venerdì 2 novembre 2018

LECTIO: XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)


Lectio divina su Mc 12,28-34


Invocare
O Dio, tu sei l'unico Signore e non c'è altro Dio all'infuori di te; donaci la grazia dell'ascolto, perché i cuori, i sensi e le menti si aprano alla sola parola che salva, il Vangelo del tuo Figlio, nostro sommo ed eterno sacerdote. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
28Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; 30amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi». 32Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; 33amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Abbiamo lasciato la volta scorsa Gesù a Gerico che andava verso Gerusalemme. Adesso saltando l’intero cap. 11 che riguarda l’ingresso trionfale e le prime discussioni con i farisei e il 12,1-27.
Da tre giorni Gesù è a Gerusalemme. Ha operato guarigioni e ora le autorità cercano di eliminarlo.
Il brano appartiene al cosiddetto «libretto delle controversie di Gerusalemme» (Mc 11,27-12,34), ossia a quella serie di confronti talora aspri che Gesù dovette sostenere nella Città Santa verso la fine della sua vita.
Oggi Gesù affronta la quinta controversia che ha con le autorità religiose. Prima c'è stata la parabola dei vignaioli omicidi, poi la controversia con farisei ed erodiani sul tributo a Cesare (vv. 13-17) e infine quella con i sadducei sulla risurrezione dei morti (vv. 18-27).

