lunedì 30 dicembre 2019

LECTIO: MARIA, MADRE DI DIO Anno A


Lectio divina su Lc 2,16-21

Invocare
Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per Cristo nostro Signore. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.
19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio

Dentro il Testo
Il Vangelo che ci viene proposto nella solennità della Madre di Dio, un dogma di fede affermato nel concilio di Efeso del 431, ci riporta al giorno di Natale, nella scena della visita dei pastori al bambino Gesù. Il brano contiene, in questa celebrazione, due variazioni: viene eliminata la menzione degli angeli che si allontanano dopo aver dato l'annuncio ai pastori e al termine viene aggiunto il v. 21, che parla della circoncisione del Bambino e dell'imposizione del nome. I bambini ebrei infatti venivano sottoposti a questa pratica che era il segno della loro appartenenza al popolo di Israele e insieme ricevevano il nome con cui sarebbero stati riconosciuti per tutta la vita.
Perché quest’annuncio ai pastori? Perché erano gli ultimi, gli esclusi; erano ignoranti della legge e impossibilitati a praticarla; erano esclusi dal tempio e dalla sinagoga. Nei racconti rabbinici, venivano messi sullo stesso piano dei briganti e dei malfattori. Non solo, ma nei tribunali il Talmud afferma che la loro testimonianza non era accettata, al pari dei ladri e degli estorsori.
Dopo l’annuncio dell’angelo, i pastori ebbero una immediata reazione: è scritto che andarono a Betlemme “senza indugio”, quindi senza tener conto del gregge, unica cosa che possedevano. “Vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”, parole che denotano quanto siano inutili e dannosi i preconcetti umani, quella suddivisione in categorie che fa il mondo. Ciò che conta non è la classe sociale ma la disposizione del cuore, l’anima e lo spirito della persona.
Questo brano è illuminato da due nomi: il nome del Signore Gesù, al di là del quale non si dà altro nome né nel secolo presente né in quello futuro, e il nome della sua vergine Madre Maria, memoria della nostra autentica identità, posta come modello e riferimento per dare speranza e senso ai giorni del nuovo anno che incomincia.

Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 16: Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.
Il versetto è riferito ai pastori che una volta rallegrati per la nascita del Redentore, vengono invitati dall’angelo del Signore a farne verifica. Questi li troviamo in cammino e come per abitudine, Luca li descrive con una certa fretta, simile alla fretta di Maria nell’andare a visitare la parente Elisabetta.
“Andare”… un verbo che allude a un attraversamento. Bisogna colmare le distanze … bisogna andare fino a Betlemme. C’è un annuncio ricevuto, ma ci sta una esigenza oculare! Il viaggio dei pastori ... il nostro viaggio della vita, del nostro quotidiano con la fretta di Maria ... il coraggio di mettersi in viaggio anche se è notte, anche se non si conosce l’itinerario, anche se non si sa la meta, anche se c’è la fatica, la stanchezza, il sonno, il dubbio, il timore ... È il viaggio all’interno di noi stessi: un viaggio faticoso.
Cosa trovarono i pastori a Betlemme? Gente semplice: Maria, Giuseppe e il bambino che giace in una mangiatoia. La sottolineatura di questo segno dato da parte degli angeli, e il suo riscontro da parte dei pastori, vuole essere un elemento che evidenzia ancora di più l’aspetto umano di colui che è il Figlio di Dio.
I pastori sono modelli di fede. I pastori fanno propria l’attesa dei poveri, di quei poveri di Javhè della Scrittura. Si tratta di un lieto messaggio atteso, dato ai poveri in una stalla, dato a chi ha dimestichezza con queste cose, con le stalle, le mangiatoie.
Quest’incontro con il Verbo della vita, è sottolineato dai verbi classici  “trovarono...videro”.
v. 17: E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
I pastori vedono la realtà di ciò che il Signore ha fatto loro conoscere. Ed è tanto importante che non possono trattenersi dal renderlo noto agli altri. Diventano messaggeri e apostoli.
Si profila la dinamica missionaria della Chiesa: l’annuncio porta all’ascolto, l’ascolto alla visione. A sua volta chi ha visto porta ad altri l’annunzio perché attraverso l’ascolto giungano alla visione. In seguito l’evangelista Giovanni dirà: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi” (1Gv 1,2). Il contenuto del loro annunzio è ciò che del bambino era stato detto loro. Sulle labbra dei pastori è la testimonianza che Dio rende del suo Figlio. È il mistero di una povertà che non va risolta ma ascoltata, una povertà che rende testimonianza a un Cristo povero.
v. 18: Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 
La lieta notizia suscita meraviglia nei cuori. Il vangelo annunciato non può che destare meraviglia. Anche i Genitori del Bambino si trovano lì in adorazione del Mistero, e nel silenzio, vivono di meraviglia.
Anche nel silenzio dei pastori vi è meraviglia, una meraviglia che si fa condivisione di vita, perché Dio ha acceso nei cuori la fiamma del suo amore!
I pastori non si rendono conto che ciò di cui sono stati resi depositari aveva creato stupore negli altri. Essi trovano la testimonianza della fede e imparano a lodare Dio, suscitando negli altri lo stupore, la meraviglia... e aiutando gli altri a imparare a lodare Dio per le meraviglie che Egli ha compiuto.
v. 19: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
Alcuni traducono: “custodiva tutte queste parole”. Il cuore di Maria, sede di parole ricordate a approfondite nello Spirito, è pertanto un cuore di sapienza simile a quello dello scriba che dal suo tesoro sa trarre e comporre cose antiche e cose nuove; è anticipazione e figura del cuore dei figli della sapienza (Lc 7,35), della chiesa dell’ascolto accolto, custodito, meditato e pregato perché si affretti il tempo in cui il non chiaro sia reso trasparente. Luca sottolinea la meditazione di Maria sui fatti il cui senso sarà manifestato solo nella rivelazione pasquale. Maria è tutta raccolta e concentrata in se stessa per penetrare più a fondo nel significato degli avvenimenti in cui si è trovata coinvolta. Appare così come colei che è madre e sa interpretare gli eventi del Figlio.
Maria diventa, così, simbolo e modello della comunità cristiana che, in atteggiamento sapienziale e contemplativo, cerca di assimilare interiormente il mistero inesauribile del Verbo Incarnato.
 v. 20: I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
L’evangelista Luca abitualmente termina il racconto con la partenza dei protagonisti: prima gli angeli adesso i pastori. I pastori tornando alla loro quotidianità e glorificano Dio per quello che hanno udito. Questa è la forza e l’umiltà che proviene dalla Parola, che è dono di Dio. In Essa i poveri trovano la loro forza e la loro umiltà.
“Vedere” e “udire” sono i verbi della fede. Proprio il binomio, akùein e idèin, che tante volte ricorre negli Atti degli Apostoli, configura i pastori come i primi testimoni-apostoli. Potremmo osservare che l'esperienza cristiana, in questo brano, è espressa da pochi verbi che interagiscono tra loro: ascoltare, ubbidire, trovare, vedere, testimoniare, lodare. È importante verificare se e come li coniughiamo nella nostra vita, se e in quale misura sappiamo annunciare la gioia d'avere incontrato il Salvatore.
v. 21: Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Il testo evangelico prosegue menzionando una nuova scena dei racconti dell’infanzia: il rito della circoncisione (attraverso il quale il Bambino è inserito ufficialmente nel popolo di Dio) e l'imposizione del nome (cfr. Gen 17,12; Lv 12,3), a cui Luca dà un risalto particolare: è Dio che ha voluto tale nome e quindi la missione che esso esprime.  
Il nome nella Bibbia dice l’identità e la missione di chi lo porta. Infatti, il nome di Gesù in ebraico è: Yehôsua‘ che significa YHWH salva (le prime lettere indicano il Nome che i nostri fratelli ebrei non pronunciano mai perciò noi con profondo rispetto, diciamo: “Dio salva”.
Questa attenzione da parte dell'evangelista sta ad indicare che il nome imposto è il Nome innominabile, origine di ogni nome. Ora possiamo nominarlo, perché Dio si è donato a noi. Il nome di Dio per l’uomo non può essere che Gesù, cioè “Dio salva”. Dio è per noi, perduti e lontani da lui, perché si chiama Gesù, Dio-con-noi e Salvatore.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Anche io sono andato senza indugio alla grotta per contemplare con fede l'avvenimento salvifico?
Quale annuncio oggi è capace di mettermi in cammino, di smuovermi?
Come Maria, riesco ad interiorizzare la Parola di Dio per non viverla passivamente?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra. (Sal 66).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Anche noi, come i pastori, dobbiamo andare alla grotta per verificare e coniugare nella nostra vita i verbi della fede lasciandoci plasmare dalla novità del vangelo. Andiamo per ascoltare cosa ci dice Dio, per essere in sintonia con il suo volere.

giovedì 26 dicembre 2019

LECTIO: SANTA FAMIGLIA Anno A


Lectio divina su Mt 2,13-15.19-23

Invocare
O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per Cristo nostro Signore. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. 14 Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”.
19 Morto Erode, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti, infatti, quelli che cercavano di uccidere il bambino».
21 Egli si alzò, prese il bambino e sua madre, ed entrò nella terra d’Israele. 22 Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23 e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio

Dentro il Testo
Nel brano evangelico odierno, l’evangelista Matteo ci presenta la persona di Gesù come il compimento delle Scritture. Il brano Mt 2,13-23, fa parte della sezione del vangelo dell’infanzia di «Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). Sembra che in questo brano scorra un certo abbandono già citato in Ct 1,4: “trascinami con te, corriamo! Mi introduca il re nelle sue stanze”.
Infatti i vari movimenti che possiamo raccogliere non è altro che entrare nella stanza del re, di Dio e lasciarsi guidare da Lui, perché “dolce è il suo frutto al mio palato” (Ct 2,3).
Il vangelo di Matteo è stato chiamato «il vangelo del Regno». Matteo ci invita a riflettere sulla venuta del regno dei cieli. Nella struttura del suo racconto evangelico alcuni hanno visto un dramma a sette atti che trattano la realtà della venuta di questo Regno. Il dramma comincia con la preparazione a questa venuta del Regno nella persona del Messia fanciullo e termina con la venuta del Regno nella sofferenza e nel trionfo con la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
Matteo è lo scriba saggio che sa trarre dal suo tesoro quello che è antico e quello che è nuovo per la vita di ciascuno. Nelle righe di questo brano scorrono molto espressioni che raccolgono la vita dell’uomo, utili ad illuminare il nostro cammino.
La nostra attenzione oggi è sulla Santa Famiglia e in particolare su Giuseppe, presentato da Matteo nella sua responsabilità di “capo-famiglia”, che si lascia guidare dalla parola di Dio in questo contesto di violenza e di persecuzione.

Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 13: Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”.
Il versetto inizia collegandosi ai fatti precedenti che narravano la visita dei Magi giunti da lontano per adorare quel Bimbo, nato in una mangiatoia, portandogli doni misteriosi carichi di significato simbolico. 
Qui la scena cambia. Il Bambino è in pericolo il re Erode vuole uccidere il nato Re.
Il tema dei re che uccidono i temuti avversari è comune nella storia di ogni dinastia regale. Nella letteratura biblica oltre a questa scena di Erode che cerca il bambino Gesù per ucciderlo, troviamo nell'AT alcuni racconti simili.
L’evangelista Luca dirà di Gesù: “Egli è qui … segno di contraddizione perché siano svelati o pensieri di molti cuori” (Lc 2,34) e Giovanni: “Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).  
Qui entra in scena Giuseppe. Come fu all’inizio della gioia ora, in un contesto drammatico, si rinnova la Parola del Signore durante il sonno. Matteo usa dei verbi per indicare l’urgenza dei fatti.
Giuseppe qui non dice nulla, ma in obbedienza alla Parola e alla sua vocazione “fa’”. Egli è invitato a “prendere con sé il bambino e sua madre”. “Prendere con sé” significa ricevere, accogliere l’altro come un dono e assumersi la responsabilità di quest’accoglienza, nella reciprocità del dono. Ed è quanto gli sposi promettono nel rito del loro matrimonio: accoglienza reciproca e carità.
Il “fare” di Giuseppe lo conduce a fuggire con la sua famiglia in Egitto. Matteo a differenza di Luca non parla di precedenti viaggi. Egli dice solo che Gesù nacque a Betlemme e poi, alla fine del brano di oggi, si dirà che Giuseppe sceglie, come luogo per stare, una volta tornato dall’Egitto, Nazareth. Betlemme e Nazareth sono così i luoghi dell’infanzia di Gesù, della sua vita “nascosta”.
L’Egitto è una terra di rifugio temporaneo. Nel libro della Genesi si legge l’avvertimento fatto a Giacobbe che forse è risuonato nel cuore di Giuseppe e di Maria mentre fuggivano in Egitto: “Dio disse a Israele in una visione notturna: «Giacobbe, Giacobbe!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te un grande popolo. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare” (Gen 46,2-4).
vv. 14-15: Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”.
Vi è una prontezza in Giuseppe ed è segnata dalla notte. Una notte che in obbedienza alla Parola diventa segno per ciascuno di noi in quanto la notte non è paura, ma si trasforma in un “giorno senza fine”, in un grido di gioia, come faranno le vergini: “ecco lo sposo” (Mt 25,6).
Il movimento di Giuseppe, durante la notte, indica“vegliare”, “faticare”. Egli in obbedienza si rifugia in Egitto.
La parola rifugio, etimologicamente, indica un movimento all’indietro, quasi un ritorno sui propri passi. In effetti è il cammino del popolo israelita che va in Egitto per poi ritornare.
Giuseppe accoglie la voce del Signore e fa il padre fino in fondo, anche in Egitto. E Matteo si premura qui di indicare che quanto si sta realizzando corrisponde a un disegno di Dio secondo l’antica profezia: “Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio” (Os 11,1). Questa profezia si riferiva al popolo che Mosé, per ordine di Dio, aveva portato fuori dall’Egitto.
Ora, per Matteo, diventa rivelazione dell’identità di quel bambino che Giuseppe ha preso con sé, assumendone ogni responsabilità. In questa situazione Giuseppe è modello per ciascuno di noi.
vv. 19-20: Morto Erode, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti, infatti, quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Cambia nuovamente scena. Erode muore. I grandi della terra muoiono come tutti. Tutto passa, ma il piano di Dio si compie, perché “il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni” (Sal 32,11). «Le mie parole non passeranno», affermerà Gesù (Mt 24,35).
Giuseppe continua la sua notte e ancora una volta la Parola del Signore si rende presente nel sonno. Il movimento è sempre lo stesso. Giuseppe deve ritornare nuovamente sui suoi passi e ricominciare da capo.
Dalla composizione letterale, sembra che Giuseppe non si sia mai staccato dalla Parola, dal farsi istruire da Essa. È la sua lectio divina che lo trasforma in mendicante di amore. Giuseppe, infatti, è l’uomo in obbedienza alla Parola e ad Essa (a Dio) ha affidato la sua vita e quella della sua famiglia. Egli è l’uomo del cantico nuovo perché spogliato dalle sue incertezze e dubbi.
vv. 21-23: Egli si alzò, prese il bambino e sua madre, ed entrò nella terra d’Israele. Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Questi ultimi versetti hanno un movimento nella notte. È la notte oscura di Giuseppe: Egli, come ogni uomo, ha paura. In questa sua paura, Giuseppe continua a proteggere il Bambino e la sua madre e si mette nuovamente in cammino: una nuova fatica della sua paternità.
In questo silenzio di Dio, Giuseppe è l’uomo che si guarda dentro pensando di colorare la sua vita con i stessi colori che usa Dio, gli stessi che ha usato con Maria lasciandosi abbracciare da Dio così come è, esultando in Dio come Maria. Se Dio salta dentro la tua povertà, allora la vita personale si colora. Questo Giuseppe l’ha capito.
Giuseppe si stabilì con la famiglia non in Giudea, ma in Galilea: erano morti i persecutori di Gesù (circostanza che ancora richiama quella di Mosè in Es 4,19); ma la presenza in Giudea del figlio di Erode Archelao, non meno crudele e tirannico del padre, orienta Giuseppe in direzione della Galilea, a Nazareth.
Il verbo usato è lo stesso con cui all’inizio del brano odierno si era detto dei magi che “si erano ritirati”, o che “erano tornati indietro”. L’Evangelista vuole sottolineare questo particolare perché quel bambino “sarà chiamato Nazareno”, secondo le antiche profezie e rifacendosi al significato di Nazareno, cioè una persona “consacrata”, particolarmente “santa” e dedicata al Signore (cfr. Gdc 13,5.7). Inoltre in essa è racchiusa la missione del Figlio che il profeta Isaia ha rivelato come il “germoglio” spuntato dal tronco di Iesse (cfr. Is 11,1).
Tutto questo corrisponde al disegno di Dio, che Giuseppe nella sua fedeltà alla voce della coscienza, unita alla sua prudenza e saggezza umana, compie in silenzio e senza indugi.
Il soggiorno di Gesù a Nazareth non è casuale, ma rientra nel piano divino. Il nome stesso del piccolo centro abitato ci ricorda che Cristo è dono di Dio, a Lui consacrato, è un germoglio prodotto non dal nostro tronco secco, ma dalla fecondità di Dio (Ileana Mortari).

