martedì 11 marzo 2025

LECTIO: II DOMENICA DI QUARESIMA (Anno C)

Lectio divina su Lc 9,28-36
 

Invocare
O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
In questa seconda domenica di Quaresima, troviamo alla nostra meditazione il brano della Trasfigurazione del Signore Gesù. Il racconto lo possiamo leggere nei tre Sinottici con alcune differenze redazionali. In Luca ci viene proposto da un lato, come risposta a tutta una serie di interrogativi sull'identità di Gesù (Lc 9,7-9 e 9,18-22), che precedono il racconto stesso; dall'altro, come preparazione e introduzione al cammino di Gesù verso Gerusalemme, in cui si compiranno i misteri della nostra salvezza (passione, morte e risurrezione) e che occuperà ben dieci capitoli del Vangelo lucano: dal 9,51 al 19,28.
Inoltre, in questi discorsi, che precedono la trasfigurazione e ai quali essa si aggancia, Gesù colloca la comprensione della sua identità all'interno di una cornice di sofferenza e di morte, quasi a dire che soltanto entro tale contorno egli può essere compreso correttamente (Lc 9,22). Non solo, ma evidenzia come chi vuole seguirlo deve, anche lui, rinnegare se stesso, prendere e la sua croce (Lc 9,23-27). Vengono, pertanto, dettate qui le regole della sequela e del discepolato.
Entro tale cornice va letta la Trasfigurazione.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 28: Circa otto giorni dopo questi discorsi
Nel versetto precedente, Gesù aveva detto una certezza per alcuni chiamati a vedere il volto di Dio che è la luce del nostro volto ed è la salvezza di ogni uomo che si apre all’ascolto: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio». Ora Luca apre il suo racconto agganciandosi ai discorsi precedenti che riguardavano l’identità di Gesù, quasi a dire che in quei discorsi già vi è la risposta agli interrogativi che Erode, i discepoli e la gente si ponevano sull’identità di Gesù. E qui Luca comincia subito con una precisazione di tempo.
Che senso ha nel racconto questa precisazione di tempo? Perché proprio otto e non sei, come in Marco o in Matteo?
La risposta ce la fornisce Luca stesso in 24,1 dove ci parla della risurrezione di Gesù: «Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino»; essendo il sabato il settimo giorno della settimana ebraica, il giorno dopo, in successione di tempo e di numeri, è l’«ottavo giorno».
L’ottavo giorno è quell’unico ed eterno giorno da vivere alla luce della Pasqua. Possiamo dire che l'ottavo giorno sarebbe il lunedì, perché il sesto giorno è il venerdì, ed è creato l’uomo, il settimo giorno è il giorno del Signore.
Luca si pone nell’ottavo giorno, cioè anche nel lunedì, nella quotidianità, noi viviamo già oltre il settimo giorno, viviamo già alla luce della resurrezione tutta la nostra vita.
Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo
Gesù «prende con sé» alcuni suoi discepoli già annunciati al versetto 27 e li associa alla sua “avventura”, poiché soltanto partecipandovi, essi possono qualificarsi come “discepoli” in quanto condividono la sorte del Maestro. Questa presenza dei discepoli (i primi ad essere chiamati) è indispensabile, poiché si tratta non solo di comprendere il Messia ma anche un mettersi, in modo particolare, alla sua sequela.
salì sul monte a pregare.
Il monte di cui si parla in realtà è un monte “teologico”, che richiama le realtà teologiche. Nell'antichità, il monte era compreso come il luogo dell'abitazione della divinità. Salire sul monte significa entrare in una dimensione divina. Questo salire sul monte richiama la storia di Israele nella vita di Gesù, rivissuta questa volta in fedeltà a Dio. Come Mosè, salito sul monte con tre persone in rappresentanza del popolo (cf. Es 24,1-3), anche Gesù qui sale il monte di Dio con tre discepoli, rappresentanti della nuova comunità messianica, costituita nella fedeltà a Dio e in conformità alle sue esigenze.
Che questo sia il contesto a cui Luca si rifà lo fa pensare anche la presenza di altre parole che lo richiamano: esodo (tradotto in italiano con “dipartita”), Mosé, le tre tende, il monte su cui salgono. Luca, quindi, vede in Mosè una prefigurazione di Gesù.
Ora Gesù sale sul monte per la preghiera (solo Luca annota il particolare della preghiera), quasi a dire che la preghiera ti eleva e ti fa entrare nella dimensione divina. È un momento particolare della sua vicenda umana e Gesù ha bisogno di rinnovare la sua comunione con il Padre nello Spirito Santo.  
