Lectio divina su Lc 12,13-21
O Dio, principio e fine di tutte le cose, che in Cristo tuo Figlio ci hai chiamati a possedere il regno, fa’ che operando con le nostre forze a sottomettere la terra non ci lasciamo dominare dalla cupidigia e dall’egoismo, ma cerchiamo sempre ciò che vale davanti a te.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Nella sezione del Vangelo che iniziamo a leggere in questa domenica, Luca ci propone una serie di testi che hanno come filo conduttore il tema dell'attenzione, della vigilanza. Sono brani molto diversi tra di loro, ma che forniscono al discepolo regole di vita per la quotidianità.
In questa domenica abbiamo la parabola del ricco stolto che continua a ripetere che il vantaggio sta nella ricchezza, negli agi.
Con questa parabola, Luca descrive una questione seria nella vita cristiana, un problema che deve essere affrontato decisamente: i beni terreni (ricchezza). La Bibbia già tratta il problema trovando una benedizione di Dio nella ricchezza (cfr. Dt 8,18). C’è da chiedersi se la ricchezza può prendere il posto di Dio o delle cose più importanti. Lo ribadisce il profeta Geremia dove invita a trovare vanto nel Signore (cfr. Ger 9,22-23).
v. 13: uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità».
Il tale che troviamo in questo versetto, non è solo quel personaggio ignoto, anzi ricordiamo: un personaggio del vangelo riportato senza nome, indica ciascuno di noi. Gesù è un rabbi e in quanto tale Egli non era solo un maestro, un teologo ma anche un giurista e poteva essere chiamato ad intervenire su questioni di diritto.
C’è sempre qualcuno che chiama Gesù in causa. Ma si vede benissimo che non conoscono Gesù. Infatti, la domanda pur legittima, ha in sé una grande illusione: Gesù non può essere chiamato a risolvere i problemi di divisione delle ricchezze, per il semplice fatto che la ricchezza divide.
v. 14: O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?
v. 15: Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché,
Quindi l’opposto della cupidigia è l’appagamento in Dio. Ecco perché Paolo in Col 3,5 dice che la cupidigia è idolatria. «Fate dunque morire le vostre membra che son sulla terra: fornicazione, impurità, lussuria, mala concupiscenza e cupidigia, la quale è idolatria». È idolatria perché l’appagamento che il cuore dovrebbe ricevere da Dio comincia a trarlo da qualcos’altro. In altri termini, la cupidigia è perdere l’appagamento in Dio in modo da cominciarlo a cercare altrove.
Nel decalogo abbiamo un inizio e una fine quasi tutti simili. «Non avrai altro dio all’infuori di me» (Es 20,3) e «Non concupire» (Es 20,17) sono quasi identici. Concupire è desiderare qualcosa di diverso da Dio in modo da palesare la perdita di appagamento e soddisfazione in lui. La cupidigia è lo stato di un cuore diviso tra due dei, ragione per cui Paolo la chiama idolatria.
anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede.
vv. 16-18: Poi disse loro una parabola: La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Per mostrare quanto questo atteggiamento sia sbagliato, la Parola si rende ancora presente attraverso lo stile rabbinico che Gesù usa fare, come è suo solito, con una parabola. Per arrivare al nostro cuore usa la parabola del ricco stolto che crede di essere al sicuro per molti anni, avendo accumulato molti beni e a cui la notte stessa viene chiesto conto della vita. È da notare che in questo versetto vige l’abbondanza: l’uomo è ricco e il raccolto è abbondante. Tutto questo si può dire una benedizione dal Signore (cfr. Qo 9,7-9; Sir 11,18-19).
Non è la prima volta che nel Vangelo ritroviamo qualcuno che ragiona tra sé. Spesso capita se avanziamo la pretesa di essere nel giusto anche dinanzi a Dio (cfr. Lc 18,9-14). Il ragionare tra sé non porta alla condivisione del cuore, ma a isolarsi da tutto e da tutti quasi a far diventare la benedizione uno strumento di morte.
v. 19: Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”.
Questo versetto è proprio negativo. Sì, presenta un programma di vita ma privo di amore. Il suo monologo tira le conseguenze per la sua futura esistenza.
La parabola del ricco “stolto” condanna proprio questo assurdo comportamento; egli ricorda che i beni, lungamente agognati, non liberano dalla morte, ma addirittura compromettono la vita perché privano della tranquillità e soprattutto impoveriscono il cuore impedendogli di aprirsi verso gli altri nella carità e nell’amore.
Un programma di vita non ti viene dall’avere di più. Non è nella bramosia e nell’abbondanza dei beni che l’uomo può assicurarsi una vita senza fine o per lo meno una sicurezza di vivere che lo tuteli da ogni esperienza avversa. C’è una misura di vita alta quanto Dio. Se dimentichiamo di coltivare una vita interiore, impoveriamo tutto riducendo il tutto ad avarizia, idolatria. San Paolo esorta: «cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1).
v. 20: Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”.
La parabola va a chiudersi. Il Signore qualifica l’uomo “stolto”. Il motivo di ciò sta nel fatto che l’uomo non ha capito la vita, non l’ha vissuto pienamente. In realtà quello che lui ha vissuto è un suo sogno personale: la realtà della vita non l’ha compresa e non l’ha accettata correttamente. Perché la vita dell’uomo non si fonda sull’avere, non si riduce all’avere, ma è dono da accogliere con riconoscenza e con gioia nella grazia del Signore.
Come accade molte volte nelle parabole, il giudizio che noi saremmo portati a pronunciare viene bruscamente capovolto. Il protagonista della parabola era così impegnato a far grano, a farsi ricco che non ha avuto né tempo né energia per arricchire davanti a Dio. Adesso si trova nell’ombra della morte, costretto a lasciare le sue ricchezze ad altri. A ben poco servono i nostri progetti se non son filtrati dall’amore di Dio. Qui sta la sua stoltezza: aver dimenticato che la vita è un dono di Dio e che ritorna a lui in qualsiasi momento.
v. 21: Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio.
C'è qualcosa che possiamo portare con noi, che ci segue dovunque, anche oltre la morte: non sono i beni, ma l’amore verso l’altro; non ciò che abbiamo avuto, ma ciò che abbiamo fatto. La cosa più importante nella vita non è dunque avere dei beni, ma fare del bene. Il bene avuto resta quaggiù, il bene fatto lo portiamo con noi. Dice l'apostolo Paolo: "pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra" (Col 3,1). Le cose di lassù non sono quelle astratte, sono l'amore e le opere buone che facciamo su questa terra.
Gesù invita ad accumulare "davanti a Dio", ovvero di puntare su ciò che non viene sottratto con la morte: l'impegno che il Regno di Dio, che non cade con la conclusione della vita. “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima sua?” (Mt 16.26). E ancora: “badate e guardatevi; perché non sta la vita di alcuno nell’abbondanza dei suoi averi” (Lc 12.15).
Quali tesori sto accumulando? Quelli davanti a Dio o quelli davanti agli uomini?
Quale logica sto vivendo? Quella del Regno o quella del mondo? Quella della condivisione o quella dell'accumulo?
Sono cosciente che quello che possiedi ti viene dato da Dio, oppure mi sento padrone assoluto dei miei beni?
Sono capace di condividere con gli altri il frutto del mio lavoro?
Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda. (Sal 89).
Lasciamoci guidare dallo Spirito di Dio nella quotidianità per usare i nostri beni per il bene e preghiamo oggi così: "Insegnaci, Signore, a usare saggiamente i beni della terra, sempre orientati ai beni eterni".