giovedì 16 agosto 2018

LECTIO: XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)

 Lectio divina su Gv 6,51-58


Invocare
O Dio della vita, che in questo giorno santo ci fai tuoi amici e commensali, guarda la tua Chiesa che canta nel tempo la beata speranza della risurrezione finale, e donaci la certezza di partecipare al festoso banchetto del tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
In queste domeniche la nostra attenzione è orientata verso l’Eucaristia. Il vangelo di Giovanni non ha l’istituzione dell’Eucaristia nel contesto dell’ultima cena; al posto dell’istituzione dell’Eucaristia Giovanni ha la lavanda dei piedi, mentre fa il discorso sull’Eucaristia al cap. 6, immediatamente dopo la condivisione dei pani. Un discorso duro a cui seguono gli abbandoni. In questo brano vediamo che i Giudei cominciano a mormorare poiché non sanno accogliere Gesù come disceso dal cielo.
L’intento dell’autore è chiaro: Giovanni, essendo l’ultimo degli evangelisti, in ordine cronologico, aveva già intuito che nelle liturgie vi poteva essere una sorta di ritualismo o la tentazione di considerare le liturgie come un’azione magica. Giovanni vuole chiaramente opporsi alla ‘spiritualizzazione’ dell’Eucaristia.
Nel brano Gesù si presenta nella forma inequivocabile: Egli è il pane della vita, non paragonabile al pane materiale, perché capace di dare vita piena al presente e per l'eternità.

