giovedì 10 dicembre 2015

LECTIO: III DOMENICA D'AVVENTO (C)

Lectio divina su Lc Lc 3,10-18


Invocare
O Dio, fonte della vita e della gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché corriamo sulla via dei tuoi comandamenti e portiamo a tutti gli uomini il lieto annunzio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
10 Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11 Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12 Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13 Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14 Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
15 Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16 Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17 Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
18 Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Silenzio meditativo: Alleluia: viene in mezzo a noi il Dio della gioia.

Capire
Nella tradizione liturgica la terza domenica di Avvento ha un carattere gioioso (domenica Gaudete) che si riflette nelle prime due letture e nel cantico di Isaia. «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino» ci fa pregare l’antifona d’ingresso che presenta il testo di Filippesi 4, 4-5 (conservato dal precedente messale e che si trova solo nell’anno C). Gioia ed esultanza per oggi e per domani. Il Signore è presente nel mondo, viene a partecipare alla festa. Sicuri del suo amore che fa nuove tutte le cose: di che cosa e di chi dovremmo aver paura?
Anche il vangelo, con l’annuncio della buona notizia al popolo da parte di Giovanni Battista si unisce a questa gioia.
Il tema della gioia si snoda nel Salmo responsoriale (Is 12,2-3;4-6) che è un canto di ovazione al Signore che viene in mezzo a noi, azione di grazie per le meraviglie, i prodigi che rinnova continuamente: « … mia forza e mio canto è il Signore; Egli è stato la mia salvezza. Cantate al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra …».
Il testo evangelico proposto dalla liturgia domenicale, Lc 3, 10-18, fa parte dell'esposizione lucana della predicazione del Battista come preparazione al ministero di Gesù.
Giovanni Battista annunzia la venuta imminente del giorno del Signore: "Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all'ira imminente" (Lc 3, 7). I profeti avevano annunciato la venuta di questo giorno di ira e di salvezza, come pure la venuta di un messaggero riconosciuto come Elia (Sir 48, 11), che preparasse la via davanti al Signore (Mal 3, 1-5). Nella tradizione cristiana Giovanni Battista è il messaggero che prepara il giorno della venuta del Signore Gesù, il Messia: "viene uno che è più forte di me" (Lc 3, 16). Il ministero di Giovanni infatti si svolge in un tempo di grandi aspettative messianiche: "il popolo era in attesa" (Lc 3, 15) e chiede al Battista se era lui il Messia.
Questa domanda, più tardi si farà pure in confronto alla persona di Gesù (Lc 9, 7-9, 18-21) che di seguito, rivela la sua identità con la confermazione implicita della professione di fede di Pietro.

