lunedì 8 gennaio 2024

LECTIO: II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B)

Lectio divina su Gv 1,35-42
 
 
Invocare
O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli, fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola, per riconoscere il tuo progetto di salvezza e divenire apostoli e profeti del tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». 37 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39 Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo – 42 e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Il Vangelo odierno ci fa ancora sostare sul luogo del Battesimo di Gesù, dove il Battista viene presentato come testimone: Egli sarà colui che orienterà i suoi discepoli verso Gesù.
L’Evangelista inizia il suo racconto presentando la settimana inaugurale della vita pubblica di Gesù (cfr. Gv 1,19-2,12), quei giorni nei quali Gesù ha incominciato ad apparire come un rabbi. 
La scena è girata nell'arco di quattro giorni. Il primo giorno in cui una delegazione di sacerdoti viene da Gerusalemme nel deserto per interrogare il Battista sulla sua identità (Gv 1,19-28); il secondo giorno (Gv 1,29-34) in cui il Battista indica il suo discepolo come “Servo” oppure “Agnello di Dio” (l’aramaico talja’ può rivestire entrambi questi significati). Il terzo giorno – quello narrato dal brano evangelico odierno – Giovanni indica Gesù a due suoi discepoli, Andrea e il discepolo amato, invitandoli a seguirlo. Il quarto giorno è Gesù stesso a chiamare dietro a sé altri due discepoli, Filippo e Natanaele (cf. Gv 1,43-51).
Il ruolo che assume Giovanni Battista è fondamentale: infatti l’incontro con Gesù da parte dei primi due discepoli è mediato da lui. In questo modo diventa “ponte” tra l’Antico e il Nuovo facendo in modo che la salvezza non sia solo una profezia ma anche compimento.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 35: Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli.
Il brano inizia con una indicazione di tempo: “Il giorno dopo” ed è il “terzo giorno”. Al terzo giorno ci troviamo ancora sulle rive del Giordano, sul luogo del battesimo, il luogo dell’Epifania della Trinità di Dio. “Il giorno dopo” è anche il giorno che il Battista ha reso testimonianza innanzi ai suoi discepoli. Questa volta è insieme a due discepoli, nel medesimo luogo.
Giovanni è lì in attesa della Verità. È sempre alla ricerca e sempre pronto a lasciare ciò che è stato fino adesso. Il verbo al passato stava, ne segna il tempo.
v. 36: e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!».
Il versetto parla ancora di testimonianza. Il Battista, vedendo Gesù che cammina poco distante da là, ripete le stesse parole del giorno precedente (Gv 1,29; Is 53; Es 12; Gv 19,36; Ap 5,6.12), indica Gesù ai suoi discepoli. 
L’indicazione è preceduta da un verbo: fissare (emblépsas) che va oltre al semplice guardare con attenzione, fissare, indica l'atto di guardare dentro, in profondità, penetrando nell'intimo dell'animo dell'osservato.
Il Battista non fa altro che accogliere l’identità di Gesù (l’Agnello di Dio) e ne contempla il passaggio nella sua vita che non è un passare qualunque, di un Gesù frettoloso. È il passaggio di Colui che viene, che cerca l’uomo, che cerca i suoi discepoli. I Padri avevano compreso che il passaggio di Gesù è una vocazione. Sant’Agostino aveva terrore di ciò: «Io ho paura di Gesù che passa e non ritorna».
Cosa significa quest’immagine? Abbiamo due riferimenti biblici. Il primo riguarda l’agnello pasquale il cui sangue posto sugli stipiti delle case proteggeva dall’angelo sterminatore (cfr. Es 12,1-14). Gesù sarà l’agnello che con il suo sangue proteggerà dalle forze del male. L’altro riferimento appartiene a un personaggio particolare, che termina i suoi giorni in modo ignominioso e di cui il profeta descrive così la vicenda: «era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca... al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori...ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori» (Is 53,7-12). Quest’agnello è venuto non per perdonare il peccato ma per rimuoverlo. Gesù è l’Agnello che toglie il peccato del mondo, cioè colui che mette fine a questa situazione di oppressione e di ingiustizia, di disumanizzazione, che si stava vivendo.