Meditare
v. 28: Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Uno scriba che ha assistito fino adesso alle controversie, interviene e gli fa una domanda sul comandamento più grande, senza cattive intenzioni.
Nella narrazione degli evangelisti Matteo e Luca, questi è qualificato come “dottore della legge” è ha una connotazione chiaramente negativa; in Marco l’uomo rimane anonimo. In quest’uomo appare il desiderio di conoscere e comprendere meglio l'insegnamento della Torah. Allora si avvicina, lo ascolta e gli domanda. Un movimento pieno di verbi che scaturiscono nei precetti del Signore.
I precetti del Signore contenuti nella Torah erano 613, suddivisi in 365 negativi e 248 positivi. Vi era anche una distinzione tra precetti facili e difficili, ma i rabbini raccomandavano di osservarli tutti. Stabilire quale fosse il primo di tutti i comandamenti significava trovare l'essenza di tutta la Legge.
Cosa chiede l’uomo? Non un elenco cronologico dei precetti ma quale è il primo in assoluto o al di sopra di tutti. Desidera sapere quel precetto che risponde a tutta la Legge. Cerca il criterio ispiratore e unificatore per non cadere in un legalismo vuoto e che non da senso all’esistenza.
vv. 29-30: Gesù rispose
La vita dell’uomo dipende dall’obbedienza alla Parola di Dio (Dt 30,15ss) e Gesù risponde a partire da quanto è scritto in Dt 6, 4-5 a Lv 19, 18 sottolineando l’unità tra l’amore verso Dio e verso il prossimo.  
«Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore
Nei vv. 29-30 abbiamo la prima citazione. Anzitutto l’invito all’ascolto. Al tempo di Gesù, al mattino, a mezzogiorno ed alla sera il pio ebreo recitava questa preghiera che è una professione di fede: “Shemà Israel”.
La preghiera è composta da tre testi biblici: Dt 6,4-9 (la fede nell'unico Dio e il precetto di amarlo);
Dt 11,13-21 (il principio della retribuzione); Nm 15,37-41 (l'ordine di portare i fiocchi al mantello per ricordarsi di osservare tutti i precetti del Signore). Questa preghiera era anche contenuta nelle capsule dei filatteri, le scatolette che i giudei appendevano alla braccia o alla fronte e che contenevano le parole essenziali della Torah.
Essa dice che la preghiera è anzitutto ascolto, ascolto di un Dio che è unico Signore e che Israele ha il dovere di amarlo con totale dedizione, essendo stato da lui scelto fra tutti i popoli della terra. Il richiamo all’ascolto si fa più necessario in quanto possiamo amare Dio solo nella misura in cui lo ascoltiamo. Ora quest’amore non è rivolto agli idoli ma all’unico Dio e Signore della nostra vita e della nostra storia.
amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.
Il testo del Deuteronomio parlava di cuore, anima, forza. Marco aggiunge anche la mente (dianoia), cioè la forza dell'intelletto, mentre il termine che Marco usa per forza (ischys), indica la forza dell'anima. In questo versetto il comando è l’invito stesso di Dio ad amarlo, quasi a mettersi in ginocchio, perché è innamorato.
Amare porta in seno altri verbi come: lodare, riverire e servire. La lode non è una semplice preghiera fatta di battiti di mani e tamburi, qui è vista come il contrario di invidiare in quanto gioire per il bene dell’amato. Il riverire richiama al rispetto ma anche a quella paura di perderlo. Servire è dare se stessi così come siamo.
Segue al centro del precetto “con tutto il cuore” da cui scaturisce ogni azione. Che significa: in ogni cosa non mettere Dio a secondo posto. Lui vale più della propria vita (“con tutta la tua anima”) per questo la metto al suo servizio.
L’amore ama conoscere per amare (“con tutta la tua mente”): l’intelligenza è l’occhio del cuore che penetra in profondità. Questo lo faccio “con tutte le mie forze”, perché mi porta a Lui, ad essere simile a Lui che è l’Amore.
v. 31: Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi».
Qui abbiamo la seconda citazione presa da Lv 19,18: l'amore del prossimo. Questa seconda citazione non vuole indicare nessuna alternativa e non si intende neanche un fatto aritmetico ma come conseguenza al primo; è una questione teologica poiché «chi ama Dio, ami anche il fratello» (1Gv 4,21).
Il precetto parla di amare e contiene la sua similitudine, come sottolinea l’evangelista Matteo: “il secondo [comandamento] è simile al primo” (Mt 22,39).
Qui abbiamo il fondamento della Legge: la relazione tra l’uomo e Dio e con il prossimo. È nella relazione col prossimo che l’uomo si avvicina a Dio, ed è nella relazione con Dio che trova il fondamento del suo stare col prossimo.
Non si tratta di fare agli altri ciò che si fa per sé, ma di andare verso gli altri con lo stesso amore che ognuno ha verso se stesso, trovando la sua fonte d’amore in Dio. Paolo scrivendo ai Romani dice che “pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,10).
vv. 32-33: Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Un particolare che emerge subito è che la prima volta lo scriba, rivolgendosi a Gesù non lo chiama maestro e questa volta sì. Ciò vuole indicare come lo scriba è aperto alla novità dello Spirito e all’insegnamento di Gesù con un particolare: come il ricco non ha capito che il Signore unico da amare è davanti a lui.
Da come risponde si evince che approva perché aveva compreso che il precetto «vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Il Signore vuole l'amore, non tanto verso sé ma verso gli altri. Mentre i sacrifici sono rivolti al Signore. Lo scriba ha compreso quello che già il Signore aveva annunciato attraverso i  Profeti: Is 45,21-22; 1Sam 15,22 e Os 6,6, dove si esalta la fedeltà e l'obbedienza al di sopra degli atti di culto.
v. 34: Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
È il primo scriba che Gesù loda grandemente perché è saggio. Infatti ha compreso l’importanza per cui siamo stati creati.
Da vero Maestro egli dichiara che lo scriba non è lontano dal Regno di Dio. In questo caso il Regno è una realtà presente: è Gesù stesso. L’uomo “non lontano dal regno di Dio” è colui che, amando Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze sa amare il prossimo come se stesso. E il prossimo è colui al quale ci facciamo prossimi, vicini, come Gesù ha affermato a commento della parabola del samaritano (cfr. Lc 10,36-37).
Qualcosa però gli manca: la conversione. Gesù ha detto: “Il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). A questo particolare, l’Evangelista non aggiunge nulla, lo lascia aperto alla nuova realtà. Egli si trova di fronte a un bivio: il cuore e l’intelletto. Seguirà quest’ultimo perché è un esperto tecnico e nient’altro. Il cammino per il Regno è molto distante, lungo, difficile.
Con queste parole Gesù chiede a ogni scriba di incarnare, come Gesù, l’armonia plurale di queste due indicazioni di vita: “In Gesù Dio è diventato il mio prossimo: il mio Dio ed il mio prossimo coincidono in Lui e allo stesso modo l’amore per il mio Dio e l’amore per il mio prossimo sono inestricabilmente legati fra loro” (A. Louf).
La conclusione del v. 34 porta questa delusione e anche eventuali attacchi contro Gesù. Ora sarà Gesù stesso a passare al contrattacco.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
▪ Come mi accosto alla Parola di Dio: con l’arroganza del “sapere già” o con umiltà?
▪ Vivo la Parola nella forma intellettuale o la faccio entrare nella mia vita?
▪ Cosa significa per me amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza?
▪ Quali difficoltà incontro nell'amare il prossimo?
▪ Quale il comandamento da cui pendono i vari comportamenti che assumo nella vita?
▪ In cosa consiste per me l'essenza del cristianesimo?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia,
mia fortezza, mio liberatore. 

Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato. (Sal 17).

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
L’amore concreto e quotidiano per i fratelli e le sorelle è il segno da cui si riconoscono i discepoli di Gesù Cristo, i cristiani, come ha indicato una volta per tutte Gesù stesso: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).



martedì 30 ottobre 2018

LECTIO: TUTTI I SANTI (B)


Lectio divina su Mt 5,1-12


Invocare
O Dio, che hai promesso ai poveri e agli umili la gioia del tuo regno, fa’ che la Chiesa non i lasci sedurre dalle potenze del mondo, ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo, segua con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
1Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
5Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Celebriamo la solennità di Tutti i Santi in cui siamo chiamati a riflettere sulle beatitudini, quasi a dire che la prima bella notizia che il Signore Gesù ci dona è la felicità.
Il vangelo delle Beatitudini costituisce la prima parte del “discorso della montagna”. Il monte è il luogo della rivelazione, sia per la trasfigurazione gloriosa di Gesù, sia per la sua parola.
Inoltre, il monte ha un significato più specifico: esso vuol ricordarci il Sinai, il monte della promulgazione della legge e della conclusione dell’Alleanza.
Matteo presenta Gesù come il nuovo Mosè e la sua parola è parola di vita, è legge nuova (“ma io vi dico..”) che non abolisce l’antica ma la porta a compimento (5,17), alla sua pienezza. Tutto il grande Discorso della Montagna traccia la via del discepolo sulle orme del Regno. Le Beatitudini ne costituiscono il punto di partenza sorprendente, "scandaloso", ma anche consolante. Mentre noi ci chiediamo cosa dobbiamo fare, Gesù ci mostra in primo luogo ciò che fa Dio, ci invita ad aprire gli occhi, per contemplare il Regno dei cieli in arrivo e lasciarci sorprendere dalla sua venuta.
Possiamo leggere le beatitudini come impegni che ci sono chiesti, ma innanzitutto come elementi del ritratto spirituale di Gesù Cristo, di Gesù di Nazareth. È una lettura antica nella tradizione cristiana, perché risale perlomeno a Origene che dice: “Le beatitudini sono immagine di Gesù, altrettante icone della figura spirituale di Gesù”. Quindi, se uno vuole capire chi è Gesù può leggere tutto il Vangelo, può guardare il suo volto a partire da queste prospettive; quello che Gesù è stato, viene comunicato al credente perché a sua volta lo viva egli stesso. Dio ha preso l'iniziativa di instaurare il suo Regno: prima di agire, siamo chiamati ad accoglierlo.

