martedì 17 ottobre 2023

LECTIO: XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno A)

Lectio divina su Mt 22,15-21
 

Invocare
O Padre, a te obbedisce ogni creatura nel misterioso intrecciarsi delle libere volontà degli uomini; fa’ che nessuno di noi abusi del suo potere, ma ogni autorità serva al bene di tutti, secondo lo Spirito e la parola del tuo Figlio, e l’umanità intera riconosca te solo come unico Dio. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
15 Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17 Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». 21 Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Con il Vangelo di questa domenica, l’evangelista Matteo apre una serie di discussioni tra Gesù e i suoi avversari (cfr. Mt 22). Qui abbiamo una prima controversia, quella del tributo a Cesare.
Il brano del tributo a Cesare è collocato nel contesto dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme e il dibattito tra Gesù e le autorità e il tema di discussione è sull'autorità di Gesù (Mt 21,23-27). Dopo viene la parabola dei due figli, in cui Gesù denuncia l’ipocrisia di alcuni gruppi (Mt 21,28-32). Seguono due parabole, dei vignaioli assassini (Mt 21,33-46) e degli invitati che non vogliono partecipare al banchetto nuziale (Mt 22,1-14).
Ora qui nel nostro Testo (Mt 22,15-22) appaiono i farisei e gli erodiani per preparare una trappola a Gesù così come vien detto dal primo versetto.
A Gesù viene richiesto di prendere posizione circa la liceità o meno del tributo imperiale che era stato imposto alla provincia della Giudea, da quando, nel 6 d.C., a capo di essa era stato nominato un procuratore romano.
Tale tributo ricordava ai Giudei la loro dipendenza politica e costituiva un problema sia politico che teologico. Gli zeloti si rifiutavano radicalmente di pagare il tributo a Roma, sostenendo che, oltre a Dio, non si poteva tollerare nessun sovrano terreno. I farisei lo consideravano un onere grave, ma si erano decisi per il pagamento. La domanda: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”  è formulata in modo che la risposta può essere solo un sì o un no. In entrambi i casi Gesù si sarebbe trovato in una posizione problematica. Rispondendo con un sì, egli avrebbe potuto essere accusato di ignorare l’importante problematica teologica; rispondendo con un no, avrebbe potuto essere accusato di sovversione.
Notiamo come si gioca molto sul potere e sull’autorità e viene messo in gioco il modello di uomo ma anche il modello stesso di Dio, perché l'uomo è immagine di Dio.
Come Gesù, anche i cristiani delle comunità cristiane della Siria e della Palestina, per le quali Matteo scriveva il suo vangelo, erano accusati ed interrogati dalle autorità, dai gruppi o dai vicini che si sentivano a disagio per la loro testimonianza. Leggendo questi episodi di conflitti con le autorità si sentivano confortati e prendevano coraggio per continuare il cammino.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 15: Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
I farisei e gli erodiani erano i leaders locali non appoggiati dal popolo in Galilea. Avevano deciso da tempo di uccidere Gesù (Mt 12,14; Mc 3,6); ora si sentono intrappolati da Gesù quando gli chiedevano qual è il tuo potere e Gesù rispose: Vi rispondo qual è il mio potere se mi rispondete qual era il potere del Battista? Viene da Dio, oppure no? Il Battista chiamava alla conversione, ma loro hanno risposto non sanno perché qualunque risposta avessero data erano in trappola. Adesso ci han pensato su bene e gli fanno una trappola analoga, in modo che qualunque sia la risposta lui sia colto in fallo (cfr. Mt 23,21-27).
I farisei presentano a Gesù una serie di tre dispute (nel testo odierno ritroviamo la prima) che rispondono all’esplicita intenzione di coglierlo in fallo (letteralmente: di prenderlo al laccio con una parola, irretirlo cfr. Mt 12,14; 22,15; 27,1.7; 28,12), cioè di fargli dire una parola in base alla quale possa essere condannato. La prima disputa ha un carattere politico ed è la più insidiosa dal punto di vista della sicurezza personale di Gesù. Le altre due dispute (la risurrezione dei morti e il più grande comandamento) hanno invece un contenuto religioso e riguardano l’interpretazione della Torah.
