lunedì 27 dicembre 2021

LECTIO: MARIA, MADRE DI DIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 2,16-21
 

Invocare
O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa’ che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita, Cristo tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
In questi giorni siamo stati ricondotti in molti modi al mistero dell’Incarnazione e attorno al presepe; in quel luogo dove abbiamo incontrato diversi personaggi insieme a Dio stesso fatto uomo per noi: Giuseppe, Maria, i pastori, i magi, e anche altri che la liturgia ha ricordato in questo periodo: Stefano, Giovanni, Tommaso, i bambini innocenti …
Adesso, all’inizio del nuovo anno, tutta l’umanità è convocata accanto a una Madre nella quale tutto si riassume e trova compimento e spiegazione; una Madre che ci raccoglie nel seno della sua misericordia e ci porta accanto al Verbo di Dio fatto uomo in Lei; una Madre che venne proclamata «Madre di Dio», “Theotókos” dal terzo Concilio di Efeso.
La parola “maternità” vuole dire fondamentalmente che, attraverso di Lei, Gesù Cristo il Figlio di Dio è diventato carne. E se il Figlio di Dio è diventato carne, e se quel Figlio di Dio è la pace che Dio esprime nei nostri confronti, è attraverso di Lei che la pace di Dio è entrata in questo mondo. Quello che la Chiesa oggi è chiamata a fare è di continuare l’opera di Maria: fare in modo che quella pace non si estingua, non si perda, nel cammino del tempo, ma continui ad essere generata e rigenerata nella vita degli uomini, anno per anno, giorno per giorno.
Per fare questo cammino, i nostri giorni terreni, come il giorno eterno, sono illuminati da due nomi: il nome del Signore Gesù, al di là del quale non si dà altro nome né nel secolo presente né in quello futuro, e il nome della sua vergine Madre, Maria memoria della nostra autentica identità, posta come modello e riferimento per dare speranza e senso ai giorni del nuovo anno che incomincia.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 16: Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.
Il versetto è riferito ai pastori che avevano ricevuto l’annuncio. Questi li troviamo in cammino e come per abitudine, Luca li descrive con una certa fretta, simile alla fretta di Maria nell’andare a visitare la parente Elisabetta.
Andare”… un verbo che allude a un attraversamento. Bisogna colmare le distanze … bisogna andare fino a Betlemme. C’è un annuncio ricevuto, ma ci sta una esigenza oculare! Il viaggio dei pastori ... il nostro viaggio della vita, del nostro quotidiano con la fretta di Maria ... il coraggio di mettersi in viaggio anche se è notte, anche se non si conosce l’itinerario, anche se non si sa la meta, anche se c’è la fatica, la stanchezza, il sonno,
il dubbio, il timore ... È il viaggio all’interno di noi stessi: un viaggio faticoso.
Cosa trovarono i pastori a Betlemme? Gente semplice: Maria, Giuseppe e il bambino che giace in una mangiatoia. Giuseppe, anche se nell’annuncio ai pastori non è nominato, appare qui perché prima ancora dei pastori ha creduto alla parola di Maria e dell’angelo, che quel bambino è il figlio di Dio.
La sottolineatura di questo segno dato da parte degli angeli, e il suo riscontro da parte dei pastori, vuole essere un elemento che evidenzia ancora di più l’aspetto umano di colui che è il Figlio di Dio.
I pastori sono modelli di fede. I pastori fanno propria l’attesa dei poveri, di quei poveri di Javhè della Scrittura. Si tratta di un lieto messaggio atteso, dato ai poveri in una stalla, dato a chi ha dimestichezza con queste cose, con le stalle, le mangiatoie.
Quest’incontro con il Verbo della vita, è sottolineato dai verbi classici “trovarono...videro”.
v. 17: E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
I pastori vedono la realtà di ciò che il Signore ha fatto loro conoscere. Ed è tanto importante che non possono trattenersi dal renderlo noto agli altri. Diventano come gli angeli, diventano messaggeri e apostoli.
Si profila la dinamica missionaria della Chiesa: l’annuncio porta all’ascolto, l’ascolto alla visione. A sua volta chi ha visto porta ad altri l’annunzio perché attraverso l’ascolto giungano alla visione.
Il contenuto del loro annunzio è ciò che del bambino era stato detto loro. Sulle labbra dei pastori è la testimonianza che Dio rende del suo Figlio. È il mistero di una povertà che non va risolta ma ascoltata, una povertà che rende testimonianza a un Cristo povero.
v. 18: Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.
Lo stupore di cui si parla è la meraviglia non la curiosità. La curiosità può portare al desiderio, al possesso; la
