martedì 27 dicembre 2022

LECTIO: MARIA, MADRE DI DIO (Anno A)

Lectio divina su Lc 2,16-21

 
Invocare
Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.
19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio
 
Dentro il Testo
Il Vangelo che ci viene proposto nella solennità della Madre di Dio, un dogma di fede affermato nel concilio di Efeso del 431, ci riporta al giorno di Natale, nella scena della visita dei pastori al bambino Gesù.
Il brano contiene, in questa celebrazione, due variazioni: viene eliminata la menzione degli angeli che si allontanano dopo aver dato l'annuncio ai pastori e al termine viene aggiunto il v. 21, che parla della circoncisione del Bambino e dell'imposizione del nome. I bambini ebrei, infatti, venivano sottoposti a questa pratica che era il segno della loro appartenenza al popolo di Israele e insieme ricevevano il nome con cui sarebbero stati riconosciuti per tutta la vita.
Perché quest’annuncio ai pastori? Perché erano gli ultimi, gli esclusi; erano ignoranti della legge e impossibilitati a praticarla; erano esclusi dal tempio e dalla sinagoga. Nei racconti rabbinici, venivano messi sullo stesso piano dei briganti e dei malfattori. Non solo, ma nei tribunali il Talmud afferma che la loro testimonianza non era accettata, al pari dei ladri e degli estorsori.
Dopo l’annuncio dell’angelo, i pastori ebbero una immediata reazione: è scritto che andarono a Betlemme “senza indugio”, quindi senza tener conto del gregge, unica cosa che possedevano. “Vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”, parole che denotano quanto siano inutili e dannosi i preconcetti umani, quella suddivisione in categorie che fa il mondo. Ciò che conta non è la classe sociale ma la disposizione del cuore, l’anima e lo spirito della persona.
Questo brano è illuminato da due nomi: il nome del Signore Gesù, al di là del quale non si dà altro nome né nel secolo presente né in quello futuro, e il nome della sua vergine Madre Maria, memoria della nostra autentica identità, posta come modello e riferimento per dare speranza e senso ai giorni del nuovo anno che incomincia.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 16: Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.
Il versetto è riferito ai pastori che durante la loro veglia vennero rallegrati per la nascita del Redentore, vengono invitati dall’angelo del Signore a farne verifica.
Questi li troviamo in cammino e come per abitudine, Luca li descrive con una certa fretta, simile alla fretta di Maria nell’andare a visitare la parente Elisabetta.
“Andare”…, un verbo che allude a un attraversamento, un verbo che richiama a quel bisogno di colmare le distanze … fino ad andare a Betlemme. C’è un annuncio ricevuto, ma ci sta una esigenza oculare! Il viaggio dei pastori ... il nostro viaggio della vita, del nostro quotidiano con la fretta di Maria ... il coraggio di mettersi in viaggio anche se è notte, anche se non si conosce l’itinerario, anche se non si sa la meta, anche se c’è la fatica, la stanchezza, il sonno, il dubbio, il timore ... È il viaggio all’interno di noi stessi: un viaggio faticoso.
Cosa trovarono i pastori a Betlemme? Gente semplice: Maria, Giuseppe e il bambino che giace in una mangiatoia. La sottolineatura di questo segno dato da parte degli angeli, e il suo riscontro da parte dei pastori, vuole essere un elemento che evidenzia ancora di più l’aspetto umano di colui che è il Figlio di Dio.
I pastori sono modelli di fede. I pastori fanno propria l’attesa dei poveri, di quei poveri di Javhè della Scrittura. Si tratta di un lieto messaggio atteso, dato ai poveri in una stalla, dato a chi ha dimestichezza con queste cose, con le stalle, le mangiatoie.
Quest’incontro con il Verbo della vita è sottolineato dai verbi classici: “trovarono...videro”.
v. 17: E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
L'atteggiamento dei pastori è molto dinamico: prima ascoltano (vv. 10-11 e v. 15), poi si muovono e trovano il segno (v. 16), lo guardano e diventano a loro volta messaggeri, riferendo quanto avevano visto e udito. Il contenuto del loro annunzio è ciò che del bambino era stato detto loro. Sulle labbra dei pastori è la testimonianza che Dio rende del suo Figlio. È il mistero di una povertà che non va risolta ma ascoltata, una povertà che rende testimonianza a un Cristo povero.
Si profila la dinamica missionaria della Chiesa: l’annuncio porta all’ascolto, l’ascolto alla visione. A sua volta chi ha visto porta ad altri l’annunzio perché attraverso l’ascolto giungano alla visione. In seguito, l’evangelista Giovanni dirà: «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,2).
Coloro che udivano è la stessa comunità cristiana che riflette sul fondamento della propria fede. Anch’essa vive nello stupore. Lo stupore è la reazione dell'uomo dinanzi alle meraviglie di Dio, davanti all'azione di Dio che improvvisamente diventa manifesta nell'esistenza degli uomini.
v. 18: Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 