vv. 16-17: Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Farisei ed Erodiani si ritrovano alleati e per ordine dei sacerdoti e degli anziani, vogliono sapere da Gesù se è a favore o contro il pagamento del tributo ai romani. Il problema non stava nella moneta da pagare ma in una moneta impura e quindi davanti a una idolatria. Quindi una domanda fatta apposta, piena di malizia!
Anche di fronte al Cristo Gesù gli uomini sono incapaci di pensare qualcosa di diverso dall’essere superiori agli altri. Sotto l’apparenza di fedeltà alla legge di Dio, cercano motivi per accusarlo. Se Gesù dicesse: “Devi pagare!” potrebbero accusarlo, insieme alla popolazione, di essere amico dei romani. Se lui dicesse: “Non devi pagare!” potrebbero accusarlo, con le autorità romane, di essere un sovversivo. Una strada senza uscita!
L'evangelista mette in bocca degli accusatori anzitutto un elogio, forse tra i migliori in tutto il Vangelo. I nemici di Gesù tessono un elogio: lo chiamano Maestro, gli dicono che in Lui risiede la verità. Ma c’è da guardarsi bene come recita il proverbio. Infatti, è solo un’esca. Poi di Gesù dicono: “e non hai soggezione di nessuno”, ma non è vero. Un po' come la favola di Esopo della storia del corvo e della volpe che racconta di un corvo che aveva trovato un pezzo di formaggio e si era posato su un albero per mangiarlo. Una volpe, vedendo il formaggio, decise di rubarglielo con un inganno: lusingò il corvo dicendogli che aveva un bellissimo canto e lo invitò a cantare. Il corvo, vanitoso, aprì il becco e lasciò cadere il formaggio, che fu subito preso dalla volpe. La morale è di non fidarsi degli adulatori. Infatti, sono loro che non hanno soggezione di nessuno. Gesù, in realtà, è soggetto a tutti. La sottomissione che Gesù vive nei confronti di tutti sta alla base della risposta che verrà dopo. Gesù è sottomesso, vive questo stare all’ultimo posto (cfr. Fil 2,6). Questo è ciò che indica anche ai cristiani. La libertà con cui Gesù risponderà a questa domanda è proprio frutto di questa sua sottomissione. In fondo, ciò che rende libera la chiesa è la sua sottomissione. Ciò che rende liberi i cristiani di agire è la loro docilità, il loro servizio, la loro sottomissione.
v. 18: Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?
Gesù viene sempre messo alla prova. Le tentazioni continuano. Non sono cessate nel deserto. Ed anche qui, Gesù smaschera il tentatore, smaschera la loro malizia e ipocrisia e trae la sua conclusione. Li chiama ipocriti. Il capitolo successivo è argomentato sull’ipocrisia. Che cos’è l’ipocrisia? È quel sapere, quel potere che cerca sempre di conoscere per imbrogliare. Questo è un fatto molto diffuso. Un potere ipocrita non ha capacità di servizio, di amore. Mentre il potere di Gesù è fatto di servizio, di amore.
La tentazione sul potere Gesù l’ebbe nel deserto, dopo il suo battesimo, quando satana voleva dargli tutti i regni della terra. Questo tipo di tentazione ritornerà sulla croce, quando lo inviteranno a salvarsi dall’evento cruento (Mt 27,39-44). Gesù ha ben chiaro che non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore. Per questo invita a guardarsi dalla ricerca e dall’amore del potere fine a sé stesso.
vv. 19-21: Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?».
Gesù chiede la moneta del tributo. L’ammontare del tributo era di un denaro d’argento, vale a dire la paga quotidiana di un lavoratore. Essi dispongono del denaro, che Egli invece non ha: usando la moneta romana e traendone vantaggio, sanno pure cosa vi è inciso e quindi chi esercita il suo dominio e dimostrano di accettare la sovranità dell’imperatore.
Sulla moneta del tributo, che è un denaro, c'è un'immagine e un'iscrizione. L'immagine da una parte è di Tiberio Cesare, dall'altra di sua madre, lui è rappresentato come Giove, il Dio di questa terra, e la madre come Giunone - era la madre della pace - e l'iscrizione è: il divino Tiberio Cesare figlio del dio Augusto (Ottaviano) da una parte e pontefice massimo dall'altra.
Gesù davanti a questa moneta si ritrova davanti all’idolatria. Tiberio mette il suo volto sul denaro e io per guardare il suo volto devo guardare il denaro. In pratica per ogni cosa in suo riferimento, bisognava concentrarsi sul denaro, perché Tiberio era il rappresentante in terra del culto reso al denaro.