Meditare
v. 51: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno
Il versetto è l’ultimo di domenica scorsa, dove nel segno del pane, Gesù rivela se stesso e la sua missione. Alimento vitale per il credente sarà la “carne” di Gesù da “masticare”.
“Mangiare e bere” sono due azioni in movimento che esprimono e realizzano l’accoglienza, realizzano l’assimilazione. Infatti, “l’uomo è ciò che mangia” (Ludwig Andreas Feuerbach). “Mangio e bevo”, vuole dire: accolgo dentro di me un nutrimento e una bevanda, e li assimilo, e diventano parte di me. Allo stesso modo, “la carne e il sangue di Gesù” contengono la vita, perché sono “sangue e carne per”, perché sono state trasformate da un amore oblativo.
Facendo questo, accolgo dentro di me quella vita trasformata in amore, che è la vita del Signore; accolgo la forma del Signore dentro di me; assimilo la vita del Signore trasformata in amore; accolgo, mi lascio formare dentro secondo la forma della vita di Gesù. Per cui se la vita di Gesù è “una vita per”, e io l’accolgo e l’assimilo, il senso è che la mia vita diventi “una vita per”. «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Lui ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16). Ed è l’unico senso che si può dare alla parola “assimilare”, non posso assimilare una vita come quella di Cristo senza che la mia vita prenda quella forma, senza che la mia vita assuma la logica della vita del Signore.
e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
In queste parole abbiamo un richiamo all’offerta sacrificale di Gesù sulla croce e quindi, poi, l’Eucaristia. Gesù si è fatto pane che dà la vita al mondo, immolandosi sulla croce. Il pane è Gesù, ma il pane, qui, è Gesù sacrificato, glorificato e risorto. Gesù sottolinea una comunione con la sua morte salvifica per poter avere la vita eterna.
L'evangelista Giovanni insiste sul termine “carne” in contrapposizione al termine “corpo”, perché vuole dare rilievo  fra eucaristia e incarnazione. Infatti questa sua insistenza ci conduce ad una esperienza che va al di la di un pensiero dottrinale. Attraverso l’esperienza ecclesiale eucaristica l’incarnazione continua nel tempo; la carne sacrificata del Verbo si fa pane nutriente e comunica la vita del Cristo glorificato.
v. 52: Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Siamo davanti a un dramma di un pensiero che si blocca alla soglia del tangibile e non osa varcare il velo del mistero, non va oltre l'orizzonte.
I Giudei obiettano, e la loro obiezione pone Gesù nella possibilità di rivelarsi. Qui l’obiezione riguarda il come; per Gesù la prospettiva non è quella del come, ma è quella della assimilazione della condizione di Lui in quanto figlio dell’uomo. Ora, noi sappiamo che per gli ebrei la celebrazione della Pasqua non era soltanto il ricordo di un evento passato, ma anche una sua riattualizzazione, nel senso cioè che Dio era disposto ad offrire di nuovo al suo popolo la salvezza di cui, nelle mutate circostanze storiche, aveva bisogno. In questa maniera il passato faceva irruzione nel presente, lievitando della sua forza salvifica. Allo stesso modo il sacrificio eucaristico "potrà" dare nei secoli "carne da mangiare".
L’Eucaristia dice la verità dell’incarnazione e dice il mistero stesso di Dio. Dio si comunica tutto nel mistero dell’Eucaristia. La sua definitiva comunione con noi avviene lì.
v. 53: Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita.
Il versetto inizia con un termine comune nel Vangelo di Giovanni: “verità”. Essa non solo indica ciò che è ma la verità suprema, la realtà di Dio divinamente rivelata, manifestata nelle parole di Gesù Cristo.
Qui non si nominano le specie del pane e del vino, ma direttamente ciò che in esse è significato: carne da mangiare perché Cristo è presenza che nutre la vita e sangue da bere – azione sacrilega per i giudei - perché Cristo è agnello immolato. È evidente qui il carattere liturgico sacramentale: Gesù insiste sulla realtà della carne e del sangue riferendosi alla sua morte, perché nell'immolazione delle vittime sacrificali la carne veniva separata dal sangue.
vv. 54-55: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
In questi versetti vengono utilizzate “parole nuove”. Gesù rivela una nuova Pasqua da vivere: la sua risurrezione (Gv 19,31-37), che trova nell'eucaristia il nuovo memoriale, simbolo di un Pane di vita che sostiene nel cammino del deserto della vita, sacrificio e presenza che sostiene il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, che non si stancherà di fare memoria come Lui ha detto (Lc 22,19; 1Cor 11,24), offrendo l'eucaristia della propria corporeità: sacrificio vivente, santo e gradito in un culto spirituale (Rm 12,1) che si addice al popolo di sua conquista, stirpe eletta, sacerdozio regale (cfr. 1Pt 2,9).
Con la comunione al corpo e al sangue di Cristo è seminato in noi il germe della risurrezione che porterà il suo frutto più maturo nell'ultimo giorno. L'alimento della carne e del sangue di Cristo nutre veramente e in modo perfetto e definitivo, perché è fonte di risurrezione e di vita eterna.