Meditare
vv. 1-2: Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro.
Inizia un nuovo capitolo; inizia un nuovo discorso. Le folle son presenti (vedi brano precedente) e le ritroviamo al termine (7,28-29) del discorso fa da cornice all'insegnamento impartito da Gesù a Israele. La folla rappresenta tutto Israele (4,25). Infatti, l’insegnamento non è riservato ai soli Dodici, ma a tutti in quanto chiesa mandata in missione a portare l'insegnamento di Gesù (cfr Mt 28,19-29).
Il luogo è un monte, un luogo carico di significato. Esso ha una valenza più teologica che topografica come fa Luca. Per molti popoli antichi le montagne e le colline erano il luogo dove abitavano gli dei e quindi erano luoghi sacri. Il monte delle beatitudini è l'eco e la pienezza del monte Sinai; è il luogo della rivelazione divina [cfr. vocazione di Mose sull’Oreb (Es 3,1ss); consegna della Legge sul Sinai (Es 19,1ss); il sacrificio del Carmelo (1Re 18,20ss); Elia sull'Oreb (1Re 19,1ss). In Matteo gli avvenimenti importanti della vita di Gesù si svolgono sui monti: le tentazioni (4,8-10), la moltiplicazione dei pani (15,29-39), la trasfigurazione (17,1-9), l'arresto (26,30-35), l'apparizione del risorto ai discepoli e il mandato finale (28,16).
Su questo monte Gesù siede (è la posizione del maestro) e apre la sua bocca (testo greco) per insegnare (e la sua parola è un timbro autorevole). Il verbo «insegnare» (edidasken) in Matteo è usato esclusivamente qui e in 7,29. Il discorso è sapienziale anche nella formula, che rinvia al Sal 77,2 (cfr. At 8,35; 10,34); è un insegnamento, termine tecnico per indicare che Gesù è l'interprete autorizzato della Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture dell’AT.
v. 3: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Pensiamo a questa beatitudine come atteggiamento fondamentale per accogliere il Regno. C’è in questo versetto un esempio di come rapportarsi con Dio. L’evangelista Matteo all’essere poveri sociologicamente, aggiunge “in spirito”, cioè quell’aspetto religioso che in ebraico indica l’umiltà, la mitezza. Ce lo fa comprendere meglio la Bibbia interconfessionale: “Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio” , indicando così coloro che nella vita hanno imparato a contare solo su Dio.
“I poveri in spirito” sono le persone che davanti a Dio si collocano come dei mendicanti, dei bisognosi; che sanno di avere bisogno di Lui, di dipendere interamente da Lui. Possiamo definirlo l’atteggiamento della fede che non è un fare qualche cosa, ma è la disponibilità a ricevere qualche cosa; è un mettere come primato della propria vita l’iniziativa di Dio e non le nostre capacità; non è l’affermazione di noi stessi, nemmeno come affermazione spirituale, ma è invece la disponibilità a ricevere la grazia e il dono di Dio.
v. 4: Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Il termine greco indica specificatamente coloro che sono in lutto. Lo sfondo di questo versetto è Is 61,2-3, dove la missione del profeta è quella di confortare coloro che piangono in Sion, che sono afflitti. A questi Gesù promette consolazione (cfr. Lc 2,25), anzi Egli stesso asciugherà le loro lacrime (cfr. Ap 7,17, che cita Is 25,8; Ap 21,4).
I piangenti, sono anzitutto coloro che soffrono per gli ostacoli posti dal mondo all'adempimento della volontà divina di salvezza (cfr. Lc 4,16-22; Is 61,1-6); quindi un atteggiamento che l’uomo stesso sceglie davanti alla realtà della società e del mondo, dove Cristo, Dio, la giustizia di Dio e l’amore che viene da Cristo fanno la figura dei grandi assenti. Non è possibile per il discepolo gioire quando ci sono ingiustizie, oppressioni, falsità e ipocrisie e quando sembra che Dio sia escluso dalla convivenza umana e dai valori che la costruiscono.
v. 5: Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Vengono riprese qui le parole del Salmista: “I poveri [i miti] invece avranno in eredità la terra e godranno di una grande pace” (Sal 37,11). Il termine ebraico di “miti” è 'anawìm, un pò riprende il v. 3. Questi non sono i timorosi, ma gli stessi poveri di spirito che accettano senza amarezza o rancore la loro condizione e trovano la forza nella serenità ed in una coraggiosa sopportazione (cfr. Sal 37,7-9.11.29.40). Tra questi abbiamo la Vergine Maria, la madre di Gesù.