La lieta notizia suscita meraviglia nei cuori. Lo stupore è la reazione dell'uomo dinanzi alle meraviglie di Dio, davanti all'azione di Dio che improvvisamente diventa manifesta nell'esistenza degli uomini. Il vangelo annunciato non può che destare meraviglia. Anche i Genitori del Bambino si trovano lì in adorazione del Mistero, e nel silenzio, vivono di meraviglia. Anche nel silenzio dei pastori vi è meraviglia, una meraviglia che si fa condivisione di vita, perché Dio ha acceso nei cuori la fiamma del suo amore!
I pastori non si rendono conto che ciò di cui sono stati resi depositari aveva creato stupore negli altri. Essi trovano la testimonianza della fede e imparano a lodare Dio, suscitando negli altri lo stupore, la meraviglia... e aiutando gli altri a imparare a lodare Dio per le meraviglie che Egli ha compiuto.
v. 19: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
Alcuni traducono: “custodiva tutte queste parole”. Il cuore di Maria, sede di parole ricordate a approfondite nello Spirito, è pertanto un cuore di sapienza simile a quello dello scriba che dal suo tesoro sa trarre e comporre cose antiche e cose nuove; è anticipazione e figura del cuore dei figli della sapienza (Lc 7,35), della chiesa dell’ascolto accolto, custodito, meditato e pregato perché si affretti il tempo in cui il non chiaro sia reso trasparente. Luca sottolinea la meditazione di Maria sui fatti il cui senso sarà manifestato solo nella rivelazione pasquale. Maria è tutta raccolta e concentrata in se stessa per penetrare più a fondo nel significato degli avvenimenti in cui si è trovata coinvolta. Appare così come colei che è madre e sa interpretare gli eventi del Figlio.
Maria diventa, così, simbolo e modello della comunità cristiana che, in atteggiamento sapienziale e contemplativo, cerca di assimilare interiormente il mistero inesauribile del Verbo Incarnato.
 v. 20: I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
L’evangelista Luca abitualmente termina il racconto con la partenza dei protagonisti: prima gli angeli adesso i pastori. I pastori tornando alla loro quotidianità e glorificano Dio per quello che hanno udito. Questa è la forza e l’umiltà che proviene dalla Parola, che è dono di Dio. In Essa i poveri trovano la loro forza e la loro umiltà.
“Vedere” e “udire” sono i verbi della fede. Proprio il binomio, akùein e idèin, che tante volte ricorre negli Atti degli Apostoli, configura i pastori come i primi testimoni-apostoli. Potremmo osservare che l'esperienza cristiana, in questo brano, è espressa da pochi verbi che interagiscono tra loro: ascoltare, ubbidire, trovare, vedere, testimoniare, lodare. È importante verificare se e come li coniughiamo nella nostra vita, se e in quale misura sappiamo annunciare la gioia d'avere incontrato il Salvatore.
v. 21: Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Questo versetto apre un nuovo paragrafo nei racconti dell'infanzia. Il testo evangelico fa riferimento al rito della circoncisione (attraverso il quale il Bambino è inserito ufficialmente nel popolo di Dio) e l'imposizione del nome (cfr. Gen 17,12; Lv 12,3), a cui Luca dà un risalto particolare: è Dio che ha voluto tale nome e quindi la missione che esso esprime. Al quarantesimo giorno verrà portato al Tempio di Gerusalemme per la purificazione.
Il nome nella Bibbia dice l’identità e la missione di chi lo porta. Infatti, il nome di Gesù in ebraico è: Yehôsua‘ che noi traduciamo con “Dio salva” oppure “Il Signore è la salvezza”. Tale nome era corrente nell’Antico Testamento e all’epoca della nascita di Gesù. Era strettamente legato al nome di Giosuè. Per questa ragione la figura di Giosuè, nell’Antico Testamento (specie nel libro dei Numeri) è spesso considerata una prefigurazione di Gesù, che condurrà il Popolo di Dio nella terra promessa.
Questa attenzione da parte dell'Evangelista sta ad indicare che il nome imposto è il Nome innominabile, origine di ogni nome. Ora possiamo nominarlo, perché Dio si è donato a noi.
Il nome di Dio per l’uomo non può essere che Gesù, cioè “Dio salva”. Dio è per noi, perduti e lontani da lui, perché si chiama Gesù, Dio-con-noi e Salvatore.
«Il nome di Gesù significa che il nome stesso di Dio è presente nella persona del suo Figlio fatto uomo per la redenzione universale e definitiva dei peccati. È il nome divino che, solo, porta la Salvezza e che ormai può essere invocato da tutti, perché egli si è unito a tutti gli uomini mediante l’Incarnazione, di modo tale che non ci sia sotto al cielo altro nome dato agli uomini mediante il quale possiamo essere salvati» (CCC 432).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Anche io sono andato senza indugio alla grotta per contemplare con fede l'avvenimento salvifico?
Quale annuncio oggi è capace di mettermi in cammino, di smuovermi?
Come Maria, riesco ad interiorizzare la Parola di Dio per non viverla passivamente?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
 