meraviglia porta allo stupore, all’accoglienza: è la sorpresa che il Vangelo non può non suscitare. I Genitori del Bambino sono lì che adorano il Mistero in silenzio e vivono di meraviglia.
Anche nel silenzio dei pastori vi è meraviglia una meraviglia che si fa condivisione di vita, perché Dio ha acceso nei cuori la fiamma del suo amore!
I pastori non si rendono conto che ciò di cui sono stati resi depositari aveva creato stupore negli altri. Essi trovano la testimonianza della fede e imparano a lodare Dio, suscitando negli altri lo stupore, la meraviglia... e aiutando gli altri a imparare a lodare Dio per le meraviglie che Egli ha compiuto.
v. 19: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
Maria non capiva neppure lei le parole, ma le custodiva. Maria è quella che conserva le parole. Maria è la madre di Gesù, non perché l’ha generato, ma perché ha creduto alla parola. È la madre perché ha accolto la parola.
Il versetto dice “tutte queste cose”; alcuni traducono: “queste parole”. Il cuore di Maria, sede di parole ricordate a approfondite nello Spirito, è pertanto un cuore di sapienza simile a quello dello scriba che dal suo tesoro sa trarre e comporre cose antiche e cose nuove; è anticipazione e figura del cuore dei figli della sapienza (Lc 7,35), della chiesa dell’ascolto accolto, custodito, meditato e pregato perché si affretti il tempo in cui il non chiaro sia reso trasparente. Luca sottolinea la meditazione di Maria sui fatti il cui senso sarà manifestato solo nella rivelazione pasquale.
Maria, cioè, è tutta raccolta e concentrata in se stessa per penetrare più a fondo nel significato degli avvenimenti in cui s'è trovata coinvolta. Li confronta fra di loro e con la comunicazione che i pastori hanno fatto sul Bambino. Maria appare così come colei che è madre e sa interpretare gli eventi del Figlio.
Maria diventa, così, simbolo e modello della comunità cristiana, che in atteggiamento sapienziale e contemplativo cerca di assimilare interiormente il mistero inesauribile del Verbo Incarnato.
v. 20: I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
I pastori ritornano. La stessa parola ritorno vuol dire conversione. Han cambiato marcia. Tornano dov’erano prima, ma sono cambiati, non sono più come prima.
Tornano “glorificando e lodando Dio” come gli angeli, “di quanto udirono e videro”. Tutto il Vangelo di Luca sarà sull’udito e sulla vista.
L’ascolto della Parola è dono di Dio. I pastori glorificano Dio per quello che hanno udito. Questa è la forza e l’umiltà della Parola, la forza e l’umiltà dei poveri.
“Vedere” e “udire” sono i verbi della fede. Proprio il binomio, akùein e idèin, che tante volte ricorre negli Atti degli Apostoli, configura i pastori come i primi testimoni-apostoli.
Potremmo osservare che l'esperienza cristiana, in questo brano, è espressa da pochi verbi che interagiscono tra loro: ascoltare, ubbidire, trovare, vedere, testimoniare, lodare. È importante verificare se e come li coniughiamo nella nostra vita, se e in quale misura sappiamo annunciare la gioia d'avere incontrato il Salvatore.
v. 21: Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Il testo evangelico prosegue menzionando la prescrizione del rito della circoncisione. La circoncisione è il segno dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo, quell’Alleanza che il popolo aveva già trasgredito prima di riceverla (cfr. Es 32) Dio l’ha rinnovata.
Circoncidendo il Bambino, viene inserito ufficialmente nel popolo di Dio e l'imposizione del nome, a cui Luca dà un risalto particolare, vuol significare che è Dio che ha voluto tale nome e quindi la missione che esso esprime. Il nome nella Bibbia dice l’identità e la missione di chi lo porta. Gesù, infatti, nella lingua ebraica suona così: Yehôsua‘ e significa YHWH salva (le prime lettere indicano il Nome che i nostri fratelli ebrei non pronunciano mai perciò noi con profondo rispetto, diciamo: “Dio salva”.
Questa attenzione da parte l'evangelista sta ad indicare che il nome imposto è il Nome innominabile, origine di ogni nome. Ora possiamo nominare Dio perché si è donato a noi. Il nome di Dio per l’uomo non può essere che Gesù, cioè “Dio salva”. Dio è per noi, perduti e lontani da lui, perché si chiama Gesù, Dio-con-noi e Salvatore.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Anche noi siamo andati senza indugio alla grotta per contemplare con fede l'avvenimento salvifico?
Quale annuncio oggi è capace di metterci in cammino, di smuoverci?
Come Maria, riusciamo ad interiorizzare la Parola di Dio per non viverla passivamente?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
fra tutte le genti la tua salvezza.
 