Questa preghiera avviene “otto giorni dopo”, tempo in cui si celebra l’Eucarestia. Nell’Eucaristia noi sperimentiamo la Trasfigurazione, perché nell’Eucaristia rendiamo grazie a Dio e, in questo rendimento di grazie, noi vediamo già la gloria e la Risurrezione.
v. 29: Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.
La Trasfigurazione è un evento epifanico perché è un’anticipazione della Pasqua e non solo per l’aspetto sfolgorante delle vesti del Signore, ma anche per l'anticipazione di tutto il mistero pasquale. Non c’è trasfigurazione senza il mistero dell’uomo sfigurato e l’uomo sfigurato porta sempre con sé il mistero della trasfigurazione.
Come abbiamo detto, a differenza degli altri Sinottici, Luca sale anzitutto sul monte per pregare ed è proprio durante la preghiera, in quel momento intimo col Padre, che avviene la trasfigurazione, in quel momento preciso che Gesù viene investito dallo splendore di Dio al punto tale da venirne assorbito completamente.
Occorre sempre pregare, senza stancarsi (cf. Lc 18), cioè non far affievolire la fede per cadere nel dubbio e nell’incertezza. Ecco l’importanza dell’Eucarestia, senza di essa c’è solo morte: «Sine dominico non possumus», dicevano i santi martiri di Abitene. Mentre pregava, come Luca sottolinea che le sue vesti divennero candide, sfolgoranti. Non dice letteralmente che si trasfigurò, ma che il suo aspetto, il suo volto «divenne altro». Tutto questo simboleggia la condizione divina, infatti, «Altro» è l’attributo di Dio.
Qui si contempla Dio, si contempla la sua santità. Il mistero del Tabor è mistero di preghiera, in cui Gesù prega e insegna a pregare. Pregare sempre significa entrare nella santità di Dio: «siate santi perché io sono santo» (Lc 19,2). Ecco la nostra preghiera: chiamati a contemplare, a volto scoperto, la gloria del Signore faccia a faccia. «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18). Se stiamo davanti a Lui il nostro volto è luminoso, se stiamo davanti a noi stessi il nostro volto è tenebroso.
vv. 30-31: Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Qui appaiono “due uomini” che testimoniano la “doxa” di Dio: Mosè ed Elia. Questi rappresentano due personaggi importanti dell’esperienza d’Israele che hanno vissuto un’esperienza intima, particolare, con Dio. Il Libro dei Numeri dice che «Mosè parlava con Dio bocca a bocca» (cf. Nm 12, 7-8), come si parla con un amico, quindi non da lontano; il profeta Elia era colui che stava alla presenza di Dio (cf. 1Re 17,1), una presenza che si fa passaggio (cf. 1Re 19,11), che si fa silenzio (cf. 1Re 19,12); il rapporto di Mosè e di Elia con Dio è stato di intimità unica che ancora oggi testimoniano che Dio è il vivente, non un morto, non un oggetto, non un idolo.
Nel Vangelo, essi sono rivolti a Gesù e parlano con lui. Il “parlare con” dice comunione e comunicazione; dice che tra l'Antico (Mosè ed Elia) e il Nuovo Testamento (Gesù) non vi è frattura, ma continuità dialogica. In altri termini, la storia della salvezza, qui simbolicamente rappresentata, è un unico atto salvifico di Dio, scandito in due tempi: la Legge e i Profeti che trovano la loro naturale confluenza in Gesù. Gesù ricorderà questo in Mt 5,17: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento». Gesù, dunque, viene presentato come la chiave di lettura dell'Antico Testamento e il punto di confluenza di tutta la storia della salvezza, che in lui trova il compimento.
Un elemento che viene messo in risalto qui da Luca è “l'esodo di Gesù”. Luca è l’unico a dirci di che cosa hanno parlato: hanno parlato della sua dipartita. “Dipartita” è la traduzione del termine exodus, del suo esodo, della sua uscita “che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme”. L’“esodo” è chiaramente la passione e la morte, ma non solo, anche la risurrezione; morte, risurrezione e ascensione, tutto questo è l’esodo di Gesù, è l’uscita di Gesù. La morte e la risurrezione di Gesù non sono casuali, ma sono annunciate e profetizzate da tutto l’Antico Testamento. Adesso Gesù può iniziare il suo cammino verso Gerusalemme, dove poco alla volta rivelerà un tratto del suo volto che si vedrà in pienezza sulla croce.
v. 32: Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Nonostante che i discepoli, e in particolare Pietro, vengono caratterizzati come coloro che non si dimostrano mai all’altezza della situazione, Luca vuole anticipare l'ambiente che precede immediatamente la cattura di Gesù nell'orto di Getsemani (cf. Lc 22,45-46): anche in questo contesto Gesù prega.
