mercoledì 23 maggio 2018

LECTIO: SANTISSIMA TRINITÀ (B)

Lectio divina su Mt 28,16-20


Invocare
O Dio altissimo, che nelle acque del Battesimo ci hai fatto tutti figli nel tuo unico Figlio, ascolta il grido dello Spirito che in noi ti chiama Padre, e fa’ che, obbedendo al comando del Salvatore, diventiamo annunziatori della salvezza offerta a tutti i popoli. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Leggere
16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato

Capire
Siamo alla conclusione del Vangelo di Matteo e la liturgia odierna ci fa leggere la finale di Matteo dove si sottolinea l'intronizzazione definitiva di Gesù Cristo come sovrano dell'universo.
Si conclude, qui, il tempo della presenza visibile di Gesù in mezzo ai suoi e si profila l'inizio del tempo della Chiesa, che è anche il tempo degli Apostoli, degli Evangelisti e, anche il tempo della scrittura dell'Evangelo.
Secondo questo testo conclusivo, il tempo della Chiesa è caratterizzato da un comando fondamentale che Gesù ha affidato alla comunità: l'evangelizzazione. Il programma per l'evangelista e per il tempo della Chiesa è il seguente: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (v. 19; cfr. CCC 1223).
Il Battesimo come Sacramento, cioè come segno efficace che inserisce nel credente battezzato la vita trinitaria di amore, nasce dall’intero Mistero Pasquale, di cui comunica le virtù, cioè le risorse spirituali in forma sovrabbondante appunto fin dal Battesimo.
All’indomani della Pentecoste, Pietro dirà fin dal suo primo discorso: «Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei peccati» (At 2, 38). E Paolo al carceriere: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia. […] Subito si fece battezzare con tutti i suoi» (At 16, 31-33).
Il nostro brano inizia con un gruppo ferito che si raccoglie attorno al Signore dopo la sua risurrezione.