Meditare
v. 10: Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?».
Da quelle stesse folle che da Giovanni erano state paragonate a delle vipere (v. 7), l’annuncio del regno suscita una domanda : cosa dobbiamo fare? La domanda è la sfida provocatoria da parte di queste categorie di persone che vengono da lui. La folla ha capito che la fede è qualcosa di concreto; che le opere sono l’espressione della genuinità della fede. L’intuizione di questa domanda viene dai rapporti interpersonali che si sono stabiliti. Infatti, “se vuoi comprendere quello che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva” (Marianella Sclavi). Queste parole aprono delle prospettive nella vita.
Che cosa dobbiamo fare?
Questa domanda è molto importante perché implica un cambiamento totale del nostro modo di agire: è la metànoia, vale a dire fare nuova la mente.
Chiedere a Giovanni cosa dobbiamo fare è un atto di coraggio e vuol dire prendere sul serio la venuta del Figlio dell’uomo. È l’inizio di un cammino di conversione.
v. 11: Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto».
Il Battista non dice di avere una sola tunica, né di dividere la propria, ma di dare quella di riserva a chi non ne ha. È la condivisione, il far parte agli altri di quello che si ha. Non si può, infatti, essere felici da soli! La felicità chiede di essere raggiunta insieme, condividendo quello che si ha, in semplicità.
Si tratta dunque di un impegno forte che presuppone un vero cambiamento di mentalità. In questo caso la predicazione del Battista si allinea alla tradizione profetica che da questo punto di vista trova la sua espressione migliore in Is 58,6-10.
Gesù proporrà di “lasciare tutto” a chi vorrà seguirlo in modo speciale. Il primo frutto della conversione che viene chiesto da Giovanni è la carità. Si tratta di una vera condivisione delle proprie sostanze, una metà delle quali va data ai poveri.
Giovanni non pretende che i suoi ascoltatori siano degli eroi, ma che vivano la misericordia, il concreto amore del prossimo, la solidarietà sociale. La vera conversione si dimostra dal posto dato all'uomo, soprattutto bisognoso e povero, prima ancora che dal posto dato a Dio.
vv.12-13: Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?».
I pubblicani erano ebrei esattori delle imposte. Avevano il diritto di esigere qualcosa in più per il lavoro che svolgevano rispetto alle tasse che i romani chiedevano. Erano mal visti nell’ambiente per via della loro collaborazione con gli occupanti pagani e delle maggiorazioni che molti di loro praticavano. L’opinione pubblica li associava ai peccatori.
Dire pubblicano e dire ladro era in quel tempo la stessa cosa, perciò nell'evangelo si trovano in coppia coi peccatori (Lc 5,30; 7,34; 15,2; 19,7). Anche i pubblicani sono disponibili alla conversione; anzi fin dal principio sembrano i primi disponibili (cfr. 7,29.34; 15,1; 18,9ss; 19,lss).
I pubblicani incarnano la cupidigia del guadagno, la malafede, il tradimento verso il proprio popolo, perché spesso stavano al servizio dei dominatori stranieri. Neppure loro sono esclusi dalla strada verso la salvezza. Giovanni non esige che abbandonino il loro mestiere di gabellieri, ma che non arricchiscano frodando. Più tardi Gesù tratterà il pubblicano Zaccheo come fa ora Giovanni.
Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Il secondo frutto della conversione è la giustizia. Secondo Giovanni i pubblicani qualche volta avevano agito onestamente e perciò dovevano continuare a non esigere più del fissato.
Giovanni, inoltre, non li vuole distogliere da questa occupazione (condannata senza appello dall’opinione pubblica ebraica) intendendo perciò che anche in quella condizione ci si poteva mantenere onesti. Gesù ne esigerà l’abbandono da parte di Levi perché incompatibile con l’essere apostolo del vangelo.
v. 14: Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Ai giudei era proibito il servizio militare. Perciò questi soldati che si rivolgono a Giovanni sono dei pagani. Ogni restrizione è superata. "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio" (Lc 3,6).
I peccati consueti del militare sono il latrocinio vessatorio, l'estorsione con false denunce, l'abuso di potere. La radice di questo modo di agire è l'avidità. L'avidità delle ricchezze dev'essere sostituita con la soddisfazione dello stipendio guadagnato onestamente. Neanche ai militari viene chiesto di cambiare professione.
La conversione non riguarda tanto il mestiere che uno esercita, ma il cuore, l'orientamento a Dio, il desiderio di incontrare il Signore.
vv. 15-16: Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo
L'evangelista piace far emergere la problematica che investiva la predicazione e l'opera del battista (cfr. Gv 1,25).