v. 56: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.
Gesù spiega cosa succede quando uno mangia e beve il suo corpo e il suo sangue: c’è una “inabitazione” reciproca, c’è una vita comune, un’esistenza comune. C’è un’unica vita tra tutte e due. È la dimensione della relazione d’amore. “Il mio amato è per me e io per lui” (Ct 2,16). Se uno è innamorato, qualsiasi cosa gli ricorda la persona amata perché se la porta dentro, perché vivono in reciproca comunione e la sottolineatura di Gesù è: “vivrà la mia stessa vita”. Infatti, chi si nutre di Gesù, gioca la sua vita per farne un dono d’amore.
Queste sono realtà. Non sono però realtà che possono cadere sotto i nostri sensi, quindi non possiamo spiegarle come spieghiamo le cose del mondo. È una dimora reciproca: implica una stessa vita che scorre nell’esistenza di noi e di Lui, Se beviamo e mangiamo, abbiamo la stessa vita.
Mediante il sacramento noi comunichiamo alla morte e alla risurrezione di Gesù. Quindi il masticare e il bere hanno, per volontà esplicita del Signore e per l’autorità che Gesù ha conferito a loro, la forza per darci la sua vita, per comunicarci la sua vita.
Quello che l’AT esprime con la formula dell’alleanza, Giovanni lo esprime nelle parole del mangiare e bere per dimorare con una formula di immanenza: “io in voi, voi in me”; “chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui”. È una formula che ha qualche cosa di profondamente legato all’alleanza, ma che va più in profondità: non solo uno per l’altro, ma uno nell’altro.
E se vogliamo allargare la meditazione dobbiamo andare all’inizio del cap. 15°, dove si parla della “vite e dei tralci”, e dove viene ripetuto con insistenza quel verbo tipico giovanneo, “rimanere”. Quindi il riferimento va nella direzione della comunione.
v. 57: Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Gesù spende la vita in obbedienza al Padre, la sua vita è missione, è obbedienza. Per Gesù vivere significa vivere per il Padre. Così deve essere per il cristiano. Vivere per il Padre va inteso “vivo in grazia del Padre, in virtù del Padre”; così “colui che mangia di me, vivrà per me”, cioè vivrà in virtù di me. Il discepolo è colui che vive del dono che Cristo ha fatto della sua vita, ha ricevuto la vita da questo. Quindi il discepolo non può vivere se non orientando la sua vita a Cristo, nell’obbedienza a Cristo; attraverso l’amore per gli altri non fa altro che dilatare all’infinito la medesima logica. E tutto va nella direzione dell'amore: amare è vivere nell'altro e attraverso l'altro. Amare è non avere una vita propria (si capisca bene), avere solo la vita che fluisce a me attraverso l'altro. È fortissimo questo, non per nulla il modello è la Trinità: il Figlio non ha niente di proprio, riceve la sua vita tutta dal Padre. Dunque: chi mangia questo pane avrà in sé la mia stessa vita, che non è altro che la stessa vita del Padre. Dal Padre la vita passa in Gesù, e da lui fluisce in chi mangia di lui nel pane eucaristico. È un'unica vita che tutti lega e circola in tutti.
Il Signore sembra non chiederci altro se non di rispondere al suo invito e gustare la dolcezza e la forza di questo pane che egli gratuitamente e abbondantemente continua a donarci. Per questo il pane che dà contiene la sua propria donazione, è il segno che l’esprime. Questo è pure quello che chiede al discepolo: deve considerare se stesso come pane che va distribuito e deve distribuire il pane come se distribuisse se stesso.
v. 58: Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono.
Lo scopo di questo nuovo dono di Dio è che l’uomo non muoia. Dio fa questo dono perché l’uomo ne mangi per non morire. Dovremmo chiederci se noi mangiamo l’Eucaristia per non morire, o, anche, se nel nostro spirito è chiaro, con l’atto della fede, che io mangio per non morire, per avere la vita eterna. Perché è decisivo, per la vita eterna, che io mangi con fede.
Chi mangia questo pane vivrà in eterno.
Viene ripreso nuovamente il verbo “mangiare”. Ma se prima l'avevamo in senso figurativo-spirituale, adesso lo vediamo nel suo senso letterale che significa: "stritolare", "lacerare"... "masticare". Allora è chiaro: Gesù vuole che lo si "mastichi", che lo si consumi nel senso più "crudo" della parola! È evidente che il "luogo" in cui possiamo trarre un tale nutrimento è il Sacramento dell'Eucarestia, istituito da Gesù stesso durante l'Ultima Cena e perpetuato nel tempo dai successori degli apostoli (i vescovi) e dai presbiteri tutte le volte che celebrano sull'altare tale Sacramento.
Gesù garantisce che chi si avvale del nutrimento eucaristico avrà in sé la vita e la salvezza per tutta la vita terrena e un pegno glorioso di eternità. Nell' Eucaristia Cristo, il Verbo fatto carne che aveva creato il mondo assieme al Padre e allo Spirito (Gv 1,1-20; Gen 1) realizza la propria comunione con noi, e con essa ci sostiene nelle vicende della vita. L'Eucarestia è quindi comunione con Dio e con il prossimo ed è per noi il Sacramento per eccellenza che sprona e motiva tutte le nostre attività e il nostro agire offrendo rinnovato vigore e slancio vitale incondizionato.