Esultino le genti e si rallegrino,
perché giudichi i popoli con giustizia,
governi le nazioni sulla terra.
 
Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio,
e lo temano tutti i confini della terra. (Sal 66).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Proviamo a contemplare il presepio per vedere se ha qualcosa da dirci. Per conoscerlo, come i pastori, dobbiamo andare alla grotta e cercare di vedere se c'è una novità, ascoltare cosa ci dice Dio. Ripeti spesso e vivi questa Parola: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
 

martedì 21 dicembre 2021

LECTIO: NATALE DEL SIGNORE (Anno C)

Lectio divina su Gv 1,1-18
 

Invocare
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana.
Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Giovanni scrive molti anni dopo rispetto ai Sinottici e la sua opera è un cammino meditativo-fattivo della Parola per una comunità matura nella fede. Un vangelo per quanti hanno fatto un bel percorso di fede nel discepolato.
Questa sua meditazione fattiva della Parola, apre il quarto Vangelo con questo straordinario brano poetico, che non è altro che un inno alla Parola di Dio rivelatrice e operante nel mondo. È una sintesi meditativa di tutto il mistero del natale, per capire chi è colui che nato e chi siamo noi, perché il bambino di Betlemme è la rivelazione di Dio, la verità di Dio e dell'uomo.
I primi tredici versetti, che costituiscono la prima parte dell’inno, ci presentano il Verbo dalla sua origine: siamo nell'ambito della relazione tra le Persone Divine. La Parola di Dio, ad un certo momento, entra in contatto col mondo, con l’umanità, si fa Luce cioè si rende visibile a noi, incarnandosi.
Tale evento viene cantato in una irruzione di gioia al versetto 14, in cui comincia la seconda parte del Prologo (vv. 14 al 18), ove viene evidenziata la possibile accoglienza del Verbo per diventare figli di Dio: la «buona novella» della figliolanza divina si trova proprio al centro dell’inno (vv. 12-13).
Tuttavia questo dono di Dio, totalmente gratuito, molti non lo vedono o lo rifiutano. Ci sono però anche coloro che se ne accorgono e lo accettano. È l'incarnazione per amore degli uomini fino alla fine, senza tirarsi indietro, rispettando la libertà dell’uomo di crocifiggere l’Autore della vita.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 1: in principio
Così inizia questa meditazione profonda. San Giovanni ama iniziarlo riprendendo l'inizio del cammino biblico (Gen 1,1). Infatti, qui troviamo i temi di creazione, di luce e tenebre. Il “principio” di cui parla l’Evangelista non è uguale al principio della creazione, perché la creazione viene nel v. 3. Giovanni si riferisce al periodo prima della creazione ed è una designazione, più qualitativa che temporale, della sfera di Dio.
era il Verbo
Qui troviamo l’affermazione di un’esistenza che precede questo inizio: fin da questo principio «esisteva» il Verbo. “Verbo” è la Parola. La parola è il mezzo attraverso il quale ci si esprime. Il testo afferma che in principio, al momento dell’atto creatore, c’era la Parola, cioè la comunicazione che Dio fa di se stesso.
Nell'ambiente filosofico greco questo termine indica la «parola che porta un senso», che lo svela pienamente. Mentre, nell'ambiente giudaico, la parola, dabar, come tale appartiene alla sfera di Dio; essa rivela l’essenza stessa di Dio.
Il verbo greco utilizzato: ‘en (essere, esistere) è tradotto in italiano, per rendere l’idea, aggiungendo un già, che possiamo dare l'idea di questa lettura: All'inizio (della creazione) già c’era il Verbo che con il suo imperfetto esprime in modo particolare l’esistenza.
Nel suo Prologo, Giovanni riformula l’identità del Verbo alla luce di categorie veterotestamentarie.
Il Verbo era presso Dio
L’espressione verbale esprime l’idea di “innanzi”, “presso”, in “relazione a” e viene usata per indicare l’esistenza del Logos in relazione a Dio. Si può anche pensare che il Verbo era in compagnia di Dio; oppure: era verso Dio, cioè in relazione con Dio. Nei testi originali Dio viene specificato con il titolo di Padre. Il Verbo, quindi, partecipa della sua vita come persona distinta orientata a lui.
Il Verbo era Dio
Non si può indagare in che modo la Parola giunse all'esistenza. Più avanti Gesù dirà: “Io Sono” un richiamo a Es 3,14-15 e che Giovanni citerà più volte.
In queste pochissime parole Giovanni descrive un accenno al mistero della relazione Padre-Figlio, nell'unicità di Dio che nel testo greco Theòs én o’ logos: l’uso di theòs, senza articolo, esprime meglio la partecipazione alla natura divina. Il Logos possiede la natura divina pur non essendo il solo ad averla.
v. 2: Egli era in principio presso Dio
Qui viene ripreso il v. 1 ponendo l’attenzione del lettore nuovamente verso la creazione. Giovanni ripetendo che il Verbo era presso Dio sembra voler sottolineare che l’atteggiamento fondamentale del Verbo, il suo essere verso Dio, dovrà servire da modello rispetto a tutto ciò che nascerà mediante la Parola.
v. 3: Tutto è stato fatto per mezzo di lui
Dopo aver presentato il Verbo nella sua relazione immediata con Dio, ora lo sguardo è concentrato sulla relazione del Verbo con il mondo. Già l’AT collegava la creazione del mondo alla parola di Dio o alla sapienza divina. Ora, affermando che tutto avviene per mezzo del Verbo, l’evangelista vuole dire anche che tutto mediante il Verbo prende senso.