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
 
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra. (Sal 66).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Anche noi, come i pastori, dobbiamo andare alla grotta per verificare e coniugare nella nostra vita i verbi della fede lasciandoci plasmare dalla novità del vangelo. Andiamo per ascoltare cosa ci dice Dio, per essere in sintonia con il suo volere.
 

martedì 20 dicembre 2022

LECTIO: NATALE DEL SIGNORE (Anno A)

Lectio divina su Lc 2,1-14
 

Invocare
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana.
Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 13Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
8C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11og­gi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio
 
Dentro il Testo
In questo tempo di avvento abbiamo meditato i fatti che hanno preceduto il Natale del Signore. I giorni che hanno preceduto il ricordo di questo evento sono stati segnati dalla persona del figlio di cui Maria di Nazareth è venuta misteriosamente incinta.  
Siamo verso la fine del "vangelo dell'infanzia" nella versione lucana. Il vangelo dell’infanzia non fa altro che prepararci all’evento salvifico già annunziato dai profeti.
La liturgia, nella notte di Natale, ci presenta solo 14 versetti. La nascita di Gesù è in 40 versetti. In questi 40 versetti ci sta un confronto tra questa scena e la precedente: riguardo al Figlio di Maria, l'obiettivo è puntato in primo luogo sulla scena della nascita, mentre per Giovanni si dà risalto alla circoncisione e all'imposizione del nome. Ma è la notte di Natale. Una notte che nei Vangeli prende forma riflessa per la nostra vita.
Il brano lucano è semplice, suggestivo, pieno di spunti teologici costruito sul modello dell’annuncio missionario.
Punto centrale della narrazione sono le parole dell’angelo ai pastori, che riguardano il senso gioioso dell’avvenimento e la professione di fede in Gesù Salvatore. Dio entra nella vita degli uomini fuori dal tempio, dai suoi incensi e dalle case degli uomini, sente di dover chiamare a raccolta gli uomini per questo avvenimento in un luogo lontano e fuori dalla “Città”. Dio non va pensato come uno che si compiace della bontà dell'uomo ma piuttosto come uno che infonde la bontà nell'uomo attraverso la sua divina elezione e misericordia.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 1-3: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria.Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Con questi primi versetti, Luca vuole indicare il contesto storico-teologico della nascita di Gesù mostrando che l'azione divina si serve dell’uomo, si serve di un decreto di Cesare.
L’imperatore di cui si parla è Ottaviano Augusto. Egli aveva ottenuto il titolo di “Cesare” che lo indicava degno di adorazione, innalzandolo al rango divino. L’evangelista Luca sottolinea così la contrapposizione tra il regno umano e il regno di Dio. L’uomo esalta la sua grandezza, Dio la sua piccolezza.
Negli Atti, Dio si servirà ancora delle stesse leggi romane per condurre Paolo a Roma per annunciare il Vangelo. Infine, e soprattutto, ciò offre un pretesto per il viaggio: un pretesto, poiché tali censimenti si fanno sempre nella località di residenza, non in quella di origine.
Ciò che è importante è che in un contesto storico vi è un annunzio di salvezza. Origene scrive: "In questo censimento del mondo intero Gesù doveva essere incluso... affinché potesse santificare il mondo e trasformare il registro ufficiale del censimento in un libro di vita".
Il censimento di cui si parla è strumento di carattere economico e politico, in funzione delle tasse e degli impegni militari. Esso indica il potere dell’uomo sull’uomo. Il Messia entra e nasce in questa storia di male: «la luce nelle splende nelle tenebre» (Gv 1,5).
vv. 4-5: Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
L'evangelista Luca ci dice che la storia universale è al servizio della storia della salvezza; il decreto di Augusto è soggetto al piano di Dio. Per questo i due santi sposi si incamminano verso Betlemme per il censimento. Il profeta Michea aveva infatti profetato: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele…» (Mi 5,1). E in questi versetti, Luca sottolinea il casato e l’origine davidica di Giuseppe. Di Maria é detto per la prima volta, che é incinta ma la chiama “fidanzata” “promessa sposa”. In Mt 1,18-25 sappiamo che Giuseppe ha condotto Maria nella propria casa ed ha giá superato i suoi dubbi personali sulla strana gravidanza. Ma Luca presentando una fidanzata incinta in viaggio vuole lanciare una provocazione scioccante, forse invitare a leggere e cercare. La prospettiva provvidenziale di Luca nel raccontare i fatti emerge anche dal fatto che Giuseppe porta con sé Maria: le donne non dovevano farsi registrare; dunque, la giovane puerpera avrebbe potuto rimanere a Nazareth. Luca, però, vuole mostrare che ella è considerata a pieno titolo legale membro della famiglia davidica.
v. 6-7: Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
Quindi il luogo è Betlemme.  Nell’Antico Testamento è importante soprattutto come luogo dell’origine della stirpe di Davide. Il luogo è la casa, è la famiglia parole sottolineate dall’evangelista Luca. In questo luogo Luca ci ha condotti senza però precisare nulla. Qualcosa però ci riconduce a capire che si realizza quanto previsto in 1,26-38 ed il bambino giudeo é integrato nel popolo della promessa tramite la circoncisione (2,21).
Maria dà alla luce il suo primogenito. Il termine “primogenito” non indica che Maria abbia avuto altri figli dopo la nascita di Gesù. Il primo figlio - anche se non ne fossero nati altri in seguito – era sempre chiamato primogenito, per designare i diritti e i doveri che lo riguardavano (cfr. Es 13,12: “Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi figli”; Es 34,19: “Ogni essere che nasce per primo nel seno materno è mio”).
I movimenti che fa Maria (lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia), sono gli stessi movimenti che si faranno alla morte di Gesù. Gesù sarà segnato fino alla morte da questa estrema povertà. Non si tratta solo dell'indigenza materiale della sua famiglia. C'è molto di più. Gesù, il Verbo fatto carne, "venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11). E la mangiatoia ne è il simbolo: “il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. (Is 1,3). C'è qui il grande mistero dell'incarnazione. Paolo dirà che "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8, 9).
