mercoledì 1 gennaio 2025

LECTIO: II DOMENICA DOPO NATALE (Anno C)

Lectio divina su Gv 1,1-18
 

Invocare
Padre di eterna gloria, che nel tuo unico Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
La liturgia della Parola di questa domenica ci invita a inserire il mistero del Natale appena celebrato nell'ampio quadro della storia della salvezza. Torniamo quindi a meditare sullo stesso Vangelo che abbiamo ascoltato e meditato nel giorno di Natale. C'è un'esigenza diffusa di rinascita; tutti ne sentiamo il bisogno. Non è possibile che le cose continuino come sono. Eppure, continuiamo a dire che è impossibile cambiare le cose e ancor più difficile trasformare il cuore degli uomini.
Il prologo di Giovanni è costituito dai primi 18 versetti del Vangelo. All'interno di questo testo di carattere poetico, ci sono alcune sezioni (vv. 6-8 e il v. 15), quelle che parlano di Giovanni Battista, che hanno un andamento più prosaico e che, se lette in greco, sembrano meno ritmiche delle altre. Questi versetti sono il riferimento ad un uomo all'interno di un inno molto solenne che vuol parlare di un Essere infinitamente più importante di un uomo, il Lógos, di cui si afferma che addirittura è uguale a Dio. E questo crea una certa sproporzione. Ciò ha fatto sorgere l'ipotesi che i passi riguardanti il Battista siano delle aggiunte, probabilmente dallo stesso Evangelista, fatte in epoche successive alla prima stesura.
Il prologo di Giovanni, che la Liturgia ci propone come Vangelo del giorno di Natale, deve condurci a celebrare questa festa in modo più pieno e profondo, superando quella riduzione folcloristica e sentimentale, alla quale si indulge facilmente, ma che non lascia una grande traccia nella fede e nella vita dei fedeli, anche nella nostra.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 1-2: In principio era il Verbo
La costruzione grammaticale greca utilizzata per esprimere “In principio” è “en archè”; per correttezza sintattica dovrebbe esserci l'articolo: “en te archè”, cioè “Nel principio”. Molti esegeti hanno osservato che l'articolo non è stato messo di proposito perché tale espressione vuole alludere alla stessa parola che si adopera all'inizio della Genesi per dire “In principio”. Nella Genesi “In principio” è scritto “barescít”, ebraico, che in questo caso ha la stessa costruzione del greco.
La conclusione è che chi ha cominciato il quarto Vangelo ha voluto iniziare ripetendo in greco la stessa parola che c'è in ebraico nella Genesi. La Genesi inizia con: “In principio Dio creò il cielo e la terra...” (Gen 1,1) il Vangelo di Giovanni inizia con: “In principio era il Lógos”.
Si vuole allora creare un'identità temporale fra le due situazioni e dire: “In principio, quando Dio creava il mondo, il Lógos era”.
Il termine lógos letteralmente vuol dire “parola” ma nel mondo greco voleva dire anche “pensiero”; nel linguaggio degli stoici era usato per indicare il “pensiero divino” che è impresso nel mondo e lo governa, che si riflette poi anche nel pensiero degli uomini dando loro la possibilità di conoscere l'ordine del mondo.
Il termine lógos è anche inteso nel mondo greco come “legge che regola l'universo”, “principio generale” dell'unità del cosmo, “anima che rende vivo il tutto”. Grazie al Lógos l'universo è come un grande organismo e nell'uomo si manifesta come “ragione”.
Già nell’Antico Testamento è presente l’immagine della Parola (Verbo) di Dio e della Sapienza che è in Lui, per mezzo della quale ogni cosa è stata creata; essa esiste da sempre ed è stata inviata sulla terra per rivelare i misteri della volontà divina e ritornerà a Dio dopo aver compiuto la sua missione. Anche Giovanni, nel suo stupendo Vangelo, riprende gli stessi concetti (forse in modo più poetico) rilevando, però, che la Sapienza (la Parola di Dio) è il Verbo fatto carne, il Cristo, la rivelazione dell’Emmanuele, il Dio con noi, il Figlio “diverso” anche se “uguale” al Padre.
il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Il Verbo “era”, anzi “era Dio”: la rivelazione anticotestamentaria non ha trovato nella razionalità umana una categoria migliore per esprimere la realtà di Dio di quella dell'essere. A Mosè Dio si dette a conoscere dicendo “Io sono” (Es 3,14). Gesù applicherà a sé stesso questa definizione (cfr. Gv 8,58; 13,1) dichiarandosi uguale a Dio (5,18).
