mercoledì 5 gennaio 2011

Lectio divina su Mt 3,13-17

BATTESIMO DEL SIGNORE / A

Lectio divina su Mt 3,13-17

Il Signore benedirà il suo popolo con la pace


Invocare
Discenda su di noi lo Spirito Santo perché possiamo contemplare il mistero che la Parola ci rivela e possiamo mettere in pratica ciò che contempliamo. Amen.

Leggere
13 Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
14 Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15 Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
16 Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17 Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi e illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Ez 1,1; 2Mac 3,24ss; Is 42,1-4.6-7; Mc 9,9; Gv 1,32.34.51; At 7,55-56; 10,34-38; 1Tess 2,19; 2 Tess 2,9; 3,13; 4,15; 1 Cor 15,23; Rm 6,1-11: Ap 11,19; 19,11-21

Capire
Con il Battesimo del Signore, assieme all’Epifania e alle Nozze di Cana, la liturgia della Chiesa celebra la “manifestazione del Signore”: Cristo Gesù si manifesta Re-Pastore nella piccolezza (Epifania), Figlio amato del Padre (Battesimo), Sposo dell’umanità (Nozze di Cana). Con il Battesimo inizia la vita pubblica di Gesù e liturgicamente inizia il Tempo Ordinario.
Il contesto della nostra pericope è molto chiaro: dopo l’evangelo dell'infanzia del Signore (1,1-2,23), con la genealogia del Signore, è presentata la predicazione di Giovanni Battista che annuncia Colui che viene con lo Spirito Santo e il Fuoco e porta con sé i tempi ultimi (3,1-12); poi è narrato il battesimo (3,13-17) e le tentazioni del Signore nel deserto (4,1-11). Ora il battesimo e le tentazioni rendono in un certo senso Gesù idoneo e responsabile all'annuncio dell'evangelo che viene dopo in 4,12-25.
Nel racconto del Battesimo di Gesù, Matteo riprende la fonte di Marco (cfr. Mc 1,9-11; Lc 3,21-22) e l’ha inserita in un dialogo tra Giovanni e Gesù (Mt 3,14-15) che spiega perché Gesù abbia voluto sottoporsi al battesimo di Giovanni.
Il Battesimo di Gesù rappresenta la sua investitura ufficiale come Messia, l'inizio del suo ministero pubblico. ma è un Messia che lascia sorpresi, perché il primo gesto che compie è quello di mescolarsi con i peccatori.
La Liturgia ci fa celebrare questo mistero di Cristo per illuminare anche il nostro battesimo, fatto come quello di Gesù "in acqua e Spirito santo".