Ora, Gesù mette in contrapposizione inconciliabile il culto al vero Dio con il culto al dio denaro. Le parole, l’immagine e l'iscrizione ci richiamano la vera immagine di Dio, presentato dal Vangelo e divenuto vera iscrizione del Re che è sulla Croce. Infatti, sulla croce, Gesù ha l'iscrizione “re dei Giudei”. Ora, Gesù, è quella perfetta immagine di Dio perché ci mostra chi è l'uomo a immagine di Dio: una persona libera che sa dare la vita per tutti. Gesù sulla croce è re, pontefice massimo, il ponte di riconciliazione tra gli uomini e Dio.
Quindi Gesù discute su questo culto disumanizzante che sul pagamento delle tasse che è fuori discussione.
Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
La risposta di Gesù li sorprende e li spiazza. Non invita alla ribellione ma a pagare le tasse. Lo riprenderà questo discorso san Paolo quando parlerà per il bene comune (Rm 13,1-17).
La risposta “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” è impiegata da tutti e tre i sinottici e in questa risposta (apodidômi) si allude a un significato non solo di un semplice dare, quanto piuttosto di un «dare indietro», di un «restituire». Restituite pure a Cesare quanto è suo, come è comprovato dall'effigie e dall'iscrizione, ma soprattutto restituite a Dio quanto porta impressa in sé la sua immagine: cioè, voi stessi. Ciò che deve ripugnare non è la moneta in se (una vale l’altra): è quella filosofia disumana, idolatrica velata in quella effigie che deve far ritorno da dove è venuta, che va rigettata.
Con quest’ultima affermazione Gesù non fa altro che rivendicare la posizione unica ed esclusiva che Dio occupa nella vita dell’uomo a cui va restituito il “posto d’onore”. Era già l’appello che risuonava nel testo di Isaia: “Io sono il Signore e non c’è alcun altro; fuori di me non c’è Dio… Non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri” (Is 45,1-6). Ma le parole ci riportano all'origine, alle parole della Genesi quando si dice che Dio ha pensato l’uomo come sua immagine: “A immagine di Dio lo creò, maschio e femmina lo creò” (Gen 1,27). Di sicuro l’immagine di Dio non è sul denaro perché il rapporto che Dio intende instaurare con gli uomini non è un rapporto di compravendita, ma è un rapporto di amore. Immagine vuol dire impronta, vuol dire icona che vuol dire: “vedendo la quale si vede lui”.
Anche l’iscrizione è posta sull’uomo così come ricorda la Sacra Scrittura ripreso dal libro dell’Apocalisse: “ecco l'Agnello in piedi sul monte Sion, e insieme a lui centoquarantaquattromila persone, che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo” (Ap 14,1).
Ecco cosa afferma Gesù: loro hanno sottratto l’uomo a Dio. Ora va restituito. Dove ci sta il super dominio l’uomo viene schiavizzato. Questo è anche il rischio di chi si pone in una linea di servizio ai poveri: quante volte noi riduciamo il servizio ai poveri a una questione di soldi e in realtà nel volto della povera gente vediamo una possibilità di investimento; le opere caritative si impegnano in convenzioni sempre più costose, in convenzioni che le legano sempre più alle istituzioni, al potere. Così leghiamo sempre più il volto dei poveri a ciò che dobbiamo spendere in termini di soldi, di forze, di capacità per andare incontro alle loro necessità, senza riconoscere l’immagine che c’è in loro.
La liturgia omette il versetto 22 dove gli uditori sono meravigliati ed estasiati del discorso di Gesù “lo lasciarono e se ne andarono”, cioè anche loro comprendono che l’uomo appartiene a Dio e a Lui va restituito come unico Signore.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Sono tra coloro definiti da Gesù ipocriti, coloro che detengono un potere e che vogliono sapere perché amano imbrogliare, tendere insidie?
Accolgo nella mia vita Gesù Messia, il Servo Sofferente, che realizza quel Regno di Dio di cui ha parlato il profeta Isaia?
Restituisco a Dio me stesso? Oppure continuo a violare, a umiliare, ad abusare l’uomo?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
 
Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli.
 
Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri.
 
Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine. (Sal 95)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Nel contemplare questa Sacra Pagina, cerco di riconoscermi a immagine e somiglianza di Dio, perché Lui a sua volta continua ancora a specchiarsi nel mio cuore e riprodurre la Sua immagine riversandovi il suo amore infinito per essere splendore del Suo riflesso nella quotidianità.