Il “presso Dio” in greco è scritto con pròs (pros) e l'accusativo, che indica movimento, che non indica una situazione statica, “fermo presso Dio”. Non è stato usato parà, che indica uno “stare accanto”, ma pròs che esprime una vicinanza più intima (che però non è fusione), rivolto verso Dio, in relazione a Dio. Nei Proverbi, quando si parla della Sapienza, di lei si dice: «All'inizio il Signore mi ha generata, primizia della sua attività, origine delle sue opere, ... Io ero accanto a lui come bambino ed ero la sua gioia quotidiana, alla sua presenza, mi divertivo di continuo». (Prv 8,22). Vi è quindi identità fra Lógos e Sapienza.
v. 3: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In greco la parola “tutto” sta a significare “tutte le singole cose”, “ogni cosa”. L'espressione “è stato fatto” in greco è riportata con eghèneto che significa letteralmente “nascere”, “divenire”, ed è lo stesso verbo usato in Genesi 1,1 per descrivere la creazione nei vari giorni.
Quel bambino, apparso a Betlemme, si è fatto figlio nostro, ma era prima di noi. Lui è da sempre. Ha preso una “carne”, un corpo, una storia come la nostra: è diventato come noi, ma in realtà noi siamo come lui.
Lui era prima di noi. Detto in parole povere, quando Dio ha creato l’uomo e la donna li ha creati secondo un prototipo, un modello: suo Figlio. Dio ci ha fatti così perché così sarebbe dovuto apparire in mezzo a noi il suo Verbo, la sua Sapienza. È straordinaria questa verità! Quando ci sentiamo fatti male, quando pensiamo che il creato sia fatto male, “non lasciamoci cadere le braccia” e reagiamo con forza: se tutto è stato fatto per mezzo di lui, niente può essere stato fatto male. Ciò che va male dipende dalla nostra incapacità o non volontà di essere fedeli al progetto di Dio.
L'espressione “per mezzo” non ci fa capire in che modo “tutto è stato fatto”. Il “per mezzo” può essere tradotto “attraverso”: in questo caso il Lógos è ridotto a puro strumento esecutivo materiale. Ma può essere tradotto anche in modo che il Lógos venga visto come intelligenza animata. Quindi il “per mezzo” è una metafora molto ampia che concretamente non spiega nulla.
Poi vi è di nuovo una ripetizione, che in ebraico è detta parallelismo sintetico: “...e senza di lui niente è stato fatto”. Si ribadisce la stessa cosa aggiungendo un piccolo particolare. Il “senza” dovrebbe essere interpretato come: “indipendentemente da Lui”. Cioè, tutto quello che esiste passa attraverso un'opera del Lógos, che non è precisata quale sia, ed è in contatto con il Lógos. Si può dire, allora, che tutto ciò che esiste – dall’angelo al piccolo vermiciattolo, direbbe sant’Agostino – tutto porta in sé la traccia della Parola di Dio. È perché esiste questa traccia profonda di senso che il mondo può essere studiato, capito, espresso nelle parole della conoscenza – con le parole della scienza, ad esempio, ma anche con tutte le parole che esprimono e dirigono con intelligenza l’esistenza quotidiana delle persone.
vv. 4-5: In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.
In questi versetti l'evangelista non fa altro che mettere in risalto le due parole “vita” e “luce”. Sono due nozioni teologiche fondamentali in Giovanni. La parola greca usata qui per dire “vita”, vuol mettere in risalto la natura e la qualità del nome usato ed è corrispondente a “vita eterna”. Questa vita in senso assoluto, che nel vangelo viene identificato con Gesù, era “la luce degli uomini”. Il termine “luce” anzitutto esprime la rivelazione personale e storica di Dio che salva. Sta ad indicare la capacità per gli uomini di poter conoscere e di capire, è cioè un aiuto intellettuale. Vita e luce indicano insieme la pienezza dell'esistenza umana e la rivelazione-dono del suo senso più profondo. La vita diviene luce che ne illumina il senso: la luce a sua volta è potenza di vita, quando viene accolta nella fede.