Anche un alloggio (Katàljma) diviene simbolo di una povertà e di un rifiuto che troverà il suo culmine nel rifiuto assoluto di lui nel processo davanti a Pilato (cfr. Gv 18, 28-19, 16). Più tardi Gesù dirà “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Katàljma ricorda anche quel luogo ove Gesù mangerà la Pasqua con i discepoli (Lc 22,11; Mc 14,14; cfr. anche: Lc 9,12; 19,7; 22,14).
v. 8: C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Lo scenario cambia. Siamo nella regione dove un tempo Davide pascolava il gregge. In questo luogo vivono ancora i pastori. Come al solito, di notte si radunano e, a turno, vegliano il gregge.
Luca indica i pastori perché questi sono coloro che godono di una cattiva reputazione: sono spesso considerati ladri e disonesti, anche se il loro mestiere tornava utile anche al tempio per l’offerta dell’agnello. I pastori sono coloro che occupano il gradino più basso della scala sociale, sono i primi ad essere coinvolti della nascita di colui che ha per madre un'umile donna (1,48) ed è "inviato a portare ai poveri il lieto annunzio" (4,18). Ecco Dio si rivolge proprio a loro, perché Egli «ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato per ridurre a nulla le cose che sono» (1Cor 1,28).
Il neonato è già Colui che sarà accessibile ai peccatori e mangerà alla loro tavola (15,2). Proprio queste persone sono coloro i quali vegliano per sorvegliare il gregge. C’è una capacità di attenzione in loro che in altri non si riscontra.
Luca è sensibile nel mettere in evidenza che Dio consegna sé stesso ai semplici; pensiamo a Maria in Lc 1,48: «alla bassezza della sua serva»; Lc 6,20: «beati voi poveri»; Lc 10,21: «ti benedico o Padre che ti sei rivelato a piccoli e ti sei nascosto ai sapienti».
Questi pastori sono presentati mentre fanno la veglia, ed è l’atteggiamento giusto per accogliere Dio. E la liturgia «ci invita a preparare con gioia il suo Natale, ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode» (Messale Romano, Prefazio dell’Avvento II).
vv. 9-10: Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo.
Proprio a queste persone capaci di vegliare il gregge, il vero Guardiano del gregge li chiama (1Pt 2,20-25, Gv 10,1-10). Questi avvolti dalla gloria di Dio, cioè dalla sua Presenza, dalla sua Rivelazione sono riempiti interiormente dall’amore di Dio, dalla sua stessa passione.
La luce non sta semplicemente davanti a loro ma li avvolge, entra nella loro vita, essi accolgono quell’annuncio che non è per loro soli, ma anche per tutto il popolo.
Custodi di un gregge ora sono custodi di un mistero da conoscere e poi irradiare a tutti.
I pastori sono presi da timore perché si trovano di fronte a qualcosa, non solo d’imprevedibile e impensabile, ma anche ad un’azione che riscontriamo solamente nelle teofanie dell’AT, specie ad Is 6,1-5 ed Ez 1; 3,12.23.
Però il Signore rassicura, conforta con la sua Parola di salvezza. Quel timore che coinvolge immediatamente ed emotivamente ora trova un’apertura di significato grazie all’angelo del Signore, interprete luminoso dei fatti oscuri conducendo alla gioia vera.  
La gioia presente in tutto il vangelo lucano é una caratteristica della fede nell’itinerario salvifico. È una gioia che non si affievolisce e non si stabilizza, ma cresce all’infinito perciò l’angelo dice: vi evangelizzo, c’é qui qualcosa proprio per voi, vi immergo in una realtà per voi assolutamente inedita.
v. 11: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Si rinnova quel prodigio, ma Luca scrive “oggi”, un termine teologico e difficilmente cronologico. Luca non fa altro che farci entrare nel “tempo di Dio”.
Altri episodi del vangelo o della sacra Scrittura: “oggi è entrata in questa casa la salvezza”, “ascoltate oggi la sua voce del Signore”, “oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”, “oggi sarai con me nel paradiso”, “oggi ti ho generato.”.
C’è un “oggi” che si relaziona nel qui ed ora con ciascuno e con tutti, una storia che diventa storia di salvezza.
Qui è il centro del racconto: l’iniziativa di Dio non è parola ma “Carne, Corpo”, presenza incarnata, profondamente dentro la storia, la mia, la tua, la nostra storia. Egli è Dio, l’annuncio si presenta ancora difficile per molti.
Nei versetti precedenti abbiamo appreso il nome del bambino, qui l’angelo del Signore, annunciando la nascita di Gesù non lo chiama con il nome proprio ma con tre titoli teologici: Salvatore; Cristo; Signore. In questi titoli teologici è racchiusa una professione cristologica riassunta dall’angelo stesso.
Luca non fa altro che insistere sulla signoria di Gesù e sulla sua missione di salvezza. In altre parole, la sua signoria è la nostra salvezza. Non solo opera, fa salvezza, salva, ma é salvezza. 
vv. 12-14: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
L’annuncio dell’angelo ai pastori è accompagnato da un segno, come per l’annuncio a Maria; la cugina Elisabetta al sesto mese, il bambino nella mangiatoia per i pastori, sono i segni che accompagnano, per sempre, la fede di chi ha il desiderio di ascoltare, vedere, incontrare, servire il vangelo che è lieta notizia. L’Evangelista Luca li ripete, perché questo è il cuore di tutto, della rivelazione di Dio, della storia, della vita dell’uomo. È la predicazione dell’evento da accogliere e da testimoniare così come cantano gli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace tra gli uomini, che egli ama». Ciò manifesta la potenza divina e svela finalmente la sua misericordia, la sua nuova alleanza tra Cielo e terra dopo l’arcobaleno che troviamo in Genesi dopo il diluvio (cfr. Gen 9,11).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
C'è posto per Gesù nella mia vita? Quali segni mi sta offrendo Dio della sua presenza?
Gesù è nato per portare gioia e pace. Quanto caratterizzano la mia vita questi doni? Sono portatore di gioia e di pace per gli altri?
Cosa significa per me la parola Salvatore, da cosa vorrei essere salvato?
Credo che sia possibile anche per me diventare complice di un nuovo annuncio?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
 