Nel linguaggio e nel contesto evangelico, la terra significa la terra promessa. Però la parola “terra” qui significa il regno dei cieli, ovvero il nuovo modo di vivere, secondo lo spirito di Dio, che Gesù annuncia e inaugura.
I miti non solo possono “ereditare” la terra, starvi sicuri senza far violenza, ma sono i soli in grado di trasmettere a loro volta in eredità la terra ricevuta.
v. 6: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
La fame e la sete, nella Bibbia, indicano l’anelare a Dio e la nostalgia di Lui (Is 55,1-2; Sal 42,2-3). In senso metaforico possono esprimere un forte desiderio di Dio e della sua Parola: “l’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente” (Sal 42,3); “O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora io ti cerco, ha sete di te l'anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz'acqua.” (Sal 63,2); “Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore».” (Am 8,11).
Il Salmista descrive come Dio abbia soddisfatto la fame e la sete degli Israeliti (Sal 107,5.8-9). Matteo ha ampliato la fonte Q (Lc 6,21) aggiungendo la «sete» in conformità al Salmo 107 e «della giustizia», per chiarire la natura della fame e della sete.
La giustizia si riferisce in primo luogo alla giustizia di Dio che un conoscerlo per crescere sempre in Lui, ma anche nei rapporti umani e nella condotta.
In un contesto apocalittico la giustizia si riferisce alla rivendicazione dei giusti nel giudizio finale. Nel Discorso della Montagna fare la giustizia - fare la volontà del Padre (Mt 7,21) - fare queste mie parole (Mt 7,24), designano la stessa realtà, cioè l'agire umano necessario per entrare nel Regno dei cieli. Tale agire deve seguire le norme giuste (fare la giustizia), che sono determinate da Dio (fare la volontà del Padre) e che vengono autorevolmente comunicate da Gesù (fare queste mie parole). L’ultimo passo del Discorso della Montagna in cui si parla di “giustizia” è Mt 6,33: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”: si oppone alla ricerca ansiosa del cibo, della bevanda e del vestito, la preoccupazione necessaria ed essenziale: il Regno di Dio! Questa ricerca della giustizia è un vivere della misericordia di Dio.
v. 7: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Per la Bibbia “misericordioso” è un appellativo tipicamente divino, la “misericordia” è una caratteristica propria di Dio. Unica eccezione è in riferimento al giusto del salmo 112,4 (che è poi riferito al Messia). I misericordiosi sono coloro che partecipano di una prerogativa di Dio. Nel testo greco troviamo hoi eleèmones cioè coloro che imitando Dio sanno comprendere e perdonare il prossimo secondo l'impegno evangelico (cfr. Mt 6,11-12.14-15). Matteo cita due volte Os 6,6 (“voglio l'amore e non il sacrificio...”) nel suo Vangelo (cfr. 9,13; 12,7) e considera la misericordia tra gli obblighi più gravi della Legge (cfr. 23,23).
v. 8: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
L'espressione “puri di cuore” è presa direttamente dalle norme di purità richieste per accedere al tempio e godere della visione di Dio (Sal 24,3; 51,12). Nella Bibbia il cuore non è solo il “luogo” dei sentimenti, ma indica le decisioni, la vita. Lì ognuno ritrova se stesso e la propria identità, lì ogni persona decide di sé, nel suo rapporto con gli altri, col mondo e con Dio. Il cuore buono rende buono tutto l'uomo, il cuore cattivo lo rende cattivo. L'espressione «cuore puro» non è né un riferimento alla purità sessuale-rituale né alla sincerità, ma caratterizza le persone oneste la cui integrità morale si estende al loro essere interiore e le cui azioni sono coerenti con le intenzioni. Il contrario di un cuore puro è il cuore diviso, doppio.
La purezza di cuore è la purezza interiore con cui la persona prende delle decisioni che sono corrette e non falsate dal suo interesse o dal suo capriccio o dalla sua superficialità.
Ciò che corrompe e rende impuri, non sono le cose materiali, ma il peccato; non è ciò che viene a contatto con l'uomo dal di fuori, ma ciò che dall'interno determina i comportamenti personali di ciascuno (cfr. Mc 7,18.20-22).
v. 9: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Insieme con quella dei misericordiosi, questa è l’unica beatitudine che non dice tanto come bisogna ”essere” (poveri, afflitti, miti, puri di cuore), quanto cosa si deve “fare”. Infatti, nel termine greco sta ad indicare coloro che lavorano per la pace, che “fanno pace”. Non tanto, però, nel senso che si riconciliano con i propri nemici, quanto nel senso che aiutano i nemici a riconciliarsi. “Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi” (Dupont)
