martedì 23 luglio 2019

LECTIO: XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno C)


Lectio divina su Lc 11,1-13

Invocare
Rivelaci, o Padre, il mistero della preghiera filiale di Cristo, nostro fratello e salvatore e donaci il tuo Spirito, perché, invocandoti con fiducia e perseveranza, come egli ci ha insegnato, cresciamo nell’esperienza del tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; 3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, 4e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».
5Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: "Amico, prestami tre pani, 6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli", 7e se quello dall'interno gli risponde: "Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani", 8vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. 9Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare co­se buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Dentro il Testo
La Liturgia della Parola di questa domenica ci fa riflettere sulla preghiera. Il vangelo s'incastona quasi all'inizio della "grande inclusione" di Luca (nella quale il terzo evangelista abbandona la traccia di Marco per seguire una fonte propria). Questa lunga sezione caratteristica del vangelo di Luca (9, 51 – 19, 44) è caratterizzata da un incessante viaggiare di Gesù verso Gerusalemme, a volte con un itinerario impossibile da seguire su una cartina geografica, seguendo un percorso comunque lunghissimo e farraginoso che sembra non raggiungere la meta.
Il viaggio di Gesù ha una portata teologica, con un orientamento preciso: Gerusalemme (cfr. Lc 9, 51).
Durante questo viaggio, Gesù si dedica soprattutto all'insegnamento, comportandosi davvero come Dio che "visita" gli uomini (cfr. Lc 1,78; 7,16) e, in vista della propria morte ormai imminente, lasciando un testamento ai suoi discepoli, per guidarne l'esistenza nel mondo fino al proprio ritorno definitivo. Anche Gesù, nel vangelo è soprattutto un esempio di preghiera, e la consegna ai discepoli. In quel momento egli non consegna loro solo una formula, ma il segreto stesso della sua vita: potranno e dovranno parlare con Dio come figli al Padre. “Padre” è il cuore della preghiera. La preghiera è il respiro dell’anima. Ed è questo respiro che Gesù consegna ai discepoli.
Pregare, allora, è desiderio di entrare in una vita nuova che sappia fare spazio a Dio, credendo che lo si può lasciar entrare solo là dove ci si trova, dove si vive una vita autentica.

Meditare   
v. 1: Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
La richiesta rivolta a Gesù dai discepoli affinché insegni loro a pregare scaturisce dal fatto che essi vedono Gesù stesso che prega. La domanda dei discepoli è legittima in quanto non perché non sanno pregare, ma perché vogliono entrare dentro il mistero della preghiera, dentro quel rapporto intimo col Padre. Vedono Gesù pregare e ogni volta che prega, trasformato. Allora chiedono di imparare a pregare con quella preghiera che caratterizza la spiritualità di Gesù. Pregare, vuol dire: che tu stai davanti a Dio come un figlio di fronte al Padre; che stai davanti a Dio come ci stava Gesù Cristo con il suo atteggiamento, fiducia, obbedienza, abbandono, con quel rapporto di intimità chiamando Dio papà, perché Gesù parlava e pregava così e aveva questo rapporto con Dio.
Il discepolo che partecipa della vita di Gesù deve avere questo nuovo modo di rapportarsi con il Padre. La preghiera è un essere dinanzi a Dio con la stessa intimità di Gesù.
v. 2: Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre,
Gesù accoglie la richiesta e subito invita ad entrare nella preghiera fiduciosi, rivolgendosi a Dio chiamandolo Padre. Quest'invocazione appartiene a Gesù stesso. Il NT ci ha infatti lasciato le tracce del suo modo originale di rivolgersi a Dio con il termine aramaico «Abba», “papà”, “babbo” (cfr. Mc 14,36; Rm 8,15; Gal 4,6). L'ebraismo utilizzava, e utilizza tutt'ora, il titolo di 'Abinu (“Padre nostro”) o di 'Abi (“Padre mio”) per rivolgersi a Dio, ma non quello di “Abba”. Espressione usata sia dai bambini che dagli adulti per sottolineare essenzialmente l'intimità, la confidenzialità esistente tra un padre e suo figlio.
