mercoledì 10 ottobre 2018

LECTIO: XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)


Lectio divina su Mc 10,17-30


Invocare
O Dio, nostro Padre, che scruti i sentimenti e i pensieri dell’uomo, non c’è creatura che possa nascondersi davanti a te; penetra nei nostri cuori con la spada della tua parola, perché alla luce della tua sapienza possiamo valutare le cose terrene ed eterne, e diventare liberi e poveri per il tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. 23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 24I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». 27Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». 28Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». 29Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, 30che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Nella quinta parte del suo vangelo, nella quale mette in luce l’identità di Gesù nella prospettiva della sua imminente morte e risurrezione (8,27–10,52), Marco, continuando il tema precedente, colloca dopo il secondo annunzio della passione (cfr. 9,30-32), anche un brano riguardante “il posto che spetta ai beni di questo mondo nella vita del discepolo”, la sua eredità, il salvarsi.
Il testo messo alla riflessione è noto a tutti noi come definito dall’evangelista Matteo: “il giovane ricco”. L’evangelista Marco parla invece di un “uomo ricco”. In questo brano abbiamo una vocazione non accolta, un discepolo mancato di Gesù (vv. 17-22), a cui fanno seguito alcuni detti riguardanti anzitutto i pericoli delle ricchezze (vv- 23-27): tutti siamo troppo grandi per entrare nel Regno dei piccoli, facciamo fatica come i cammelli che tentano di passare per la cruna di un ago e poi in cerca di una ricompensa che scopriamo, amaramente, riservata per coloro che sanno distaccarsene (vv. 28-30).
Nel brano Gesù sottolinea l’importanza di saperci interrogare su come viviamo la nostra fede, su ciò su cui fondo la mia vita e in particolare il mio servizio, su ciò che credo mi salvi e su ciò che può impedirmi un servizio libero e generoso. In un certo senso, l’uomo del racconto delinea in negativo la figura del discepolo di Gesù. Ad ognuno la ricerca di quel polo positivo che apre le porte della vita.

