martedì 26 settembre 2023

LECTIO: XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A)

Lectio divina su Mt 21,28-32
 

Invocare
O Padre, che prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall'ingiustizia, donaci gli stessi sentimenti di Cristo, perché possiamo donare la nostra vita e camminare con i fratelli verso il tuo regno.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
28 «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna». 29 Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. 30 Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. 31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32 Giovanni, infatti, venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Abbiamo lasciato, domenica scorsa, la parabola dei lavoratori nella vigna che anche questa domenica e l’altra ancora ritroveremo il riferimento. Questo è indice che il lavoro da svolgere in questa vigna, al padrone, cioè a Dio, preme tanto. Non dimentichiamo però che questo discorso è inserito in un contesto di tensione e pericolo. Andando indietro nei capitoli, dopo il “Discorso alla comunità” (Mt 18,1-35), Gesù si allontana dalla Galilea, attraversa il Giordano e inizia il suo ultimo viaggio verso Gerusalemme (Mt 19,1). Molto prima Egli aveva detto che doveva “andare a Gerusalemme per essere arrestato e ucciso e poi risuscitare” (Mt 16,21; 17,22-23). Ora è giunto il momento di salire fino a Gerusalemme e di affrontare la passione e la morte (Mt 20,17-19).
Arrivato a Gerusalemme, Gesù diviene motivo di conflitto. Da un lato il popolo che lo accoglie con giubilo (Mt 21,1-11), perfino i bambini lo acclamano quando, con un gesto profetico, espelle i venditori dal tempio e guarisce i ciechi e gli zoppi (Mt 21,12-15). Dall’altro lato i sacerdoti e i dottori che lo criticano. Essi chiedono che comandi ai bambini di chiudere la bocca (Mt 21,15-16).
La situazione era tanto tesa, che Gesù dovette passare la notte fuori della città (Mt 21,17; cfr. Gv 11,53-54). Ma il giorno dopo di buon’ora egli già ritorna e, sulla strada che porta al tempio, maledice un fico, simbolo della città di Gerusalemme: albero senza frutto, solo con foglie (Mt 21,18-22). E poi entra nel tempio e comincia a insegnare al popolo. Mentre sta parlando al popolo arrivano le autorità per discutere con quale autorità Gesù insegna e guarisce, e Gesù le affronta, una per una (Mt 21,33-22,45) rispondendo con un'altra domanda provocatoria rivolta a loro, che li faceva ricordare l'autorità con cui Giovanni Battista aveva svolto la sua missione, essendo riconosciuto come uomo di Dio e profeta dal popolo (cfr. Mt 21,23).
Alla fine, Gesù fa una lunga e durissima denuncia contro gli scribi e i farisei (Mt 23,1-36) e una breve e tragica accusa contro Gerusalemme, la città che non si converte (Mt 23,37-39). È dentro questo contesto carico di tensione e pericolo che Gesù pronuncia la parabola dei “due figli” nella vigna, uno bravo all’apparenza mentre l’altro, anche se sembra disubbidiente, fa la volontà del padre. In altre parole, la parabola mostra che Dio ha “due figli” uno buono e uno meno buono e ciò indica l’universalità dei figli.
Troviamo qui la dinamica della conversione come passaggio da un agire sbagliato a un altro che conduce a fare solo il bene.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 28: Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli;
Che ve ne pare? Questa parabola inizia con una domanda provocatoria. Gli uditori invitati a dire l’opinione sono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo (Mt 21,23). Sono gli stessi che, per paura del popolo, non avevano voluto rispondere alla domanda sull’origine di Giovanni Battista: se veniva dal cielo o dalla terra (Mt 21,24-27). Gli stessi poi cercheranno un modo per arrestarlo (Mt 21,45-46).
Alla provocazione però, segue la tenerezza, segue una paternità e maternità. Tutto inizia da questa paternità, da questo uomo che aveva due figli. Questa paternità, così come richiama la parabola del padre misericordioso, è una paternità che si manifesta nell’atteggiamento dei due figli.
Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna.
Il verbo greco per descrivere la parola figlio, usa il verbo téknon che vuole indicare la dolcezza materna. C’è una dolcezza del Padre nel rivolgersi al Figlio che lo invita a dare senso alla sua vita con gioia, con amore.
Gesù comincia a raccontare questa esperienza di famiglia, perché gli ascoltatori, anche loro padri di famiglia, dovevano conoscere questo fatto per esperienza propria.
La vigna nella letteratura profetica presenta la casa d'Israele (cfr. Sal 80,9ss; Is 5,1). La vigna è la nuova famiglia che fa esperienza di Dio.
v. 29: Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò.
La risposta lapidaria del figlio segna il suo rifiuto. Qualcosa però non va: prova rimorso, si pente della sua risposta. Il termine greco, che qui utilizzato è metamélomai (usato anche al v. 32 e al cap. 27,3 per indicare il pentimento di Giuda), indica più che altro il sentimento di rimorso per il peccato, che riconosce che quell’invito non viene da un padrone qualsiasi, ma dal Padre e che si può fidare anche se è sempre libero di scegliere. Quindi, il pentimento inteso solo come rimorso per il proprio peccato può non significare realmente conversione. Gli appelli alla conversione del Nuovo Testamento chiamano l’uomo a un orientamento nuovo e radicale della volontà a Dio, ad abbandonare perciò l’errore e a fare ritorno a colui che è il Salvatore di tutti gli uomini. L’Evangelista ci dice che questo figlio trasformò il modo di vedere le cose. Non vede più un padre-padrone ma un grande Coltivatore che lo chiama a dare senso alla sua vita collaborando per una vendemmia infinita.
v. 30: Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò.