Meditare
v. 16: Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 
I discepoli non sono più dodici ma undici, uno ha tradito e se n’è andato; uno ha rinnegato e gli altri hanno avuto paura (cfr. 27,3-10). Esso è un gruppo umiliato dalla propria debolezza e dagli errori. Matteo non fa alcun accenno alla reintegrazione del numero dodici come fa Luca in At 1,12-26.
Gli apostoli prima dell'elezione di Mattia (At 1,12-26), si recano all'appuntamento con il Cristo risorto, non per riconoscerlo, ma per ascoltare la rivelazione definitiva. Il luogo è un monte. Di quale monte si tratta?
Matteo è l’unico evangelista che fa iniziare e terminare l’attività di Gesù su di un monte (5,1; 28,16). Questa scena è anche l’ultimo dei riferimenti a Mosè, morto sul monte Nebo (Dt 34,1-5).
L’Evangelista non da un’indicazione topografica ma teologica. “Il monte” è una realtà, il luogo della terra più elevato e vicino al cielo. Per questo motivo, le culture antiche sul monte attestano la dimora della divinità. Salire sul monte significa poter aver accesso alla divinità o avere la condizione divina.
L’evangelista Matteo indica il monte perché Cristo diventa il nuovo Mosè, il Mosè per eccellenza, che raccoglie e compendia tutto l'insegnamento di Mosè: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32) è la promessa che Gesù aveva fatto: Lui, il crocefisso, il risorto, sarebbe diventato il centro dell’umanità, di un grande pellegrinaggio che doveva raccogliere tutti gli uomini «dagli estremi confini della terra» (At 1, 8), gli Unici sono la primizia; in tutta la loro debolezza sono però un segno di speranza. Per questo vanno incontro a Gesù, in Galilea, sul monte indicato. come Mosè era salito sul monte Sinai per vedere la gloria di Dio e per ricevere la parola della Legge (cfr. Es cap. 19 e 20); anche loro debbono «salire su questo monte» per vedere il Signore risorto e per ricevere da lui l’ultima decisiva parola d’insegnamento.
Il richiamo alla Galilea ha un significato preciso: la Galilea è il luogo in cui i discepoli avevano incontrato Gesù per la prima volta (4,18-22) e la prima missione ufficiale (10,1-16). Ed è il luogo dove Gesù ha vissuto la vita d’ogni giorno e iniziato il suo annuncio (4,12-17); è il luogo del Gesù storico, di quel Gesù concreto che è passato per le strade della Palestina.
v. 17: Quando lo videro, si prostrarono. 
Il versetto inizia con un verbo adoperato dall’evangelista è lo stesso usato nelle beatitudini: “Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio” (5,8), verbo che non indica il semplice vedere dal punto di vista fisico, ma una profonda percezione della realtà e che è adoperato per le manifestazioni divine (17,3; 26,64; 28,10).
Ora i discepoli vedono il Cristo risuscitato. Vederlo non dipende dalla vista, ma dalla fede. La capacità di vedere il Risorto si basa sulla fede dell’individuo, come nella risurrezione di Lazzaro, condizionata dalla fede che Gesù sollecita alla sorella Marta: “Non ti ho detto che se crederai (lett. credi), vedrai la gloria di Dio ?” (Gv 11,40).
I discepoli si prostrano. La prostrazione è la posizione di chi crede e accoglie la presenza di Dio. La stessa cosa fecero i magi (Mt 2,11) e richiesto a Gesù dal satana nel deserto: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai” (Mt 4,9).
Essi però dubitarono. 
La traduzione rivela che “Alcuni, però, dubitano”. Questa annotazione ci permette di rivedere nell’esperienza degli Undici la nostra stessa esperienza. Sono fatti della nostra fragilità e debolezza; vanno incontro al Signore con la loro fede, ma è una povera fede. 
Adorazione e dubbio allora vanno di pari passo nel cammino della fede. Il verbo dubitare / vacillare viene adoperato dall’evangelista soltanto qui e nel tentativo di Pietro di camminare sulle acque: “Cominciando ad affondare gridò a Gesù di salvarlo e il Signore gli stese la mano, lo afferrò e gli disse: uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (Mt 14,30-31).
L’accostamento tra i due episodi vuole indicare che tutti i discepoli non hanno ancora la fede sufficiente per raggiungere Gesù nella pienezza della condizione divina.
v. 18: Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
All’inizio del suo ministero Gesù, ricevette l’offerta da satana di un potere, quando gli aveva fatto «vedere tutti i regni del mondo e gli aveva detto: «Tutti questi regni sono tuoi, se, tu ti prostri ad adorarmi». A quell’offerta Gesù oppose un netto rifiuto: solo Dio è degno di essere adorato e l’obbedienza a Dio sta al di sopra di qualunque altra possibile realizzazione (4, 8-10).
Gesù un potere nella sua vita l’aveva: Matteo insiste sul fatto che quando Gesù parla, lo fa con autorità (7,29), con potere, come se nelle sue parole si potesse incontrare la parola diretta di Dio, quella Parola che ha creato i cieli (Gen 1,8) e che quindi ha una forza che s’impone all’esistenza dell’uomo.