Giovanni Battista fa problema per il tono e il contenuto della sua predicazione, per il particolare atteggiamento che ha assunto, fino a suscitare nella gente il pensiero che egli potesse essere il messia atteso (cfr. Gv 1,19-23). Infatti, in quel tempo era largamente diffusa l'aspettativa messianica (cfr. 17,20-219). Il Battista, però, preferisce chiarire questo problema contrapponendo il proprio battesimo a quello di Gesù. In altre parole il battista descrive e stabilisce la superiorità di Gesù su di lui.
Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; L’autorevolezza con cui Giovanni parla è garantita da quello che lui dice a proposito di uno che non nomina. Giovanni usa questo termine: viene uno, egli vi battezzerà, egli tiene in mano, egli raccoglierà. Giovanni si rende conto che c’è qualcosa che va oltre lui. Colui che verrà, innanzitutto per il fatto che viene, dice che l’attesa non può essere consumata, non può finire. La sua vita rimanda a qualcuno che viene dopo di lui. Non siamo noi l’ultima parola di Dio nei riguardi del mondo. Non siamo noi coloro che le persone devono guardare. Dobbiamo meditare molto su questo, sul fatto che Giovanni indichi Gesù come il Veniente, colui che ci viene incontro, come qualcuno di cui anche lui non sa esattamente che cosa sarà. Colui che viene è colui al quale non siamo nemmeno degni di allacciare i lacci; stando bene attenti però: colui al quale non siamo degni di allacciare i lacci è colui che si è fatto indegno. Cioè noi siamo indegni di un indegno. Questo contrasta con tutte quelle cariche che venivano ricordate domenica scorsa. Siamo in un discorso stridente: non c’è tolleranza tra le cariche e la condizione che Giovanni dice di sé e che il Cristo dirà di sé. La venuta del Figlio dell’uomo è la venuta di colui che non possiamo nominare, nel senso che non ci possiamo dire chi sarà. Possiamo dire che è più forte di noi, che viene dopo di noi, che la storia non ha l’ultima parola, che i potenti non hanno l’ultima parola. Ed è colui che verrà e che ci immergerà nello Spirito Santo e nel fuoco.
ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
In Luca “forte” equivale a un titolo messianico. Gesù è il Forte. La prova di questa sua forza è nel dono che arreca: il battesimo definitivo in Spirito Santo e fuoco, a cui il battesimo di acqua è preparazione provvisoria. Giovanni si qualifica semplicemente come voce che esorta e che indica all’uomo il sentiero da seguire, per diventare terreno pronto ad accogliere i doni del Messia, che sono il perdono e lo Spirito Santo.
Luca oppone il battesimo di acqua amministrato da Giovanni al battesimo in Spirito che sarà inaugurato alla Pentecoste. Lo Spirito, in questo caso, non è uno strumento, ma una presenza attiva. Gesù ci otterrà l’immersione nella vita stessa di Dio, nel suo Spirito.
Il fuoco, in modo meno esteriore dell’acqua simboleggia l’azione purificatrice di Dio. Luca vede certamente in questa parola un annuncio della Pentecoste: la discesa dello Spirito Santo sotto forma di lingue di fuoco. Questa immagine deve significare per lui l’opera purificatrice dello Spirito. Il fuoco tuttavia è anche segno della presenza di Dio (il roveto ardente). Il battesimo in Spirito Santo e fuoco è perciò partecipazione alla vita stessa di Dio.
v. 17: Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
I profeti hanno sovente annunciato il giudizio di Dio attraverso l’immagine di scene di mietitura. Il giudizio di Dio collegato all’annuncio della buona novella (del versetto successivo) ci fa pensare “all’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Allora la pula, il nostro peccato, sarà estinto per sempre e “brucerà con fuoco inestinguibile”.
L'autore di questo Vangelo, cioè Luca, è definito “Scriba mansuetudinis Christi” da Dante Alighieri. Questo fa capire che Egli conferisce un suo tocco particolare al suo vangelo, tratteggiando un Messia diverso da quello atteso da Giovanni. Non un Messia che viene con il ventilabro, cioè una larga pala di legno usata sull'aia per separare dal grano la pula spargendola al vento. Quindi, non un Mashiah proteso a pulire e spazzare violentemente via i peccatori come la pula, separandola dal grano; ma un Messia che dichiara all'umanità la bontà di Dio e la sua continua ricerca del peccatore, per riportarlo, come ci insegna la mirabile parabola del figliuolo ritrovato, nell’abbraccio del Padre.
v. 18: Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Il ministero di Giovanni si conclude con uno sguardo riassuntivo della sua predicazione popolare. Egli reca la buona notizia, cioè il vangelo. Ciò sottolinea che il compito principale del Battista non è quello di annunciare un messia giudice, ma salvatore. Si può dire che nel trattare il ministero e la missione di Gesù, Luca ci fa vedere il perfezionamento della predicazione e dell'annuncio Giovanneo. Qui si può fare riferimento a ciò che Gesù dice nella sinagoga di Nazaret: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi" (Lc 4, 21).