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
 
Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.
 
Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. (Sal 95).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Lasciamoci sorprendere da un Dio che abita la notte, così che anche la notte del dolore si apra alla luce pasquale del Figlio di Dio crocifisso e risorto. Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché, conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all'amore delle realtà invisibili.
 

martedì 13 dicembre 2022

LECTIO: IV DOMENICA DI AVVENTO (Anno A)

Lectio divina su Mt 1,18-24
 

Invocare
O Dio, Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della tua parola, nell’obbedienza della fede.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
 18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio
 
Dentro il Testo
La liturgia della Parola di questa IV di Avvento, ruota attorno ad un segno e ad una promessa: la nascita di un bambino, a cui sarebbe stato posto il nome Gesù. Troviamo questo compimento nel Vangelo, nel segno profetico dell’Emmanuele, Dio-con-noi, il secondo nome di Gesù. Egli è il segno della fedeltà di Dio: la sua venuta inaugura un tempo nuovo. Per Matteo questo tema verrà ripreso anche alla fine del suo Vangelo quando il Risorto promette ai suoi: «Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20).
Il personaggio centrale di questo racconto di Matteo è Giuseppe, mentre per Luca è Maria. Dopo aver stabilito la paternità davidica legale di Gesù attraverso Giuseppe, Matteo spiega anche come fosse possibile che Gesù oltre ad essere figlio di Davide fosse anche figlio di Dio, e questo sin dal concepimento.
In quest’annunciazione a Giuseppe, viene indicato a noi un modello di vera e attiva collaborazione con il disegno di Dio. La nostra attesa di Colui che viene, però, non può essere attesa oziosa e passiva, richiede disponibilità e accoglienza.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 18: Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Abbiamo appena terminato con la genealogia (i primi 17 versetti), dove con il lungo elenco dei nomi ci viene svelato il volto del Signore. È una vera e propria rivelazione dell’identità del Dio di Gesù Cristo.
Da questo versetto vengono messi in luce i fatti, viene messo in luce il concepimento di Gesù più che la sua nascita. Anzitutto Matteo non fa altro che mettere in primo piano la persona di Giuseppe e narrare gli avvenimenti secondo il modo di pensare di Giuseppe.
In questo versetto Maria viene già descritta come madre. C’è un dono che Maria riceve dall’Alto un dono da custodire e da vivere. Questa maternità è opera dello Spirito Santo. Ciò appare prima che Ella vada a convivere con Giuseppe, il suo promesso sposo.
Secondo la legge di Mosè questo errore meritava la pena di morte (Dt 22,20). Ma l’Evangelista sottolinea per noi che Maria era «incinta per opera dello Spirito Santo».
Qui si vuol sottolineare che Giuseppe non c’entra niente con il concepimento di Gesù. La gravidanza di Maria avviene nel tempo del loro fidanzamento e prima che lei convivesse con Giuseppe, non per una deviazione umana, bensì per volontà divina. È la sorpresa più sconcertante e splendida che possa avere una creatura che arriva a concepire l’Inconcepibile, il proprio Creatore. E Maria è colei che per prima accoglie il dono assoluto di Dio. È questo il senso della verginità di Maria. Non l’ha fatto lei, non l’ha preteso lei, ma l’ha atteso lei, è stata disponibile.
v. 19: Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Per Matteo e per noi la causa della maternità di Maria è ormai un dato assodato, ma ciò non era così ovvio per Giuseppe. Qui non abbiamo una descrizione dell’animo di Giuseppe, però abbiamo una definizione che lo stesso Evangelista fa di Giuseppe: “uomo giusto”. Egli è come l’orante (del Salmo 119) che cerca Dio e ordina la propria vita secondo la sua volontà e con intima gioia la sua Legge. Nell’Antico Testamento l’uomo giusto è colui che è accetto a Dio. E Giuseppe rientra in quell’ideale di uomo giusto. Forse ancora non coglie il mistero in profondità ma il suo cuore è grande e da uomo giusto, non volendo esporre all’infamia Maria, non obbedisce alle esigenze delle leggi della purezza (cfr. Dt 22,23-27). La sua giustizia è maggiore. Più tardi Gesù dirà: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).
La grandezza umana di Giuseppe, preferendo Maria alla propria discendenza, scegliendo l’amore invece della generazione, ci dice che è possibile amare senza possedere.
vv. 20-21: Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.
Giuseppe continua a pensare, agisce in base a ciò che ha dentro, e che nel sonno emerge in libertà: Giuseppe, l’uomo giusto ha i sogni stessi di Dio: la sua parola parla nel sonno delle altre parole. Entrare nel sogno di Dio fa scoprire di essere figli. È scoprire la dimensione più profonda della vita e degli eventi.