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Sono una persona che supera gli ostacoli con l’aiuto della Parola di Dio o che “tiro a campare”?
Riesco come Giuseppe, nella mia notte oscura, a mettermi in cammino? Che spazio ha nella mia famiglia la parola di Dio e la preghiera?
Sono capace anche io di “prendere il bambino e sua madre” nella mia vita di tutti i giorni?
Qual è il mio atteggiamento nei confronti della mia famiglia, della mia comunità? Cosa mi insegna l'atteggiamento di san Giuseppe?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita! (Sal 127).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Contempliamo la Santa Famiglia e, nelle parole del vangelo di questa festività, consideriamo Gesù, Maria e Giuseppe. La fede in Dio e l’obbedienza alla sua parola possono cambiare il cammino della nostra vita. Così, è per la nostra salvezza che Dio ha salvato la Santa Famiglia.

martedì 24 dicembre 2019

LECTIO: NATALE DEL SIGNORE Anno A


Lectio divina su Lc 2,1-14

Invocare
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana.
Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 13Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
8C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11og­gi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio

Dentro il Testo
In questo tempo di avvento abbiamo meditato i fatti che hanno preceduto il Natale del Signore. I giorni che hanno preceduto il ricordo di questo evento sono stati segnati dalla persona del figlio di cui Maria di Nazareth è venuta misteriosamente incinta.  
Siamo verso la fine del "vangelo dell'infanzia" nella versione lucana. Il vangelo dell’infanzia non fa altro che prepararci all’evento salvifico già annunziato dai profeti.
La liturgia, nella notte di Natale, ci presenta solo 14 versetti. La nascita di Gesù è in 40 versetti. In questi 40 versetti ci sta un confronto tra questa scena e la precedente: riguardo al Figlio di Maria, l'obiettivo è puntato in primo luogo sulla scena della nascita, mentre per Giovanni si dà risalto alla circoncisione e all'imposizione del nome. Ma è la notte di Natale. Una notte che nei Vangeli prende forma riflessa per la nostra vita.
Il brano lucano è semplice, suggestivo, pieno di spunti teologici costruito sul modello dell’annuncio missionario.
Punto centrale della narrazione sono le parole dell’angelo ai pastori, che riguardano il senso gioioso dell’avvenimento e la professione di fede in Gesù Salvatore. Dio entra nella vita degli uomini fuori dal tempio, dai suoi incensi e dalle case degli uomini, sente di dover chiamare a raccolta gli uomini per questo avvenimento in un luogo lontano e fuori dalla “Città”. Dio non va pensato come uno che si compiace della bontà dell'uomo ma piuttosto come uno che infonde la bontà nell'uomo attraverso la sua divina elezione e misericordia.

Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 1-3: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria.Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Nel vangelo, Luca vuole indicare il contesto storico-teologico della nascita di Gesù mostrando che l'azione divina si serve di questo decreto di Cesare. Negli Atti, Dio si servirà ancora delle stesse leggi romane per condurre Paolo a Roma per annunciare il vangelo. Infine, e soprattutto, ciò offre un pretesto per il viaggio: un pretesto, poiché tali censimenti si fanno sempre nella località di residenza, non in quella di origine.
Ciò che è importante è che in un contesto storico vi è un annunzio di salvezza. Origene scrive: "In questo censimento del mondo intero Gesù doveva essere incluso... affinché potesse santificare il mondo e trasformare il registro ufficiale del censimento in un libro di vita".
vv. 4-5: Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Dopo le indicazioni preliminari, Luca sottolinea il casato e l’origine davidica di Giuseppe. Di Maria é detto per la prima volta, che é incinta ma la chiama “fidanzata” “promessa sposa”. In Mt 1,18-25 sappiamo che Giuseppe ha condotto Maria nella propria casa ed ha giá superato i suoi dubbi personali sulla strana gravidanza. Ma Luca presentando una fidanzata incinta in viaggio vuole lanciare una provocazione scioccante, forse invitare a leggere e cercare. La prospettiva provvidenziale di Luca nel raccontare i fatti emerge anche dal fatto che Giuseppe porta con sé Maria: le donne non dovevano farsi registrare, dunque la giovane puerpera avrebbe potuto rimanere a Nazareth. Luca, però, vuole mostrare che ella è considerata a pieno titolo legale membro della famiglia davidica.
v. 6-7: Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
Il luogo è Betlemme.  Nell’AT é importante soprattutto come luogo dell’origine della stirpe di David. Il luogo è la casa, è la famiglia parole sottolineate dall’evangelista Luca. In questo luogo Luca ci ha condotti senza però precisare nulla. Qualcosa però ci riconduce a capire che si realizza quanto previsto in 1,26-38 ed il bambino giudeo é integrato nel popolo della promessa tramite la circoncisione (2,21).
Maria da alla luce il suo primogenito. Il termine “primogenito” non indica che Maria abbia avuto altri figli dopo la nascita di Gesù. Il primo figlio - anche se non ne fossero nati altri in seguito – era sempre chiamato primogenito, per designare i diritti e i doveri che lo riguardavano (cfr. Es 13,12: “Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi figli”; Es 34,19: “Ogni essere che nasce per primo nel seno materno è mio”).
I movimenti che fa Maria (lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia), sono gli stessi movimenti che si faranno alla morte di Gesù. Gesù sarà segnato fino alla morte da questa estrema povertà. Non si tratta solo dell'indigenza materiale della sua famiglia. C'è molto di più. Gesù, il Verbo fatto carne, "venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11). E la mangiatoia ne è il simbolo: “il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. (Is 1,3). C'è qui il grande mistero dell'incarnazione. Paolo dirà che "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8, 9).
Anche un alloggio (Katàljma) diviene simbolo di una povertà e di un rifiuto che troverà il suo culmine nel rifiuto assoluto di lui nel processo davanti a Pilato (cfr. Gv 18, 28-19, 16). Più tardi Gesù dirà “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Katàljma ricorda anche quel luogo ove Gesù mangerà la pasqua con i discepoli (Lc 22,11; Mc 14,14; cfr. anche: Lc 9,12; 19,7; 22,14).
v. 8: C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Luca indica i pastori perché questi sono coloro che godono di una cattiva reputazione: sono spesso considerati ladri e disonesti. I pastori, sono coloro che occupano il gradino più basso della scala sociale sono i primi ad essere coinvolti dalla nascita di colui che ha per madre un'umile donna (1,48) ed è "inviato a portare ai poveri il lieto annunzio" (4,18). Il neonato è già colui che sarà accessibile ai peccatori e mangerà alla loro tavola (15,2). Proprio queste persone sono coloro i quali vegliano per sorvegliare il gregge. C’è una capacità di attenzione in loro che in altri non si riscontra.