Nel v. 5 viene sottolineato la sorte della luce in mezzo alle tenebre. “... e le tenebre non l’hanno vinta”. La vita eterna è la luce degli uomini e questa luce splende là dove invece c'è l'oscurità dell'ignoranza. L'ignoranza degli uomini non ha soffocato questa luce, “le tenebre non l'hanno sopraffatta”. Giovanni dice che la presenza universale della Parola di Dio è vita e luce per ogni essere umano. Ma la maggioranza delle persone non percepiscono la Buona Novella della presenza luminosa della Parola di Dio nella loro vita. La Parola viva di Dio, presente in tutte le cose, brilla nelle tenebre, ma le tenebre non la compresero.
vv. 6-8: Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
In questi versetti viene introdotta la persona del Battista e dice: “ci fu” (letteralmente). Questo non è l’én usato per la creazione nei vv. 3-4: Giovanni Battista è una creatura. Questa nota sul Battista ci fa scendere dal mondo soprannaturale e divino all’universo umano (“ci fu un uomo”).
Presentare la figura storica di Giovanni subito prima dell’attività pubblica di Gesù è usuale nella predicazione primitiva. Qui si parla di Lui come uno che ha ricevuto una missione profetica. L’evangelista fa di questo personaggio il primo grande “testimone” di Gesù-luce.
La differenza di tonalità colpisce il lettore ed è possibile che questo passo su Giovanni (come pure il versetto 15) sia stato introdotto più tardi per dissuadere i discepoli di Giovanni dal mettere questo grande profeta sullo stesso piano di Gesù. Tra i due c’è una differenza radicale che separa “colui che era fin dal principio, rivolto verso Dio” da quest’uomo, che è venuto da parte di Dio per essere testimone. Il Battista è un testimone della luce, ma non la luce stessa. Giovanni rende solo testimonianza alla luce davanti alle autorità giudaiche (1, 19-34), davanti al popolo d’Israele (1, 31-34) e davanti ai propri discepoli (1, 35-37). L’ultima volta che Giovanni è menzionato nel vangelo, è quando viene elogiato per essere stato un testimone fedele: “Tutto ciò che egli disse di Gesù era vero” (Gv 10,41).
L’evangelista stima così tanto il Battista che parla di lui come l’intermediario autorizzato fra il Verbo e l’umanità. Nell’antichità la testimonianza era un gesto con il quale ci si poneva come difensori e garanti di una causa, totalmente disponibile a subire le conseguenze di una presa di posizione.
Giovanni Battista deve testimoniare che colui che Israele attendeva era presente. Giovanni sa che Costui gli è superiore in dignità (1, 27).
Giovanni diventa «figura» di tutti i testimoni che nel corso della storia hanno ricevuto la missione di testimoniare nel mondo la presenza della luce divina: la sua figura e il suo messaggio assumono una portata universale.
vv. 9-10: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo
Un versetto di non facile interpretazione. Infatti, secondo la costruzione greca, si potrebbe tradurre sia “la Luce vera, quella che illumina ogni uomo, stava venendo nel mondo”, sia “la Luce vera che illumina ogni uomo che viene nel mondo”. Allora l'atto di venire nel mondo potrebbe essere attribuito sia alla “Luce” che ad “ogni uomo”. Per capire guardiamo alla nostra vita. Guardiamo a noi immersi in un mondo di luci false, che ti fanno vedere la realtà con un riverbero spesso distorto e falso. Veniva nel mondo la luce che illumina, quella che porta speranza, che riscalda. Veniva nel mondo questa luce impercettibile, inafferrabile, che illumina il cammino, che ti permettere di incontrare in modo autentico il volto di chi ti vive accanto, senza provare vergogna per quello che sei. Veniva nel mondo la luce su un mistero impossibile: la perfezione di Dio e la debolezza umana, la sua immensità e la nostra infinita piccolezza uniti in una persona.
Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure, il mondo non lo ha riconosciuto.
Il Verbo era nel mondo: una presenza che è conseguente a quanto detto nel v. 9 (il mondo fu creato mediante il Verbo).
«Mondo» «kosmos»: è un termine molto importante; per tre volte viene ripetuto nei versetti 10-11, ma con sfumature diverse. Inizialmente Giovanni parla del mondo nel senso di «universo» creato da Dio, come era nel pensiero dei greci. Nella citazione successiva il termine allude non solo all’universo fisico, ma include il «mondo umano». In questi due riferimenti il mondo è usato in un senso decisamente positivo. Nel terzo riferimento si parla del mondo umano con un contenuto negativo, in quanto si allude al mondo sottomesso al potere delle tenebre e ostile alla missione e all’opera salvifica di Cristo.