Nel sogno avviene un dialogo con l’Angelo del Signore. Egli viene chiamato con un appellativo solenne: «Giuseppe, figlio di Davide». Risentiremo nuovamente questo titolo, ma soltanto per Gesù (cfr. Mt 1,1; 9,27; 20,30ss.). In Giuseppe accade il risveglio e le speranze della profezia di Natan a Davide si fanno realtà. L’erede delle promesse è chiamato dalla Parola ad accogliere il dono con decisione e libertà. Egli è chiamato da Dio con quella dolce parola «Non temere». Anche nella creazione fu rivolta ad Adamo questa parola, purtroppo la sua risposta è stata: «Ho avuto paura» (Gen 3,10). Tutte le volte che Dio si rivela dice sempre: non temere! Perché il rapporto fondamentale tra uomo e Dio è governato dalla paura e dalla mancanza di fede. La paura fa fuggire, fa allontanare da Dio; la paura non viene mai da Dio; la paura è ciò che ti allontana da Dio, addirittura ti allontana dal dono e allora, ti dice: non temere!
Con Giuseppe è un po’ diverso: “non temere ma prendi”. Giuseppe è chiamato a prendere Dio per mezzo di Maria, accogliere Maria e il dono che lei porta; lasciare che la Parola risvegli nel profondo quel sogno segreto che è Dio stesso.
Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù
Lo Spirito Santo è la vita di Dio, è l’amore stesso tra Padre e Figlio. A noi viene dato l’amore tra Padre e Figlio: viene comunicato a tutti. Quindi noi riceviamo il dono dello Spirito, il frutto di questo dono è Gesù, che ci inserisce nel dono stesso.
Giuseppe è chiamato a dare il nome al bambino: Gesù. Sarà lui a dare un nome al bambino, a prendersi cura di lui come il padre legale. In questo modo assicurerà a Gesù anche la discendenza davidica, che si trasmetteva tramite il padre.
Il versetto indica il significato del nome ebraico Yeshua o Yeshu, che sono la forma abbreviata di Joshua che significa “il Signore salva, aiuta”. È il nome di Dio, la sua realtà per chi lo invoca (cfr. At 2,21; 4,12), perché è il nome dal quale ogni nome prende vita.
Matteo cita anche il Salmo 130,8: «Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe», dove il soggetto della frase è Dio. Qui invece il soggetto è Gesù stesso, sarà lui a salvare il popolo, è lui il Messia atteso.
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati
Quest’espressione va interpretata alla luce degli insegnamenti contenuti nell’AT, nel quale troviamo tale espressione, “salverà il suo popolo”, con riferimento a Dio stesso. Infatti, nel libro del profeta Zaccaria leggiamo: «Il Signore loro Dio in quel giorno salverà come un gregge il suo popolo, come gemme di un diadema brilleranno sulla sua terra» (Zc 9,16). La frase di Matteo, inoltre, intende affermare che in questo Bambino che sta per nascere sarà presente Dio stesso.
vv. 22-23: Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi.
Quanto sta accadendo a Maria e a Giuseppe non è un caso ma è il compimento delle Sacre Scritture. La citazione è Isaia 7,14 in cui l'ebraico alma "giovane donna", viene tradotto con parthenos "vergine" nella bibbia greca dei LXX. La giovane donna di Isaia 7,14 era la moglie del re Acaz, la quale, in un momento di particolare crisi del regno di Giuda, avrebbe partorito un figlio (probabilmente il futuro re Ezechia) e ciò sarebbe stato un segno della benedizione di Dio verso il suo popolo.
Matteo poi rettifica la profezia che riporta il nome di Emmanuele, ricordandone il significato: Dio è al fianco dell’uomo. Questo «Dio con noi» (Is 8, 8-10) è il punto di partenza dell'arco che abbraccerà tutto il vangelo di Matteo fino a 28,20 «Ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo».
Emmanuele è il nome più bello di Dio, perché Dio nella sua essenza che è amore, che è compagnia si manifesta nella sua essenza a noi, entrando in nostra compagnia: Dio con noi. L’essere con è la sua qualifica fondamentale; «con» significa relazione, intimità, unione, consolazione, gioia, sforzo. Lui è sempre con noi, in nostra compagnia (28,20). Dio come compagnia, come dono, come vittoria sulla solitudine, come comunione, come amore: è il Dio-con-noi.
v. 24: Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Il sonno di Giuseppe si trasforma. La Parola del Signore trasforma i dubbi e i sogni: è il segno di un risveglio, di una resurrezione.
La resurrezione nasce dopo una lunga prova. Di Giuseppe non sapremo più nulla. Egli farà quanto “gli aveva ordinato l’angelo del Signore”. Imita la sua sposa: scava nel pozzo del cuore per accogliere il Bambino. L’accoglienza del bambino è l’accoglienza della madre. Maria lascia la casa del sì detto a Dio e va nella casa del sì detto a un uomo. Maria è la donna del sì, ma il suo primo sì l’ha detto a Giuseppe, l’angelo la trova già promessa, già legata, già innamorata.
Giuseppe porta nella sua casa Maria. La casa è il luogo dove Dio si fa prossimo, si fa vicino, perché parla prima di tutto attraverso i volti delle persone che ci ha messo accanto, ci guarda prima di tutto con lo sguardo delle persone che vivono accanto a noi.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Come rispondo a Dio che cambia direzione ai miei progetti (anche nella vita di coppia), come ha fatto con Giuseppe?
Anch’io riesco a intuire che Dio interviene nella mia vita, nella mia storia oppure preferisco fuggire?
Mi è abituale, nelle vicissitudini più o meno importanti della vita, di fermarmi a pensare che cosa fare, come ha fatto Giuseppe?
Sono convinto che sono chiamato alla paternità (o maternità) di Dio?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.
 
Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.
 
Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.  (Sal 23).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Con l’incarnazione di Gesù, Dio si è fatto prossimo agli uomini e si è reso presente nella Storia. Riconosciamolo all’opera nella nostra quotidianità e chiediamogli di aiutarci ad essere come lui ci vuole.

mercoledì 7 dicembre 2022

LECTIO: III DOMENICA DI AVVENTO (Anno A)

Lectio divina su Mt 11,2-11
 


Invocare
Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore il nostro cammino incontro a colui che viene e fa’ che, perseverando nella pazienza, maturiamo in noi il frutto della fede e accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».  7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
 
Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio
 
Dentro il Testo
Il Vangelo odierno, in questa terza domenica d’Avvento, detta “Gaudete”, è nel contesto di una serie di racconti circa l’attività di Gesù che fa seguito al discorso sull’apostolato (cfr. Mt 10-13).
In questa sezione non vengono narrati molti miracoli, ma l’evangelista pone l’accento sulla polemica fra Gesù e i suoi avversari, in un crescendo che continuerà per tutto il resto del vangelo.
In questo tratto evangelico, dominato in modo preponderante dalla diffidenza e dall'ostilità, la predicazione di Gesù è costretta a farsi misteriosa e Gesù, per non togliere del tutto la luce dei suoi insegnamenti al popolo d'Israele, propone sotto il velo del genere parabolico i vari aspetti della misteriosa realtà del Regno.
Anche questa domenica entra in scena Giovanni Battista ma questa volta appare “vacillante”. Ciò è indice di quell’umanità di Giovanni sempre in cerca della Verità, la stessa che ha proclamato, la stessa di cui è amico, la stessa per cui è disposto a perdere la sua vita. Di lui Gesù ne fa un grande elogio con una grande testimonianza e risponde al profeta con le profezie di Isaia e approfitta per ricordare a tutti il ruolo che ha Giovanni nella storia della salvezza.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 2-3: Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo
Parlando del Battista, Matteo ci ha lasciati al suo arresto in 4,12 dicendo che Gesù incominciò a predicare dopo aver sentito che Giovanni era stato arrestato. Successivamente, in Mt 14,2-12, spiegherà i motivi dell'arresto di Giovanni e le circostanze della sua uccisione.
Giovanni si trova in carcere nella fortezza di Macheronte, che si trova a mt 1.120 di altezza circa; un luogo di segregazione, un mondo a parte.
Paolo scrivendo a Timoteo dice: “la Parola di Dio non è incatenata” (2Tim 2,9), non si lascia mettere nessuna catena, perché essa «è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4, 12).
Giovanni è convinto di questo e non ripiega la sua vita su se stesso, anzi, non smette di fissare lo sguardo verso ciò che ritiene lo scopo della sua vita: preparare la strada al Messia. In Lui è tutta la sua gioia, da Lui aspetta la sua salvezza. È attento ai segni dei tempi anche se questi segni sono molto diversi da quelli da lui stesso annunciati.
per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Giovanni, sentendo parlare delle “opere del Cristo”, si pone una domanda drammatica, colma di mille dubbi. Forse un dubbio della stessa comunità per cui scrive Matteo. Può essere anche il nostro dubbio, specialmente per quelle volte che chiediamo a Gesù di venire allo scoperto.
Non sappiamo il motivo per cui il Battista è spinto alla domanda; forse l’ambiente stesso l’ha portato a questo. In questo momento egli rappresenta tutti quegli uomini giusti dell’Antico Testamento e di tutte le epoche, che hanno il valore di esprimere i loro dubbi, di mettersi in discussione con serietà, di cercare una risposta alle loro domande.
Giovanni da uomo pieno di Spirito Santo si mette in discussione e si apre ad una nuova proposta da parte di Dio, pur con la fatica che avrà fatto nel comprendere questo progetto. La sua è una domanda aperta alla verità che gli viene da un Altro.
vv. 4-5: Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo.
Alla domanda precisa di Giovanni, Gesù non dà una risposta altrettanto precisa, ma facendo parlare i fatti, elencando i segnali che la tradizione profetica (Is 35,4-6) considerava premonitori dell’avvento del Messia, attesta esplicitamente la sua missione.
I verbi “udite” e “vedete” messi al presente descrivono un'azione che si sta svolgendo ora, in questo momento, con tendenza a durare verso un immediato futuro.
Qui Gesù invita, non solo Giovanni, ma i discepoli di ogni tempo, a leggere i segni dei tempi per riconoscervi la presenza del Messia-Gesù. Questa “è la via della fede, che iniziando dall’attività visibile culmina nel riconoscimento di Gesù. È la via che conduce dall’oscurità alla luce, dal segno alla realtà” (W. Trilling).
Con il metodo narrativo matteano, Gesù citando alcune profezie di Isaia: Is 35,5-6 (ciechi sordi e zoppi); 26,19 (morti); 29,18 (sordi); 61,1 (buona novella ai poveri), afferma che in Lui le Scritture hanno avuto il loro compimento e ci invita a raccontare noi stessi ciò che abbiamo visto e udito (cfr. 1Gv 1,1-4). Inoltre, ci invita a porci degli interrogativi sulla verità nascosta: un incitamento anche per noi ad essere svegli per essere portatori di un annuncio vivo e vissuto della nostra fede in Lui.
v. 6: E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!
È forte quest’affermazione di Gesù! C’è una beatitudine per chi riesce a superare lo sconcerto che prova davanti a un Messia povero e disarmato. Questa è una beatitudine che invita a leggere i segni dei tempi per dare risposta a noi stessi e a quanti ci circondano.
Gesù le aveva già proclamate le beatitudini. Qui sembra aggiungerne ancora una. In realtà il discorso è legato all’atteggiamento del discepolo che dovrà vivere il vangelo del regno ai poveri, della misericordia, della pace, della giustizia. Seguire gli insegnamenti del Maestro: la via per giungere al Regno di Dio. Quanti sapranno accogliere questo messaggio e questo stile di vita, senza che esso gli provochi inciampo nel cammino, saranno felici perché avranno trovato la via della vita e della vera libertà.
La beatitudine è anche uno scontro, una crisi di fede. La parola “scandalo” vuole indicare la “pietra d’inciampo”, che non ti permette di proseguire il cammino, ma che te lo rende presente se ne prendi coscienza.
Oggi lo scandalo è anche qualcosa di negativo, ma qui parliamo di Gesù. Egli si presenta come uno che “scandalizza”. Lo scandalo di cui parla Gesù è quello che scaturisce dal vivere radicalmente il vangelo, che va controcorrente, quello che ci scuote dalle nostre abitudini di vita e dai nostri schemi mentali.