Meditare
v. 13: Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Gesù viene come una tra tanti. In questo versetto è usato il verbo paragìnetai (“si fece vicino”) che è usato anche al 3,1 anche per Gv Battista ma per Gesù è più intenso e pregnante. Esso vuole indicare l'apparizione, grave e solenne del Re messianico, il Sovrano salvatore.
Gesù si fa vicino “Dalla Galilea”, rileva Matteo quasi ad accompagnare la folla dei peccatori e mescolarsi con loro, quasi a indicare: “lo faccio io per primo”. Non è l'umanità che va da Lui, ma è Lui che va verso di essa, secondo la logica dell'incarnazione. Gesù che viene dalla Galilea è l’uomo-Dio che si unisce al suo popolo per condividerne pienamente le attese e le speranze. In questo suo andare vi è l’intenzione esplicita dichiarata di essere battezzato. In forma così aperta, Matteo non lo aveva detto neppure dei farisei e dei sadducei (3,7).
Se i Magi erano venuti dal Bambino e lo avevano riconosciuto, adorato e a Lui reso omaggio di doni, adesso l'Uomo (Gesù) compie la sua Parousia propriamente divina, venendo all'uomo Giovanni, per un atto di abbassamento estremo, farsi "battezzare", ossia ricevere un lavacro che dimostra, secondo la predicazione del Battista, l'intima metànoia, la penitenza e conversione (Mt 3,13b).
v. 14: Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Il dialogo tra Giovanni e Gesù si trova solo in Mt 3,14-15 e indica un certo imbarazzo da parte di Giovanni a battezzare Gesù. L'imbarazzo può essere attribuito alla superiorità di Gesù e del suo battesimo percepita da Giovanni (cfr. v.11) o al carattere del battesimo di Giovanni «per la conversione». La spiegazione di Giovanni in Mt 3,14 è ambigua, e perciò il testo non è una chiara attestazione della perfetta innocenza di Gesù. La reazione di Giovanni è di stupore e di tale venerazione che lo porta al rifiuto. L’evangelista dice che Giovanni, "gli impediva" di accostarsi a lui, rifiutando dunque di dargli il segno battesimale penitenziale: "Io ho necessità di essere battezzato da Te!" Sta parlando "il più grande tra i nati da donna", come Gesù stesso lo proclama (Mt 11,11). Qui vi è il riconoscimento della diversità tra i due e la consapevolezza del nuovo (la Nuova Alleanza) che entra in scena. "Colui che viene dopo di me... vi battezzerà in Spirito santo e fuoco... ha in mano il ventilabro... pulirà... raccoglierà... brucerà..." (vv. 11-12). La diversità dei due si coglie anche dalla famiglia di provenienza (sacerdotale quella di Giovanni), dal luogo (Gerusalemme per Giovanni, Nazareth di Galilea per Gesù) nella modalità del loro concepimento (annuncio al padre, Zaccaria, secondo il modello antico; annuncio alla madre, Maria), l'età dei genitori (anziani quelli di Giovanni). Tutto sta a manifestare il passaggio tra l'antico e il nuovo. Matteo prepara i lettori alla novità del Cristo: "avete inteso che fu detto, ma io vi dico" (Mt 5).
v. 15: Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. L'atteggiamento di Gesù è ancora quello di sottomettersi al piano salvifico di Dio (così adempiamo ogni giustizia), rispettando il modo (nell'umiltà-kenosi) e i tempi (l'ora-kairos). La risposta di Gesù è breve e senza repliche: "Lascia, adesso!" è l’inizio della Parousia.
Un parallelo si può vedere in Gv 13,7: il rifiuto di Pietro di lasciarsi lavare i piedi. Anche lì la risposta di Gesù è senza repliche: «Quello che faccio adesso tu non lo capisci». L'opera divina non deve'essere impedita. Pur riconoscendo la superiorità del proprio battesimo, Gesù si dice tuttavia disposto a comportarsi secondo le esigenze del battesimo di Giovanni. Il motivo di questa reazione di Gesù è perché «adempiamo ogni giustizia»: il noi è riferito anzitutto al Padre e allo Spirito in rapporto a Lui stesso; poi a Gesù e Giovanni; in seguito significa anche il popolo di Dio.
La giustizia di Dio coincide con la sua fedeltà alla promessa di salvezza. Allora si può dire che con la missione di Gesù inaugurata dal suo battesimo, arriva a compimento “ogni giustizia”, cioè l’attuazione integra della volontà di Dio.
v. 16: Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Il Signore risale dall’acqua manifestandosi. Ecco che ritorna l’acqua con tutta la sua valenza simbolica; Gesù scende nell’acqua, s’immerge, scende, si abbassa … questo suo abbassarsi richiama la discesa nelle profondità, immagine che rimanda all’inabissarsi nella morte, alla discesa agli inferi. Gesù non compie solo un gesto penitenziale ma ogni suo gesto è una chiara allusione a tutto quello che vivrà nella passione, morte e risurrezione! Lo “spirito” indica la potenza di Dio che scende su Gesù per abilitarlo a compiere la sua missione, che ha appunto inizio proprio con questa potenza.
Possiamo qui notare la stessa cosa con Maria in Lc 1,35, il parallelo tra lo spirito di Dio e la potenza di Dio: “Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra”. Lo Spirito divino è presentato in forma di colomba. Gli ebrei rappresentavano lo spirito proprio con tale uccello; “spirito” (rùach) in ebraico è un nome femminile. Nel Cantico dei Cantici la voce della colomba (2,12) è interpretata come la voce dello Spirito Santo. Dato che presso i rabbini riunisce e guida Israele, anche Israele è a volte paragonata nei Salmi a una colomba: “Si coprono d'argento le ali della colomba e d'oro le sue piume” (Sal 68,13); una colomba che posa il volo su grossi alberi, i “terebinti lontani” (Sal 56,1).
Nella tradizione biblica la colomba è legata alla fine del diluvio. Terminato il periodo in cui le acque avevano annientato la vita sulla terra, Noè lascia uscire la colomba la quale ritorna con un ramoscello di ulivo nel becco, segno che la vita riprende: quella colomba è l’annuncio della fine del diluvio. Così l’evocazione della colomba – che caratterizza in qualche modo lo Spirito Santo – ci fa comprendere che in quel momento, quando cioè Gesù inizia la sua missione scendendo fino in fondo, finisce il diluvio, finisce il naufragio dell’umanità: è il momento decisivo in cui Dio interviene nella storia dell’uomo. La discesa di Cristo nelle acque prefigura la sua discesa agli inferi e si realizza la parola del salmista (cfr. Sal 74, 13-14), egli schiaccia la testa al nemico. Il Battesimo non solo prefigura, ma inaugura e anticipa la sconfitta di Satana e la liberazione di Adamo. Da questo momento il compito di Giovanni “il Battista” finisce ed esce di scena.
v. 17: Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». La voce del Padre parla due sole volte nel Vangelo, al Battesimo e alla Trasfigurazione. La prima parola che dice è «Figlio», termine ricco di passione, «Amato» è la seconda parola.
La parola “figlio” in ebraico suona con “ben” che indica non solo la relazione (in senso generativo) con il padre terreno, ma anche l’affetto verso chi è chiamato “figlio”. Il popolo di Israele, che Dio ama dopo averlo scelto per puro amore, è chiamato “figlio”: “Così dice il Signore: Israele è mio figlio” (Es 4,22; cfr. Is 1,2; Ger 31,8, Os 11,1). Il re davidico è chiamato lui pure “figlio”: “Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio” (2Sam 7,14). Il “servo” messianico (Is 42,1), nonostante sia presentato come una creatura amata da Dio, non è mai tradotto con “figlio” ma con “schiavo”. Per rilevare l’amore di Dio verso Gesù, questi è anche chiamato “l’amato”.
Matteo dice proprio "Questi è" e non "tu sei" il mio Figlio diletto. Gesù è di natura divina e allo stesso tempo è il nuovo Adamo, inizio di un'umanità nuova riconciliata con Dio insieme alla natura riconciliata anch'essa con Dio, attraverso l'immersione del Cristo nelle acque. «Il diletto»: in greco fa ho-agapètòs , dove l'articolo ha la funzione di sottolineare la straordinaria potenza e significato del titolo. Ciò richiama a Gen 22, dove l'ebraico ha jahid = l'unico, il Monogenito (vv. 2.12.16) che è la vittima sacrificale, quella che il Padre dona per tutti gli uomini come ci ricorda san Paolo: «Egli che il proprio Figlio non risparmiò, bensì a favore di noi tutti o consegnò» alla croce (Rm 8,32).
Da questo momento con lo Spirito Santo Gesù si avvicina alla Croce, annunciando l'evangelo e operando i segni della Resurrezione che riconquistano il Regno al Padre in favore degli uomini. Per questo Dio “si compiace”. In Gesù il Padre vede il Figlio amato, capace di una relazione filiale autentica con Lui e una relazione fraterna autentica con la gente, e in particolare con i falliti della storia. Nel Figlio amato, il Padre vede anche tutti noi, immersi per mezzo del nostro battesimo nel mistero pasquale del Signore (Rm 6,3-7), chiamati a conformarci all’immagine del Figlio suo (Rm 8,29).