Il sonno di cui sono oppressi i discepoli, è un sonno teologico. Infatti, si trovano estranei una rivelazione di Dio, non riescono a percepire con chiarezza quello che ha di fronte.
Questo “sonno” è il segno di un mistero nel quale i discepoli stanno entrando lentamente. Vedono, ma non vedono tutto o non capiscono con chiarezza. Come era capitato ad Abramo, quando il Signore ha fatto alleanza con lui (cf. Gen 15, 12). Come era capitato a Adamo, quando il Signore ha creato la donna e ha fatto scendere su di lui un torpore perché Adamo si addormentasse e non fosse testimone del come Dio ha fatto le sue opere (cf. Gen 2, 21). Il “come di Dio” deve rimanere misterioso.
I due sonni, quello del Getsemani e questo, sono piuttosto strani: là i discepoli si sono addormentati per la tristezza; qui sono appesantiti dal sonno, ma stanno svegli, tengono gli occhi aperti. Questo vuol dire che la Trasfigurazione la possiamo vedere se teniamo gli occhi aperti su Gesù, che muore in croce per noi.
Questo versetto è un esaminare il proprio sonno per vedere se stiamo anche noi nella trasfigurazione e camminando verso Gerusalemme con Gesù.
v. 33: Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva.
C’è una reazione puramente umana a una separazione. Anzitutto la bellezza, quella bellezza che anche Dio esclamò nella creazione: «e vide che era bello» (cf. Gen 1,4.10.12.18.21.25.31). Pietro vede questa bellezza che è la bellezza di Dio ma è anche la stessa bellezza che abbiamo ciascuno di noi nel Figlio, perché noi siamo chiamati a vedere questa bellezza e a rifletterla sul volto. Siamo a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,27), siamo figli nel Figlio (cf. Gv 1,12; 1Gv 3,1-3; Rm 8,15-16).
Ora questa forte esperienza ognuno la vive diversamente ma è tentato a vivere questa diversità separatamente e non condividendola. Notiamo Pietro che fa una richiesta particolare: costruire tre capanne (o tende). La capanna o la tenda richiama alla Tenda dell’Arca dell’Alleanza che fungeva da tempio durante il cammino di Israele nel deserto e indicava la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Questa esprimeva una sorta di luogo fisico in cui Dio si rendeva sempre presente. In altre parole, Pietro non fa altro che chiedere a Gesù di rendere presente anche fisicamente la gloria di Dio, così tutti avrebbero creduto.
È una tentazione, è una sfida lanciata al Signore e che magari ci appartiene. Più tardi Gesù ne sentirà un’altra di sfida dai suoi crocifissori: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto» (Lc 23,35). Il vecchio Israele non comprende, Pietro non sapeva quello che diceva. Si ragiona troppo in termini umani, così che il piano di Dio rimane nascosto e irraggiungibile.
Con questo suo intervento, Pietro ha colto correttamente la rivelazione della gloria di Dio in Gesù, ha colto la profezia della risurrezione e vorrebbe insediarsi nel mistero della risurrezione, vorrebbe abitare lì dove c’è la pienezza della gloria, ma il problema è che quella realtà della gloria giunge solo al termine del cammino della croce, quindi bisogna percorrere il cammino della croce per arrivarci, non ci si può arrivare evitando il cammino della sofferenza, di non prendere la propria croce per seguire il Signore. Perché quanto sta sperimentando è la gloria, ma legata alla croce e Pietro non se ne rende conto. Occorre quindi essere noi la Tenda nella vita di tutti i giorni per manifestare la gloria di Dio, quella gloria che è già in noi.
v. 34: Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura.
L’intervento di Dio spezza l’ideale errato. Nel mondo biblico la nube sta ad indicare la presenza di Dio ed esprime una teofania, cioè una manifestazione divina.
Questa nube che sul monte indicava la Dimora di Dio (cf. il verbo shakan, da cui Shekinah) passò sul tabernacolo costruito da Mosè nel deserto (cf. Es 40,34-35) e, nell’ora della dedicazione del Tempio, riempì il Santo (cf. 1Re 8,10-12). Questa nube è dunque la Presenza di Dio, letta dalla tradizione rabbinica come Presenza attraverso lo Spirito Santo, è la gloria stessa di Dio. L’introito della messa latina giustamente dice: «Lo Spirito Santo apparve nella nube luminosa e la voce del Padre risuonò».
Dove c’è questa nube lì Dio è presente, ma dall’altra naturalmente la nube nasconde, vela, impedisce di vedere in modo perfetto e pieno. Ed è questa la percezione della gloria di Dio che ci viene donata fino a che siamo sulla terra: il Signore c’è e la sua gloria è presente, ma nello stesso tempo è una gloria velata che non possiamo contemplare senza l’oscurità della fede.
v. 35: E dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!».