Luca, è sensibile nel mettere in evidenza che Dio consegna se stesso ai semplici; pensiamo a Maria in Lc 1,48: “..alla bassezza della sua serva”; Lc 6,20: “beati voi poveri”; Lc 10,21: “ti benedico o Padre che ti sei rivelato a piccoli e ti sei nascosto ai sapienti”.
vv. 9-10: Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo.
Proprio a queste persone capaci di vegliare il gregge, il vero Guardiano del gregge li chiama (1Pt 2,20-25, Gv 10,1-10). Questi avvolti dalla gloria di Dio, cioè dalla sua Presenza, dalla sua Rivelazione sono riempiti interiormente dall’amore di Dio, dalla sua stessa passione.
La luce non sta semplicemente davanti a loro ma li avvolge, entra nella loro vita, essi accolgono quell’annuncio che non è per loro soli, ma anche per tutto il popolo.
Custodi di un gregge ora sono custodi di un mistero da conoscere e poi irradiare a tutti.
I pastori sono presi da timore perché si trovano di fronte a qualcosa, non solo d’imprevedibile e impensabile, ma anche ad un’azione che riscontriamo solamente nelle teofanie dell’AT, specie ad Is 6,1-5 ed Ez 1; 3,12.23.
Però il Signore rassicura, conforta con la sua Parola di salvezza. Quel timore che coinvolge immediatamente ed emotivamente ora trova un’apertura di significato grazie all’angelo del Signore, interprete luminoso dei fatti oscuri conducendo alla gioia vera.  
La gioia presente in tutto il vangelo lucano é una caratteristica della fede nell’itinerario salvifico. È una gioia che non si affievolisce e non si stabilizza, ma cresce all’infinito perciò l’angelo dice: vi evangelizzo, c’é qui qualcosa proprio per voi, vi immergo in una realtà per voi assolutamente inedita.
v. 11: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Si rinnova quel prodigio, ma Luca scrive “oggi”, un termine teologico e difficilmente cronologico. Luca non fa altro che farci entrare nel “tempo di Dio”.
Altri episodi del vangelo o della sacra scrittura:“oggi è entrata in questa casa la salvezza”, “ascoltate oggi la sua voce del Signore”, “oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”, “oggi sarai con me nel paradiso”, “oggi ti ho generato.”.
C’è un “oggi” che si relaziona nel qui ed ora con ciascuno e con tutti, una storia che diventa storia di salvezza.
Qui è il centro del racconto: l’iniziativa di Dio non è parola ma “Carne, Corpo”, presenza incarnata, profondamente dentro la storia, la mia, la tua, la nostra storia. Egli è Dio, l’annuncio si presenta  ancora difficile per molti.
Nei versetti precedenti abbiamo appreso il nome del bambino, qui l’angelo del Signore, annunciando la nascita di Gesù non lo chiama con il nome proprio ma con tre titoli teologici: Salvatore; Cristo; Signore. In questi titoli teologici è racchiusa una professione cristologica riassunta dall’angelo stesso.
Luca non fa altro che insistere sulla signoria di Gesù e sulla sua missione di salvezza. In altre parole la sua signoria è la nostra salvezza. Non solo opera, fa salvezza, salva, ma é salvezza. 
vv. 12-14: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
L’annuncio dell’angelo ai pastori è accompagnato da un segno, come per l’annuncio a Maria; la cugina Elisabetta al sesto mese, il bambino nella mangiatoia per i pastori, sono i segni che accompagnano la fede di chi ha il desiderio di ascoltare, vedere, incontrare, servire il vangelo che è lieta notizia. È la predicazione dell’evento da accogliere e da testimoniare così come cantano gli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace tra gli uomini, che egli ama”. Ciò manifesta la potenza divina e svela finalmente la sua misericordia.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
C'è posto per Gesù nella mia vita? Quali segni mi sta offrendo Dio della sua presenza?
Gesù è nato per portare gioia e pace. Quanto caratterizzano la mia vita questi doni? Sono portatore di gioia e di pace per gli altri?
Cosa significa per me la parola Salvatore, da cosa vorrei essere salvato?
Credo che sia possibile anche per me diventare complice di un nuovo annuncio?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. (Sal 95).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Lasciamoci sorprendere da un Dio che abita la notte, così che anche la notte del dolore si apra alla luce pasquale del Figlio di Dio crocifisso e risorto. Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché, conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all'amore delle realtà invisibili.