Meditare
v. 17: Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».
Gesù è per la strada, evangelizza, sta andando a Gerusalemme dove sapeva che avrebbe incontrato la morte. La strada è il luogo di una semina infruttuosa (cfr. 4,26ss). La strada è il luogo della ferialità, dell’umanità.
Un tale, un uomo senza nome (più avanti sapremo che era ricco) va incontro a Lui. In realtà è sempre Dio che va incontro all’uomo. Quest’uomo si inginocchia: è un gesto molto forte, chi lo compie si sottomette completamente a colui davanti al quale il gesto viene compiuto.
L’evangelista Marco presenta solo due personaggi con questi atteggiamenti: l’indemoniato di Gerasa (5,6), cioè la persona posseduta da qualcosa di più forte di lui, prigioniero, e l’unico che si mette in ginocchio davanti a Gesù è il lebbroso (1,40), che veniva considerato un escluso da Dio.
Qui però non parliamo di miracoli ma di insegnamenti.
Cosa ha di inquieto quest’uomo? Ha un demonio dentro che lo tiene prigioniero, che lo isola dalla società, che lo angoscia.
L’uomo nella sua schiavitù chiede di non essere escluso dalla vita eterna. Lo fa chiamando Gesù “Maestro buono” perché in Gesù riconosce quella bontà unica che riposta solo in Dio.
vv. 18-19: Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.
L’uomo con la sua domanda riconosce Gesù, non come un semplice rabbi, ma Dio. La risposta di Gesù è provocatoria e invita alla riflessione. Riconoscere Dio non è una cosa semplice, ci vuole un lungo discernimento, un aver frequentato Dio.
Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre».
Gesù ricorda che questa via è già tracciata nei comandamenti, la via per andare verso ciò che è più importante. Chiunque desiderava nel suo cuore unirsi a Dio, mettersi in ascolto della sua Parola, vivere serenamente e felice deve osservare i comandamenti.
Nel brano però non abbiamo l’elenco delle 10 parole, ma una parte, quelli riguardanti il rapporto con il prossimo: per la vita eterna non importa la relazione che si è avuta con Dio, ma soltanto i doveri nei confronti degli altri.
v. 20: Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».
L’uomo è stato sempre un buon osservatore delle 10 parole, qualcosa però non capisce. Il testo greco ci spiega cosa: si riempie proprio la bocca (tàuta pànta). Questo tale si riempie la bocca dalla contentezza perché aveva osservato tutto quanto fin dalla giovinezza. Un po’ come Paolo, che si dichiara irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dalla legge (Fil 3,6).
Purtroppo non sempre è dato di cogliere la nuova legge di Gesù e in qualche misura nasce una sorta di ribellione, un rivendicare la propria “giustizia” in riferimento alla legge di Mosè, che indica il bene, ma non dà le energie sufficienti per seguirlo fino in fondo.
v. 21: Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!».
Nelle chiamate che si riscontrano in questo Vangelo, Gesù “vede” (cfr. 1,16.19; 2,14). Adesso va oltre, fissa lo sguardo e ciò significa: entrare con benevolenza dentro l’animo dell’altro, dentro la propria realtà. Entrare dentro l’altro è vedere “faccia a faccia” (cfr. 1Cor 13,12). La parola "lo amò" può indicare anche un gesto concreto di affetto, un abbraccio o un bacio.
Gesù è compiaciuto di questo uomo, perché non si ferma alla propria giustizia, a ciò che ha fatto finora, ma è in ricerca.
Per attuare questa ricerca all’uomo manca “uno”. L’espressione è del testo ebraico. Nella loro cultura quando mancava “uno”, mancava tutto; allora Gesù gli dice “non hai niente”. L’uomo non solo si era riempito la bocca ma era anche ricco ed era cieco di tutto ciò, di se stesso. Si recò da Gesù per avere il di più e invece Gesù gli chiede che deve essere lui a dare di più. Prima però dovrà chiedere di vederci, come il mendicante di Gerico (v. 51). Solo allora sarà conquistato da Gesù (cfr. Fil 3,6.12), solo così scaturisce la sequela.
v. 22: Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Alla Parola l’uomo reagisce. Può reagire bene e può reagire male. Qui vediamo una forte crisi interiore, troviamo nell’uomo i motivi dell’infruttuosità (cfr. v. 1). Non è indignato, ma colpito e triste. Gesù ha colto nel segno: l'uomo aveva bisogno di quell’ “uno”. Lui che desiderava possedere il di più oltre i suoi beni, non aveva capito che era lui il posseduto. L’evangelista mette in evidenza che si possiede ciò che si dona. Quello per cui ci tiriamo indietro, ne siamo posseduti.
Il non rinunciare non permette l’incontro con Gesù, non permette la sequela. Se da una parte corriamo angosciati dall’altra facciamo ritorno rattristati e posseduti.
v. 23: Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!».