La risposta negativa, paradossalmente negativa, si ripete lungo il Vangelo. «E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvage. Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,19-21). La scena più emblematica si ha quando Gesù guarisce un cieco nato, il quale trova anche la luce della fede, mentre i farisei che credono di vedere restano ciechi (cfr. Gv 9). Gesù conclude: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi» (9,39). È il peccato più grave; con esso ci chiudiamo alla possibilità di esser illuminati e salvati. Non si tratta di un dualismo cosmologico o metafisico; si tratta di una situazione esistenziale escatologica, ossia decisiva e radicale. Chi resta nelle tenebre, si perde per sempre (cfr. Gv 12,35).
L’affermazione del fallimento dell’incontro fra il Verbo e gli uomini non contraddice ciò che è stato dichiarato precedentemente, cioè che le tenebre non hanno arrestato la luce: all’Evangelista interessa sottolineare il paradosso del rifiuto che la creatura oppone al suo Creatore.
v. 11: Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto.
Il pensiero di Giovanni scende verso maggiori particolari: dal cosmo al mondo degli uomini, al mondo ebraico. Qualche commentatore però non accetta che il versetto 11 si riferisca agli ebrei, ma a tutti gli uomini. Sembra però un tentativo di escludere un'asperità contro gli Ebrei di cui però il Vangelo di Giovanni è pieno. Anzi Giovanni identifica la categoria degli Ebrei come simbolo per "non credenti"; quando dice "i Giudei", vuol dire gli "increduli". Se però nel versetto 11 si vede il parallelismo sintetico, il versetto 10 e l'11 dicono la stessa cosa, sebbene in maniera differente: quindi la "sua gente" sono il "mondo". Tra l'altro il testo ebraico non dice "gente", ma dice "venne fra le sue cose", che vuol dire "venne in casa propria", nella sua proprietà.
L'Evangelista ci parla di accoglienza e riconoscimento, ed ognuno di noi sa quanto
esser riconosciuti e sentirsi accolti, sia importante nella vita di ogni uomo, di più, quanto riconoscimento e accoglienza siano fondamentali, perché l'esistenza fiorisca e scorra serenamente in tutta la sua ricchezza.
vv. 12-13: A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio
Solo questa espressione fa pensare che non tutti non lo hanno accolto ma a chi l'ha accolto ha dato il potere di diventare “figlio di Dio”, e spiega cosa vuol dire “figlio di Dio”.
Accogliere è un termine che esprime la fede in senso passivo: è accogliere una persona in casa con tutto ciò che significa: accettare, cioè, la persona e il messaggio che porta. Abbiamo davanti un verbo che tende a personalizzare la fede.
Ora a coloro che lo accolgono, il Logos-Luce dà il potere di “diventare figli di Dio” (distinti dal Figlio di Dio).
Dinanzi alla luce sfolgorante dell’Amore di Gesù, gli uomini si dividono in “figli della luce” e “figli delle tenebre”, secondo che vivono nella luce di Cristo, oppure nelle tenebre di satana. Si riconoscono dalle loro opere buone o malvagie. La presenza della luce provoca la scelta e quindi la separazione. È Gesù stesso che avverte: «Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce» (Gv 12,36). «Se un tempo eravate tenebre, ora siete luce del Signore, comportatevi perciò come figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre. Ma piuttosto condannatele apertamente… Per questo sta scritto: “Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà”» (Ef 5,8-14). Queste ultime parole provengono da un inno battesimale: il battesimo è inteso come illuminazione, come essere svegliati a vita nuova. Una vita che, nella luce del Signore, eliminerà le opere infruttuose delle tenebre e produrrà i frutti della bontà, giustizia, verità.
La Parola entra nella persona e fa che questa si senta accolta da Dio come figlia, come figlio. È il potere della grazia di Dio.
i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
L’uomo non diviene figlio di Dio con la procreazione carnale, come ci ricordano le parole del Battista: «Dio può suscitare da queste pietre dei figli ad Abramo» (Gv 8,37-39). E non avviene neppure in forza di un «volere della carne», cioè in forza del desiderio che ha la creatura mortale di sopravvivere alla morte attraverso la propria discendenza.