La Parola illumina la vita e la interpella
▪ Obietto come i Giudei o cerco di assimilare Cristo Gesù nella mia vita?
▪ Vivo la dimensione sponsale con Cristo Gesù?
▪ Quanto è importante l'Eucarestia per me? Fino al punto di divenire “pane” per l'altro?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.        

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. (Sal 33)

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Testimoniamo con la nostra vita la gioia e l'entusiasmo che Cristo ha comunicato di se stesso a noi; giacché il "pane eucaristico" non va' solo consumato ma "comunicato" agli altri attraverso una vita esemplare e gioiosa per la quale anche chi non crede possa restare affascinato.



martedì 14 agosto 2018

LECTIO: ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA (B)

 Lectio divina su Lc 1,39-56


Invocare
Dio onnipotente ed eterno, che hai innalzato alla gloria del cielo in corpo e anima l’immacolata Vergine Maria, madre di Cristo tuo Figlio, fa’ che viviamo in questo mondo costantemente rivolti ai beni eterni, per condividere la sua stessa gloria.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
46Allora Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore 47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, 48perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. 49Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente e Santo è il suo nome; 50di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. 51Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. 54Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». 56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
In questo giorno della solennità della Vergine Maria Assunta in cielo, il brano evangelico raccoglie l’episodio della Visitazione: l’incontro di Maria con Elisabetta in “una città di Giuda” (v. 39). I versetti precedenti narravano le due annunciazioni: a Zaccaria che rimane muto perché non crede (vv. 5-25) e alla Vergine Maria che accoglie il Figlio dell’Altissimo (vv. 26-38).
Il cantico della Vergine individua in tre fasi diverse la storia della salvezza interpretata alla luce dei nuovi avvenimenti che si stanno realizzando:
1. nella prima parte (vv.48-50) viene esaltata la bontà dell'Onnipotente e la disponibilità di chi accetta di condividere il suo disegno;
2. nella seconda parte (vv. 51-53) si annuncia un capovolgimento di prospettiva: la fedeltà del Salvatore, che ha già dato storicamente prova della sua bontà, non è una fumosa speranza utopica;
3. nella terza parte (vv. 54-55) si prende coscienza che le promesse fatte ad Israele stanno trovando il loro compimento: Gesù è la pienezza ed il compimento della salvezza promessa.
Nelle parole di Maria riecheggiano tanti temi già presenti nell'AT, in modo particolare nei Salmi e nel cantico di Anna (1Sam 2,1-10), di Debora, la profetessa, che dopo la vittoria su Sisara, cantò al Signore (Gdc 4,5). Lo stesso fece il popolo dopo la traversata del Mar Rosso (Es 15). Tutti temi di lode e di gratitudine verso il Dio che libera, ma nella bocca della Vergine Maria assumono una connotazione nuova di fronte alla grandezza dell'evento che, nella tradizione cristiana, si sta per compiere ed a cui lei è stata chiamata: non ci sono più tracce veterotestamentarie di vendetta, non ci sono nemici da distruggere, ma un mondo rinnovato dove anche ai ricchi liberati dalle loro vuote ricchezze è ridata la dignità dei poveri: “Rovesciando i potenti, Dio li libera dalle loro vane illusioni e li promuove alla dignità dei poveri”.
Per questi legami con l'AT si è avanzata l'ipotesi che il magnificat, come gli altri due cantici presenti nel vangelo, erano già materiale liturgico utilizzato in ambiente giudeo-cristiano e che Luca ha utilizzato come fonte, adattato ed inserito nella vicenda che stava narrando. Luca ha dovuto trovare questo cantico nell'ambiente dei “poveri” dove forse veniva attribuito alla figlia di Sion: egli ha ritenuto conveniente porlo sulle labbra di Maria, inserendolo nel suo racconto in prosa.
Per quanto riguarda l'autenticità dell'attribuzione di queste parole a Maria, “diversi studiosi si sono chiesti come Maria abbia potuto pronunciare un testo così denso, data la giovanissima età e la limitata cultura ed esperienza del mondo. E naturalmente anche come abbia potuto, in tal caso, questo cantico essere trasmesso a Luca. L'unico dato certo è che Luca scrive: “Allora Maria disse…” e il suo canto di sapore veterotestamentario si inserisce assai bene in tutta la storia innica del suo popolo.