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
Cristo nel Battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria. Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell'acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi. E poiché era spirito e carne santifica nello Spirito e nell'acqua. Il Battista non accetta la richiesta, ma Gesù insiste. «Sono io che devo ricevere da te il battesimo» (cfr. Mt 3, 14), così dice la lucerna al sole, la voce alla Parola, l'amico allo Sposo, colui che è il più grande tra i nati di donna a colui che è il primogenito di ogni creatura, colui che nel ventre della madre sussultò di gioia a colui che, ancora nascosto nel grembo materno, ricevette la sua adorazione, colui che percorreva e che avrebbe ancora precorso, a colui che era già apparso e sarebbe nuovamente apparso a suo tempo. «Io devo ricevere il battesimo da te» e, aggiungi pure, «in nome tuo». Sapeva infatti che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio o che, come Pietro, sarebbe stato lavato non solo ai piedi. Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante. E lo Spirito testimonia la divinità del Cristo: si presenta simbolicamente sopra Colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità dei cieli, da quelle stesse profondità dalle quali proveniva Chi in quel momento riceveva la testimonianza. Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche il corpo divinizzato e quindi Dio. Non va dimenticato che molto tempo prima era stata pure una colomba quella che aveva annunziato la fine del diluvio. Onoriamo dunque in questo giorno il battesimo di Cristo, e celebriamo come è giusto questa festa. Purificatevi totalmente e progredite in questa purezza. Dio di nessuna cosa tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell'uomo. Per l'uomo, infatti, sono state pronunziate tutte le parole divine e per lui sono stati compiuti i misteri della rivelazione. Tutto è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa. Sarete inondati del suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore, al quale vadano gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen. (Gregorio Nazianzeno, vescovo, Disc. 39 per il Battesimo del Signore, 14-16. 20; PG 36, 350-351. 354. 358-359)