A differenza di Matteo, Luca non aggiunge l'aggettivo “nostro”, mettendo meno l'accento sull'aspetto comunitario della preghiera cristiana; d'altra parte, il fatto d'invocare lo stesso Padre costituisce il miglior collante dell'unità comunitaria dei discepoli.
Dire “Padre” non significa fare uno sforzo di immaginazione o avere una certa idea di Dio; significa semplicemente entrare nel modo di pregare di Gesù. Infatti, ogni volta che Gesù prega, menziona il Padre (cfr. Mt 11,25; Mc 14.36; Lc 23,34.46; Gv 17).
La diversa versione di Luca e di Matteo ci induce a considerare che il “Padre nostro” non è una formula, perché la preghiera passa attraverso la persona del Cristo e il suo rapporto con il Padre. La preghiera cristiana ci dice che il rapporto con Dio non è una formula. Più che una preghiera, Gesù insegna ai discepoli il suo stesso modo di pregare: è l’atmosfera della preghiera, è l’orizzonte nel quale la preghiera si compie.
sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno
Le prime due domande sulla santificazione del Nome e sulla venuta del Regno sono degli imperativi alla terza persona singolare; non sono quindi ordini dati a Dio, ma piuttosto delle suppliche.
La santificazione del Nome è un concetto eminentemente ebraico: qualifica il martirio con il quale si afferma la priorità di Dio su ogni cosa nella vita del credente, fosse pure sulla propria esistenza; nel martire, il nome di Dio è santificato, perché con la sua morte attesta che per lui Dio è più importante della sua vita e della sua morte. Dire però: "Sia santificato il tuo nome" non è chiedere il martirio, è chiedere piuttosto che Dio sia ritenuto per colui che è, anche se per ciò si debba morire. Per questo la Bibbia TOB ha scelto di tradurre questa domanda con: “Fatti riconoscere come Dio”, e poi, nella traduzione del 2010: “Fa' conoscere a tutti chi tu sei”.
La domanda sulla venuta del regno di Dio (cfr. v. 2) troverà certamente la sua piena attuazione nell'aldilà, e quest'attesa deve rimanere viva nel cuore di ogni credente; eppure non si chiede a Dio solo che venga presto il giorno in cui il suo regno si manifesterà pienamente.
Certamente troviamo nell’espressione una dimensione quotidiana della venuta del Regno per quelli che credono. Non si chiede che Dio instauri progressivamente il suo regno, né che la comunità cristiana costruisca sulla terra il regno di Dio, né che la chiesa si espanda e conquisti tutto l'universo, bensì che Dio e il suo Cristo siano davvero quelli che dominano, determinano, orientano e dinamizzano la vita dei credenti.
In pratica, ogni domanda fatta al padre dovrebbe chiudersi con “sia santificato il tuo nome; venga il Regno tuo”.
Quello che chiedo è che io diventi santo, chiedo cioè che il suo nome sia santificato dalla mia vita personale; chiedo che la sua persona sia visibile nella mia personalità, nel mio modo umano di vivere la quotidianità.
v. 3: dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
Dopo l’invocazione al “tu” di Dio, la preghiera continua interessandosi dei bisogni dell'uomo nella sua esistenza attuale. Ciò non è da intendere come se dovessimo metterci a posto con la coscienza, quindi pensare a Dio, e adesso possiamo pensare alle nostre esigenze.
La preghiera cerca sempre il giusto equilibrio, il giusto rapporto con Dio, sotto la sua sovranità, i discepoli sono in grado di mettere la propria esistenza nella logica del Regno di Dio e chiedere di conseguenza.