Meditare
v. 39: In quei giorni Maria si alzò e andò
Con l’iniziare “in quei giorni”, l’Evangelista vuol indicare un determinato momento: sono i giorni dell’annuncio, i giorni della salvezza dove esplode un viaggio: Il viaggio appartiene all’uomo. Qui non vuole essere un dato generico, non ci si mette in viaggio in teoria, ma c’è un momento preciso che è la partenza. Fino ad un momento prima eri fermo, poi ti metti in movimento. “Insegnaci a conoscere i nostri giorni”, recita il Salmista (cfr. Sal 30; 90), imparare a vivere il proprio tempo come dono e impegno per capire “il giorno” in cui bisogna mettersi in viaggio. Ci si può organizzare, pensare, prepararsi, ma poi c’è il momento concreto della partenza.
Nel nostro caso è Maria che si mette in viaggio. Il viaggio è accompagnato dai verbi alzarsi e andare. C’è un destarsi, un rinascere ma rimane un viaggio da fare. Mettersi in viaggio è la condizione di prendere se stessi e camminare. È ciò che dirà Gesù (cfr. Mt 9,1-8).
Maria “conta i suoi giorni”, riconosce la sua fragilità e parte “con tutto il cuore e con tutta l’anima” avendo dentro di sé il grande dono dell’Altissimo.
in fretta
Non sembra che la Bibbia porti in primo piano il termine “fretta”, anzi il Sal 36 dice il contrario: «Manifesta al Signore la tua via, | confida in lui: compirà la sua opera; | ... Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in lui; | non irritarti per chi ha successo. | ... Spera nel Signore e segui la sua via». Sembra che ci sia un aspettare i tempi, un aspettare Dio e il più delle volte, aspettare con pazienza. Allora la fratta qui citata è un essere con Dio e un segnale che indica la salvezza che passa dalla vita. La salvezza prende sempre alla sprovvista; per quanto uno lo abbia desiderato, sperato, invocato, costruito, quello che succede davvero, arriva quando meno te lo aspetti. Succede come per gli amori: arriva da altrove, da un altro tempo, da un altro luogo e ti coglie sempre alla sprovvista.
verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Il viaggio non si presenta facile. Da Nazaret fino alle montagne di Giuda ci sono 100/150 km! La vita, il viaggio…, guarda caso ci mette sempre davanti una regione montuosa da valicare, superare! Non si può viaggiare in discesa; i viaggi sono sempre in salita, verso la montagna, perché il viaggio è una condizione in salita, faticosa, precaria.
La città di Giuda nel VI secolo si è identificata con Ain Karem, un centro a 6 km ad ovest di Gerusalemme. Ain Karem significa “vigna (Karm) resa fertile da una sorgente perenne (Ain)”, e la sorgente ha preso il nome di Ain Sitti Marian (la fontana di Maria).
A tal proposito un pensiero mariano ci riporta all’AT, nel Cantico dei Cantici al cap. 4 dove l'archetipo che il poeta ha in mente è quello generativo e materno, valorizzato dalla presenza delle acque fecondatrici (la «sorgente sigillata») in riferimento al corpo umano della donna. In seguito l’espressione di sorgente o fontana sigillata è stato applicata alla Vergine Maria.
v. 40: Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
Maria nella sua condizione faticosa, precaria va a visitare sua cugina Elisabetta per condividere con gioia il dono del Signore. La casa è di Zaccaria. Alcune tradizioni locali affermano che l’incontro tra le due cugine ebbe luogo, non nella stessa città, ma in una casa di campagna dove Elisabetta – come dice il testo sacro – si tenne nascosta per cinque mesi (cfr. Lc 1,24), per evitare gli sguardi indiscreti di parenti e amici, e per elevare la sua anima in ringraziamento a Dio, che le aveva concesso un favore così grande.
Maria entra in quella casa portando un saluto. Con Lei entra in quella casa la grazia del Signore, perché Dio l’ha fatta sua mediatrice. Il saluto è rivolto solo a Elisabetta. Zaccaria in questo momento è fuori di scena, non può condividere perché non ha creduto.
L'incontro tra Maria ed Elisabetta è davvero speciale! Sono due mamme in attesa di un bambino: Maria è giovane, Elisabetta è anziana, ma tutte e due vivono la stessa esperienza che scaturisce da Dio. C'è grandissima gioia in queste mamme nell’attesa che diano alla luce il bambino.
v. 41: Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Proviamo a tradurre con un altro genere letterario questo versetto: Appena una parola è scambiata sul serio e ci tocca il cuore, la vita che siamo in grado di generare comincia a nascere. Ecco cosa è accaduto a Ain Karem (luogo della Palestina ove si incontrarono Maria ed Elisabetta).
Ain Karem è il villaggio della Vita, è lo spazio di una parola scambiata, di una parola vera e non di un chiacchiericcio. Questa parola vera fa sussultare dentro. Anche la nostra vita ha sussultato tutte le volte che ci è capitato di sentirci profondamente ascoltati, e di sentire che il pezzo di verità che faticosamente stavamo cercando di dire di noi, era colto dall’altro in libertà, con affetto, senza giudizio. Ed è qui che si apre lo spazio vitale.
La presenza dello Spirito Santo fa sussultare, ricolmare di gioia. Nella Scrittura la parola scambiata apre sempre uno spazio. Qui si assiste all'avverarsi della profezia riguardante Giovanni Battista: "egli sarà pieno di Spirito Santo fin dal ventre di sua madre". Già da ora Giovanni inaugura la sua funzione di precursore, colui che indica la presenza del Messia in mezzo al suo popolo. Egli riconosce la presenza di Gesù nel grembo di Maria.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo.