In questo giorno, come abbiamo appena udito mentre veniva letta la divina lettura, il Signore e Salvatore nostro fu battezzato da Giovanni nel Giordano e perciò si tratta di una solennità non da poco, ma anzi grande e assai grande. Quando infatti nostro Signore si è degnato di ricevere il Battesimo, lo Spirito Santo scese su di lui in forma di colomba e si udi la voce del Padre che diceva: "Questi è il Figliolo mio diletto in cui mi sono compiaciuto" (Mt 3,17).
Oh, che grande mistero in questo Battesimo celeste! Il Padre si fa sentire dal cielo, il Figlio
appare sulla terra, lo Spirito Santo si manifesta sotto forma di colomba: non si può parlare infatti di vero Battesimo, né di vera remissione dei peccati dove non sia la verità della Trinità, né si può concedere la remissione dei peccati ove non si creda alla Trinità perfetta. L`unico e vero Battesimo è quello della Chiesa, che è dato una sola volta: in esso veniamo immersi un`unica volta e ne usciamo puri e rinnovati; puri perché ci liberiamo dalla sozzura dei peccati, rinnovati perché risorgiamo a nuova vita, dopo aver deposto la decrepitezza del peccato. Questo lavacro del Battesimo rende l`uomo piú bianco della neve, non nella pelle del suo corpo, ma nello splendore del suo spirito e nel candore della sua anima. I cieli pertanto si aprirono al Battesimo del Signore, per mostrare che il lavacro della rigenerazione spalanca ai credenti il regno dei cieli, secondo que,lla sentenza del Signore: "Nessuno, se non rinasce dall`acqua e dallo Spirito Santo, può entrare nel regno dei cieli" (Gv 3,5). Vi entra dunque chi rinasce e chi non trascura di custodire la grazia del proprio Battesimo; e così, per contro, non Vi entra chi non sia rinato.
Poiché nostro Signore era venuto a donare un nuovo Battesimo per la salvezza del genere
umano e per la remissione di tutti i peccati, si degnò di ricevere egli stesso per primo il Battesimo, non per deporre i peccati, lui che non aveva commesso peccato, ma per santificare le acque del Battesimo allo scopo di cancellare i peccati di tutti i credenti rinati nel Battesimo. Egli dunque fu battezzato nelle acque, perché noi fossimo lavati di ogni nostro peccato per mezzo del Battesimo. (Cromazio di Aquileia, Sermo 34, 1-3).

Dinanzi a te io non posso tacere; io sono infatti una voce, precisamente «la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore» (Mt 3,3). «lo ho bisogno di essere battezzato da te,e tu vieni da me» (Mt 3,14)? lo, nascendo, ho reso feconda la sterilità della madre che mi ha partorito; non ero ancora capace di parlare e ho aperto la bocca di mio padre che era diventato muto: ancora fanciullo, avevo ricevuto da te il dono dei miracoli. Tu invece, nato da Maria che volesti vergine, e nel modo di cui tu solo conosci il mistero, non hai sfiorato la sua verginità, ma custodendola le hai dato la dignità di Madre, La verginità non ostacolò la tua nascita, né questa lese la verginità: due cose, di per sé incompatibili conversero in un solo evento. Ciò che per te, creatore della natura, fu non solo possibile ma facile. Io, uomo, sono solo partecipe della grazia divina; tu invece sei lo stesso Dio, anche se fatto uomo, perché sei buono e ami perdutamente il genere umano. «lo ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» Tu, che eri in principio, ed eri presso Dio, ed eri tu stesso Dio; tu che sei lo splendore della gloria del Padre e l'immagine perfetta del Padre che è perfetto; tu che sei la «vera luce, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» tu, essenza del mondo, sei venuto dove già eri, e ti sei fatto carne senza tuttavia mutare natura; tu che sei venuto ad abitare in mezzo a noi nella condizione di servo sotto gli occhi dei tuoi servi; tu, che col tuo santo nome facesti da ponte tra il cielo e la terra: tu, vieni da me? Tu, così grande, a un uomo come me? Tu, Re, al precursore? Signore, al servo? Ma anche se tu non hai disdegnato di assumere la nostra misera natura, io non posso dimenticare i limiti di tale natura. Conosco l'abisso che separa la terra dal suo creatore, la differenza tra il fango e colui che l'ha plasmato. So quanto tu, sole di giustizia, superi col tuo splendore me che sono appena una lucerna della tua grazia. Sebbene avvolta nella candida nube del corpo, io riconosco la tua potenza. Conscio della mia condizione di servo, proclamo la tua magnificenza. Riconosco la sublimità della tua potenza, e confesso la mia bassezza e abiezione. «Non sono degno di sciogliere il legaccio del tuo sandalo» (Gv 1,27), come oserò toccare il tuo capo immacolato? Come stenderò la mia destra su di te, che hai steso i cieli come pelle e hai reso stabile la terra sulle acque? Come aprirò la mia mano di servo sul tuo capo divinò? Come monderò te, immacolato e puro da ogni peccato? Come rischiarerò la stessa luce? Quale preghiera pronuncerò su di te, che ascolti anche le preghiere di quelli che non ti conoscono? (da una «Omelia» attribuita a san Gregorio di Neocesarea, vescovo).

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Siamo obbedienti alla volontà di Dio, affinché si compia ogni giustizia?
La logica del servo di Dio prende anche la nostra vita?
Il mio essere "battezzato" è un conformarmi a questo mondo o invece è un continuo, anche se faticoso, cammino di coerenza cristiana come testimone della Fede in Cristo?
Quanto so essere per gli altri, e per me, uomo della Speranza e della fiducia in Colui che tutto può, anche nei momenti più critici della Vita?
Quanto sono capace di realizzare nei piccoli gesti quotidiani l'attenzione e la Carità verso gli altri?
Pregare
Raccogliamoci in silenzio ripercorrendo la nostra vita battesimale e rispondiamo al Signore con le parole del Salmista (Sal 28)

Date al Signore, figli di Dio,
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore nel suo atrio santo.