La prima domanda concerne il pane. Luca lo vuole esprimere letteralmente così: “il pane nostro di oggi di domani”. Espressione rompicapo che vuol dire sia quotidiano che di domani e anche sovra sostanziale cioè il “pane che sta sopra” o che “sta per venire”, quindi di domani.
Un riferimento alla dimensione trinitaria di Dio: il pane della vita è il Figlio e se nella preghiera chiamiamo Dio Padre il pane è il suo amore, lo Spirito Santo, lo stesso amore tra Padre e Figlio. Questo sarà il dono di oggi e di domani: eterno. Ora questo pane è in tutto ciò che noi viviamo quotidianamente come segno dell’amore di Dio che rinasciamo nell’Eucarestia.
v. 4: e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
In questo pane che è amore è presente anche il peccato. Ci sta però un pane ancora più grande: il perdono. Un perdono che non è solo oggi, ma anche domani, sempre.
In Gesù, pane di salvezza, Dio offre a tutti il suo perdono che si fa comunione con il Padre e forza liberatrice che rende l'uomo capace di amare a sua volta gli altri, senza misura.
L’evangelista Matteo ricorda che chi non perdona non sarà perdonato (cfr. Mt 18,35). Ciò non vuol dire che il Padre non perdona ma indica semplicemente la nostra scelta: quando non perdono sono io che rifiuto il perdono di Dio, rifiuto Dio come Padre, perché Lui ama l’altro, come figlio, come ama me.
Chiedere allora lo stile di Dio significa adottare il suo amore, il suo comportamento.
e non abbandonarci alla tentazione.
In questo grido di aiuto si chiede di non vivere soli il momento della tentazione. Di quale tentazione parliamo? La grossa tentazione è il non credere all’amore, è il non perdonare. L’unico peccato imperdonabile è il non perdonare, vuol dire che non accetto il perdono, vuol dire che giudico e condanno gli altri, vuol dire che sono l’opposto di Dio.
Con tutta probabilità Gesù aveva in mente le tribolazioni e persecuzioni dei discepoli, una grande prova in cui la fede può crollare (cfr. Lc 18,8). Una realtà che appartiene a tutti e con varie manifestazioni. Gesù dunque ci chiede di domandare al Padre di aiutarci a non perdere la fede davanti alle tribolazioni e alle fatiche di ogni giorno.
vv. 5-8: Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: "Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli e se quello dall'interno gli risponde: "Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani",
Da qui inizia l’istruzione sulla preghiera. Essa ripercorre quanto detto prima al v. 3. L’uomo è il discepolo di ogni tempo nel suo bisogno. L’amico è Gesù, pane della vita.
La domanda dell'uomo che a mezzanotte riceve un ospite inatteso riflette il tipico senso di ospitalità dei popoli antichi e la richiesta di "tre pani" si spiega col fatto che quella era la quantità di pane che costituiva il pasto normale di un adulto.
I tre pani sono i tre pani dell’amore. Si sente quel bisogno di sperimentare il Suo amore perché si possa amare l’altro come si è amati da Dio. In questo Suo amore c’è la necessità di sperimentare di vivere la stessa vita di Dio che continuamente si fa pane, vita perché possa dare all’altro l’esperienza di amore che ho.
Questa esperienza va chiesta in maniera invasiva, sfacciata. Dio ama essere disturbato in qualsiasi momento e a insistere presso di lui in ogni modo, con la certezza di essere esauditi.
vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Dio sembra che appare contento quando siamo sfacciati nei suoi confronti. Siamo “senza faccia”. Anche lui ha perso la faccia per noi e continua a volerci bene e desidera essere cercato, costi quel che costi. San Paolo spiegherà quest’atteggiamento dicendo: «Pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi» (1Ts 5, 17-18); «Pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi» (Ef 6, 18).
