande delle mie forze e delle mie intenzioni? Come è stata la mia reazione?
Cosa significa per me essere "la serva, il servo del Signore"?
Come vivo Dio nel mio cuore generandolo con coscienza e responsabilità?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
 
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.
 
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! (Sal 97).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Impariamo, sull’esempio di Maria, ad ascoltare il Signore che ci parla nelle piccole cose di ogni giorno. Ogni giorno fermiamoci a dialogare con il Signore nell’ascolto della sua Parola, perché possiamo conoscere, accogliere e vivere pienamente la chiamata all’amore.