La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza.

Tuona il Dio della gloria,
nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!».
Il Signore è seduto sull’oceano del cielo,
il Signore siede re per sempre.

Contemplare-agire
Ripensiamo al nostro battesimo. Guardiamoci immersi nella nuova acqua che il divino amore della Trinità. Sentiamoci prediletti per restare fedeli irradiando amore divino a quanti incontreremo sul nostro cammino.

lunedì 3 gennaio 2011

Lectio divina su Mt 2,1-12

EPIFANIA DEL SIGNORE / A

Lectio divina su Mt 2,1-12

Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra



Invocare
Padre misericordioso, Tu mi hai chiamato ad incontrarti in questa parola del Vangelo, perché tu vuoi farmi vivere, vuoi donarmi tutto te stesso. Ti prego, manda ora su di me, fa' sgorgare da me il tuo Spirito Santo, il tuo Amore di luce e di fuoco, perché possa lasciarmi condurre lungo la via santa di questo brano evangelico. Nessuna tua parola cada a vuoto; nessun seme che tu getti nel campo del mio cuore sia rubato dal maligno, né soffocato dalle spine, né disseccato dall'arsura, ma porti il frutto buono, che è il tuo Figlio Gesù, nostro Signore, nella mia vita e nella vita dei miei fratelli.
Possa anch'io, oggi, uscire dalle mie prigionie per mettermi in viaggio e venire a cercare te; possa riconoscere la stella che tu accendi, come segno del tuo amore, sul mio cammino, per seguirla senza stancarmi, con intensità, con l'impegno della mia vita; possa anch'io, finalmente, entrare nella tua casa e lì vedere il Signore; possa piegarmi, con umiltà, davanti a te, per adorarti e consegnare a te la mia vita, tutto ciò che sono e che ho. E infine, o Signore, per la tua grazia, possa ritornare per una via nuova, senza passare più per i vecchi sentieri del peccato. Amen.

Leggere
1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: 2 «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3 All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: 6 “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». 7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». 9 Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Un momento di silenzio meditativo perché la Parola possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

Passi utili alla meditazione
Nm 24,17; Ml 3,1; 1Cr 19,12; Is 9,1-6; 60,1-6; Ef 3,2-6; Mt 4,14-15, 1Cor 1,27; 2Cor 8,9; Rm 11,17-24; Fil 2,6-7.

Capire
Epifania è una parola che viene dal greco e vuol dire: "manifestazione". In questo giorno celebriamo infatti la certezza che il Signore Dio manifesta il suo Amore ad ogni persona, cioè si fa vedere e conoscere agli uomini e alle donne di ogni parte del mondo. Scrive san Paolo che “si è manifestata la misericordia e l’amore di Dio per gli uomini”. Questa è la Epifania che celebriamo: la rivelazione di Dio nella carne umana, cioè la rivelazione dell’interesse e dell’amore di Dio per l’uomo.
Questa pericope ci offre il bel racconto del percorso dei magi, che vengono da lontano, perché vogliono cercare e accogliere, amare e adorare il Signore Gesù. Ma il loro lungo viaggio, la loro ricerca instancabile, la conversione del loro cuore sono realtà che parlano di noi, sono già scritte sul rotolo della nostra storia sacra. Questo testo ci propone inoltre la grande gioia dei Magi per aver trovato quello che cercavano. La grande gioia della vita è trovare quello che cerchiamo! Sappiamo quello che cerchiamo?
Ma in questo episodio non c’è solo il significato di Cristo, ma anche quello della Chiesa. La pagina dei Magi è una solenne dichiarazione di missionarietà e di universalismo. Questo episodio richiama la conclusione dell’intero Vangelo: “Andate e istruite tutte le genti…” (28,18). Due pagine missionarie che aprono e chiudono la storia di Cristo, con una differenza: nell’episodio dei Magi sono le genti che arrivano a Gerusalemme, alla fine del vangelo è la Chiesa inviata al mondo. Questo seconda annotazione esprime più profondamente la concezione della missione come servizio, come un uscire da sé per andare alla ricerca degli altri.