Anche il secondo figlio risponde in maniera analoga e lapidaria ma diversa. Il testo greco suona letteralmente così: “Io, Signore” e non tanto “Sì, Signore”. Il testo greco fa apparire un “io” enfatico, che deborda dalle parole di questo figlio incoerente. In tale figura il vangelo mette in evidenza le incoerenze e l’obbedienza solo formale di coloro che si trincerano dietro le apparenze, ma nei fatti mettono, davanti alle esigenze del Vangelo, quello del loro “io”. C’è il rischio di ridurre la propria giustizia funzionale all’orgoglio del proprio “io”, mentre il cuore ha dimenticato l’amorosa inquietudine della ricerca sincera della volontà di Dio.
v. 31: Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?».
Qui Gesù termina la breve parabola esplicitando ai suoi interlocutori ancora una domanda che richiama quella iniziale: un richiamo a tirare le conseguenze.
Risposero: «Il primo».
La risposta dei sacerdoti e degli anziani è immediata: Il primo! Forse una situazione familiare comune, conosciuta da tutti, vissuta in prima persona, nella propria famiglia ha reso possibile una risposta lapidaria.
Così, nella realtà, la risposta era un giudizio non sopra i due figli della parabola, ma sopra loro stessi.
Nella parabola nessuno dei due figli può vantare obbedienza piena al Padre. L’obbedienza non è fatta di parole sterili e disimpegnate ma di fatti concreti e precisi (ricorda il fico sterile, Mt 21,18-22). Tutta la tradizione ebraica lo stava a dimostrare; gli ascoltatori non hanno difficoltà a dare la risposta esatta.
Il giudizio che questi danno, dimostra la necessità di fare la volontà del Padre e non accontentarsi delle parole (cfr. Mt 7,21).
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
Usando come chiave la risposta data dagli stessi sacerdoti e anziani, Gesù applica la parabola al silenzio peccaminoso dei suoi uditori di fronte al messaggio di Giovanni Battista. La risposta che avevano dato diventa la sentenza della loro stessa condanna. In linea con questa sentenza i pubblicani e le prostitute sono quelli che, inizialmente, avevano detto no al padre e che, in seguito, avevano finito per fare la volontà del Padre, perché avevano ricevuto e accettato il messaggio di Giovanni Battista, come proveniente da Dio. Mentre loro, i sacerdoti e gli anziani, sono quelli che, inizialmente, avevano detto si al padre, ma non avevano fatto quello che il padre chiedeva, perché non vollero accettare il messaggio di Giovanni Battista, neppure davanti a tanta gente che lo accettava come messaggero di Dio.
Per entrare nel Regno di Dio bisogna cambiare! Ecco l’applicazione del particolare decisivo: bisogna pentirsi, cioè, è necessario rendersi conto di essere sulla strada sbagliata e cambiare. Infatti, solo riconoscendo il proprio peccato, nasce in noi quella sete di amore che ci muove tutti alla stessa maniera.
I pubblicani e le prostitute, proprio perché si sono pentiti e hanno creduto alla predicazione di Giovanni, la loro vita è cambiata con un senso di gratitudine al Padre, mossa per un nuovo inizio, più vero e realista, senza nessun senso di colpa per il passato, possono entrare nel Regno di Dio.
v. 32: Giovanni, infatti, venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.
Qui si vede la fatica delle autorità a credere ad un inviato di Dio, a credere alla Parola del Signore. I pubblicani e prostitute sono le categorie considerate da Dio, quelle per le quali si credeva fosse ritardato il regno, “invece gli hanno creduto”, persone capaci di fede. La loro condizione non è una condizione che impedisce loro di obbedire alla volontà di Dio. Infatti, questi sono coloro che non vivono una appartenenza. Il credere, da parte loro, sembra essere il sapersi di qualcuno, il sapere che interessano a qualcuno; che di qualcuno si possono fidare. Il rapporto che vivono non è più un rapporto mediato dal denaro, anzi, non è più nemmeno un rapporto mediato perché è un rapporto di comunione quello che sono chiamati a vivere.
La parabola originaria si chiude al v. 31. Qui l’evangelista non fa altro che invitare alla conversione.
La “via della giustizia” di cui si parla non è altro che un allontanarsi dal male per praticare il bene:
«Cercate il bene e non il male, sicché possiate trovare la vita. Odiate il male, amate il bene... Forse il Signore, Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe» (Am 5,14-15). Ma perché il messaggio di conversione non rimanga senza risposta, ha bisogno di trovare un terreno ben preparato (cfr. Mt 13,8). É necessario che cada in cuori che, profondamente consapevoli della propria colpevolezza, ricercando la giustizia, cerchino sinceramente Dio (cfr. Is 51,1) e in novità di spirito vogliano “ritornare” a lui (cfr. Ger 24,7).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Quale punto di questa storia dei due figli ha richiamato di più la mia attenzione? E perché?
A che punto è il mio prendere coscienza da un cristianesimo di facciata a un cristianesimo di coscienza?
Quale tipo di obbedienza Gesù raccomanda alla mia vita attraverso questa parabola?
E io, in questo brano, dove mi colloco: tra le prostitute e i peccatori o tra i sacerdoti e gli anziani?
Sono pronto a sognare con Dio, per una grande vendemmia infinita nella storia di tutti i giorni?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza;
io spero in te tutto il giorno.
 
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
I peccati della mia giovinezza
e le mie ribellioni, non li ricordare:
ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.
 
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via. (Sal 24)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
“Conoscere bene se stessi e imparare a tenersi in poco conto è il massimo compito e quello più utile. Non mettere in luce se stessi, ma avere sempre una buona opinione degli altri, questa è vera sapienza e perfezione” (T. Kempis).