A nostra volta, siamo chiamati tutti a “scandalizzare” il mondo con “lo scandalo del vangelo” dimostrando con la vita di non assoggettarsi a usi e costumi lontani dalla fede cristiana, di rifiutare compromessi che provocherebbero ingiustizie, di preoccuparsi dei poveri e degli ultimi.
v. 7: Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?
Il versetto si presenta come la corsa della curiosità. Gesù ancora ci interpella con queste parole. In particolare, noi che continuiamo a seguirlo, ad ascoltarlo.
Gesù parla del Battista, rendendogli testimonianza, come il Battista l'aveva data per lui in Mt 3, non come noi che continuiamo ad arrampicarci sugli specchi o che passiamo da un pensiero ad un altro. Egli è il discepolo fedele, che ha annunciato con schiettezza gridandolo alla coscienza di ognuno.
Giovanni compie il suo ministero in funzione della venuta di Gesù, su di lui occorre riflettere probabilmente per poter accogliere meglio il Messia. È un vero elogio quello che Gesù fa del suo Precursore: gli riconosce una solidità interiore; non si è lasciato agitare dai venti contrari seguendo ora questo, ora quello. Giovanni non è una canna sbattuta dal vento (1Re 14,15), cioè non era un debole che si piegava ai poteri più forti di lui; il solo vento che lo muove è quello dello Spirito che lo ha condotto nel deserto, dove ha predicato la conversione e il ritorno a Dio. Infatti, fu incarcerato proprio per la sua franchezza davanti a Erode.
A tal proposito, gli studiosi dicono che nelle monete coniate da Erode Antipa in occasione della fondazione di Tiberiade attorno al 19 d.C., ci stava una canna. L'immagine della canna sbattuta potrebbe alludere dunque allo stesso Erode Antipa.
v. 8: Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 
Gesù ribadisce cercando di arrivare all’identità del Battista: un profeta, compendio della profezia dell’Antico Testamento e anticipo della profezia nel Nuovo Testamento.
C’è nella gente – e anche in noi – un modo diverso di pensare. L'uomo incontrato dalla gente nel deserto non era certo una canna mossa dal vento e non era immerso nel lusso, ma un grande difensore della giustizia. Egli è più che un profeta: è il precursore del Messia. Il suo status, quindi, non è un privilegio, ma una missione; anzi la sua scelta così radicale dice il totale abbandono del mondo per dare a Dio il primato di tutto, per dire che Dio è l’unico vero bene. Questo è un interrogativo per noi quando non siamo in grado di accettare i profeti, quando non accettiamo coloro che parlano nel nome del Maestro.
Giovanni non immischiandosi in faccende politiche, con riconoscimenti e favoritismi era anzitutto un “modello di sopportazione e di pazienza” (Gc 5,10) e come tale divenne l’araldo del Signore. Il richiamo al rispetto della Legge di Dio gli ha procurato la prigionia da parte dei potenti.
v. 9-10: Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via.
Anche noi, spesso, ci ritiriamo nel deserto. Un po’ suggerito da un animatore religioso. Un po’ perché lo desideriamo per fare una pausa nella nostra vita. Ma nonostante questo, Gesù ci ripete la domanda.
La prima domanda fatta da Gesù dovrebbe scuotere le nostre coscienze che spesso confondiamo i verbi, le parole. Vedere non è imparare. Dio non si impara ma si vede perché Lui si mostra. Il profeta non insegna Dio, ma lo mostra e Giovanni non ha fatto altro che mostrare Dio. Giovanni è un profeta, l’ultimo dei profeti che annunciavano l’intervento di Dio a favore del suo popolo.
Gesù, combinando tra loro i brani di Ml 3,1 ed Es 23,30 presenta il Battista come Elia, il profeta atteso per il tempo messianico. Questo messaggero divino, che è stato Giovanni il Battista, ha preparato la strada al Signore. In questo modo Matteo sta definendo in modo indiretto la natura divina di Gesù.
Anche noi dovremmo fare o stare nel deserto per ritrovare la “via santa” e preparare la via al Signore.
v. 11: In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Ancora un elogio notevole che Giovanni riceve da Gesù. Giovanni è “Tra i nati di donna” (Sir 10,18), una figura di primo piano, ma proprio perché con lui si apre una nuova epoca, il più piccolo di questa nuova situazione è più grande di lui. Giovanni è il più grande; perché mentre agli altri fu affidato di prefigurare e preannunziare il Redentore futuro, a lui fu riservato di mostrarlo presente.
Tuttavia, la logica del Regno dei cieli è un’altra. Con Gesù, cioè Dio che viene a noi, il Regno non è più guadagnato con sforzi umani, ascesi, meriti derivanti da una buona condotta.
Nel suo discorso della montagna il Maestro insegna: “beati i poveri, perché di essi è il Regno dei cieli”. A chi non ha nulla, neppure opere buone da offrire da Dio (e di cui vantarsi), e si presenta a Lui in totale nudità e vuoto, a questi è data la beatitudine del Regno. Paolo afferma: “il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17). Tutto deriva dal Padre mediante Lui, che dona lo Spirito. Tutto torna al Padre mediante Lui, con il dono dello Spirito.
Nel Vangelo di Matteo essere piccoli nel regno dei cieli è un'espressione che ricorre spesso. La grandezza del Regno rende grande colui che ne fa parte ed è puro dono gratuito dell’Amore di Dio per noi. I più piccoli del Regno sono coloro che assumono la forma di schiavo e sull’esempio del figlio di Dio “nato da Donna” (Gal 4,4), desiderano servire «fino alla morte di Croce» (Fil 2,6-11).
In altri luoghi Gesù stesso spiega che per far parte del Regno di Dio occorre una nuova esistenza, una rinascita (Gv 3,2ss.). Questo ha annunciato il Battista con umiltà e ardore profetico, un morire per risorgere.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
La Parola che ascolto è chiusa nel carcere del mio cuore oppure l’annuncio?
Per Giovanni Battista fu difficile riconoscere, in Gesù, il Messia. E io? Lo conosco? Lo riconosco?
La domanda di Gesù si rinnova ancora oggi per noi. Nel deserto cosa sono andato a vedere? Che tipo di deserto è la mia vita? Cosa vado a cercare?
Cosa penso sia necessario fare ed essere per entrare a far parte del Regno dei cieli?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
 
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
 
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. (Sal 145).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Prepariamo la venuta del Salvatore con la speranza, la gioia e la carità percorrendo le strade della verità e dell’amore indicandole agli altri, come fece Giovanni il Battista.