Questo ardore instancabile non può venire che dall'amore. Contro la nostra pesantezza e la nostra pigrizia il combattimento della preghiera è quello dell'amore umile, confidente, perseverante. Questo amore apre i nostri cuori su tre evidenze di fede, luminose e vivificanti. (CCC 1174).
vv. 9-10: Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
La parabola si conclude con un gruppo di detti sulle caratteristiche della preghiera efficace. L'invito a pregare viene formulato con tre immagini di uguale significato e che indicano il desiderio umano: chiedere, cercare, bussare. Sono verbi già usati nell'AT e nel giudaismo per parlare della preghiera. L'immagine del bussare ricorda inoltre il comportamento dell'amico importuno. Vi è una certa continuità letteraria.
In questi verbi troviamo la fiducia nella preghiera. L’evangelista Luca non fa altro che ribadire che la fiducia, basata sulla fede, è la componente indispensabile di ogni preghiera cristiana.
Il cristianesimo è una religione in movimento e anche la sua spiritualità, descritta in questa preghiera, è dinamica, in movimento.
Chiedete un indirizzo e vi sarà dato. Cercate mettendovi in cammino per arrivarci e lo troverete. Bussate alla porta che corrisponde a quell'indirizzo che avete trovato e vi sarà aperto. Essendo espressione di una relazione tra persone, la preghiera è un cammino graduale.
vv. 11-12: Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?
In questi versetti troviamo due similitudini per descrivere il comportamento del Padre nei confronti del Figlio e quindi quello di Dio riguardo a ogni discepolo che con fiducia domanda qualcosa. La fiducia in Dio è l'anima della preghiera. La relazione filiale con Dio è il senso stesso della preghiera. La fiducia in Dio è il modo che ha l’uomo di far proprio il dono di Dio e di viverlo in maniera interpersonale e libera. E d’altra parte la fiducia dell’uomo in Dio, è addirittura una partecipazione alla fedeltà stessa di Dio verso l’uomo.
v. 13: Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!".
Questo versetto che chiude l’insegnamento sulla preghiera, vuole essere una conclusione di un ragionamento fino adesso fatto.
Anzitutto descrive noi come “cattivi” cioè “difettosi”, capaci di sapere dare cose buone, perfette ai propri figli così sarà di Dio Padre. Anzi Egli darà qualcosa di più: se stesso.
Infatti, Luca si distacca dalla lezione di Matteo e al posto delle “cose buone” mette lo “Spirito Santo”. Anche se può apparire in contrasto con il contenuto dei versetti precedenti, «esattamente questo è la preghiera: la preghiera è l'occasione per Dio di riversare il suo Spirito d'Amore nel tuo cuore... Ogni minuto trascorso in preghiera viene dall'eternità e vi fa ritorno» (Matta El Meskin). Egli infatti, ci dona la vita divina per cui possiamo chiamarlo davvero “Abbà” e avere quel pane, quell’amore che come siamo amati ci fa amare gli altri.
In questo dono di sé, lo Spirito Santo, abbiamo ogni bene: terreno e spirituale che ci permette di essere trasparenza di Cristo Gesù. Qui troviamo il frutto della preghiera, dell’Eucarestia che è la preghiera per eccellenza, dove l’uomo può conformare la sua vita nella vita divina.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Desidero vivere la stessa spiritualità di Cristo Gesù?
La preghiera che valore ha nella mia vita? Quale spazio le dedico?  
Con quali sentimenti mi rivolgo a Dio nella preghiera: serenità e fiducia o distrazione e indifferenza?
Cosa chiedo quando prego: solo il pane o anche la capacità di fare la volontà di Dio, la gioia di accogliere il suo regno, la disponibilità a manifestare la santità del suo amore?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita;
contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano.

La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani. (Sal 137).

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Lasciamo che lo Spirito Santo illumini la nostra vita. Mettiamoci alla presenza di Dio, non delle nostre idee su Dio; Dio è persona, le idee sono fantasie, per metterci a pregare e ricevere il suo amore da donare.