Senza di lui nulla è stato fatto
Attraverso quest’espressione viene rafforzato il pensiero precedente. Il mondo, sia fisico che umano, riflette Dio Padre in quanto è fatto secondo il Figlio di Dio incarnato, che è l’immagine di Dio. Il verbo egèneto esprime molto bene la creazione di ogni cosa dal nulla (Viene usato in Gen 1 per descrivere la creazione). È sostanzialmente diverso da ‘én, ed è tipico di tutto ciò che non è Dio.
v. 4: In lui era la vita
Dopo aver dichiarato la presenza efficace del Verbo in tutto ciò che è stato fatto, l’opera del Verbo viene ora caratterizzata dal dono della vita.
Possiamo leggere questo versetto così: Ciò che aveva avuto origine in lui (nel Verbo) era vita. La vita di cui Giovanni parla nel suo vangelo non è semplicemente quella fisica, ma una vita qualitativamente superiore e piena.
In altri passi del Vangelo viene anche identificata con Gesù stesso. L’identificazione di questa vita con la luce degli uomini nella riga seguente fa pensare che si intenda vita eterna.
La vita era la luce degli uomini
Il Verbo, entrando in rapporto con gli uomini, manifesta ciò che egli è per essi, cioè la luce. Il Verbo risplende come luce di vita. Grazie al Verbo gli uomini vedono la luce che li guida alla pienezza della vita. Giovanni riprenderà questo pensiero su Gesù al cap 8: «Io sono la luce del mondo, chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
v. 5: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
Qui viene sintetizzato l'opera del Verbo e dei suoi avversari. Giovanni medita sulla luce che è il Verbo nella sua funzione d’illuminare tutta l’umanità che giace nelle tenebre.
La luce splende nelle tenebre
La frase si presta a diverse interpretazioni. Possiamo leggervi un’allusione alle infedeltà d’Israele che i profeti hanno denunciato ripetutamente e sulle quali Dio trionfava sempre nuovamente. Inoltre abbiamo un’anticipazione degli eventi accaduti durante la vita di Gesù fino alla sua vittoria finale con la risurrezione.
Con il termine “tenebra” s’intende anzitutto quanti sono lontano da Dio, cioè non ancora illuminati dalla luce divina. Questa parola possiamo intenderla come il disorientamento interiore, cioè quando si è confusi e non si sa dove e come andare. Tale disorientamento può diventare un sistema di vita, fino ad arrivare a non sapere più il vero perché delle cose, lasciandosi così trascinare dagli impulsi e dalle situazioni.
Giovanni con queste poche parole, ci consegna un messaggio fondamentale: il non riconoscere Gesù fatto uomo fra noi, come senso ultimo della realtà, che dà valore ad ogni cosa è a tutti gli effetti un essere nelle tenebre, senza alcun punto di riferimento.
Le tenebre non l’hanno vinta
Il verbo greco katalambànein è una parola un po’ complessa e difficile da tradurre. Ci si può orientare su quattro significati: “afferrare”, “comprendere”, “accogliere”, “ricevere”, “accettare”, “sorprendere”, “vincere”, “dominare”. Una lettura che possiamo dare è che gli uomini non hanno compreso la prima manifestazione del Verbo avvenuta nella creazione, ma anche che la Luce sfugge ai loro tentativi di conquistarla e di dominarla.
vv. 6-7: Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone
Letteralmente: ci fu. Questo non è l'’én usato per la creazione nei vv. 3-4: Giovanni Battista è una creatura. Qui viene introdotta la testimonianza di Giovanni. Forse è tardivo questo versetto ma è necessario per non confondere, fin dall'inizio, il Battista col Messia. Tra i due c’è una differenza radicale che separa “colui che era fin dal principio, rivolto verso Dio” da quest’uomo, che è venuto da parte di Dio per essere testimone. Giovanni rende solo testimonianza alla luce davanti alle autorità giudaiche (1,19-34), davanti al popolo d’Israele (1,31-34) e davanti ai propri discepoli (1,35-37).
L’ultima volta che Giovanni è menzionato nel vangelo, è quando viene elogiato per essere stato un testimone fedele: “Tutto ciò che egli disse di Gesù era vero” (Gv 10,41). Giovanni diventa «figura» di tutti i testimoni che nel corso della storia hanno ricevuto la missione di testimoniare nel mondo la presenza della luce divina: la sua figura e il suo messaggio assumono una portata universale.
v. 8: Egli non era la luce
Il Battista è un testimone della luce, ma non la luce. In 5,35 Gesù chiama Giovanni Battista “lampada che arde e risplende”; ma Gesù stesso è luce. L’Evangelista stima così tanto il Battista che parla di lui come l’intermediario autorizzato fra il Verbo e l’umanità. Giovanni Battista deve testimoniare che colui che Israele attendeva era presente. Giovanni sa che Costui gli è superiore in dignità (1,27).
v. 9: Veniva nel mondo la luce vera
Il v. 9 segna l'inizio di un nuovo quadro della storia di Dio che si comunica, attraverso la rivelazione del Verbo, nella concretezza dell’incontro fra il Verbo-Luce e gli uomini. Viene usato l'aggettivo “vero” che tornerà spesso nel vangelo: vero pane (6,32), vera bevanda (6,55), vera vita (15,1). Quest'aggettivo in ebraico caratterizza "un timbro divino" (cfr. 7,28; 17,3). In questo modo, Giovanni afferma che soltanto nella rivelazione avvenuta in Gesù, attraverso la sua Parola e il suo operare, viene data a tutti gli uomini l’autentica comprensione della loro esistenza.