Possiamo pensare che c’è coincidenza tra l’azione dell’uomo che «accoglie» il Verbo e quella di Dio che «genera». Queste due azioni formano una cosa sola, nella diversità dei rispettivi ruoli. È importante tenere presente il passo precedente dove si diceva che il Verbo illumina ogni uomo. Ora infatti sappiamo che questa illuminazione, nella misura in cui viene accolta, produce la filiazione divina. Ora, la figliolanza divina è opera esclusiva di Dio. Attraverso le espressioni seguenti il ritmo dell’inno si costruisce in un crescendo. Con la triplice contrapposizione si vuole esaltare la grandiosità del fatto di nascere da Dio.
v. 14: e il verbo si fece carne
Questo è il centro focale del Prologo. Con il termine carne viene definito l'uomo nella sua condizione di debolezza e di destino mortale ecco perché diciamo “si fece” e non “divenne”. Il Verbo-Sapienza-Figlio eterno di Dio, Dio egli stesso, si fece “carne”, ossia umanità fragile e limitata, contingente, storicamente e culturalmente condizionata. Non si tratta unicamente di “natura” umana, ipostaticamente unita alla divinità: si tratta anche di giudaicità, di appartenenza a un ambiente e a un’epoca, di corporeità e mortalità, di affettività e socialità. La Lettera agli Ebrei lo dice con estrema chiarezza: «eccetto il peccato, si è fatto in tutto simile ai fratelli» (Eb 2,17; 4,15).
e venne ad abitare in mezzo a noi.
Il verbo usato per "abitare" è "si attendò". Questa scelta probabilmente non vuole riferirsi alla precarietà della condizione umana, ma al fatto che nel Lógos incarnato si verifica quello che era avvenuto nella Tenda dell'Incontro (Es 27,21; 28,43) nell'accampamento degli Ebrei, nella quale si manifestava la Gloria del Signore. Ora la tenda dove Dio dimora con noi è Gesù "pieno di grazia e di verità!". Gesù venne a rivelare chi è questo Dio che è presente in tutto, fin dall'inizio della creazione.
Gli Atti degli Apostoli lo descrivono così: «è entrato e uscito in mezzo a noi» (1,21), «passò beneficando» (10,38). Si tratta del Gesù della storia, quello che raggiungiamo attraverso i Vangeli e la cui traccia non è scomparsa.
L’incarnazione del Verbo non va limitata al momento della sua nascita «secondo la carne» (Rm 1,3; cfr. Gal 4,4): abbraccia la totalità della sua esistenza terrena e, in un certo senso, si estende nel tempo e nello spazio, se è vero che Cristo Risorto è «il vivente» (Lc 24,5), non solo, è ma presente oggi nel mondo perché la Chiesa è il suo corpo e noi siamo le sue membra (cfr. 1Cor 12,12ss).
e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Anche qui si coglie un’eco dell’AT: la «gloria, doxa» (eb. kabôd) di Dio risplende negli eventi salvifici (cfr. Es 16,7 ecc.) ed è come una luce che manifesta la sua presenza (cfr. Es 24,16), prima nel santuario del deserto (cfr. Es 40,34s), poi nel tempio di Gerusalemme (cfr. 1Re 8,10s). Per il quarto evangelista la gloria del Verbo incarnato si manifesta in particolare nei “segni” (cfr. 2,11), che a loro volta simboleggiano la sua attività salvifica come risorto (cfr. 1,50s; 13,31s). A nome degli altri discepoli, Giovanni qui afferma: «abbiamo contemplato la sua gloria»; nella Prima lettera dice in modo equivalente: «abbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato il Verbo della vita» (1Gv 1,1).
La gloria di Cristo è quella “del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”.
L’espressione «grazia e verità, kháris kaì alétheia» viene da Es 34,6. Si tratta dell’amore misericordioso (eb. hesed) e della fedeltà (emet) di Dio nei riguardi di Israele. Il Verbo incarnato è la manifestazione più alta, piena e definitiva dell’amore del Padre. Lo dirà più avanti l’evangelista: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3,16s).
Il tema è ripreso nella Prima lettera di Giovanni. Dopo aver affermato che «Dio è amore», l’apostolo spiega:«In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,9s). Anche san Paolo riconduce la missione salvifica di Cristo all’amore del Padre per gli uomini (cfr. Rm 58; 8,32).
v. 15: Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».
Questo versetto riprende la testimonianza di Giovanni Battista, la cui missione nei confronti della luce è stata descritta nella prima parte del prologo. Adesso la sua testimonianza viene proclamata.
Inoltre, si ribadisce il primato di Cristo che è “prima” di lui, anche se venuto cronologicamente “dopo” di lui nella storia umana. Si esalta poi la missione del Figlio di Dio presso l’umanità. Egli offre all’uomo soprattutto “la grazia e la verità". La missione della Parola nel mondo fu precisamente quella di porre gli uomini in grado di divenire figli di Dio, partecipi cioè della vita divina.
vv. 16-17: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dopo la seconda digressione, viene ripreso il tema della kháris: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia», una “corrente ininterrotta di grazia” che dalla pienezza del Verbo incarnato scorre verso di «noi» (i credenti). L’evangelista istituisce un confronto tra Antico e Nuovo Testamento: «la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo».