Meditare
vv. 1-2: Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». I capitoli 1-2 di Matteo raccolgono l'infanzia di Gesù. Il secondo capitolo si apre con l'adorazione dei Magi a Betlemme, luogo di nascita di Davide e luogo di origine del futuro re messia. A conferma di ciò Matteo cita Mi 5,1-3.
Il termine greco magoi (magi da cui il termine italiano) ha una vasta gamma di significati: sacerdoti persiani, detentori di poteri soprannaturali, astrologi: sono l’immagine dei lontani che giungono alla fede. Essi sono la sapienza che viene da altrove, i gentili, non appartenenti alla stessa religione. La menzione della “stella” mostra che essi sono esperti in astrologia. La tradizione cristiana li ha identificati con sovrani provenienti dall’Oriente (ciò lascia pensare alla Mesopotamia, la patria dell’astrologia del mondo greco) e ha fissato il loro numero a tre, ispirandosi ai doni da essi offerti. L’oro, l’incenso e la mirra riecheggiano il Sal 72,10; Is 60,6.
L’arrivo dei Magi è il segno che Gesù compie le promesse antiche, ma il compimento è accompagnato dal giudizio su Israele: i lontani accolgono il Messia e i vicini lo rifiutano. Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa: basti pensare alla parabola dei vignaioli omicidi (21,33ss.) o alla parabola della grande cena (22,1-14), ambedue mostrano che il regno passa da Israele ai pagani, e che questo passaggio rientra nel disegno di Dio.
Per questi uomini, il risultato di una vita che vede le stelle e si muove per viaggiare e con retta intenzione, è una domanda: “Dov’è il re dei Giudei?” non una risposta! Attenzione, non il re della Giudea, ma il re dei Giudei.
La prima parola di Dio rivolta ad Adamo è: “Dove sei?” (Gen 3,9) perché anche l’uomo chiedesse a sua volta a Dio: dove sei? E i due si potessero incontrare. Anche da parte dei magi c’è semplicemente, nascosto nella loro domanda, l’invito che ci viene rivolto di chiederci chi è questo bambino.
L’Epifania, ribadisce e non annulla la primogenitura di Israele: essi sono israeliti, loro è l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, a loro è stata data la Legge, il culto, le promesse, i patriarchi, da loro proviene il Cristo secondo la carne (Rm 9,4-5).
Questi magi sono astrologi, che non sono né re, né tre, né bianchi o neri. Sono studiosi che hanno visto in una stella un segno. La stella, la luce è la ragione umana che sempre indaga e ricerca per condurre l’uomo alla Verità. I Magi non solo vedono ma si muovono, lasciano le proprie certezze per cercare la Verità.
Il racconto dei Magi illustra il tema del Cristo cercato e rifiutato: il Messia è il segno di contraddizione.
Per tre volte nel racconto dei magi risulta il verbo greco dell'adorazione, che di sua natura indica il curvarsi dell'uomo nella venerazione della grandezza divina (Mt 2,2.8.11). Questo gesto sembra anticipare quanto l'evangelista dirà in seguito: “Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e riceveranno a mensa...” (8,11). Dopo l'adorazione, scatta l'intimità espressa attraverso il simbolo del banchetto. Purtroppo l'umanità spesso “ha venerato e adorato la creatura al posto del Creatore” (Rm 1,25). “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” dice Pietro nella sua lettera (1Pt 3,15). Tuttavia l'adorazione non è solo un atto di timore, è anche espressione di adesione gioiosa, di libertà, di intimità.
Questo gesto, desiderio dei Magi all’inizio del Vangelo di Matteo, lo ritroveremo anche alla fine (28,17), da parte degli apostoli, dopo la risurrezione di Gesù al momento della sua ascensione al cielo.
v. 3: All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Dunque Gesù è re. Matteo ha però cura di collocare questo titolo in un contesto di opposizione. Accanto al re Messia c’è il re Erode. E il secondo ha paura del primo. In che senso Gesù può dirsi re? Un cenno alla regalità era già presente nella genealogia: Davide è il re, e Gesù discende da lui. Però fra Davide e Gesù c’è l’esilio, la fine del regno di Davide, la perdita di ogni prestigio politico: Gesù è re, ma senza corona.
Il seguito del vangelo chiarirà meglio questo: il titolo di re è attribuito a Gesù solo nel contesto della Passione, dove ricorre con una certa insistenza. È la passione il luogo dove si coglie il vero significato della regalità di Gesù, una regalità diversa da quella a cui gli uomini sono abituati. Purtroppo Erode con il suo orgoglio non entra in questa dimensione della regalità di Gesù. Si crede l'unico re assoluto, altri non sono che usurpatori. La realtà e la verità è difficile da accettare, da accogliere, da sentire e da vivere. Lo è per tutti. L’illusione crea sempre delusione quando cade. L’illusione è una sicurezza a cui ci attacchiamo; per questo facciamo di tutto perché non cada. E’ una sicurezza, un muro che ci impedisce di vedere ciò che per noi è doloroso e difficile d’accettare. Quando l’illusione cade dentro di te senti la voce: “Ma come?” e rimani attonito, non l’avresti mai creduto. E’ proprio questo il punto: che ogni illusione ti costringe a cambiare credo.
vv. 4-6: Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
C'è un informarsi che significa ricerca. Ma attenzione la ricerca di Erode è negativa non coglie la presenza della Luce. Paradossalmente può accadere quello che dice il Vangelo: i vicini non colgono la presenza della luce. Erode abitava a otto chilometri di distanza da Betlemme, quindi vicino; poteva facilmente trovare il bambino. Non lo ha trovato. I Magi sono lontani dal punto di vista fisico, spirituale e morale; eppure camminano; la luce è sufficiente per dare a loro un itinerario di salvezza. Per questo è il mistero paradossale del Natale che dobbiamo accogliere e fare nostro.
Per tanti aspetti noi siamo i vicini, però questo non ci garantisce. Bisogna che vicini come siamo riusciamo a cogliere questa luce, a lasciarci illuminare. E se siamo lontani per un motivo o per l’altro, però possiamo ricordare che il Natale è per noi, che la manifestazione del Signore è per noi. Non siamo così lontani da non intravedere la luce. Nessuno è così lontano. La luce di Dio è andata a scomodare i Magi, là dov’erano. Così nessuno è così lontano da non potere intravedere questa luce. È a tutti che viene data la possibilità di trasformare il proprio vagabondaggio in pellegrinaggio, il proprio camminare senza meta in un itinerario che ha come meta l’amore di Dio, il luogo dove l’amore di Dio si è manifestato.
Erode sa, attraverso il profeta Michea, che il Messia deve nascere a Betlemme (Mi 5, 1), ma non lo va a cercare. Conoscere le Scritture, conoscere dove abita la verità non è sufficiente per andare incontro al Signore. Il Signore si fa trovare nelle cose piccole e minime: se anche noi non scegliamo questo cammino … sarà difficile trovarlo. Si sperimenta quello che è uno dei drammi della storia dell’uomo e in fondo della storia della elezione di Dio. Il Signore chiama; quando il Signore chiama, ama con un amore di predilezione. Però chi è amato, e chi è scelto, deve stare attento a non trasformare la vocazione e la elezione in privilegio, come se la elezione di Dio lo collocasse al di sopra degli altri, in una posizione di potere. Perché nell’ottica della Scrittura l’elezione di Dio c’è: ha scelto un popolo. Ma non lo ha scelto perché quel popolo allontanasse da sé gli altri, ma perché si rendesse strumento, perché attraverso di lui l’amore e la predilezione di Dio diventasse universale, perché tutti gli altri popoli vedendo quel popolo e vedendo il suo rapporto con Dio venissero condotti a ricercare il Signore.
vv. 7-8: Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». La segretezza è il contrario del viaggio perché solo chi ha un luogo stabile, dei posti dove nascondersi può essere segreto; chi è in viaggio ha bisogno di tutti, è visibile, non può essere segreto. L'indagine meticolosa del sovrano, travestita di devozione, cela, in realtà, gli interessi meschini dell'uomo preoccupato di salvaguardare il suo potere. Il re dei giudei, infatti, era lui; egli riteneva di essere il punto di riferimento e di unità del suo popolo. Ora questa "stella", apparsa improvvisamente nel cielo, viene a sconvolgere le sue prospettive, viene a competere con la sua autorità, la sua ricchezza, il suo prestigio.
Anche lui, come israelita, era a conoscenza delle antiche profezie riguardo al Cristo, l'Unto di Dio. Il suo è un sapere che non ama, un sapere che è al servizio solo di ciò che a lui interessa: il potere. Anche lui, come i suoi connazionali, lo immaginava, tuttavia, come un capo politico, rivestito di forza e potere, un pericoloso concorrente, dunque, che occorreva eliminare prima che fosse troppo tardi.
vv. 9-11: Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Ricompare la stella (notiamo che questa riappare, dopo che "si allontanano" da Erode e da Gerusalemme), che si muove insieme ai magi e li conduce fino al luogo preciso della presenza del Signore Gesù.
Quando Dio entra nella vita degli uomini lo fa sempre utilizzando un "linguaggio" che il destinatario può comprendere, rivelando così la sua condiscendenza: non dobbiamo, dunque, cercare i segni della presenza del Signore al di fuori della nostra storia, ma leggere il nostro quotidiano alla luce della Parola di Dio per scoprire le "stelle" e le "mangiatoie" in cui il Signore si fa trovare.
I Magi provano una gioia… Provare gioia... la presenza del Signore riempie il cuore fino a farlo trasalire di gioia. La sua vista riempie di una gioia profonda, quella che solo Dio può dare all'uomo, ai popoli; quella che ci rende capaci di uscire da noi stessi, superando ostacoli e contraddizioni, per comunicare ad altri ciò che è avvenuto nel nostro incontro con la Luce.
Gli annunzi profetici del Salvatore sono carichi di parole gioiose e di trasalimenti di felicità. "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda... Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine" (Is 9,1-6; cfr. Mt 4,14-15 ).
La gioia è segno della presenza di Dio. Dove c’è Dio c’è amore, gioia, pace. I magi in questo "bambino di periferia" riconoscono il "re della giustizia", lo adorano e scoprono in Gesù colui che avevano lungamente cercato. Poi vedendo "il bambino e la madre" offrono il loro cuore, il loro tesoro e si prostrano in adorazione. In altre parole, aderiscono al progetto di Dio che salva le persone a partire dal piccolo e dal povero e non dai potenti e violenti come Erode.
I magi offrono doni significativi, che ci permettono di cogliere il mistero in tutta la sua profondità: oro, incenso e mirra. Di per sé quelle offerte sono il simbolo del riconoscimento di Gesù come messia, a cui si presenta un tributo di venerazione, come suggeriva la Bibbia: Sal 72, 10-11 (offerto dalla liturgia), come pure Gen 49,10; Num 24,17; Mi 5,1-3; Is 49,23; 60,1-6.
L’oro, rappresenta ciò che uno possiede, ed è segno della regalità; l’incenso, invisibile, segno di ciò che si desidera, la divinità; la mirra che cura e guarisce e indica l’umanità, quello che l’uomo è, la sua mortalità. Davanti al Dio Bambino i Magi mettono tutto se stessi e ricevono da lui Colui che è.
Questo atto di omaggio richiama il cristiano all'esistenza quotidiana da vivere con le buone opere, con l'orazione e col sacrificio.
v. 12: Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese. Avendo contemplato e adorato il Signore, i magi ricevono da Dio stesso la rivelazione; è Lui stesso che parla a loro. Sono uomini nuovi; hanno in sé un nuovo cielo e una nuova terra. Sono liberi dagli inganni dell'Erode del mondo e perciò ritornano alla vita per una via tutta nuova,che il discernimento aveva loro indicato (cfr. 1Re 13,9-10). Una volta incontrato Cristo, non si può più tornare indietro per la stessa strada. Cambiando la vita, cambia la via. L'incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento di abitudini. È un viaggio strano quello dei Magi che parte non sappiamo da dove e ritorna non sappiamo dove. Un viaggio che ha come unico nome e unica gioia quella di una stella che li guida.