Il Verbo è qui qualificato come luce vera. La posizione del Verbo è precisata non solo nei confronti di Giovanni, che era soltanto il testimone della luce, ma anche nei confronti di tutte le false luci che sarebbero apparse nel mondo: esse non sono altro che ingannevoli idoli, mentre solo il Dio vivente è veritiero.
quella che illumina ogni uomo
Con questa espressione Giovanni si riferisce a ciascuno uomo nella sua singolarità: il Verbo viene incontro a ciascun uomo nello scorrere del tempo.
v. 10: Egli era nel mondo
Mondo, «kosmos»: è un termine molto importante; per tre volte viene ripetuto nei versetti 10-11, ma con sfumature diverse. Inizialmente Giovanni parla del mondo nel senso di universo creato da Dio, come era nel pensiero dei greci. Nella citazione successiva, il termine allude non solo all'universo fisico ma include il mondo umano. Giovanni non fa altro, quasi a riprendere lo stile del Salmista, di far riflettere ogni singola persona se accettare o meno la Luce.
L’accoglienza della luce, mediante la fede, porta la vita divina e la salvezza. Il mondo diventa peccatore soltanto dal momento in cui rifiuta la rivelazione di Cristo e non riconosce la gratuità del dono di Dio. Non viene data nessuna giustificazione del rifiuto di questa luce: c’è solo la costatazione del suo rigetto.
L’affermazione del fallimento dell’incontro fra il Verbo e gli uomini non contraddice ciò che è stato dichiarato precedentemente, cioè che le tenebre non hanno arrestato la luce: all'Evangelista interessa sottolineare il paradosso del rifiuto che la creatura oppone al suo Creatore.
v. 11: Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto
La TOB traduce: È venuto nella sua proprietà, in casa propria… Verosimilmente Israele rappresenta storicamente l’umanità che tutta intera appartiene al Creatore (cfr. Es 19,5; Dt 7,6; 14,2; 26,18; Sal 135 [134], 4). Il versetto vuole precisare ulteriormente la natura del rifiuto opposto al Verbo. "I suoi" sottolinea l'insieme degli uomini.
“Venne fra i suoi”. Quest’affermazione richiama la presenza del Verbo nel mondo che egli ha creato. Il Verbo è venuto nella “sua proprietà”. Il termine sottolinea una relazione speciale fra due persone o fra una persona e un gruppo. Possiamo richiamare alla mente le allusioni di Gesù circa la relazione che unisce il pastore alle sue pecore, per indicare il rapporto generato tra Lui stesso e i suoi discepoli.
Dopo aver accennato al “mondo” in generale, Giovanni sembra che qui voglia ricordare il comportamento speciale di Dio verso il suo popolo eletto, che si mostra infedele.
v. 12: A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio
Diventare figli di Dio implica una capacità che viene da Dio. È riferito agli uomini che hanno riconosciuto nel Verbo il principio della loro esistenza e il senso della loro storia, lasciandosi illuminare da lui.
A quelli che credono nel suo nome
La formula è stata applicata frequentemente a Gesù Cristo nel Nuovo Testamento; è un’espressione tipica dell’Antico Testamento che si riferisce a Dio. Credere nel suo nome è lo stesso che credere in lui come Messia e Figlio di Dio.
Egli ha dato il potere di diventare figli di Dio
Abbiamo anzitutto un dono, un dono del Verbo all'uomo. Quale? Un potere: il potere che dona a coloro che credono evidentemente non può trattarsi di una facoltà autonoma, sottolinea, invece, la dignità che comporta il divenire figli di Dio.
Nell'Antico Testamento l’espressione figlio di Dio è usata normalmente al singolare. Da principio viene applicata esclusivamente al re oppure a Israele, in quanto popolo eletto, per indicare il legame particolare di protezione e di benevolenza che unisce a Dio chi è designato come suo figlio. In questo passo i figli di Dio sono tutti gli uomini che credono in Dio, Israeliti o no.
v. 13: Non da sangue
L’uomo non diviene figlio di Dio con la procreazione carnale, come ci ricordano le parole del Battista: "Dio può suscitare da queste pietre dei figli ad Abramo" (Gv 8,37-39). E non avviene neppure in forza di un «volere della carne», cioè in forza del desiderio che ha la creatura mortale di sopravvivere alla morte attraverso la propria discendenza.
Possiamo pensare che c’è coincidenza tra l’azione dell’uomo che accoglie il Verbo e quella di Dio che genera. Queste due azioni formano una cosa sola, nella diversità dei rispettivi ruoli. È importante tenere presente il passo precedente dove si diceva che il Verbo illumina ogni uomo. Ora infatti sappiamo che questa illuminazione, nella misura in cui viene accolta, produce la filiazione divina.
Da Dio sono stati generati
Il senso fondamentale è che la figliolanza divina è opera esclusiva di Dio. Attraverso le espressioni seguenti il ritmo dell’inno si costruisce in un crescendo. Giovanni qui distingue la generazione che nasce secondo lo spirito in opposizione alla nascita carnale. Più tardi, sarà nel colloquio con Nicodemo che sarà chiarificato (3,1-11).
v. 14: E il Verbo si fece carne
Questa è una delle affermazioni più incisive di tutto il vangelo. La parola “carne” designa la natura umana nella sua debolezza e fragilità. Il Verbo entra nel tempo. Colui che esisteva da tutta l’eternità è entrato nel tempo e nella storia umana.