Allo stesso modo san Paolo contrappone la grazia alla Legge alla «novità dello Spirito» (cfr. Rm 7,6). Ciò che il prologo afferma in modo sintetico, Gesù lo spiega più apertamente nel corso del Vangelo; per es. nell’ultimo giorno della festa delle Capanne, quando grida: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: “Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”». L’evangelista commenta: «Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (7,38-39). L’acqua e il sangue che escono dal costato di Gesù crocifisso (19,34) simboleggiano appunto il fiume di grazia che scaturisce da lui.
v. 18: Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
Durante l’ultima cena uno dei discepoli chiederà a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gesù gli risponde: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso, ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse» (14,7-11).
Il miglior commento è quello della costituzione dogmatica Dei Verbum: «Dopo aver Iddio, a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, “alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2). Mandò, infatti, il suo Figlio, il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18), Gesù Cristo, dunque, Verbo fatto carne, mandato come “uomo agli uomini” (Diogneto, 7,4), “parla le parole di Dio” (Gv 3,34) e porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre (cf Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione di sé, con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito santo, compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna» (DV 4).
Concludiamo dicendo che questo versetto evoca la profezia di Isaia secondo cui la Parola di Dio è come la pioggia che viene dal cielo e non ritorna ad esso senza aver svolto la sua missione qui sulla terra (Is 55,10-11). Così è il cammino della Parola di Dio. Viene da Dio e discende tra di noi nella persona di Gesù. Mediante l'obbedienza di Gesù, realizza la sua missione qui sulla terra. Nell'ora della sua morte, Gesù consegna lo spirito e ritorna al Padre (Gv 19,30). Comprese la missione che aveva ricevuto.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Tengo sempre presente ciò che il Signore mi fa conoscere attraverso il Vangelo e la Sacra Scrittura?
Riconosco in Gesù la piena manifestazione dell’amore del Padre? Lo ringrazio per questo?
Dio ha piantato la sua tenda in mezzo a noi. Lui vive tra le nostre case. Anche nel mio cuore?
Mi lascio illuminare dall’azione dello Spirito Santo per vivere da Figlio di Dio oppure rimango chiuso nel nascondiglio del mio io?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
 
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.
 
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi. (Sal 147).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Se Dio è nato Bambino ciò vuol dire, per esempio, che assieme a Lui potrai rinvenire il senso reale della tua nascita ed esistenza nel mondo e riscoprire il senso della tua permanenza qui in questa dimensione terra, in altre parole la tua vocazione; se Dio ha vissuto in umiltà e ristrettezza, ciò vuol dire che ti dà occasione di assimilare il significato fondamentale delle cose di cui tu disponi e di come dovrai amministrarle; se Dio muore e risorge sulla croce, vuole convincerti che anche tu puoi resuscitare nel tuo quotidiano (p. Gianfranco Scarpitta).
 

lunedì 30 dicembre 2024

LECTIO: MARIA, MADRE DI DIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 2,16-21
 

Invocare
O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa’ che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita, Cristo tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
In questi giorni siamo stati ricondotti in molti modi al mistero dell’Incarnazione e attorno al presepe; in quel luogo dove abbiamo incontrato diversi personaggi insieme a Dio stesso fatto uomo per noi: Giuseppe, Maria, i pastori, i magi, e anche altri che la liturgia ha ricordato in questo periodo: Stefano, Giovanni, Tommaso, i bambini innocenti. Adesso, all’inizio del nuovo anno, tutta l’umanità è convocata accanto a una Madre nella quale tutto si riassume e trova compimento e spiegazione; una Madre che ci raccoglie nel seno della sua misericordia e ci porta accanto al Verbo di Dio fatto uomo in Lei; una Madre che venne proclamata «Madre di Dio», “Theotókos” dal terzo Concilio di Efeso. 
La parola “maternità” vuole dire fondamentalmente che, attraverso di Lei, Gesù Cristo il Figlio di Dio è diventato carne. E se il Figlio di Dio è diventato carne, e se quel Figlio di Dio è la pace che Dio esprime nei nostri confronti, è attraverso di Lei che la pace di Dio è entrata in questo mondo. Quello che la Chiesa oggi è chiamata a fare è di continuare l’opera di Maria: fare in modo che quella pace non si estingua, non si perda, nel cammino del tempo, ma continui ad essere generata e rigenerata nella vita degli uomini, anno per anno, giorno per giorno. Per fare questo cammino, i nostri giorni terreni, come il giorno eterno, sono illuminati da due nomi: il nome del Signore Gesù, al di là del quale non si dà altro nome né nel secolo presente né in quello futuro, e il nome della sua vergine Madre, Maria memoria della nostra autentica identità, posta come modello e riferimento per dare speranza e senso ai giorni del nuovo anno che incomincia.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 16: Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.
