Lectio divina su Lc 5,1-11
O Dio, tre volte santo, che hai scelto gli annunciatori della tua parola tra uomini dalle labbra impure, purifica i nostri cuori con il fuoco della tua parola e perdona i nostri peccati con la dolcezza del tuo amore, così che come discepoli seguiamo Gesù, nostro Maestro e Signore.
Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Siamo al capitolo 5 del Vangelo di Luca dove troviamo l’inizio del ministero di Gesù con la chiamata dei primi discepoli e i suoi primi miracoli. Il capitolo si chiude nuovamente con una chiamata: quella di Levi, un esattore delle tasse, che lascia tutto per seguire Gesù.
Questo capitolo apre una nuova sezione (5,1-6,19) in cui cominciano a comparire i primi discepoli; si comincia a comporre il nucleo di quella che sarà poi la comunità cristiana.
La vocazione dei primi discepoli è narrata da tutti gli evangelisti con la differenza che Marco e Matteo concordano quasi alla lettera (Mc 1,16-20; Mt 4, 18-22), Luca e Giovanni procedono in maniera autonoma (Lc 5,1ss; Gv 1,35ss), tuttavia nel vangelo lucano si riscontrano elementi comuni con i racconti di Marco e Matteo.
Il brano di questa domenica è suddiviso in tre momenti: 1) una descrizione dei luoghi dove avvenne la prima predicazione di Gesù (vv. 1-3); 2) la pesca miracolosa (vv. 4-10a); 3) la chiamata di Simone (vv. 10b-11).
La prima chiamata o vocazione che evidenziamo non è il ministero di Pietro o di Isaia, ma la scoperta del proprio peccato da parte dell’uomo (Isaia, Pietro) che si trova davanti alla santità di Dio o di Gesù Cristo; in secondo luogo, un’investitura di missione che l’uomo, pur peccatore, riceve.
L'uomo si incontra con la santità di Dio presente in mezzo agli uomini. Quest'incontro non avviene nel tempio ma sul lago di Gennesaret; gli eventi si svolgono non nel Tempio durante una liturgia, ma nel tempio della vita ordinaria.
v. 1: Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio
In Luca, con il verbo epikeimai, viene indicata una insistenza delle folle nel “giacere sopra” alla predicazione di Gesù. La motivazione della ressa da parte della folla non è folcloristica ma presa dall’ascolto di ascoltare la Parola di Dio. “Una Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 22).
La folla è affamata di Parola, non di miracoli, ma della stessa Parola di Dio piena di conforto, speranza. Hanno compreso la sua importanza nella vita di fede, non come i Nazaretani che si sono posti tra accoglienza e rifiuto e hanno scelto il rifiuto.
Quest'atteggiamento della folla accoglie Gesù come Verbo di Dio attraverso il quale Dio dona la sua Sapienza, la sua Parola divina.
Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret
Il brano è ambientato presso il lago di Gennesaret, situato a nord della terra di Israele ed è conosciuto anche come mare di Galilea o mare di Tiberiade. Gennesaret (Chinarot, Chinneret o Kinnereth cf. 1Mac 11,67; Dt 3,37; Gs 19,35), era un villaggio sulla riva occidentale del mare di Galilea, che Gesù visitò (cf. Mt 14,34; Mc 6,53). Gennesaret in ebraico significa “giardino delle ricchezze” e la forma del lago richiama uno strumento musicale: il Kinnor, l’arpa degli ebrei. In Luca il lago è luogo in cui si manifesta l’onnipotenza divina, così come il monte è luogo in cui Dio comunica, si manifesta con l’uomo.
v. 2: vide due barche accostate alla sponda
Sembra che in Luca i verbi vocazionali spariscono o vengono modificati. Il v. 1 terminava dicendo che Gesù "stava presso..." e non "passò" come generalmente siamo abituati ad ascoltare. Luca usa in questo versetto il verbo vedere che è rivolto verso non persone ma delle barche poste presso il lago.