Questo è il mistero dell’Incarnazione per cui la Parola eterna assunse la nostra identica natura umana, divenendo in tutto simile a noi, fatta eccezione per il peccato (Eb 4,15). Cioè in tutto, escluso ciò che era incomprensibile con la divinità.
e venne ad abitare
Letteralmente “Ha posto (piantato) la sua tenda”. Per esprimere questo mistero, Giovanni ha deliberatamente scelto l’immagine biblica della tenda. Il vocabolo evoca la tenda (skenè) del deserto (Es 25, 8-9) costruita perché Dio potesse “abitare in mezzo a loro”.
Il tempio di pietra di Sion (come si dirà esplicitamente in Gv 2, 18-22) è ora sostituito dalla “carne” di Gesù, cioè dalla sua corporeità e dalla sua esistenza storica che condivide con noi.
A partire dal versetto 14 la parola Verbo sparisce dal Vangelo. Il Vangelo è una testimonianza non alla Parola eterna ma alla Parola fatta carne, Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
v. 15: Giovanni gli dà testimonianza e proclama
Questo versetto riprende la testimonianza di Giovanni Battista, la cui missione nei confronti della luce è stata descritta nella prima parte del prologo. Adesso la sua testimonianza viene proclamata.
La missione della Parola nel mondo fu precisamente quella di porre gli uomini in grado di divenire figli di Dio, partecipi cioè della vita divina e di esserne testimoni.
Avanti a me
Gesù Cristo è al di sopra di Giovanni. L’espressione ha una sfumatura qualitativa. La testimonianza del Battista ribadisce il primato di Cristo che è “prima” di lui, anche se venuto cronologicamente “dopo” di lui.
Prima di me egli era
Giovanni Battista, personaggio storico e ispirato, ha qui la funzione di confermare a tutti che quest’uomo venuto «tra noi» (1,14) era precisamente il Verbo di cui si è parlato fin dall'inizio del prologo.
v. 16: Noi tutti abbiamo ricevuto
Tutti noi partecipiamo alla pienezza di grazia, propria dell’Unigenito di Dio. L'Evangelista non vuole escludere nessuno. La comunità confessa la sua fede. Questa è un’affermazione giubilante di tutti quelli che hanno creduto in Cristo e perciò hanno la capacità di crescere nella loro realtà di figli di Dio. Il Figlio di Dio offre all'uomo “la grazia e la verità".
Grazia su grazia
 Quest’espressione viene anche tradotta con: “Amore in luogo di amore”; questa idea di sostituzione, come è stata sostenuta dai Padri greci, significa implicitamente la hesed di una nuova alleanza in luogo della hesed del Sinai.
Indica un’esperienza vissuta e cioè la capacità di ricevere dalla sovrabbondanza di Dio benevolenza-amore. Si vuole sottolineare non tanto un succedersi nel tempo cioè “grazia dopo grazia” quanto piuttosto un aumento in intensità: si tratterebbe di un accumulo di grazie, che rivela la continuità dell’azione di Dio nella storia.
Paolo ai Colossesi svilupperà quest'abbondanza di grazia (cfr. Col 2,9-10).
v. 17: Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo
La “Legge”, come parte integrante dell’alleanza, è tutto il complesso di istruzioni che Dio ha consegnato al suo popolo per mezzo di Mosè. Gesù, che è il Figlio di Dio, viene a proporre un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull'accoglienza e la somiglianza del suo amore.
Questa espressione “grazia e verità” significa un amore generoso che si dona. Esse vengono abbinate come dono proprio dell’unigenito del Padre. Quest'amore non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo precede, un amore addirittura che precede la creazione stessa e ne è la conseguenza.
Per Giovanni la Legge è già un dono di Dio, una grazia che si espande al mondo intero, tuttavia egli sottolinea la profondità della verità rivelata da Cristo: “in” e “mediante” Gesù Cristo, Figlio unico, Dio si rivela come Padre.
v. 18: Dio, nessuno lo ha mai visto
In tutte le esperienze religiose anche dell’Antico Testamento, troviamo il desiderio di vedere Dio faccia a faccia, ma, salvo eccezioni, quest’aspirazione deve attendere il Cielo per potersi realizzare. Giovanni evidenzia che Cristo permette di superare l’impossibilità di vedere Dio.
Il Figlio unigenito
Il mediatore di questo accesso alla gloria è Gesù Cristo. Unigenito non soltanto per sottolineare che Gesù è lo stesso Figlio unico di Dio, ma anche che è lo stesso Verbo incarnato (1,1). Giovanni aggiunge che l’Unigenito è lui stesso Dio: Dio solo può rivelare Dio.
Nel seno del Padre
L’espressione sottolinea non solo la tenerezza e l’intimità dell’amore tra il Padre e il Figlio, ma anche la finalità del rapporto: il Figlio unico è rivolto verso il cuore del Padre. Possiamo notare che, come nel v. 14, il termine Dio viene sostituito da quello di Padre.
è lui che lo ha rivelato
Soltanto il Figlio unigenito, che condivide senza limiti la vita del Padre, può condurre gli uomini alla conoscenza e alla vita. Con tutto ciò che è, che fa e che dice, Gesù sarà il rivelatore e l’espressione di Dio e si rivolgerà ai discepoli dicendo: Il Padre mio e il Padre vostro, il Dio mio e il Dio vostro (20,17).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Quali reazioni da parte nostra al mistero del Natale?
Ci riscopriamo veramente felici perché il Salvatore è nato anche per me / per noi?
Come Cristo occupa un posto nella mia vita personale?
Il Natale esprime la gioia e la bellezza dell'accoglienza? Come vivo questo dono?
Come non riamare Colui che ci ha amato tanto?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
 