Ora lo sguardo è verso i discepoli che rimangono un po’ sconcertati alla radicalità di Gesù. Coloro che hanno ricchezze hanno una difficoltà in più ad accogliere il regno di Dio. Essere posseduti non fa entrare in comunione con Dio, nella comunità. Essere discepoli significa fare quanto l’uomo ricco non ha fatto (cfr. 1,18.20;2,14).
vv. 24-25: I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
La Parola fa crescere nei discepoli uno sbigottimento. L’insegnamento di Gesù è preciso: il ricco, il posseduto non può entrare nel Regno di Dio. Non sembra che voglia dire che entrare nel regno sia difficile in generale, infatti più sotto parla ancora delle difficoltà che hanno i ricchi per entrare nel Regno di Dio. I discepoli, per il fatto di aver accolto Gesù e il suo messaggio, sono già nel Regno di Dio. Quindi Gesù non sta indicando quanto sia difficile in linea generale, ma quanto lo sia per chi si lascia schiavizzare dalla ricchezza. Discepoli e ricchi c’è una differenza. Il discepolo è colui che da: è un signore. Il ricco invece è colui che trattiene per sé. Per capire quest’impossibilità per il ricco, Gesù si rifà alla saggezza popolare del cammello e della cruna dell’ago. La ricchezza accumulata e non condivisa è una netta separazione, è mammona (cfr. Lc 16,13).
v. 26: Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?».
Il livello di reazione si alza. Tutti sentono il fascino della ricchezza. Anche i discepoli. La domanda posta è legittima perché salvarsi è desiderio dell’uomo, che diversamente è perduto.
Il verbo salvare qui non indica la vita eterna ma il sostentamento o il fuggire da un pericolo. Se la ricchezza è pericolosa per il ricco per chi non lo è come si mantiene?
v. 27: Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Salvarsi non è né facile e né difficile ma solo impossibile all’uomo. Gesù risolve il dilemma ricordando che tutto è possibile a Dio. L’uomo pensa a sopravvivere, a possedere di più. Dio, Gesù, insegna che la felicità, la vita, consista nel dare, non nell’avere. Esiste l’essere poveri e piccoli. Più si dà e più si acquista la capacità, da parte di Dio, di dare agli uomini.
Non è facile fare il mestiere di Dio è impossibile. C’è invece una necessità di aprirsi alla grazia di Dio amore, perché anche il ricco può salvarsi.
vv. 28-30: Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Pietro qui fa una sua riflessione e con sorpresa constata che sia lui che i suoi compagni questo “impossibile” si sia avverato. Inconsciamente hanno ricevuto ciò che al ricco è stato richiesto.
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo
Gesù conferma che il Regno è per chi ha lasciato tutto per amore suo. Però vuole precisare la difficoltà dell’essere liberi e chiede di liberarsi di quanto impedisce la vera libertà dell’uomo. Questo abbandono deve essere fatto per causa di Gesù e per causa del Vangelo.
Abbandonare tutto può essere anche il proprio “fare” in questo mondo per essere sempre al servizio degli altri.
L’espressione per “causa mia” è detto per chi lo ha incontrato nella vita terrena. L’espressione “a causa del vangelo” è detto per quanti e per noi che lo incontriamo dopo, nella potenza della sua Parola (cfr. 8,38).
che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.
L’evangelista Marco fa capire alla sua Comunità, che viveva una sorta di scoraggiamento, di non annacquare la sequela di Cristo. Essi come l’uomo ricco non hanno capito quest’amore universale di cui tutti siamo destinati.
Chi vive di questo ottiene la benedizione di Dio e la benedizione di Dio è quella vera ricompensa: alla vita eterna in un tempo futuro, quella che il ricco aveva chiesto a Gesù di poter ottenere.
Chi vive della benedizione di Dio non deve temere le persecuzioni in quanto queste non impediscono il dono della vita eterna.
Chi vive della benedizione di Dio non ha nessun privilegio, esso è solo destinatario dell’amore preveniente di Gesù e della sua misericordia.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
▪ Anch’io sono tra quelli che desiderano la vita eterna? Come la ricerco?
▪ Quali ricchezze (materiali o meno) che sento di ostacolo alla piena comunione con Dio? Quale è il mio atteggiamento nei loro confronti?
▪ Cosa ho lasciato perdere finora "per guadagnare Cristo"? (cfr. Fil 3,8-10).
▪ Sono sereno nel compiere scelte di generosità, convinto che il Signore non dimentica il bene che riesco ad operare nel suo nome?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti,
per gli anni in cui abbiamo visto il male.      

Si manifesti ai tuoi servi la tua opera
e il tuo splendore ai loro figli.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda. (Sal 89).

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Dio può renderci capaci di ciò che non abbiamo saputo fare. E ciò che è possibile a Dio è di abbandonare gli idoli che ci schiavizzano (cfr. 2Cor 8,9; Fil 2,6ss.).