martedì 1 ottobre 2019

LECTIO: XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / C


Lectio divina su Lc 17,5-10


Invocare
O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senapa, donaci l’umiltà del cuore, perché, cooperando con tutte le nostre forze alla crescita del tuo regno, ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
5Gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe. 7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? 8Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio

Dentro il Testo
Nelle sue istruzioni ai discepoli e alle folle che lo seguono lungo la strada, Gesù ha ripetutamente parlato delle dure esigenze che comporta la sequela. Le possiamo riassumere in due affermazioni: “Chi non preferisce me al padre, alla madre, alla moglie e ai figli, ai fratelli e alle sorelle e perfino alla propria vita non può essere mio discepolo” (14,26); e poi l’altra: “Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (14,33).
Ora non c’è più un discorso sulle esigenze del vangelo, cioè sulle cose da lasciare e sugli impegni da assumere, ma alcune parole sulle condizioni che le rendono possibili e sulle modalità che le devono accompagnare. Queste sono due: la fede e l’umiltà. Per avere il coraggio di seguire Gesù occorre la fede, e se Dio ti dà il coraggio di seguirlo non vantartene.
All’insegnamento sulla fede segue la parabola, esclusiva di Luca. Indirizzata agli apostoli, questa parabola avverte i capi della Chiesa che essi non possono mai fermarsi e riposarsi nella convinzione di avere già lavorato abbastanza.
Questa piccola parabola, non intende descriverci il comportamento di Dio verso l’uomo, ma indicarci come deve essere il comportamento dell’uomo verso Dio: totale disponibilità, senza calcoli, senza pretese, senza contratti. Non si entra nello spirito del vangelo con lo spirito del salariato: tanto di lavoro e tanto di paga, nulla di più e nulla di meno. Dopo una giornata piena di lavoro, non dire “ho finito” e non accampare diritti. Non vantartene e non fare confronti con gli altri, ma dì semplicemente: ho fatto il mio dovere, sono soltanto un servo. A ciascuno conviene viverla in piena umiltà sicuri che Gesù pregherà perché la nostra fede non venga meno (cfr. 22,32).

Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 5-6: Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
I discepoli, che qui vengono chiamati apostoli, si rendono conto che non è facile avere gli atteggiamenti che Gesù ha appena richiesto loro: attenzione verso i più piccoli (17,1-2) e riconciliazione verso i fratelli e le sorelle più deboli della comunità (17,3-4). E questo con molta fede! Non solamente fede in Dio, ma anche fede nella possibilità di recupero del fratello e della sorella. In questa difficoltà trovano il motivo di richiesta per accrescere la loro fede.
Il verbo “accresci” può essere anche tradotto con “accordaci” la fede. Si potrebbe mettere questo versetto in relazione con Mt 13,31 e a quanto si dice a proposito del Regno dei cieli: ‘il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa. [..] Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto è più grande delle altre piante.
La nostra fede ha nel granello di senapa la stessa dimensione del Regno di Dio. Un granello di senape è piccolo come una pulce, minuscolo, quasi invisibile. Ma una volta seminato velocemente cresce, e nell'arco di un anno quel piccolo seme può divenire un albero anche di tre o quattro metri. La dimensione del granello di senapa non è la dimensione minima richiesta, ma la dimensione massima richiesta.
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape…
La risposta è in parabole – se aveste fede - equivale a dire che non è questione di quantità ma di autenticità della fede. Una preghiera che Gesù non esaudisce, perché non tocca a Dio aggiungere fede, non può farlo: la fede è la libera risposta dell'uomo al corteggiamento di Dio. La risposta al corteggiamento di Dio è paragonabile alla grandezza di un granello di senape.
potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe.
La prima parabola ci parla di un albero, gelso, piantato nel mare: l'impossibile che diventa possibile. Il gelso, è un albero secolare, può vivere anche seicento anni, ha radici profonde, che si abbarbicano nella terra. È un albero molto difficile da sradicare, simbolo di solidità, di staticità, di inamovibilità. Con questa parabola Gesù dice che la fede è un niente che è tutto. Leggera e forte.
Nel vangelo troviamo spesso frasi del genere: "Tutto è possibile per chi crede (Mc 9,23); la tua fede ti ha salvato (Mc 10,52); chi ha fede sposta le montagne (Mc 11,22-23); tutto ciò che chiederete, credete e vi sarà dato" (Mc 11,24; Mt 21,22; Gv 14,13-14). Se vuoi vedere la tua fede, la tua fiducia in Dio e nella vita guarda a come reagisci di fronte agli ostacoli. Tu inizia; datti da fare; mettiti in movimento e scoprirai che quella piccola fede diventerà enorme (piccolo seme che diventa un albero enorme) e compirà l'impossibile.
vv. 7-9: Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Con la seconda parabola “del servo”, abbiamo un passo avanti nella comprensione della fede. In quel tempo, il servo era colui che lavorava tutto il giorno nel campo e a fine giornata, anche se crede di aver finito, ha ancora molto da fare non si può accomodare per mangiare, ma deve ancora rimboccarsi le maniche e servire il suo padrone. Dinanzi a Dio siamo come lo schiavo davanti al suo padrone.
Aver fede significa diventare disponibili a Dio, ascoltare la sua Parola così profondamente da venirne trasformati, essere “trasparenti” alla sua volontà. Chi crede, dunque, non crea ostacolo alcuno all’azione di Dio, non l’offusca, la lascia passare.
La fede lascia passare sempre e solo l’azione di Dio attraverso di noi; non costringe Dio a fare quello che vogliamo noi ma permette a noi di fare quello che vuole lui. Lo si vede bene dalla piccola similitudine del servo che, dopo aver faticato e arato tutto il giorno, rientra a casa.
Dopo aver servito tutto il giorno diventerà forse padrone la sera? No; egli rimane pur sempre servo. Può sembrare umiliante questo modo di immaginare il rapporto con Dio; e si tratta invece di un rapporto liberante.
La fede è la tecnica per imparare a servire Dio nel modo giusto. Chi la usa, permette a Dio di operare attraverso di lui e diventa perciò strumento della salvezza di Dio. E siccome Dio vuole la salvezza, chi ha fede introduce con il suo comportamento una forza di salvezza nel mondo.
v. 10: Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato,
Uscendo dall’esempio parabolico, Gesù ci interpella direttamente. “Così anche voi”, cioè noi ancora oggi chiamati a lavorare nel campo della vita e della storia in obbedienza alla Parola di Dio, ciascuno secondo la propria vocazione. Il servizio di Dio richiede la sottomissione di un servitore. Il servizio che il servo (Gesù) ci rende è un servizio che non ci fa sentire obbligati, è un servizio che ci libera. E questo dovrebbe essere il servizio che ognuno di noi è chiamato a svolgere. Siamo schiavi non necessari, cioè non arrechiamo profitto. Siamo coloro che, non arrecando profitto, servono unicamente per dono.
dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
L’espressione servo inutile nel mondo odierno può portarci fuori strada. Servi inutili non perché non servono a niente, ma, secondo la radice della parola, perché non cercano il proprio utile, “servi senza utile”, non avanzano rivendicazioni o pretese. Loro gioia è servire la vita.
Servo è il nome che Gesù sceglie per sé; servo è il nome di ogni cristiano, perché questo è l'unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.
L’espressione evangelica vuole esprimere che il “servire” non è qualcosa che si viene ad aggiungere alla condizione umana, come un possibile merito, come una realtà superflua ed accidentale. L’essere creatura dell’uomo, opera del Creatore, implica la disponibilità e la normalità dell’essere messi a disposizione, dell’essere chiamati a servire in un dono totale d’amore, come Gesù.
Un uomo che non “servisse” avrebbe fallito la sua stessa identità, avrebbe perso la sua vita, avrebbe perso se stesso. Colui, invece, che vive la sua esistenza proprio come servitore, non fa altro che rispondere a quel disegno d’amore, divino, iscritto nella sua stessa vita. Ecco perché non è necessaria una ricompensa, ecco perché il servire non diviene motivo di rivendicazioni. Tutto ciò che abbiamo ricevuto non lo meritiamo. Viviamo grazie all'amore gratuito di Dio. L’evangelista Matteo, descrive Pietro che rivolge a Gesù questa domanda: “Ecco noi abbiamo abbandonato ogni cosa e ti abbiamo seguito, che avverrà di noi?” (Mt 19,27). Gesù risponde loro: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29).
Luca descrive il servo di Dio come colui che compie il suo dovere e non ha il diritto di avanzare pretese nei confronti di Dio, può solo dire con San Paolo: “Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!” (1Cor 9,16). Infatti, l'energia che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola dove ti troverai una fede aumentata.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Ripeto spesso nella preghiera: Signore, accresci la mia fede!?
Moltiplico gli atti di fede davanti a ogni situazione personale o dove mi ritrovo debole e impotente?
Mi considero servo in ogni gesto che compio vedendolo come un servizio d’amore a Lui presente negli altri?
Sono capace di fare della mia vita un servizio senza aspettare la ricompensa?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere». (Sal 94).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Lasciamo che la Parola illumini la nostra vita.  Apriamo le porte del nostro cuore per scoprire quella piccolezza, quella “inutilità” che sta in noi per essere capaci di “piantare gelsi nel mare”.