Il “fare la pace” la troviamo nell’AT (Is 27,5) e viene molto usato nel NT: “Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno [opera di] pace” (Gc 3,18). “I portatori di pace” non sono dunque gli amanti del quieto vivere ma gli attivi operatori di pace, che agiscono come Dio stesso, perché Dio è il Dio della pace (Rm 16,20).
Il vero «operatore di pace» è Dio stesso. Per questo quelli che si adoperano per la pace sono chiamati «figli di Dio»: perché somigliano a Lui, lo imitano e fanno quello che fa Lui. Ciò vuol dire che la pace è prima di tutto un dono da accogliere! Di conseguenza la pace è un compito! Non si tratta, tuttavia, di inventare o creare la pace, ma di trasmetterla, di lasciar passare la pace di Dio «che sorpassa ogni intelligenza» (Fil 4,7), lasciando che custodisca i cuori e i pensieri in Gesù Cristo.
v. 10: Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
La beatitudine, si riferisce ai perseguitati per Gesù, per il nome di Gesù, per la causa del Vangelo. Pensiamo alle prime persecuzioni che si sono scatenate nei riguardi degli apostoli. Queste sono persecuzioni per causa del Vangelo. L’evangelista, infatti, riprendendo la quarta beatitudine, dà la motivazione di questa persecuzione «per la giustizia» che il versetto seguente completerà meglio: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11).
In questa persecuzione possiamo trovarci anche noi tutte quelle volte che dobbiamo sostenere la dignità di essere cristiani nell’ambiente del lavoro, tutte quelle volte che dovremmo sopportare persecuzioni meno gravi, perché annunciamo il nome di Gesù.
In Mt 10,22 leggiamo: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”; e in Mt 10,39: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”.
Con questo versetto si conclude la serie di otto beatitudini, che formano un insieme strutturale e ben delineato, per l'andamento in due stinchi e delimitato dalla ripetizione della frase al singolare: perché di essi è il regno dei cieli.
vv. 11-12: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Il v. 11 si presenta come la nona beatitudine ma in realtà, è una traduzione dell’ottava e si distacca dalle precedenti per la sua lunghezza e per l’uso della seconda persona plurale: «voi».
La beatitudine è accompagnata da una serie di verbi e azioni: vi insulteranno, una ferita all'onore personale; vi perseguiteranno, mettendo in pericolo la vita stessa, così come fu per Gesù il Maestro che ha dato la vita per noi (cfr. Gv 15,18-16,4; 2Cor 11,16s); diranno ogni sorta di male contro di voi, ossia la diffamazione, anche qui un riferimento a Gesù (Lc 22,37).
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Queste persone che saranno insultate a causa della loro fede in Gesù: ad essi è riservata nei cieli una grande ricompensa, che si identifica con la piena comunione con Dio (cfr. 1Pt 4,13-16) e la partecipazione alla Resurrezione di Cristo Gesù, il Figlio di Dio.
“La beatitudine e il possesso del regno dei cieli è la Pasqua di risurrezione del cristiano, ma per potervi giungere egli deve prima, necessariamente, passare attraverso la sofferenza e la morte. L’originalità di questa beatitudine è costituita dalle motivazioni che devono qualificare lo stile della perseveranza cristiana: l’assimilazione interiore al destino di Cristo rifiutato e perseguitato (cf. Mt 10,24-25) e l’adesione integra e pratica alla volontà di Dio, concretizzata nel progetto di vita cristiana” (Pedron Lino).

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
▪ Quale di queste beatitudini sperimento di più? Quale è quella invece che mi invita a crescere, che mi chiede di provarci, che mi sfida a cambiare?
▪ Come vivo l’attesa per il Regno dei cieli?
▪ La festività odierna mi dice che mi devo sempre unire al coro dei santi per glorificare ringraziare Dio che mi dà la possibilità di vivere con Lui?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. (Sal 23).

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Lasciamoci illuminare dalla Parola di Dio e cerchiamo di scoprire nella nostra vita le beatitudini elencate da Matteo. Cerchiamo di scoprire se la nostra vita è un dono per amore secondo l’ideale delle Beatitudini.