In questo versetto Gesù stesso afferma quanto dice la Sacra Scrittura di Lui: «uno simile ad un figlio di uomo»: «Gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano...» (Dn 7,14). L’evangelista Matteo dà la sua sfumatura sul potere di Gesù: “non è venuto per essere servito ma per servire” (20,28), non viene a dominare le nazioni ma a liberarle comunicando loro lo stesso Spirito vitale di Dio.
v. 19: Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
Gesù usa un imperativo. Nel suo comando invita a “discepolizzare”. Con questa autorità/potere, la stessa del Padre, Gesù invia i discepoli a tutta l’umanità: il regno di Dio si estende a tutti i popoli. È una chiamata a vivere la missione. Condividere l’esperienza della fede, testimoniare la fede, annunciare il Vangelo è il mandato che il Signore affida ai discepoli e a tutta la Chiesa.
Cosa vuole dire che «fate discepoli tutti i popoli»? Per Marco ci sono tre cose che caratterizzano il discepolo (cfr. Mc 3, 14-15). Innanzitutto è «stare con Gesù»; e lì c’è dentro tutto il senso del rapporto personale. Gesù è una persona concreta da conoscere, da ascoltare, a cui parlare, da amare. Le altre due cose sono: «debbono predicare... debbono scacciare i demoni», cioè devono fare quello che ha fatto Gesù, continuare la missione di Gesù. Ma perché possono continuare questa missione debbono avere avuto e custodire nel cuore un rapporto di amicizia sincero, di simpatia autentica con il Signore.
Il versetto continua con una formula trinitaria seguita al battesimo. "I mezzi che abbiamo per «fare discepoli» sono principalmente il Battesimo e la catechesi. Ciò significa che dobbiamo condurre le persone che stiamo evangelizzando a incontrare Cristo vivente, in particolare nella sua Parola e nei Sacramenti: così potranno credere in Lui, conosceranno Dio e vivranno della sua grazia" (Benedetto XVI). Qui il testo, infatti, non vuole proprio indicare il rito liturgico da fare, ma “immergere, inzuppare, impregnare” gli esclusi nel mistero trinitario. La fede di ogni credente ha il suo sigillo in quel gesto concreto del Battesimo che esprime l’appartenenza a Cristo, e attraverso Cristo l’appartenenza a Dio uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo. Ogni battezzato porta il nome della Trinità, il nome di Dio, quindi appartiene a Dio, ha in se il sigillo della Sua identità, è figlio di Dio, come Gesù Cristo e attraverso Gesù Cristo per la presenza dello Spirito Santo.
v. 20: insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Un primo verbo che appare per la prima volta in Matteo è quello di insegnare. Gesù per la prima volta autorizza i suoi discepoli ad insegnare. Non li autorizza ad insegnare una dottrina, ma una pratica: infatti “a praticare e a osservare tutto ciò che io vi ho comandato”.
Cosa? Insegnare a vivere l’alleanza con Dio, da figli di Dio. Manifestare nella vita la presenza dell’amore di Dio stesso.
Insegnare l’amore che scaturisce dalle beatitudini. Solo questo da una certa garanzia: la presenza perenne di Gesù. Questo battesimo nella realtà di Dio non è un avvenimento isolato nella vita del credente, ma continuativo e duraturo nella misura che questi sarà capace di tradurre in pratica l’amore nel quale è stato immerso.
L’evangelista Matteo aveva iniziato il suo Vangelo con l’espressione che Gesù è “il Dio con noi” (Mt 1,23) e termina con questa stessa espressone “io sono con voi tutti i giorni”. Espressione che troviamo spesso nella Bibbia perché la missione appartiene a Cristo e non alla Chiesa.
È la qualità dell’essere cristiano che deve vivere il dinamismo di Dio amore e non la staticità. “Fino alla fine del mondo” non richiama a una sorta di paura che abbiamo ancora ai nostri giorni. Gesù assicura che accompagnerà la missione d’amore in ogni momento e in ogni situazione.

La Parola illumina la vita e la interpella
Ascolto anche io la Parola per salire sul monte, così come ha indicato Gesù?
Come accolgo la presenza di Dio nella mia vita?
Vivo una chiara scelta di testimonianza, per essere missionario della potenza salvifica di Dio?
Come vivo la presenza di Gesù tutti i giorni? Come vivo l’amore tramandatomi da Gesù?
Sento in me uno spirito da figlio adottivo del Padre che mi induca ad esercitare la mia libertà nei rapporti con gli altri ed in particolare con coloro che non credono?

Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.         

Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
Perché egli parlò e tutto fu creato,
comandò e tutto fu compiuto.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo. (Sal 32)

Contemplare-agire  L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Lascio gridare al mio cuore le parole del vangelo, per lasciare esprimere meglio il volto di Gesù, la dimensione dell’amore trinitario nella mia vita di tutti i giorni, per essere lievito di comunione e d’amore per quanti incontro nel cammino, sicuro che Lui è con me, fino al compimento del secolo.