La Parola illumina la vita
Attendo la venuta del Signore, o sono tutto preso dalla vita materiale, e per conseguenza, attaccato disordinatamente a tutto ciò che passa?
La vita cristiana assume diverse forme, perché diversi e vari sono i doni di Dio. Sono attento a vivere la mia specifica vocazione?
Mi identifico nei poveri e umili di cuore?
Cosa faccio per preparare la seconda venuta del Signore? Cosa faccio per promuovere la giustizia in un mondo che sembra tirare avanti con strutture di ingiustizia sociale?
Sono consapevole che la gioia vera è legata alla persona di Gesù e al nostro rapporto con Lui, cioè alla conversione, e che più cresce questa, più cresce la gioia?
Chi ci incontra riconosce in noi delle persone felici e capaci di infondere serenità e speranza?
Sono convinto che la gioia e l'amore sono inseparabili e che far felice qualcuno è una forma squisita di carità, fonte anche di gioia per noi stessi?

Pregare
Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.

Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.

Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele (Is 12).

Contemplare-agire
Nel silenzio del cuore incontra il Signore. Ripeti spesso e vivi oggi questa Parola: “rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi”.

lunedì 7 dicembre 2015

LECTIO: IMMACOLATA CONCEZIONE (C)

Lectio divina su Lc 1,26-38


Invocare
O Padre, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l’hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen

Leggere
26 Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
29 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.

Silenzio meditativo: Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.

Capire
Una sosta prettamente mariana in questo cammino di Avvento per celebrare l'immacolato Concepimento della Vergine Maria. Il Vangelo è quello dell'annunciazione.
L’annunzio della nascita di Gesù a Maria di Nazareth, costituisce il centro del Vangelo dell’infanzia secondo la narrazione lucana. Il nome della Vergine Maria, importante per la nostra vita, assume un ruolo misterioso, ma eminente. L’ebraico Mirjam va tradotto con “Illuminatrice del mare” o con “Stella del mare”, traduzione, quest’ultima, preferita da san Bernardo.
Di Maria l’evangelista Luca ama sottolineare la povertà della sua condizione: è una donna (quindi socialmente debole), è vergine, priva dell’unico valore socialmente riconosciuto alla donna nella società antica: la maternità; vive a Nazareth (oscuro villaggio di una regione religiosamente infida). Ma Dio ama compiere le meraviglie della sua opera proprio nella debolezza della condizione umana; san Paolo ricorda che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza (Cfr. 2Cor 12,7-10). Così Maria diventa la “proclamazione della grazia di Dio”; niente in lei è grandezza puramente umana; tutto è opera di Dio nella creatura umana.
Nel brano dell'annunciazione abbiamo il mistero dell’incontro tra l’uomo e Dio che non si può spiegare. Avviene e basta. È un incontro che lascia il segno: qui sta la grandezza.
La novità è questa: la speranza del popolo trova il suo compimento nella Vergine di Nazareth, Maria, che sta per diventare madre del Figlio dell’Altissimo, del Salvatore del mondo.
San Giovanni Crisostomo ci aiuta a capire questa novità con queste parole: “È in te colui che si trova dappertutto; è con te e viene da te, lui che è il Signore in cielo, Altissimo nell’abisso…, Creatore al di sopra dei cherubini…, Figlio in seno al Padre, Unigenito nel tuo ventre, Signore – egli sa come – interamente dappertutto e interamente in te”.

