giovedì 10 ottobre 2019

LECTIO: XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / C


Lectio divina su Lc 17,11-19


Invocare
O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa’ che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». 19E gli disse: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».

Silenzio meditativo lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio

Dentro il Testo
Gesù sta compiendo la terza tappa del cammino verso Gerusalemme; la meta ormai è vicina e il maestro chiama con maggior intensità i suoi discepoli a seguirlo, fino ad entrare con Lui nella città santa, nel mistero della salvezza, nel mistero dell'amore.
Il passaggio si compie solo attraverso la fede, alimentata da una preghiera intensa, incessante, insistente, fiduciosa; lo vediamo ripercorrendo i capitoli che precedono e seguono questo racconto (17,6-19; 18,7-8; 18,42).
Il Vangelo ci invita a identificarci con i lebbrosi, che diventano bambini (cfr. Lc 18,15-17) e con il ricco che si converte e accoglie la salvezza nella sua casa (Lc 18,18 ss.); se le accogliamo veramente e le custodiamo in modo tale da metterlo in pratica, potremo finalmente arrivare anche noi a Gerico (19,1) e di lì cominciare a salire con Gesù (19,28), fino all'abbraccio gioioso col Padre.
La pericope evangelica, oltre a dirci che «Gesù salva», ce ne indica anche una modalità. La Salvezza avviene «per la strada» e, al contempo, nel riconoscimento che essa viene da Dio, è un suo dono, e ci viene data attraverso la persona di Cristo. Da qui scaturisce il gesto del Samaritano che «loda Dio» e ringrazia Gesù per la guarigione ottenuta. Non un gesto di sudditanza o di prostrazione, ma un segno di riconoscenza che diventa «riconoscimento» di un Dio che sempre ci salva e che - sicuramente - sempre ci accoglie. Non un gesto disincarnato dalla realtà «pellegrinante» dell’uomo, ma un segno di salvezza «concreta», capace di attendere l’uomo, facendogli compiere il suo personale percorso di vita e di ricerca.
Il racconto apre alla missione universale.

Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 11: Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Siamo alla terza e ultima tappa del viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Il versetto che ci introduce all’incontro del Signore con dieci lebbrosi, ci mostra una geografia strana: sembra che Gesù si sposti in direzione opposta! Strana perché un ebreo non percorrerebbe mai una terra straniera e pagana. In realtà, Luca ci permette di guardare la Samaria da “Gerusalemme”.
La nostra vita è affranta da varie vicissitudini. La Parola ci mostra un cammino, ed è un cammino lungo da fare con tutte le sue fatiche. Un cammino lungo ma pieno di speranza e che conduce alla gloria. Ciò che conta è osare ancora perché c’è un varco, una sfida, un progetto da realizzare. L’iniziativa è di Dio. In questo cammino vi è il passaggio di Gesù. Nulla Egli lascia di non visitato, non toccato dal suo sguardo d'amore e di misericordia.
vv. 12-13: Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».
Gesù entra in un villaggio, non sappiamo il nome del villaggio, infatti è il villaggio della vita: Gesù entra nella vita di tutti i giorni dove incontra tutti, in particolare i bisognosi. L'entrare di Gesù, in senso biblico, è l'ingresso nel profondo, che implica condivisione e partecipazione. Qui incontra dei lebbrosi.
Il lebbroso secondo Lev 13, 45-46, è una persona colpita, ferita, percossa: qualcosa lo ha raggiunto con violenza, con forza e ha lasciato un segno di dolore, una ferita. È una persona in lutto, in grande dolore, come dimostrano le sue vesti stracciate e il capo scoperto; è uno che deve coprirsi la bocca, perché non ha diritto di parlare, né quasi più di respirare in mezzo agli altri: è come un morto. È uno che non può rendere culto a Dio, non può entrare nel tempio, né toccare le cose sante e per questo ritenuto un impuro, maledetto da Dio. È una persona piagata profondamente, un emarginato, un escluso, uno lasciato in disparte, in solitudine.
I dieci lebbrosi che vanno incontro a Gesù, si fermano a distanza e solo da lontano gli parlano, gridandogli il loro dolore, la loro disperazione.
Si rivolgono verso Gesù chiamandolo per nome, quasi si conoscessero da tempo: “Gesù maestro”: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!”. La Legge obbligava loro nel momento in cui avessero incontrato qualcuno di gridare “immondo! Immondo! Immondo!” (Lev 13,45). Questi però incontrando Gesù chiedono pietà.
Questa richiesta è accompagnata dal vocativo “maestro” che vuole indicare una persona dotata di grande sapienza e autorità. Nel linguaggio lucano (epistates); significa più propriamente “colui che sta in alto” (significa anche “padrone”) e che ritroviamo sulla bocca di Pietro, quando, sulla barca, fu chiamato da Gesù a seguirlo (Lc 5,8) e lui si riconosce peccatore. E qui siamo al cuore della verità, qui è svelato il mistero della lebbra, quale malattia dell'anima: essa è il peccato, è la lontananza da Dio, la mancanza di amicizia, di comunione con Lui. Questo fa disseccare l'anima nostra e la fa morire pian piano.
Qui gli sguardi si incrociano e i lebbrosi vengono ammessi al banchetto dell'intimità con Gesù, alla festa di nozze della salvezza. Dopo di loro solo il cieco di Gerico (Lc 18, 38) e il ladrone sulla croce (Lc 23, 42) ripeteranno questa invocazione con la stessa familiarità, lo stesso amore: Gesù! Solo chi si riconosce malato, bisognoso, povero, malfattore, diventa prediletto di Dio.
v. 14: Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Gesù non dice nessuna parola di salvezza, ma li manda al tempio, dai sacerdoti come prescriveva la legge (cfr. Lc 4,27; 5,13-14; 2Re 5; Gb 33,14-30). . In realtà già presuppone il miracolo che Lui sta per concedere in quanto solo dopo che uno è guarito da una malattia come la lebbra, può presentarsi ai sacerdoti - secondo l'usanza (cfr. Lv 14) - perché, una volta constatata l'avvenuta guarigione, possa essere di nuovo reintrodotto ufficialmente nella Comunità sociale, senza più rischiare di esserne cacciato. Il fatto di obbedire alla parola di Gesù indica chiaramente la loro fede: di conseguenza essi sono guariti mentre sono ancora in cammino.
vv. 15-16: Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Uno torna indietro. Luca non dice subito di chi si tratta; con ciò vuole preparare l’uditorio mettendo in luce la fede dello sconosciuto. Alla fine dice che è un Samaritano, un’annotazione particolare per indicare che tutti vengono riuniti sotto la misericordia divina. Il suo tornare indietro non è un semplice movimento fisico, un cambiamento di direzione e di marcia, ma piuttosto un vero e proprio capovolgimento interiore, profondo. “Tornare” è il verbo della conversione, del ritorno a Dio. È il cambiare qualcosa in un'altra cosa (Ap 11,6); è il tornare a casa (Lc 1,56; 2,43), dopo essersi allontanati, come ha fatto il figlio prodigo, perso nel peccato. Così fa questo lebbroso: cambia la sua malattia in benedizione, la sua estraneità e lontananza da Dio in amicizia, in rapporto di intimità, come tra padre e figlio. Cambia, perché si lascia cambiare da Gesù stesso, si lascia raggiungere dal suo amore.
Il Samaritano ringrazia, fa la sua eucarestia! Si siede alla mensa comune della misericordia, dove Gesù si è lasciato ferire e piagare ancor prima di lui; dove è diventato il maledetto, l'escluso, il buttato fuori dell'accampamento per raccogliere tutti noi nel suo cuore. La sua eucarestia è gioiosa, con abiti a festa e non da lutto.
vv. 17-18: Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?».
Gesù rimane stupito perché solo uno torna indietro e pone tre domande, tre domande che rimangono nel cuore di ciascuno e che attendono una risposta. La prima domanda dichiara che tutti hanno beneficiato della guarigione. La seconda costata l’assenza di nove dei guariti. L’ultima esplicita ciò che questi avrebbero dovuto fare: non basta la guarigione; essa avrebbe dovuto essere per essi il segno di una realtà nuova; non tornando da Gesù, hanno mancato nell’essenziale.
A questa prospettiva si aggiunge anche una nota di esortazione: i doni ricevuti da Dio richiedono la risposta riconoscente dell’uomo. Inoltre, chiamando il samaritano «straniero», lo si costituisce rappresentante di tutti gli stranieri, del mondo pagano aperto alla salvezza, e posto in contrasto con i membri del popolo eletto (prospettiva storico-salvifica).
v. 19: E gli disse: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».
Due verbi concludono questo episodio. Il primo è un invito di Gesù: Alzati, cioè Risorgi!. È la vita nuova dopo la morte, il giorno dopo la notte. Anche per Saulo, sulla via di Damasco, è risuonato questo invito, questo comando d'amore: "Risorgi!" (At 22,10.16) ed è nato di nuovo, dal grembo dello Spirito Santo; è tornato a vedere, ha ricominciato a mangiare, ha ricevuto il battesimo e il nome nuovo. La sua lebbra era scomparsa.
Il secondo verbo è quello del salvare, che è inciso nel nome di Gesù. In ebraico Gesù significa Dio salva. E, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, il suo nome «…significa che il Nome stesso di Dio è presente nella persona del Figlio suo [Cf At 5,41; 3Gv 1,7 ] fatto uomo per l'universale e definitiva Redenzione dei peccati. È il nome divino che solo reca la salvezza, [Cf Gv 3,18; At 2,21 ]». (CCC, 432).
Il samaritano, risanato nel corpo e totalmente liberato e rinnovato nello spirito, ha sperimentato la salvezza per opera del Cristo; ha raggiunto la fede, quella fede che non conosce barriere, infatti nessun uomo è straniero agli occhi di Dio perché ogni uomo è un figlio che ha in sè l'immagine del Padre, che niente può distruggere e che Gesù ha riportato, col suo sacrificio e la sua parola, allo splendore originario.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Gesù sta passando dalla mia vita. Sono pronto ad accoglierlo?
Ho il coraggio di mettere a nudo il mio male, il mio peccato, che è la vera malattia?
Dice il Salmista: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?... Mi preparo a dirgli grazie, a cantargli il cantico nuovo del mio amore per Lui.
In quale modo posso esprimere la mia riconoscenza al Signore?
Qual è il mio atteggiamento verso gli stranieri?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!  (Sal 97).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Il vangelo termina con un invito: “Alzati e va'”. È l’ascolto fattivo della Parola. Dopo questa esperienza non posso stare fermo, chiudermi nel mio mondo, nella mia tranquilla beatitudine e dimenticarmi di tutti. Devo alzarmi, uscire fuori, mettermi in cammino mostrando la nostra gratitudine non solo a parole, ma anche con le opere e nella verità.