Anche Elisabetta è colma di Spirito Santo. Questa è l’esperienza comune della vita umana quando è profondamente vissuta, che può essere il frutto di una vita buona. Poi c’è un salto di qualità, c’è qualcosa che viene dall’Alto: lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il dono che viene dall’Alto, l’Inatteso che viene chiamato fuori da me come una “possessione”.
Lo Spirito Santo è l’Inatteso che viene chiamato fuori da me. È quella vita in più che io non mi posso dare da solo, che è totalmente nuova, e che non poteva venire semplicemente dalla mia cultura, dalla mia educazione, dal mio migliorare…, ma che, quando si attua, io la vedo e so che è la mia, non è un qualcosa di estraneo, di aggiunto. Lo Spirito Santo è colui che abita questo spazio di parola scambiata e che ne trae qualcosa, quella vita che sussulta, che non era data dalle premesse, ma che, nel momento in cui accade, io riconosco, discerno che è la mia, è quello che stavo cercando senza saperlo.
vv. 42-43: ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!
La prima azione generata dallo Spirito Santo è una benedizione. Le parole pronunciate da Elisabetta sono parole pregne di Spirito Santo, sono proclamazione della autentica beatitudine di Maria, Maria è beata perché ha creduto e credendo ha concepito il Signore. Ha offerto all’Altissimo la possibilità di realizzare il Suo desiderio.
Il Signore, ha realizzato il sogno di abitare in mezzo al suo popolo, di camminare tra le strade del mondo, di dire a tutti che Egli è innamorato di ciascuno di noi. Che è disposto a manifestare il suo amore fino in fondo, fino alla fine.
A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?
Una domanda particolare quella di Elisabetta, quasi se dovesse qualcosa a qualcuno. Elisabetta riconosce nell’altro la sostanziale uguaglianza alla propria maternità. Non è un estraneo, uno sconosciuto, è madre come lei sta per diventare madre! La parola scambiata crea lo spazio allo Spirito Santo. Non c'è bisogno di raccontare, di spiegare... dove lo Spirito passa con il suo soffio toglie il velo del non conosciuto.
In questi due versetti l’evangelista non fa altro che attirare l’attenzione sulla funzione di Maria: essere la «Madre del Signore». E quindi a lei viene riservata una benedizione («benedetta tu») e una beatitudine beata. Questa esprime l'adesione di Maria alla volontà divina. Maria non è solo destinataria di un arcano disegno che la rende benedetta, ma pure persona che sa accettare e aderire alla volontà di Dio.
Maria è una creatura che crede, perché si è fidata di una parola nuda e che ella ha rivestito col suo «sì» di amore. Ora Elisabetta le riconosce questo servizio d'amore, identificandola «benedetta come madre e beata come credente».
vv. 44-45: Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Il sussulto è guidato dallo Spirito Santo e il Battista, fin dal grembo della madre, gioisce al primo incontro con il Messia.
Sì, Maria è madre di Gesù perché ha obbedito alla parola di Dio. E quando una donna del popolo, rivolgendosi a Gesù, la proclamerà beata: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!", Gesù preciserà e completerà l'espressione di lode, dicendo: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (Lc 11,27-28).
In queste parole abbiamo l’avviso dell’evangelista Luca alle Comunità: credere nella Parola di Dio, poiché ha la forza di realizzare ciò che ci dice. È Parola creatrice. Genera una nuova vita nel seno di una vergine, nel seno della gente povera ed abbandonata che l’accoglie con fede.
vv. 46-47: Allora Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore
Maria è stata dichiarata Madre del Signore e l’evangelista Luca ora mette sulle sue labbra il cantico del Magnificat. Elisabetta ha cantato la grandezza di Maria, ora Maria canta le lodi del Signore, il vero artefice della sua grandezza.
Il Magnificat è il primo dei tre inni che Luca inserisce nei vangeli dell'infanzia. È un insieme di espressioni derivate dall'AT. Quest’inno è stato composto all'interno della comunità cristiana di origine giudaica. È un inno di ringraziamento per ciò che Dio ha operato a favore dei poveri e degli umili. Luca lo riprende, vi fa le proprie aggiunte e lo fa pronunciare a Maria dopo il racconto della Visitazione, quasi per fare una pausa, perché il suo lettore possa riflettere sulle grandi cose che l'Evangelista ha narrato. I primi due versetti ricordano l'inno di gioia di Anna, la madre di Samuele (1Sam 2,1). Con tutto il suo essere la vergine proclama la grandezza di Dio, il Salvatore, proclama la fedeltà di Dio alle sue promesse (cfr. 1Cor 1,27ss).
v. 48: perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Il versetto da la motivazione della gioia di Maria e della sua lode a Dio. Egli ha manifestato la sua vicinanza salvifica, è intervenuto nell'esistenza di questa ragazza. Dio ha guardato alla bassezza (tapeinosis) della serva. Maria è collocata tra i poveri di Jahvè, coloro che contano poco, di umile condizione sociale, o che vengono disprezzati per qualche situazione penosa (malattia, sterilità) a queste persone che non hanno la possibilità di cambiare la loro condizione. Di queste persone Dio si prenderà cura (cfr. Gdt 9,11).
La parola umiltà riportata per noi, non vuole indicare una qualità morale ma uno stato di povertà o di umiliazione, anche se per i poveri di Jahvè questo assume una connotazione religiosa poiché tali poveri vengono messi nella condizione di fidarsi totalmente di Dio. La “bassezza” di Maria però non è una malattia o una mancanza, ma la disponibilità a rendersi disponibile al dono di Dio. Il v. 48b potrebbe essere stato inserito da Luca. Ciò introduce la venerazione che Maria avrà lungo tutto il resto della storia dell'umanità.