Il Vangelo nel pensiero dei Padri della Chiesa
L’oro designa la sapienza, come attesta Salomone: un tesoro prezioso sta sulla bocca del sapiente (Pv 21,20). Con l’incenso che viene bruciato in onore di Dio, si esprime la virtù dell’orazione, come attesta il salmista: la mia preghiera si diriga al tuo cospetto, come incenso (Sl 141,2). Con la mirra è simboleggiata la mortificazione della nostra carne, e per questo la santa Chiesa dice dei suoi fedeli che lottano sino alla morte: le mie mani stillarono mirra (Ct 5,5). Noi dunque offriamo oro al re che è nato, se brilliamo al suo cospetto per lo splendore della soprannaturale sapienza. Offriamo incenso se bruciamo sull’altare del cuore i pensieri terreni attraverso il sacro anelito della preghiera… Offriamo la mirra se reprimiamo i vizi della carne in forza dell’astinenza. La nostra dimora è il Paradiso, e ad essa, dopo aver conosciuto Gesù, , non è possibile ritornare rifacendo la via attraverso la quale ci siamo allontanati. Dalla nostra patria ci siamo infatti trovati lontani a motivo della superbia, della disobbedienza, inseguendo le cose che appaiono…, ed è perciò necessario che vi facciamo ritorno nel pianto, praticando l’obbedienza, disprezzando le cose visibili e frenando i desideri della carne. Ritorniamo dunque alla nostra patria attraverso un’altra via: finiti lontano dai gaudi del Paradiso a motivo dei piaceri terreni, possiamo far ritorno attraverso la penitenza (Gregorio magno, Omelie sui Vangeli 10.6-7).

La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell'universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome» (cfr. Sal 75, 2).
Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l'inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l'Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E' lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L'aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5). «Abramo vide questo giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2). Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l'un l'altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen. (Leone Magno, Discorso 3 per l'Epifania, 1-3. 5)

Alcune domande per la riflessione personale e il confronto
Mi sento davvero attratto verso il luogo del Signore, bramando di trovare Lui, di stare con Lui? Ne so abbastanza, so tutto del Messia e di dove dovrà nascere?
I Magi non cercano il re della Giudea ma il re dei Giudei. Il re è il modello di uomo, l’immagine di Dio. Quale modello, quale immagine cerco?
Posso dire che la “gloria di Dio” trasfigura la mia esperienza concreta, il mio modo concreto, di pensare e di vivere?
A chi mi affido, in realtà? A chi consegno i miei tesori, i miei sforzi, il mio impegno in questo mondo?

Pregare
Raccogliamoci in silenzio ripercorrendo la nostra preghiera e rispondiamo al Signore con le sue stesse parole (dal Sal 72):

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Contemplare-agire
L'Epifania che oggi celebriamo è aprire la nostra vita all'incontro con Cristo ed aprire tutti gli spazi possibili perché egli prenda possesso del nostro cuore e della nostra mente, per assaporare la gioia di appartenergli e di vivere per Lui, con Lui ed in Lui.