Il versetto è riferito ai pastori che avevano ricevuto l’annuncio. Questi li troviamo in cammino e come per abitudine, Luca li descrive con una certa fretta, simile alla fretta di Maria nell’andare a visitare la parente Elisabetta.
Andare”… un verbo che allude a un attraversamento. Bisogna colmare le distanze … bisogna andare fino a Betlemme. C’è un annuncio ricevuto, ma ci sta una esigenza oculare! Il viaggio dei pastori ... il nostro viaggio della vita, del nostro quotidiano con la fretta di Maria ... il coraggio di mettersi in viaggio anche se è notte, anche se non si conosce l’itinerario, anche se non si sa la meta, anche se c’è la fatica, la stanchezza, il sonno,
il dubbio, il timore ... È il viaggio all’interno di noi stessi: un viaggio faticoso.
Cosa trovarono i pastori a Betlemme? Gente semplice: Maria, Giuseppe e il bambino che giace in una mangiatoia. Giuseppe, anche se nell’annuncio ai pastori non è nominato, appare qui perché prima ancora dei pastori ha creduto alla parola di Maria e dell’angelo, che quel bambino è il figlio di Dio.
La sottolineatura di questo segno dato da parte degli angeli, e il suo riscontro da parte dei pastori, vuole essere un elemento che evidenzia ancora di più l’aspetto umano di colui che è il Figlio di Dio.
I pastori sono modelli di fede. I pastori fanno propria l’attesa dei poveri, di quei poveri di Javhè della Scrittura. Si tratta di un lieto messaggio atteso, dato ai poveri in una stalla, dato a chi ha dimestichezza con queste cose, con le stalle, le mangiatoie.
Quest’incontro con il Verbo della vita è sottolineato dai verbi classici “trovarono...videro”.
v. 17: E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
I pastori vedono la realtà di ciò che il Signore ha fatto loro conoscere. Ed è tanto importante che non possono trattenersi dal renderlo noto agli altri. Diventano come gli angeli, diventano messaggeri e apostoli e quindi, sono i primi a condividere, portare la Parola di Dio.
Con loro si profila la dinamica missionaria della Chiesa: l’annuncio porta all’ascolto, l’ascolto alla visione. A sua volta chi ha visto porta ad altri l’annunzio perché attraverso l’ascolto giungano alla visione.
Il contenuto del loro annunzio è ciò che del bambino era stato detto loro. Sulle labbra dei pastori è la testimonianza che Dio rende del suo Figlio. È il mistero di una povertà che non va risolta ma ascoltata, una povertà che rende testimonianza a un Cristo povero.
v. 18: Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.
Quanti ascoltano i pastori si stupiscono. Il verbo «stupirsi» è frequente nel vangelo di Luca: indica quell’interrogativo che l’azione di Dio suscita in modo inaspettato nella vita dell’uomo. È lo stato d’animo di chi è raggiunto improvvisamente dalla presenza di Dio: la rivelazione condivisa dei pastori illumina lo sguardo dei presenti, che vedono il bambino in una luce diversa. Quindi lo stupore non è una semplice curiosità ma la meraviglia. Perché la curiosità può portare al desiderio, al possesso; la meraviglia porta allo stupore, all’accoglienza: è la sorpresa che il Vangelo non può non suscitare. I Genitori del Bambino sono lì che adorano il Mistero in silenzio e vivono di meraviglia.
Anche nel silenzio dei pastori vi è meraviglia una meraviglia che si fa condivisione di vita, perché Dio ha acceso nei cuori la fiamma del suo amore!
I pastori non si rendono conto che ciò di cui sono stati resi depositari aveva creato stupore negli altri. Essi trovano la testimonianza della fede e imparano a lodare Dio, suscitando negli altri lo stupore, la meraviglia... e aiutando gli altri a imparare a lodare Dio per le meraviglie che Egli ha compiuto.
v. 19: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
Maria non capiva neppure lei le parole, ma le custodiva questo è il suo primo atteggiamento. Maria è quella che conserva e ricorda le parole e sarà uno stile continuo della vita di Maria. Maria è la madre di Gesù, non perché l’ha generato, ma perché ha creduto alla parola. È la madre perché ha accolto la parola.