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.
 
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!
 
Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore. (Sal 97).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Nel silenzio del cuore incontra il Signore. Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché, conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all'amore delle realtà invisibili.
 
 

martedì 14 dicembre 2021

LECTIO: IV DOMENICA D'AVVENTO (Anno C)

Lectio divina su Lc 1,39-45
 

Invocare
O Dio, che hai scelto l'umile figlia di Israele per farne la tua dimora, dona alla Chiesa una totale adesione al tuo volere, perché imitando l'obbedienza del Verbo, venuto nel mondo per servire, esulti con Maria per la tua salvezza e si offra a te in perenne cantico di lode.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
La Liturgia della Parola di questa domenica, nei rispettivi tre cicli dell’anno liturgico, ha come protagonista Maria che porta in grembo il Verbo Incarnato e che è prossima al parto. Le tre letture invitano a meditare, a contemplare e ad attualizzare oltre a quella di Maria, anche l'azione di altri tre “protagonisti” del grande Mistero e il loro concorso per portare appunto a compimento la salvezza dell'umanità: Dio - Gesù - lo Spirito Santo.
Questi elementi fanno della Visitazione un mistero di fede, di gioia, di servizio, di annuncio missionario. Maria, premurosa nel viaggio (v. 39), portando in grembo Gesù, è immagine della Chiesa missionaria, che porta al mondo l'annuncio del Salvatore.
La Parola di Dio ci offre oggi le chiavi per comprendere, gustare ed annunciare ad altri il mistero che celebriamo.
Il testo del vangelo di questa quarta domenica di Avvento non include il cantico di Maria (Lc 1,46-56) e traccia solamente la visita di Maria ad Elisabetta (Lc 1,39-45).
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 39-40: In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Il versetto 39 inizia con una indicazione di tempo, che lega il concepimento di Giovanni e quello di Gesù: «Dopo quei giorni (l’annuncio dell’angelo a Zaccaria), Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi» (v. 24); «Nel sesto mese (dal concepimento di Giovanni), l’angelo Gabriele fu mandato… a una vergine… Maria» (Lc 1,26-27). La visita di Maria a Elisabetta si pone sotto questa prospettiva.
All’indicazione di tempo segue un movimento, un cammino di cui l'evangelista Luca ne attribuisce una grande importanza e interpreta tutto il mistero di Gesù come un cammino, un andare decisamente non solo verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,52), ma verso il Padre. Negli Atti degli Apostoli, Luca mostrerà grande interesse per i viaggi missionari; anche il viaggio di Maria viene descritto come viaggio missionario.
Il viaggio di Maria si presenta scomodo, faticoso per una gestante, lontano, ma è un viaggio di carità verso l’anziana parente incinta e nel bisogno. È la missione di Maria: il suo “sì” si è mutato in servizio portando in grembo Colui che è la Vita vera, la Salvezza, la Luce.
Questo cammino è fatto «in fretta». Luca mette l’accento nella prontezza di Maria nel rispondere alle esigenze della Parola di Dio. Ella esce di casa, da Nazareth per percorrere le montagne della Giudea percorrendo circa 150 km.
La fretta di Maria è piena di significato sotto tutti i punti di vista, psicologico-narrativo e teologico: quando si manifesta negli eventi l’opera di Dio non si può rimanere inerti o pigri. Così fa Abramo quando corre a preparare per i tre ospiti, così fa Zaccheo quando scende dal sicomoro, così fanno i pastori quando si affrettano a Betlemme.
Probabilmente Maria lega la gravidanza di Elisabetta con la sua. Legge il disegno divino che sta per realizzarsi e, forse, aveva bisogno di conferme a quanto l'angelo le aveva detto, o meglio voleva condividere la propria straordinaria esperienza con qualcuno che stava vivendo una situazione abbastanza simile. È naturale perciò che Maria corra verso la casa di Zaccaria per comprendere meglio il mistero che la riguarda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
Maria ed Elisabetta si conoscevano tutte e due. Erano parenti. Ma in questo incontro scoprono, l’una nell’altra, un mistero che non conoscevano ancora e che le riempie di molta gioia.
Il testo non dice il contenuto del saluto. Ogni ebreo salutava con il termine “shalom” che significa pace; Maria, quindi, entrando nella casa di Elisabetta porta la pace, segno della visita del Signore; offre giustamente agli
altri il dono che gratuitamente, senza alcun merito, le è stato dato.
v. 41: Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo
La sola voce di Maria, fa sussultare Giovanni nel grembo materno. Questo movimento di Giovanni nel seno di sua madre (che più sotto è interpretato da Elisabetta come un salto di gioia) è un gesto profetico. Esso ha un precedente nell’AT, dove si parla della nascita di Esaù e Giacobbe (Gen 25,22-23): anche lì i figli saltellano (il verbo usato nella versione greca dei LXX è lo stesso), e anche lì la madre intende il sussulto come un messaggio profetico.
Si adempie così la parola dell’angelo che aveva detto a Zaccaria: “[tuo figlio] sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre”. Esultando nel grembo della madre, Giovanni dà inizio alla propria missione di profeta, che è quella di riconoscere il Messia.
Lo spirito profetico del bambino è comunicato alla madre perché possa tradurre in parole il sussulto che ha sentito dentro di sé.
Nella Parola vi è l’azione dello Spirito Santo. La gioia e la Sua presenza ne caratterizza i tempi messianici , incominciano a colmare i cuori dei personaggi di questa vicenda: Maria, Giovanni, Elisabetta, Zaccaria, i pastori, Simeone. Poi alla Pentecoste investirà tutti i credenti.
v. 42: ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! Finito il tempo del nascondimento, ora Elisabetta può gridare l’opera del Signore.