Ecco la contemplazione del Battista e si concretizza nel dire solennemente ciò che ha contemplato: “ecco l’Agnello di Dio”. Giovanni toglie il velo mostra, svela la verità “mettendo sul tavolo” quanto ha contemplato. La sua testimonianza parte da quel “dire” e prepara la vocazione dei suoi due discepoli nel seguire Gesù come il Servo sofferente.
v. 37: E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Il versetto contiene il vocabolo della vocazione: “ascolta”, che già è contenuto nella tradizione della fede del popolo ebraico: shemà. Qui in greco suona kousan. Tale vocabolo indica non soltanto la percezione del suono materiale delle parole, ma la comprensione del significato, come dimostrerà il contegno immediato dei due discepoli.
L’Evangelista annota un altro termine importante: seguirono, verbo che indica il movimento concreto ma anche la sequela di Gesù (tema spesso ripreso dai quattro vangeli) e il cammino verso il compimento delle promesse di salvezza.
Seguire Gesù significa seguire il Pastore della vita (cfr. Sal 23). Ascoltando il Vangelo, noi troviamo quel modello che vuol renderci liberi dai modelli di menzogna, che ci tolgono la nostra umanità (cfr. Sal 48).
v. 38: Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?».
La Parola mette in movimento. Gesù Parola del Padre è in movimento e rivolge una domanda: che cosa cercate? L’espressione letterale zēteîte indica sia cercare che volere, verbi che contengono in sé un desiderio.
Cercare implica camminare, scavare, lavorare, lottare, riflettere, faticare. Il cercare è tipico dell’uomo che è fatto per un di più che non ha ancora, l’uomo cerca sempre di più, non è mai contento, è fatto per l’infinito, è desiderio, è il desiderio che cerca.
La domanda di Gesù mette in condizione di ricerca. La stessa domanda la ritroviamo all’inizio della passione di Gesù (18,4.7), e in un luogo di morte coperto dalla gloria della risurrezione quando Gesù risorto rivolge la domanda alla Maddalena (20,15). È una domanda importante che tende a scavare le intenzioni più intime. Ora il cercare non conduce facilmente a trovare (cfr. Ct 5,6). La ricerca consiste in un lasciarsi trovare. 
Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?».
I due rispondono con una domanda chiamando Gesù con un termine particolare: Rabbi. Nell’ebraismo, un rabbi è un maestro della Torah. Questa parola ha una sua radice, rav che significa “grande”, “venerato”. L’allievo che dice “Maestro mio” è il modo per relazionarsi con un maestro della Torah.  
Il termine viene usato anche per il Signore. Infatti, la Maddalena presso il sepolcro riconosce il Risorto e piena d’amore dice: “Rabbouni!”, che significa «Signore mio!» (Gv 20,16). Dopo anche Tommaso acclamerà: «Signore mio e Dio mio!» (Gv 20,28).
Quindi, i discepoli alla domanda rispondono con un’altra: dove dimori? Non Il verbo abitare si ricollega al dimorare rimanere. L’evangelista Giovanni userà spesso questo termine.
Qui non si sta chiedendo l’indirizzo di casa, non è un chiedere l’indirizzo di residenza. La domanda intende dire che i discepoli intendono instaurare un rapporto con Gesù, vogliono vivere come lui e con lui. La dimora che chiedono è un luogo teologico, esistenziale, l’identità stessa di Gesù. Il meneis vuole indicare quel dove rimani. Gesù sarà chiaro in questo quando parlerà sulla vera vite, sul “rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Quando i discepoli fatta l'esperienza di stare con lui lo accoglieranno nella loro vita, nel loro cuore, infatti, dimorare, rimanere in Lui significa condividere la sua stessa vita, la sua vita divina. Dimorare significa anche ascoltarlo. E attraverso la parola ascoltata noi stessi dimoriamo in Dio, perché noi diventiamo la parola che ascoltiamo, diventiamo il figlio e così dimoriamo anche noi nel Padre. Dimorare in Lui significa anche seguirlo nel cammino della croce e della risurrezione.
v. 39: Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui
Ecco pronta la risposta di Gesù: “venite e vedrete”. Essa non è una vera e propria risposta ma un invito alla ricerca, a metterci in moto. È un’esperienza di vita che si fa interprete del desiderio dell’uomo, del desiderio di Dio. Abbiamo due verbi ma uniti tra loro che in Giovanni ha uno stretto contatto con il verbo credere (vedi Gv 6,37.44). Il primo verbo indica un movimento: se non ti muovi non lo saprai mai. Gesù ti indica un percorso da fare. Il secondo indica un vedere in profondità, un vedere la presenza divina nascosta nell'Altro, è entrare nel mistero di una persona, un vedere anche l’invisibile. Tant’è vero che in Giovanni la fede sarà vedere una visione, cioè si appaga solo nel vedere, è il vedere dell’illuminato, di chi ha capito la parola che c’è dentro ogni realtà, vede la realtà in modo diverso. I due verbi sono la sintesi dell’esperienza di tutto il Vangelo.