giovedì 19 dicembre 2019

LECTIO: IV DOMENICA DI AVVENTO Anno A

Lectio divina su Mt 1,18-24

Invocare
O Dio, Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della tua parola, nell’obbedienza della fede.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
 18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio

Dentro il Testo
La liturgia della Parola di questa IV di Avvento, ruota attorno ad un segno e ad una promessa: la nascita di un bambino, a cui sarebbe stato posto il nome Gesù. Troviamo questo compimento nel Vangelo, nel segno profetico dell’Emmanuele, Dio-con-noi, il secondo nome di Gesù. Egli è il segno della fedeltà di Dio: la sua venuta inaugura un tempo nuovo. Per Matteo questo tema verrà ripreso anche alla fine del suo Vangelo quando il Risorto promette ai suoi: «Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20).
Il personaggio centrale di questo racconto di Matteo è Giuseppe, mentre per Luca è Maria. Dopo aver stabilito la paternità davidica legale di Gesù attraverso Giuseppe, Matteo spiega anche come fosse possibile che Gesù oltre ad essere figlio di Davide fosse anche figlio di Dio, e questo sin dal concepimento.
In quest’annunciazione a Giuseppe, viene indicato a noi un modello di vera e attiva collaborazione con il disegno di Dio. La nostra attesa di Colui che viene, però, non può essere attesa oziosa e passiva, richiede disponibilità e accoglienza.

Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 18: Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Abbiamo appena terminato con la genealogia (i primi 17 versetti), dove al versetto 16 si ricorda. “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo”. Ora vengono messi in luce i fatti. Anzitutto Matteo non fa altro che mettere in primo piano la persona di Giuseppe e narrare gli avvenimenti secondo il modo di pensare di Giuseppe.
In questo versetto Maria viene già descritta come madre. C’è un dono che Maria riceve dall’Alto un dono da custodire e da vivere. Questa maternità è opera dello Spirito Santo. Ciò appare prima che Ella vada a convivere con Giuseppe, il suo promesso sposo.
Secondo la legge di Mosè questo errore meritava la pena di morte (Dt 22,20). Ma l’Evangelista sottolinea per noi “incinta per opera dello Spirito Santo”. Qui si vuol sottolineare che Giuseppe non c’entra niente con la nascita di Gesù. La gravidanza di Maria avviene prima che lei convivesse con Giuseppe, non per una deviazione umana, bensì per volontà divina. È la sorpresa più sconcertante e splendida che possa avere una creatura che arriva a concepire l’Inconcepibile, il proprio Creatore. E Maria è colei che per prima accoglie il dono assoluto di Dio. È questo il senso della verginità di Maria. Non l’ha fatto lei, non l’ha preteso lei, ma l’ha atteso lei, è stata disponibile.
v. 19: Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Qui non abbiamo una descrizione dell’animo di Giuseppe, però abbiamo una definizione che lo stesso Evangelista fa di Giuseppe: “uomo giusto”. Egli è come l’orante (del Salmo 119) che cerca Dio e ordina la propria vita secondo la sua volontà e con intima gioia la sua Legge. Nell’AT l’uomo giusto è colui che è accetto a Dio. E Giuseppe rientra in quell’ideale di uomo giusto. Forse ancora non coglie il mistero in profondità ma il suo cuore è grande e da uomo giusto, non obbedisce alle esigenze delle leggi della purezza (cfr. Dt 22,23-27). La sua giustizia è maggiore. Più tardi Gesù dirà: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,20).
La grandezza umana di Giuseppe, preferendo Maria alla propria discendenza, scegliendo l’amore invece della generazione, ci dice che è possibile amare senza possedere.
vv. 20-21: Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.
Giuseppe continua a pensare, agisce in base a ciò che ha dentro, e che nel sonno emerge in libertà: Giuseppe, l’uomo giusto ha i sogni stessi di Dio: la sua parola parla nel sonno delle altre parole. Entrare nel sogno di Dio fa scoprire di essere figli. È scoprire la dimensione più profonda della vita e degli eventi.
Nel sogno avviene un dialogo con l’Angelo del Signore. Egli viene chiamato con un appellativo solenne: “Giuseppe, figlio di Davide”. Risentiremo nuovamente questo titolo, ma soltanto per Gesù (cfr. Mt 1,1; 9,27; 20,30ss.). In Giuseppe accade il risveglio e le speranze della profezia di Natan a Davide si fanno realtà. L’erede delle promesse è chiamato dalla Parola ad accogliere il dono con decisione e libertà. Egli è chiamato da Dio con quella dolce parola «Non temere». Anche nella creazione ad Adamo fu rivolta questa parola, purtroppo la sua risposta è stata: «Ho avuto paura» (Gen 3,10). Tutte le volte che Dio si rivela dice sempre: non temere! Perché il rapporto fondamentale tra uomo e Dio è governato dalla paura e dalla mancanza di fede. La paura fa fuggire, fa allontanare da Dio; la paura non viene mai da Dio; la paura è ciò che ti allontana da Dio, addirittura ti allontana dal dono e allora, ti dice: non temere!
Con Giuseppe è un po’ diverso: “non temere ma prendi”. Giuseppe è chiamato a prendere Dio per mezzo di Maria, accogliere Maria e il dono che lei porta; lasciare che la Parola risvegli nel profondo quel sogno segreto che è Dio stesso.
Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù
Lo Spirito Santo è la vita di Dio, è l’amore stesso tra Padre e Figlio. A noi ci viene dato l’amore tra Padre e Figlio: viene comunicato a tutti. Quindi noi riceviamo il dono dello Spirito, il frutto di questo dono è Gesù, che ci inserisce nel dono stesso.
Giuseppe è chiamato a dare il nome al bambino: Gesù. Esso deriva dalla forma greca del nome ebraico Yeshua o Yeshu, che sono la forma abbreviata di Joshua. Il significato originale di Joshua probabilmente era «Jwhw aiuta». Ma il nome è stato poi legato alla radice ebraica che significa «salvare» (ys') e interpretato «Dio salva». È il nome di Dio, la sua realtà per chi lo invoca (cfr. At 2,21; 4,12), perché è il nome dal quale ogni nome prende vita.  
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati
Quest’espressione va interpretata alla luce degli insegnamenti contenuti nell’AT, nel quale troviamo tale espressione, “salverà il suo popolo”, con riferimento a Dio stesso. Infatti, nel libro del profeta Zaccaria leggiamo: “Il Signore loro Dio in quel giorno salverà come un gregge il suo popolo, come gemme di un diadema brilleranno sulla sua terra” (Zc 9,16). La frase di Matteo, inoltre, intende affermare che in questo Bambino che sta per nascere sarà presente Dio stesso. 
vv. 22-23: Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi.
Quanto sta accadendo a Maria e a Giuseppe non è un caso ma è il compimento delle Sacre Scritture. Viene qui citato Is 7,14, dove al re è promesso un figlio, garanzia della fedeltà di Dio. È un segno che il re non osa chiedere e che Dio invece vuole dargli.
Nella profezia di Isaia vi è contenuta anche una sfiducia in Dio. Il non fidarsi di Dio, come è, in questo caso, il comportamento di Acaz, è una storia antica, che puntualmente si ripete; ma, nonostante ciò, Dio, continua ad offrire la sua luce e la sua salvezza al singolo e all'intera umanità, in ogni tempo.
Il segno che viene dato vuole indicare che Dio è a fianco dell’uomo, così come possiamo capire dal secondo nome che viene dato al Bambino: Emmanuele. Questo è il nome più bello di Dio, perché Dio nella sua essenza che è amore, che è compagnia si manifesta nella sua essenza a noi, entrando in nostra compagnia: Dio con noi. L’essere con è la sua qualifica fondamentale; «con» significa relazione, intimità, unione, consolazione, gioia, sforzo. Lui è sempre con noi, in nostra compagnia (28,20). Dio come compagnia, come dono, come vittoria sulla solitudine, come comunione, come amore: è il Dio-con-noi.
v. 24: Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Il sonno di Giuseppe si trasforma. La Parola del Signore trasforma i dubbi e i sogni: è il segno di un risveglio, di una resurrezione.
La resurrezione nasce dopo una lunga prova. Di Giuseppe non sapremo più nulla. Egli farà quanto “gli aveva ordinato l’angelo del Signore”. Imita la sua sposa: scava nel pozzo del cuore per accogliere il Bambino. L’accoglienza del bambino è l’accoglienza della madre. Maria lascia la casa del sì detto a Dio e va nella casa del sì detto a un uomo. Maria è la donna del sì, ma il suo primo sì l’ha detto a Giuseppe, l’angelo la trova già promessa, già legata, già innamorata.
Giuseppe porta nella sua casa Maria. La casa è il luogo dove Dio si fa prossimo, si fa vicino, perché parla prima di tutto attraverso i volti delle persone che ci ha messo accanto, ci guarda prima di tutto con lo sguardo delle persone che vivono accanto a noi.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Come rispondo a Dio che cambia direzione ai miei progetti (anche nella vita di coppia), come ha fatto con Giuseppe?
Anch’io riesco a intuire che Dio interviene nella mia vita, nella mia storia oppure preferisco fuggire?
Mi è abituale, nelle vicissitudini più o meno importanti della vita, di fermarmi a pensare che cosa fare, come ha fatto Giuseppe?
Sono convinto che sono chiamato alla paternità (o maternità) di Dio?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.  (Sal 23).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Con l’incarnazione di Gesù, Dio si è fatto prossimo agli uomini e si è reso presente nella Storia. Riconosciamolo all’opera nella nostra quotidianità e chiediamogli di aiutarci ad essere come lui ci vuole.