v. 49: Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente e Santo è il suo nome
Ogni ebreo può dire le grandi opere che Dio compie nella sua vita. Maria, ebrea, racconta le sue. Maria sottolinea come Dio in lei è diventato tutto, la sua vita: una cosa sola. Le "grandi cose" fatte da Dio fino a quel momento erano la creazione (Gb 5,9), la liberazione di Israele dall'Egitto (Dt 10,21; 11,7). Dio si manifesta grande per il concepimento verginale. L'ha costituita Madre del suo Figlio Unigenito. Le ha data una così alta dignità, che non sarà mai di nessun'altra creatura. Solo Lei così eccelsa, così elevata, così santa, così divinizzata., così ricca di Spirito Santo. Per questo il suo Nome è Santo: Dio stesso viene riconosciuto nella sua divinità, imprevedibile nel suo agire. Santo sarà anche il frutto del suo intervento creatore (Lc 1,35). Ora viene per dare santità ad ogni altro uomo attraverso la tutta santa.
v. 50: di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono.
Dio è Santo, è forte ma la sua realtà non sarebbe completa se non si ricordasse la sua misericordia. Il termine ebraico che esprime la misericordia è molto profondo: ricorda l'amore paziente, la fedeltà di Dio alle sue promesse, nel contesto dell'alleanza. Questo impegno divino si è concretizzato proprio nel seno di Maria e si rivela ormai nella storia di ogni persona che lo teme.
Il timore nel Signore consente all’uomo di rendersi conto della grandezza del creatore, non gli permette di mancare in umiltà nei suoi confronti.
La persona che vive il timor di Dio, si apre alla sua Potenza e ottiene la Sua misericordia.
Da questo versetto il ricordo delle opere di Dio non riguarda più Maria, la persona che esprime la lode, ma acquista dimensioni più ampie, universali.
v. 51: Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore
Lo spiegamento del braccio di Dio si è verificato in particolare con l'uscita di Israele dall'Egitto (Dt 5,15). È la grande rivoluzione di Dio. Con termini forti si ricorda ciò che il Signore ha compiuto a favore dei suoi poveri. Ad essi vengono opposti i superbi che nel loro cuore hanno deciso di non dare spazio alla sovranità divina. Il cuore nella cultura ebraica è la sede delle decisioni e dell'agire. Egli sono stati dispersi, proprio come viene sbaragliato un esercito che subisce una sconfitta. Questa seconda parte del Magnificat descrive il rovesciamento a favore dei poveri e degli umili aspettato da tutte le correnti apocalittiche. Ciò non si è ancora realizzato, ma la nascita di Gesù ne è l'inizio.
La rivoluzione di Dio cantata da Maria indica il progetto di Dio sull’umanità: costruire una comunità di fratelli perché la parola d’ordine è unica: “fare comunione”.
vv. 52-53: ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Continua con delle frasi antitetiche il rovesciamento della sorte dei poveri, tema presente nell'AT e che solo Luca riprende nel vangelo. La preferenza di Dio per gli emarginati, i piccoli, i bisognosi si è già manifestata nel corso della storia di Israele, e si è dimostrata ora nella scelta della sterile Elisabetta e della vergine della sconosciuta Nazaret.
Dio cerca l’uomo. In lui vuole la conversione, per questo per rifare la storia umana, fatta di peccato e di sangue, indica la strada dimostrandosi come colui che preferisce gli umili, i poveri; come colui che è dalla parte degli schiantati dai potenti, dalla parte degli emarginati.
Il cambiamento per Luca avverrà in modo compiuto nell'aldilà (cfr. Lc 6,20-26; 16,19-26), ma viene già espresso nella vita di comunione della chiesa di Gerusalemme (cfr. At 4,34).
Gesù si avvicina anche ai ricchi, a coloro che si sentono sazi e dice: “Date in elemosina quello che avete nel piatto” (Lc 11,41). E nel Vangelo scorgiamo un ricco che dà la metà dei suoi beni ai poveri e restituisce quel che ha rubato dando quattro volte tanto. E Gesù dice che la salvezza è entrata nella sua casa (Lc 19,1-10).
La salvezza cantata da Maria ha come base la liberazione dal peccato e, quando si dice peccato, si dice rottura di relazione tra l’uomo e Dio e degli uomini tra loro”
vv. 54-55: Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre".
Ora l'attenzione si sposta sulla storia del popolo eletto. È la conclusione del Magnificat. In queste parole dove si legge l’infedeltà dell’uomo, si potrà leggere la misericordia di Dio.
Il rovesciamento di situazione proclamato da Maria è come la risposta di fedeltà all'impegno che Jahvè aveva preso con i primi patriarchi a favore del suo popolo e di tutta l'umanità. Questa promessa è per sempre, cioè abbraccia tutta l'umanità e tutti i tempi, perché Gesù è il vero compimento di tutta la Legge e di tutti i profeti.
v. 56: Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Il tempo che Maria rimase con Elisabetta è di circa tre mesi, prima che Elisabetta partorisca. È il tempo del segno. A Maria basta vedere il compiersi del segno. L’angelo aveva rivelato a Maria che Elisabetta era incinta di sei mesi. Rimane quindi con lei tutto il tempo necessario per aiutarla nel delicato periodo dell’ultima attesa e del parto.
La delicata attenzione di Maria verso il Verbo di Dio la conduce con gli stessi atteggiamenti ai bisogni concreti delle persone, con semplicità, con una presenza discreta e sincera, ricca di amore autentico. Il vero ascolto del Signore, fa attento l’orecchio di Maria ai richiami di chi è nel bisogno. Maria è la vera contemplativa coinvolta autenticamente nelle necessità umane.
Qui si chiude il brano della visitazione. L'attenzione dell’evangelista sarà rivolta alla nascita del precursore di Cristo.