Il versetto dice “tutte queste cose”; alcuni traducono: “queste parole”. Il cuore di Maria, sede di parole ricordate a approfondite nello Spirito, è pertanto un cuore di sapienza simile a quello dello scriba che dal suo tesoro sa trarre e comporre cose antiche e cose nuove; è anticipazione e figura del cuore dei figli della sapienza (Lc 7,35), della chiesa dell’ascolto accolto, custodito, meditato e pregato perché si affretti il tempo in cui il non chiaro sia reso trasparente. Luca sottolinea la meditazione di Maria sui fatti il cui senso sarà manifestato solo nella rivelazione pasquale.
Maria, cioè, è tutta raccolta e concentrata in se stessa per penetrare più a fondo nel significato degli avvenimenti in cui s'è trovata coinvolta. Li confronta fra di loro e con la comunicazione che i pastori hanno fatto sul Bambino. Maria appare così come colei che è madre e sa interpretare gli eventi del Figlio.
Maria diventa, così, simbolo e modello della comunità cristiana, che in atteggiamento sapienziale e contemplativo cerca di assimilare interiormente il mistero inesauribile del Verbo Incarnato.
v. 20: I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
I pastori ritornano. La stessa parola ritorno vuol dire conversione. Han cambiato marcia. Tornano dov’erano prima, ma sono cambiati, non sono più come prima.
Tornano “glorificando e lodando Dio” come gli angeli, “di quanto udirono e videro”. Tutto il Vangelo di Luca sarà sull’udito e sulla vista.
L’ascolto della Parola è dono di Dio. I pastori glorificano Dio per quello che hanno udito. Questa è la forza e l’umiltà della Parola, la forza e l’umiltà dei poveri.
“Vedere” e “udire” sono i verbi della fede. Proprio il binomio, akùein e idèin, che tante volte ricorre negli Atti degli Apostoli, configura i pastori come i primi testimoni-apostoli.
Potremmo osservare che l'esperienza cristiana, in questo brano, è espressa da pochi verbi che interagiscono tra loro: ascoltare, ubbidire, trovare, vedere, testimoniare, lodare. È importante verificare se e come li coniughiamo nella nostra vita, se e in quale misura sappiamo annunciare la gioia d'avere incontrato il Salvatore.
v. 21: Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Il testo evangelico prosegue menzionando la prescrizione del rito della circoncisione. La circoncisione è il segno dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo, quell’Alleanza che il popolo aveva già trasgredito prima di riceverla (cfr. Es 32) Dio l’ha rinnovata.
Circoncidendo il Bambino, viene inserito ufficialmente nel popolo di Dio e l'imposizione del nome, a cui Luca dà un risalto particolare, vuol significare che è Dio che ha voluto tale nome e quindi la missione che esso esprime. Il nome nella Bibbia dice l’identità e la missione di chi lo porta. Gesù, infatti, nella lingua ebraica suona così: Yehôsua‘ e significa YHWH salva (le prime lettere indicano il Nome che i nostri fratelli ebrei non pronunciano mai perciò noi con profondo rispetto, diciamo: “Dio salva”.
Questa attenzione da parte l'evangelista sta ad indicare che il nome imposto è il Nome innominabile, origine di ogni nome. Ora possiamo nominare Dio perché si è donato a noi. Il nome di Dio per l’uomo non può essere che Gesù, cioè “Dio salva”. Dio è per noi, perduti e lontani da lui, perché si chiama Gesù, Dio-con-noi e Salvatore.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Vado senza indugio alla grotta per contemplare con fede l'avvenimento salvifico?
Quale annuncio oggi è capace di mettermi in cammino, di smuovermi?
Sono capace di trasmettere quella gioia che Gesù stesso mi dona?
Mi lascio interpellare dalla Parola di Dio?
Come Maria, riesco ad interiorizzare la Parola di Dio per non viverla passivamente?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
fra tutte le genti la tua salvezza.
 
Esultino le genti e si rallegrino,
perché giudichi i popoli con giustizia,
governi le nazioni sulla terra.
 
Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio,
e lo temano tutti i confini della terra. (Sal 66).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Proviamo a contemplare il presepio per vedere se ha qualcosa da dirci. Per conoscerlo, come i pastori, dobbiamo andare alla grotta e cercare di vedere se c'è una novità, ascoltare cosa ci dice Dio. Ripeti spesso e vivi questa Parola: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.