erano circa le quattro del pomeriggio.
L'evangelista vuole qui indicare un orario. È l’ora di uno sguardo indimenticabile. È l’ora dell’innamorato che non si scorda mai il giorno e l’ora del primo incontro. È l’ora di guardare e contemplare la bellezza del volto del fratello. È l’ora di sentirsi oggetto di uno sguardo d’amore.
Le quattro del pomeriggio è l’ora quando si smette il lavoro e si comincia a riposare, è l’ora finalmente del riposo, si dimora insieme, si riposa insieme, si gode del frutto del lavoro. È l’ora della condivisione dell’esperienza di Dio.
Le quattro del pomeriggio segna la fine di una giornata. Alle cinque, infatti, inizia un nuovo giorno. Per il discepolo spunta un nuovo giorno, una nuova luce che sarà guida alla sua vita. Una nuova nascita. Quando facciamo quest’esperienza con Gesù non potremmo mai dimenticarla.
vv. 40-41: Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo -
Dopo l’innamoramento, dopo l’esperienza fatta con Gesù, nasce una sorta di catena di contagio, bisogna raccontarlo a qualcuno. Quest’esperienza trasmette quel fuoco interiore, quella luce ricevuta dall’Agnello di Dio. Chi dimora in Dio, incontra il fratello. Ed ecco il primo nome: Andrea, fratello di Simon Pietro. Il verbo che accompagna è “udire”, cioè, un richiamo all’obbedienza. Questi saranno i primi a mettere in pratica, i primi ad ascoltare e seguire Gesù.
Andrea si reca dal fratello, l’annuncio viene fatto per contatto diretto, e lo conduce docilmente a Gesù. Il nome Simone significa “docile all’ascolto”. Egli sarà l’uomo che si farà condurre docilmente, sempre (cfr. At 2,1-4, e 13-36; 2,38; Gv 21,18-19).
Andrea ha capito chi è Gesù: il Messia, l’Agnello di Dio e lo professa. Essere cristiani significa essere messianici, coloro che instaurano il sogno di Dio.
v. 42: e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro.
Andrea conduce il fratello Simone da Gesù, il quale lo accoglie. Fra i due c’è un incontro di sguardi, autentico che coglie l’intimo. Gesù lo chiama per nome e gliene da’ uno nuovo: Ke'pà' che significa Roccia, Pietra, Pietro.
In Mt 16,18 abbiamo il commento esegetico sul nome. Origene scrive: "Gesù dice che egli si sarebbe chiamato Pietro, traendo questo nome dalla pietra che è Cristo, poiché come saggio viene da saggezza e santo da santità, così allo stesso modo Pietro dalla pietra".
L’evangelista Giovanni vuole dare un altro carattere: Pietro appartiene a Gesù che lo ha reso nuovo, lo sguardo l’ha plasmato secondo un disegno divino, al servizio dei fratelli. Sarà la Pietra su cui si scatenerà le forze degli inferi, ma non prevarranno.
Per noi, può avere un senso più profondo. Ognuno ha già un nome con il quale veniamo chiamati da tutti. Ci sta un secondo nome più profondo, che realizza la nostra verità, che solo Dio conosce e che noi dovremmo imparare a conoscere. È il cammino della verità che solo in Dio possiamo trovare, in colui che ci ama e ci dona la vita. Chi si mette in ricerca è disposto a lasciarsi “mutare”, “trasformare”, perché anche noi possiamo trasmettere amore ed energia con il nostro sguardo.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Guardo dentro, in profondità, la persona di Gesù? Oppure mi fermo all’aspetto esteriore?
Mi sono lasciato/a trasformare da questo incontro?
Ritrovo nella mia vita cristiana i verbi ascoltare, vedere, seguire che ancora oggi Gesù mi rivolge?
Oggi quel “Cosa cerchi?” è rivolto anche a me. Come rispondo?
Come rispondo al cammino della verità che solo in Dio posso trovare?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
 
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
 
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
 
Ho annunciato la tua giustizia 
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra, 
Signore, tu lo sai. (Sal 39).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Lascio che il mio sguardo si incroci con lo sguardo di Gesù. Forse farò fatica ma in quella fatica mi sentirò chiamato con un nome nuovo, ci sentiremo amati, figli, fratelli e trasmetteremo amore a tutti uniti alla vita di Gesù.