La Parola illumina la vita e la interpella
▪ La mia preghiera è innanzitutto espressione d'un sentimento o celebrazione e riconoscimento dell'azione di Dio?
▪ Quanto tempo dedico all'ascolto della Parola di Dio?
▪ La mia preghiera si alimenta alla Bibbia, come ha fatto Maria? Oppure sono dedito al devozionalismo che produce a getto continuo preghiere incolori e insapori?
▪ Sono nella logica del Magnificat che esalta la gioia del dare, del perdere per trovare, dell'accogliere, la felicità della gratuità, della donazione?
▪ Le parole di Maria nel Magnificat suscitano in me fiducia, fedeltà alla promessa di Dio, disponibilità a collaborare con lui?
▪ Sono capace di leggere i segni della fedeltà di Dio anche nella mia vita?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Figlie di re fra le tue predilette;
alla tua destra sta la regina, in ori di Ofir.

Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre.

Il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio.

Dietro a lei le vergini, sue compagne,
condotte in gioia ed esultanza,
sono presentate nel palazzo del re. (Sal 44)

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…

Lasciamo che lo Spirito Santo entri nella nostra vita. Nelle parole del brano evangelico di oggi che stai leggendo, per incontrare Gesù, incontri Maria stessa. Assapora ogni parola che hanno nutrito la sua vita umana e scoprirai che anche da te può nascere la Parola fatta carne e cantare con lei “grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente”.