Meditare
v. 26: Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret
La Parola porta un evento, un annuncio, qualcosa di nuovo, bello, inaudito. È il sesto mese. Da cosa? Abbiamo un dato cronologico, un'informazione che ci riporta all'episodio precedente, che racconta del concepimento di Giovanni Battista. Il sesto mese è in riferimento alla gravidanza di Elisabetta. Nel pensiero lucano, presentare Maria al “sesto mese” significa presentarla in quell’umanità imperfetta e fragile. Non è ancora sette, ma in questa cifra vi è racchiusa la vocazione di Maria, la sua umile e “potente” comparsa sulla scena della salvezza, segno dell’amore di Dio per ciascuno di noi.
Dio si fa presente proprio in questo contesto per mezzo dell’angelo Gabriele. Egli viene ricordato solo due volte nell'AT. È il messaggero che svela a Daniele i tempi della fine (Dn 8,16 e 9,21). È l'angelo che apre il tempo del compimento delle promesse divine.
Questo accade a Nazaret. Non è Gerusalemme, la città santa, la città del culto, dove avvenne l’annunzio a Zaccaria (si potrebbe fare una lectio di confronto tra la vita di Maria con quella di Zaccaria) ma un villaggio di una regione disprezzata, infedele e semipagana; un villaggio che non gode di buona fama (cfr. Gv 1,46) e totalmente ignorato dall'AT.
v. 27: a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
La prima parola con cui l’autore del Vangelo qualifica Maria è: “vergine, promessa sposa”.
La parola “vergine”, in greco parthenos mentre il vocabolo ebraico 'almah designa sia una ragazza vergine sia una donna appena sposata, senza esplicitare ulteriormente il vocabolo greco opera la scelta di indicare una fanciulla che non ha avuto rapporti sessuali (cfr. tradizione patristica). Nella Bibbia, inoltre, indica una vita sempre disposta ad accogliere.
Questa descrizione dell’evangelista, come una intuizione, ci trasporta nelle pagine dell’AT che aveva visto e desiderato per la donna sterile un destino di grazia: “Beata la sterile non contaminata… avrà il suo frutto alla rassegna delle anime” (Sap 3,13). Maria rappresenta, nella prospettiva del Vangelo, la novità compiuta dalla grazia di Dio.
La menzione di Giuseppe, discendente di Davide, serve a giustificare, sul piano storico, e legale, la promessa riguardante il figlio di Maria: Dio gli affiderà il trono di Davide suo antenato (v. 32).
Luca riporta anche il nome della Vergine, ma non la sua discendenza: Maria il cui nome significa “amata”
v. 28: Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
Quì inizia il dialogo, l'ascolto strutturato da un saluto e un appellativo, seguiti dalla garanzia di protezione divina.
Nel testo originale greco il saluto “Ti saluto, o piena di grazia” suona così: Kaire kekaritoméne; cioè: “rallegrati tu che sei stata trasformata (o ricolma) dalla grazia” (cfr. Sof 3,14ss.; Zc 2,14). Possiamo leggere questo saluto con queste parole: “rallegrati, Dio ti ha guardato con favore, con benevolenza, ti ha guardato con la ricchezza della sua generosità e ha trasformato la tua vita con il suo dono di grazia; per cui la forma che la tua vita ormai ha assunto è la forma prodotta in te dalla grazia di Dio, dal dono di Dio”.
Il participio greco usato indica una condizione permanente, quindi sostituisce il nome. Maria è identificata dall’inviato di Dio come colei che è totalmente avvolta da suo amore gratuito e benigno.
Questo saluto si conclude con la protezione divina: “Il Signore è con te”. È una espressione familiare che troviamo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento e ricorda il patto veterotestamentario tra Dio e l’umanità (attesa messianica da parte di Israele) ma da collocare nella novità dell’evento cristiano.
vv. 29-33: A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo.
Qui inizia il messaggio dell’angelo Gabriele, al quale fanno da contrappunto una riflessione e una domanda di Maria. Maria rimane turbata: è il suo travaglio che si pone davanti al suo Signore con timore. Il turbamento di Maria, più che per l'apparizione, come accade a Zaccaria, è per il senso del saluto rivoltole. Ella continua a stare alla Sua presenza, diventa modello e icona del cammino di ciascun cristiano.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Non è un saluto, ma una realizzazione messianica. Maria sarà la madre del Messia atteso e annunciato. Il turbamento che troviamo nella vita di Maria non è un semplice “turbare”, ma un perturbare, sconvolgere profondamente e fa parte del genere letterario delle annunciazioni (cfr. Lc 1,12) corrispondendo alle perplessità che avviene in ciascun chiamato ancora oggi (nella Bibbia possiamo vedere la chiamata di Mosé, Gedeone, Geremia, etc.).
Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Espressione tipicamente biblica (cfr. Gen 16,11; 17,19; Gdc 13,5-7). Il profeta Isaia aveva annunciato: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Maria è la donna che, nella routine della vita ordinaria, si trova davanti al piano divino (elezione) che Dio intende realizzare per mezzo della sua persona a favore del popolo (vocazione e missione).
Maria è la donna che fa passare Dio nel suo cuore (re-cor-dare) per concepire un figlio, darlo alla luce e chiamarlo Gesù; accoglie i segni della realizzazione di quanto le viene prospettato nell’evidente miracolo del concepimento di Elisabetta e finalmente pronuncia il suo fiat.
Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Questa descrizione è la spiegazione del mistero. Fa riferimento ad una serie di titoli messianici ("sarà grande", lo stesso titolo è dato a Giovanni Battista); "Figlio dell’Altissimo" nel suo grembo l'Altissimo stava per assumere forma umana.
In queste parole pronunciate vi è una composizione teologica postpasquale, che Luca mette sulla bocca del Messaggero di Dio. Ogni parola fa riferimento all'AT. Possiamo cogliere la profezia di Isaia (cfr. Is 9,5-6); l'oracolo di Natan a Davide (2Sam 7,12-17).
Nel NT troviamo un'applicazione in Lc 6,35) che prepara al significato teologicamente più pregnante che avrà l’espressione Figlio di Dio del v. 35.
v. 34: Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?».
In questa domanda troviamo sempre quell’opposto con Zaccaria che cercava un segno. Maria, invece, cerca la sua obbedienza in Dio in maniera cosciente e responsabile. È una ricerca di come dovrà svolgere il suo ruolo, di come realizzare i disegni di Dio.
Maria in questa sua ricerca comincia a dare corpo a questa chiamata divina, a capire che “Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome” (Is 49,1).
vv. 35-37: Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra.
La risposta dell’angelo del Signore affonda sull’azione dello Spirito Santo, potenza creatrice, fonte di vita, che aleggiava sulle acque (Gn 1,2), atteso per i tempi finali e che rinnova tutto, dato alla Chiesa il giorno di Pentecoste, ma già operante nella vita pubblica di Gesù.
Lo Spirito opera in Maria il grande intervento divino della salvezza. Egli è Colui che copre, adombra come una nube.
L'ombra, la nube nell'AT sono i segni della presenza divina (cfr. Es 13,21; 19,16; 40,34-35). Anche nel NT viene ripreso con lo stesso significato (cfr. Lc 9,34-35). Non si tratta di una presenza qualunque, come quella che nell'AT Dio riservava ai grandi uomini, ma di una presenza divina speciale: lo indica il verbo episkiazein, assai raro nell'AT e denso di significato, come quando in Es 40,35 indica la nube che fa ombra sopra il Tabernacolo e simboleggia la gloria di Dio che riempie la Dimora. Episkiazein, in ebraico hammishkan, da shakan cioè abitare, che i LXX hanno tradotto appunto con skēnē, parola formata dalle stesse consonanti della radice ebraica; dallo stesso gruppo deriva la parola shekinà che nel Giudaismo posteriore indicherà l'abitazione divina e sostituirà lo stesso nome di Jahvé.
Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio.
Gesù nascerà santo, nella santità che si addice a Dio solo, e per questo motivo sarà chiamato Figlio di Dio, sarà riconosciuto come tale. Luca si fa portavoce di ciò che la comunità cristiana aveva accolto a riguardo della figura di Gesù: lo aveva riconosciuto come il Messia davidico atteso.
Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile:  nulla è impossibile a Dio».
È la conclusione del discorso che si fa garanzia di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Garanzia che riscontriamo in altri personaggi: i tre angeli a Mamre (Gen 18,14); a Giobbe (Gb 42,2); a Geremia (Ger 32,27).
Per Maria non è una novità quel “nulla è impossibile a Dio”, l'ha meditato! Ha ricordato cioè ha fatto passare Dio nella sua vita, nel suo cuore, più volte.
In questa garanzia vi è la fede di un popolo, la gioia di chi ripone fiducia in Dio (2Tm 1,12).
v. 38: Allora Maria disse: Ecco la serva del Signore
La risposta di Maria, eccomi, la ritroviamo frequentemente circa 200 volte, perché Dio passa sempre dalla vita dell'uomo, lo chiama. L'espressione infatti è di colui o colei che ripone fiducia in Dio, che si mette a completa disposizione per compiere la sua volontà.
Anche in questo versetto troviamo ancora una qualifica di Maria: “serva del Signore” o “schiava”.
avvenga per me secondo la tua parola. E l'angelo si allontanò da lei.
Il sì di Maria è un sì gioioso (ghénoito) è il primo sì alla consegna che Dio fa di se stesso nelle mani di ogni uomo e di ogni donna. Gesù è il consegnato dal Padre nelle mani dell’altro. E Maria, attraverso il suo sì, permette questo: permette che attraverso di lei abbia inizio la consegna di Gesù.
Al sì di Maria, non importa più la presenza dell'Angelo. È lei il nuovo Angelo, l'ancella, titolo riservato ai grandi personaggi di fede (e solo uomini) e che ora è chiamata a donare il Verbo all'umanità!

La Parola illumina la vita
Mi metto in ascolto, pieno e totale, della Parola di Dio?
Percepisco nella mia vita lo stato di grazia, il favore, della benevolenza di Dio?
Mi sono mai sentito coinvolto in una missione che sembrava più grande delle mie forze e delle mie intenzioni? Come è stata la mia reazione?
Cosa significa per me essere "la serva, il servo del Signore"?
Mi chiedo come vivo e lascio passare di Dio nel mio cuore generandolo con coscienza e responsabilità.

Pregare
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! (Sal 97)

Contemplare-agire
Impariamo, sull’esempio di Maria, ad ascoltare il Signore che ci parla nelle piccole cose di ogni giorno. Ogni giorno fermiamoci a dialogare con il Signore ascoltando la sua Parola, perché possiamo conoscere, accogliere e vivere appieno la chiamata all’amore per l’altro.