La nube che vela è anche la nube che rivela: ed ecco la voce che dichiara Gesù l’eletto. Al centro della trasfigurazione c’è una proclamazione di fede; è la rivelazione dell’identità di Gesù fatta da Dio stesso: un riconoscimento di un legame unico di intimità e di comunione che lega quell’uomo, Gesù di Nazaret, a Dio; quell’uomo è “l’eletto di Dio”, l’unico; è colui nel quale Dio, come Padre, si riconosce: «è il mio Figlio, l’eletto». Qui si riprende la stessa rivelazione avvenuta al Battesimo (cf. Lc 3,21-22), ma accompagnata dall'imperativo: “ascoltatelo”.
Il Salmista canta: «Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato» (Sal 2,7). Questo salmo veniva recitato da Israele nel momento dell’intronizzazione del suo re, considerato come figlio di Dio. Gesù, qui, non solo è visto come il vero Figlio di Dio, ma anche come il vero re d'Israele.
Con il titolo "l'eletto", Luca si riferisce a Is 42,1: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio». Questa citazione è stata tratta da uno dei quattro canti del Servo di Jahweh, che Isaia presenta come il Servo sofferente di Dio e ripresa dall'evangelista.
La dichiarazione si conclude con l'appello: "ascoltatelo", che richiama Dt 18,15: "Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a te; a lui darete ascolto". Gesù, dunque, viene assimilato a questo "profeta pari a te", cioè pari a Mosé, in cui Gesù è prefigurato. Egli diventa ad essere, pertanto, il vero "profeta escatologico" in mezzo agli uomini, cioè l'ultimo discorso che Dio fa agli uomini, a cui è associato il giudizio definitivo, che pesa sull'intera umanità: «chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,18).
v. 36: Appena la voce cessò, restò Gesù solo.
L'Evangelista sottolinea per noi questa solitudine. “Solo” vuol dire anzitutto senza la presenza di Mosè e di Elia, e quindi senza la presenza di quella consolazione che la presenza di Mosè ed Elia portava. “Solo” vuol dire anche che la voce risuonata dal cielo scompare e con lei la visione celeste. Ciò che rimane è Gesù, il frutto di questa voce. Gesù, qui, è associato alla voce celeste, anzi, è lui la voce del Padre venuta dal cielo; lui il Verbo eterno del Padre in cui questa voce continua a risuonare e che adesso dobbiamo ascoltare per essere trasfigurati.
Gesù deve iniziare il suo cammino verso Gerusalemme; lo farà, questo cammino, rafforzato dalle consolazioni del Padre; e tuttavia lo farà da solo, col peso della croce dove la sofferenza è ben presente e sperimentabile, la gloria invece è futura e affidata unicamente alla fedeltà di Dio.
Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Di fronte ad un evento sovrannaturale, alla comprensione di una presenza divina in cui si sta attuando il progetto di Dio, da secoli nascosto agli uomini, ma ora reso presente e rivelato in Gesù, l'uomo non può che tacere, perché questa è una esperienza straordinaria impossibile da “raccontare” se non alla luce della morte e resurrezione del Cristo. Si sente l'eco qui della reazione delle donne di fronte alla tomba vuota e all'annuncio dell'angelo che il Crocifisso è risorto: «Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura» (Mc 16,8).
Di fronte ad un Dio che parla l'uomo non può che tacere. Il silenzio si addice di fronte al mistero che si compie. Sarà il Risorto stesso ad aprire la loro intelligenza e comprensione allora sì che parleranno (cf. Lc 24,13-35).
A noi che stiamo dinanzi a questa Parola non rimane che credere che Gesù è il Figlio, che Gesù è Parola di Dio, colui in cui Egli si è compiaciuto per amore dell’uomo.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Riconosco in Gesù la piena e definitiva manifestazione dell'amore di Dio, il punto più alto di questa storia che crea Alleanza?
Ho vissuto mai un vero incontro con Dio (trasfigurazione) durante la preghiera?
Riesco ad ascoltare la voce del Signore? Mi soffermo sulle sue parole o scappo via?
Quale è il mio esodo per vivere con Gesù questo mistero di passione e morte per essere trasfigurato (risurrezione) con Lui?
So ascoltare nella contemplazione del cuore Dio che continuamente parla alla mia vita?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?
 
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.
 
Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
 
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. (Sal 26)
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Siamo invitati a trasferire il “Tabor” nella vita di tutti i giorni: nei momenti di buio, di dubbio, di dolore, di gioia con la coerenza e la fedeltà alla Parola ascoltata per trasfigurare la nostra vita vivendo da risorti!