Le barche rappresentano la vita e Gesù vide questa vita quasi arenata su se stessa come se non ci fosse più nulla da fare.
I pescatori erano scesi e lavavano le reti.
Luca ha inserito l'articolo, non a caso e tantomeno perché doveva essere messo. Esso indica che i pescatori sono padroni delle barche e non allude a pescatori in genere ma ai proprietari di quelle barche.
Questi uomini svolgevano la loro attività, svolgevano la loro routine quotidiana, tipica scena che possiamo riscontrare sulle nostre coste, immortalata anche da grandi pittori contenente in sé una certa malinconia, in quanto che la pesca sia finita bene o male, resta da preparare la pesca successiva.
Il v. 2, in realtà, presenta un percorso di fede che si concretizza in un incontro con il Signore Gesù. In questo versetto inizia il “miracolo”. L'uomo è chiamato dalla vita statica, dalla vita di morte alla vita eterna.
v. 3: Salì in una barca, che era di Simone
In questo versetto viene specificato il proprietario di una barca: Simone (che Luca ama privilegiare nel Vangelo). L'insegnamento di Gesù avviene su questa barca, elemento non marginale se si pensa che dopo la sua resurrezione il suo messaggio sarà trasmesso appunto da Pietro e dagli altri Dodici.
Gesù sale sulla barca della nostra vita. Egli ne è Signore. Sale sulla barca per riempire quella vita malinconica, per ridare speranza, gioia, coraggio. per renderci fecondi.
e lo pregò di scostarsi un poco da terra
Interessante quest'atteggiamento di Gesù nei confronti di Pietro e nei confronti dell'umanità. È un atteggiamento molto delicato. Non si impone. Sapientemente lo prega di scostarsi. È l'amore di Dio che entra nella vita altrui in punta di piedi e soprattutto con amore.
Sedette e insegnava alle folle dalla barca
Vengono utilizzati due verbi: kathízō e didáskō. Questi verbi indicano l’azione propria del Maestro in cattedra: Gesù seduto in trono insegna, in quanto è la sapienza divina discesa tra gli uomini e le folle non fanno altro che ascoltarlo con attenzione, sino alla fine.
v. 4: Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca.
Qui inizia un'azione nuova: Gesù infonde coraggio. Fa rimettere la vita in gioco. Il testo latino dice “duc in altum”, letteralmente “conduci te stesso in alto”.
In queste parole ci sta un invito a salire verso la fonte del proprio essere, senza guardare eventuali situazioni di adattamento, perché è il tempo del kairos, il tempo dell'incontro, il tempo della vita.
Duc in altum richiede piena fiducia. Infatti, il prendere il largo è un andare verso la profondità che significa rimettersi in gioco nel mare aperto. Questo è il significato della Parola del Signore: essa serve per liberare dal male, quindi per pescare l’uomo dall’abisso e tirarlo fuori alla luce, per farlo venire alla luce e generarlo con questa stessa Parola.
Tutti noi siamo chiamati ad andare al largo per pescare. Non dobbiamo avere paura di andare nel mondo, qui simboleggiato dal mare.
v. 5: Simone rispose: Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla
Anche Simone ha un atteggiamento docile, come il suo nome. Simone, infatti, in ebraico significa: “colui che ascolta”. Simone ha messo docilmente il suo orecchio alle parole di Gesù; qui vuole solo giustificare la nottata carica di fatica e senza risultati. Lo chiama usando quest'appellativo: “Maestro” (in Luca questo appellativo lo troviamo sette volte, al posto di “Rabbi”). Simone riconosce in Gesù il Messia, l'unto di Dio. Riconosce le qualità del capo e subito si pone sotto le sue direttive e ne professa la fede.
ma sulla tua parola getterò le reti
La decisione di Simone è ricca di significato, perché richiama la professione della fede. La fede vuol dire che la parola del Signore diventa più importante e determinante nelle scelte di ogni altra prospettiva; in questo caso più importante dell’esperienza professionale dei pescatori. L’esperienza direbbe: non serve a niente gettare le reti adesso; la Parola dice: gettate le reti. Il Signore ci chiede di obbedire a Lui, di obbedire anche quando sembra che l’obbedienza debba rivelarsi inefficace e inutile: non importa, si tratta di obbedire al Signore.
vv. 6-7: Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano.
Secondo il profeta Ezechiele, l’abbondanza della pesca era segno della benedizione divina e la pesca abbondante è per l’acqua che esce dal tempio di Gerusalemme (cf. Ez 47). Il giusto ascolto è produttivo. L'obbedienza della fede produce abbondantemente. Fa' riconoscere che quella pesca abbondante non è frutto del nostro lavoro, delle nostre mani ma di Dio.
L’evangelista Giovanni parla di 153 grossi pesci (Gv 21,11), valore numerico della parola “tov”, che in ebraico vuol dire buono, bene, bello. È quella pienezza che contiene ogni bellezza e ogni grandezza tutti insieme: c’è tutta l’umanità in fondo raffigurata in questa pesca che finalmente viene liberata dall’abisso e portata a riva sulla terra. Inoltre, nelle reti che non si rompono abbiamo il simbolo dell’unità della Chiesa, che nonostante la sua espansione, potremmo aggiungere anche gli scismi a cui va incontro, non si romperà mai. Ecco perché questa esperienza di fede non si può vivere da soli.
Nel versetto seguente abbiamo il richiamo all'unità dell'unica fede da vivere nella stessa barca, nello stesso mare. La sequela è per tutti. Il v. 11 lo evidenzierà!
Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Il versetto ha lo scopo di sottolineare, ancora una volta, l’abbondanza inaudita della pesca e anche di ribadire (cf. il plurale «calate» del v.4) la necessità della collaborazione dei tre compagni presenti (cf. Gv 21,8a). L’incontro con Gesù non è mai chiuso, ma spinge sempre alla comunicazione, alla condivisione. Nella comunità cristiana ci si aiuta, ci si sostiene, si riconosce il bisogno che uno ha dell’altro e allora il gruppo diviene una vera fraternità.
v. 8: Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù.
In questo versetto Luca al nome di Simone aggiunge anche Pietro (prima e ultima volta, cf. anche Mt 16,16). Forse sarà un'anticipazione di 6,14 ma qui ci sta il "concepimento" della vocazione di Pietro, di quanto lui sarà nella comunità cristiana. Non per nulla si getta ai piedi. L'incontro tra l'umano e il divino diventa grazia da vivere. La creatura imperfetta si unisce al suo Creatore Perfetto.
Signore allontànati da me, perché sono un peccatore.
Simon Pietro riconosce il suo Signore. Lo chiama Kyrios e, in quanto tale, riconosce la sua onnipotenza divina. Nell'AT questo titolo appartiene a Dio. Simone, ora, riconosce di essere davanti alla santità di Dio per questo reagisce riconoscendosi peccatore.
“Sono un peccatore” è la reazione dell'uomo che prende coscienza di essere dinanzi a Dio. Anche il profeta Isaia, quando si trova nel tempio ha una visione mistica, vede il tempio che si spalanca, quasi sul tempio del cielo, e vede sul trono Dio con accanto a lui i serafini che intonano il Trisaghion: “Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti, tutta la terra è piena della sua gloria” (Is 6,3). Di fronte a questa rivelazione Isaia reagisce come Simon Pietro: «Ahimé, io sono perduto, perché uomo dalle labbra impure io sono, e in mezzo al popolo dalle labbra impure io abito. Eppure, i miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti» (Is 6,5).
Simon Pietro e l'uomo di ogni tempo, vedendo la gloria di Dio rimane annientato perché la propria vita rimane legata a doppio filo con quella di Gesù. Anche per Paolo sulla via di Damasco sarà la stessa cosa.
vv. 9-10a: Lo stupore, infatti, aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone.
C’è uno stupore religioso che invade Simone e i suoi compagni pescatori. Lo stupore, come abbiamo visto, è anticipato da una fede-fiducia nella Parola di Gesù. Ogni “uscita” nel mare della vita, deve essere sempre fatta su indicazione di Gesù, va eseguita con fede piena nella sua Parola, altrimenti risulterà sterile e inutile.
v. 10b: Gesù disse a Simone: «Non temere».
Ancora una volta (anche due), Gesù tocca il cuore dell'uomo. L'espressione non temere (espressione molto cara a Luca) non sta a significare "non avere paura" ma piuttosto l'atteggiamento di adorazione nei confronti di Colui che chiama. Nella Bibbia quest'espressione la troviamo più di 350 volte. Accenniamo quelle più comuni: “Non temere, Abramo. Non temere, Mosè. Non temere Maria. Non temere, Giuseppe”. Ai pastori di Betlemme l'angelo disse: «Non temete, vi annuncio una grande gioia: oggi vi è nato un Salvatore» (Lc 2,10). “Non temete”. È la prima parola che l’angelo rivolse alle donne giunte al sepolcro (Mt 28,10). Anche Gesù amava ripeterla.
«d'ora in poi sarai pescatore di uomini».
Il mare, secondo la Bibbia, era popolato da mostri marini: il Leviatan (Gb 3,8; 40,25-32; 41,1-26; Sal 74,14; 104,26), il serpente tortuoso (Gb 26,13), il drago (Is 27,1), il mostro marino Rahab (Gb 9,13;7,12). Per gli antichi era anche la sede dei demoni, allora, l'immagine è molto forte e significativa: Simon Pietro sarà pescatore di uomini, cioè a lui toccherà in sorte il nobile impegno di strappare gli uomini dal dominio di satana e liberarli dal giogo del peccato e della morte.
Al termine "zogron" (tradotto con pescatore) richiama a quel salvare dalla morte. Il termine è composto da "zos" che significa "vivo" e da "agreo" che significa "catturo" In questo senso va il termine: salvare per condurre alla vita. Dice san Girolamo: "In noi le leggi della natura sono cambiate. Infatti, quando i pesci sono tirati fuori dal mare, muoiono. Ma gli apostoli ci hanno tirati fuori dal mare di questo mondo per farci passare dalla morte alla vita".
v. 11: e tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
È la conclusione. Nasce il “seguimi” (cf. Mc 1,17). Luca ne sottolinea la prontezza col termine “lasciarono tutto” (assente negli altri sinottici). Le stesse parole le troviamo in Marco e in Matteo nella prima chiamata. Riconducono le barche sulla terra e lasciano tutte le cose. Perché le lasciano? Perché hanno trovato il loro tutto. Tale “totalità” nella sequela del Cristo costituisce un elemento caratterizzante di Luca, che accentua molto il radicalismo evangelico [...]. Infatti, secondo l'insegnamento di Luca, per essere autentici discepoli del Cristo, bisogna rinunciare a tutti i propri beni (Lc 14,33) (Salvatore A. Panimolle). Totalità che Pietro vivrà con intensità fino al dono totale della sua vita.
Quando si dice che il discepolo lascia tutto s’intende che lascia tutto perché non lascia niente, perché prende tutto, ha trovato infinitamente di più, tutto quel che cercava e adesso è pronto a seguirlo, cioè a percorre la stessa strada di Gesù.
Come reagiamo davanti all’ascolto della Parola di Dio?
La Parola offre la vita e purifica dal peccato: sperimento questa realtà nella mia vita?
L'ascolto della Parola nella celebrazione eucaristica domenicale e nella preghiera quotidiana come cambiano il mio modo di pensare e di agire?
So offrire questa Parola di vita ai miei fratelli e sorelle?
“Lasciarono tutto e lo seguirono”. Cosa devo lasciare per seguire Gesù?
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore!
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani. (Sal 137).