Lo Spirito Santo fa esclamare a gran voce Elisabetta. È un superlativo. Ogni maternità nella Bibbia è una benedizione, ma la maternità di Maria è unica e procura la più grande delle benedizioni. Era l'atteggiamento di esultanza del popolo di Israele davanti all'arca dell'Alleanza. Maria porta in grembo Gesù, è arca della presenza del Signore.
Per opera dello Spirito Santo Elisabetta comprende non solo che Maria è incinta, ma che il bambino che porta è fonte di benedizione. Non siamo in presenza di due distinte persone (Maria e il bambino), ma Maria è benedetta sopra tutte le altre donne a causa della benedizione che proviene dal frutto del suo grembo. Dio ha benedetto Maria con la pienezza di tutte le benedizioni che sono in Cristo (cfr. Ef 1,3).
v. 43: A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?
Elisabetta esprime con gioia la sua meraviglia, quasi incredula, per la visita del Signore. Anche se si ritiene indegna di fronte a Dio, accetta umilmente, ma contenta, il dono, gratuito e immeritato, del suo amore.
Tale dichiarazione è sorprendente se si considera che Elisabetta è più anziana e moglie di un sacerdote, mentre Maria non possiede alcun rango sociale ed è molto più giovane di lei.
La frase di Elisabetta trova la sua giustificazione nel fatto che riconosce in Maria la madre del Messia.
Il titolo di Signore che Elisabetta usa per indicare il bambino che Maria ha in seno, è uno dei principali titoli messianici attribuiti a Gesù nel NT, e trova il suo appoggio scritturistico nel salmo 110 (cfr. Mt 22,41-45; At 2,34-36; Rm 8,34).
L’evangelista Luca ce lo ricorda perché Gesù è il Signore fin dall'inizio della sua vicenda terrena.
v. 44: Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.
Il sussulto di Giovanni nel grembo materno esprime l’esultanza di tutti per la salvezza promessa e donata da Dio mediante Gesù. Letteralmente è “ha saltellato” di gioia. Nella Bibbia si parla di danza che di sussulto. In questo versetto abbiamo una specie di danza che Giovanni Battista compie nel seno di sua madre. Sua madre l’ha interpretata così, l’ha sentita come una danza, come un movimento gioioso.
Giovanni sta vivendo il primo incontro con Gesù e gli rende testimonianza. L'evangelista sottolinea questa testimonianza nella gioia, come una eterna danza divina.
L’incontro delle due donne è più propriamente l’incontro dei loro figli. Giovanni è la sintesi e la conclusione dell’Antico Testamento: egli – secondo le parole di Gabriele a Zaccaria – è il nazireo come Sansone e Samuele, è il profeta pieno di Spirito Santo, è il nuovo Elia, il profeta degli ultimi tempi (cfr. Ml 3,23-24).
v. 45: E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
È il versetto conclusivo e più importante che sintetizza il motivo della gioia di Elisabetta. Elisabetta, e con lei tutta la Chiesa, riconosce che Dio è presente in modo privilegiato in Maria. Elisabetta riconosce Maria dapprima come Madre del Signore e poi come credente.
Nelle parole di Elisabetta troviamo la lode che esalta Maria. Maria è diventata la madre di Gesù perché ha obbedito alla parola di Dio. E quando una donna del popolo, rivolgendosi a Gesù, la proclamerà beata: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!", Gesù preciserà e completerà l'espressione di lode, dicendo: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (Lc 11,27-28).
La prima beatitudine del vangelo di Luca è l'esaltazione della fede di Maria. La fede è la virtù che ha accompagnato Maria nel suo cammino e l'ha radicata profondamente nel progetto di salvezza di Dio.
Maria è beata non perché ha generato fisicamente il Cristo come intendeva la donna della folla, ma, come ha replicato Gesù, è beata perché è la credente che ha ascoltato la Parola di Dio e l’ha messa in pratica (cfr. Lc 11,27-28). Per questo è il punto di riferimento continuo dei Vangeli e della tradizione cristiana.
La condizione beata è l’effetto stabile della benedizione di Dio, è la benedizione accolta e divenuta permanente. La beatitudine di Maria riposa sulla fede con cui si è affidata alla parola del Signore. Maria crede alla parola del Signore: vergine, diventa la madre di Dio. È il messaggio di Luca alle Comunità: credere nella Parola di Dio, che ha la forza di realizzare ciò che ci dice. È Parola che crea. Genera vita nuova nel seno di una vergine, nel seno del popolo povero e abbandonato che l’accoglie con fede. Questo elogio che Elisabetta fa a Maria si completa con l’elogio che Gesù fa di sua madre: “Beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,28).
In questo contesto Maria esplode nel cantico di esultanza, il suo magnificat per le grandi cose che l’Onnipotente ha compiuto in lei sua piccola e umile Serva (cf. Lc 1, 46-55).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Dio sceglie anche me per compiere una parte del suo progetto. Ho paura che sia troppo piccolo, oppure mi metto con entusiasmo a fare la volontà di Dio sapendo che lui valorizza ogni dono vero?
Come vivo nella mia vita la “fretta di Maria”?
Maria è la donna del "si compia in me..."; è così anche per la mia vita? So essere disponibile anche nelle piccole cose a realizzare il dono di Dio?
La mia gioia è superficiale, di circostanza, di facciata, oppure ha radici profonde, si nutre del frutto della vita che è maturato anche nel grembo e nel cuore della Vergine Maria?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Tu, pastore d’Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci.
 
Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
 
Sia la tua mano sull’uomo della tua destra,
sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome (Sal 79).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Nel silenzio del cuore incontra il Signore. Ripeti spesso e vivi questa Parola: Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore.