giovedì 1 ottobre 2020

LECTIO: XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno A

Lectio divina su Mt 21,33-43


Invocare
Padre giusto e misericordioso, che vegli incessantemente sulla tua Chiesa, non abbandonare la vigna che la tua destra ha piantato: continua a coltivarla e ad arricchirla di scelti germogli, perché innestata in Cristo, vera vite, porti frutti abbondanti di vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

In ascolto della Parola (Leggere)
33 Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34 Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35 Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36 Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». 38 Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». 39 Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40 Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41 Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 
42 E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi?
43 Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.

Dentro il Testo
La parabola degli operai omicidi è racchiusa da Matteo nella cornice di altre due parabole: quella dei due figli (Mt 21,28-32) e quella del banchetto di nozze (Mt 22,1-14). Insieme le tre parabole contengono una risposta negativa: quella del figlio al padre, di alcuni contadini al padrone della vigna, di certi invitati al re che celebra le nozze del suo figlio. Le tre parabole tendono a mostrare un unico punto: si tratta di coloro che, come non hanno accolto la predicazione e il battesimo di Giovanni, ora sono unanimi nel rifiuto dell’ultimo inviato di Dio, la persona di Gesù. L’introduzione alla prima parabola di Mt 21,28-33 è da ritenersi anche per la parabola degli operai omicidi: Giunse al tempio e mentre insegnava i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo gli si avvicinarono domandandogli: Con quale autorità agisci così? Chi ti ha dato questa autorità? É l’aristocrazia sacerdotale e quella secolare ad avvicinarsi a Gesù quando egli entra nel tempio. Sono preoccupati della popolarità di Gesù e pongono delle domande a Gesù per sapere due cose: che tipo di autorità si attribuisce nel fare quello che fa, e la provenienza di tale autorità. In realtà la seconda risolve il quesito della prima. I sommi sacerdoti e i capi del popolo esigono una prova giuridica: non si ricordano più che i profeti avevano autorità direttamente da Dio.
La parabola inizia con una citazione del cantico isaiano della vigna (Is 5,1-7; cfr. anche Sal 79). Questa citazione è importante perché Isaia offre una chiave di lettura: “La vigna del Signore era la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita”. Il tema della vigna è un argomento molto caro a Israele. 
La vigna ci ricorda che tutta l’azione di Dio è azione aperta, ed è azione che può andare delusa. Pensiamo al canto della vigna: “mentre aspettavo che producesse uva buona, essa fece uva selvatica”. Qui non c’è semplicemente l’atteggiamento di delusione, quanto piuttosto l’atteggiamento di chi si vede deluso da un rapporto di amore. Per quanto lui ci abbia amato, di fatto siamo venuti a meno a questo rapporto. Pensiamo a come la sposa del Cantico parla di se stessa: la mia vigna, l’ho custodita; cioè, ho incontrato colui al quale appartenere. Proviamo a trasferire questo nel cuore di Dio, nel cuore di Colui che si vede deluso da un rapporto che è venuto meno a causa dell’infedeltà del suo popolo.
Si dovrà dunque escludere a priori qualunque interpretazione della parabola che contraddica palesemente questa premessa: il Signore della vigna cambierà i vignaioli, ma non la vigna. Essa è proprietà di Dio!

Riflettere sulla Parola (Meditare) 
v. 33: Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 
La parola inizia con un imperativo (insistente, ancora una parabola) all'ascolto. È la terza parabola con protagonista la vigna. 
Questa insistenza significa la nostra incapacità di metterci in ascolto e nello stesso tempo, un richiamo alla professione di fede: Shemà! Le parole dello Shemà sono 245. Ripetendone l'ultima espressione diventano 248, tante quante sono, per tradizione, le membra del corpo umano. Ciò vuole ricordare che bisogna aderire alle parole dello Shemà con tutta la propria persona. Ecco perché Gesù dice: “ascoltate!”, per porre attenzione con tutta la persona a quanto sta per dire. 
L'attenzione verte su un uomo, un possidente di un terreno. Questi prende l’iniziativa di piantare una vigna. Tale attenzione e cura viene descritta da Matteo con cinque verbi: piantò... circondò... scavò... costruì... affidò. 
L’uomo, dopo aver piantato la vigna, l’affida a dei vignaioli e parte lontano. 
Il Regno di Dio non è offerto in dono ai vignaioli. Prova ne è che viene dato in affitto ai vignaioli (soprattutto nel testo parallelo di Marco si specifica questo; cfr. anche Mt 25,14). Il Regno di Dio “è” il donare, è il dono. Dio non si offre in dono, Dio è il dono, è il donare. E i vignaioli pagano un affitto, pagano un prezzo. Non per accogliere il dono si paga un prezzo, ma per entrare nel dono, per avere parte a Colui che è il dono, che è il donarsi, si paga un prezzo. E il prezzo è diventare simili al dono, diventare come il donare. Non solo imparare a donare, non solo fare dei doni, non solo fare della vita un dono, ma essere il dono, essere il donare. 
L’essenza del cristianesimo non è il dono, perché questo finisce e diventa proprietà di qualcun’altro; ma è il darsi, in un movimento infinito in cui continuamente e totalmente l’uno si dà all’altro, rimanendo se stesso: è la Trinità.
vv. 34-36: Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 
C’è un tempo per raccogliere i frutti. Vengono descritti molto bene in Is 58. I servi di cui si parla, non hanno il ruolo di esattori; infatti sono i profeti che Dio inviò ad Israele nei vari momenti della sua storia. La presenza dei servi dice la non rassegnazione di Dio a vedersi escluso da questo rapporto di comunione, da questo rapporto di amore (in Is 1 troviamo descritta questa stanchezza di Dio). Un amore che continua ad essere bastonato, ucciso. Un trattamento riservato dal popolo eletto ai messaggeri di Dio (cfr. Mt 23,37). Il profeta viene anche lapidato, così come accadde a Zaccaria in 2Cr 24,20-22 (cfr. Mt 23,35), come accade ai nostri giorni. 
I contadini, coloro che sono installati nel potere non hanno il senso del cambiamento, ma solo mantenere la loro posizione di privilegio, di prestigio. 
Amore fratellanza, giustizia, attenzione al povero sono quei frutti perenni a cui i profeti di ogni tempo annunzieranno, anche a costo della propria vita.
vv. 37-38: Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». 
Il figlio inviato ha la stessa funzione dei profeti. L’invio del Figlio è espressione dell'incarnazione del Verbo. È l'espressione di un Padre che ha dato fondo a tutta la sua capacità di alleanza, che non si è risparmiato, per il quale conta questa reciprocità di amore di coloro nei confronti dei quali ha avuto una grande cura.
Ma il cuore dell'uomo è sempre ostinato, duro, invidioso... Il loro ragionamento non guarda in faccia nessuno: “Questo è l’erede, uccidiamolo e avremo noi l’eredità”. Quando si vuol mantenere una posizione si arriva anche all’estremo per ottenerla. Ed è questo quello che fanno i contadini.
Il problema non è tanto il pensare di poter possedere (l’eredità sarà nostra) e nemmeno tanto di aver ucciso l’erede (Dio avrebbe perdonato anche questo). Il vero problema è aver gettato l’erede fuori della vigna: in questo modo i vignaioli si sono esclusi dalla Trinità, da quel darsi eterno del Padre al Figlio nell’Amore. L’essere fuori dalla Trinità è la morte. Poiché la vita è in quell’eterno “darsi reciproco” che verrà affidato ad altri.
v. 39: Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 
I vignaioli omicidi, senza saperlo, pronunciano una profezia. È evidente il riferimento alla passione di Gesù, condotto fuori dalla città per essere crocifisso (Gv 19,20; Eb 13,12). Viene alla mente la folla che accompagna Gesù alla crocifissione e che, ancora una volta in modo ignaro, grida: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. E sarà così. Ma proprio nella sua condizione di “cacciato fuori” dalla vigna e attraverso la sua crocifissione Gesù ci rende partecipi della sua eredità. Per noi la condizione di crocifisso è una condizione che pone fine al nostro rapporto con Dio; per Dio la crocifissione del suo Figlio esprime in pienezza la sua misericordia per noi.
Dell’eredità tutti possono essere partecipi per la decisione del Padre di consegnarci il suo Figlio e per il dono che Gesù ha deciso di fare della sua vita. In fondo la nostra vocazione è la vocazione di coloro che si sanno partecipi della comunione con Dio proprio per i “cacciati fuori”. Va in questo senso anche la citazione del Salmo: “la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo” (Sal 118,22-23). Attenzione: è la pietra scartata che diventa testata d’angolo. Non è che ci sia una azione previa per cui la pietra scartata viene di nuovo quadrata; ma in quanto scartata è pietra d’angolo.
vv. 40-41: Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 
I principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo non hanno capito la logica di Dio, che non esita a donare il suo Figlio per la vita del mondo. Ma soprattutto non hanno capito che quei malvagi su cui invocano la morte sono loro. Proprio loro sono quei vignaioli omicidi che non esiteranno, nella passione del Signore, a mettere a morte Gesù. Ma in quei malvagi potremmo essere anche noi, perché nessuno, durante la passione di Gesù, si è schierato dalla sua parte o a sua difesa. A tutti e a ciascuno è rivolto quel che dice l’apostolo Pietro: “Questo Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36). Perché tutti, ancora oggi, tentiamo di gettare fuori dalla vigna il Vangelo, il Figlio. È un peccato su cui interrogarci.
"Dio ha un progetto per i suoi amici, ma purtroppo la risposta dell’uomo è spesso orientata all’infedeltà, che si traduce in rifiuto. L’orgoglio e l’egoismo impediscono di riconoscere e di accogliere persino il dono più prezioso di Dio: il suo Figlio unigenito" (Benedetto XVI).
vv. 42-43: E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
Gesù cita il Sal 117,22-23 che nella tradizione viene attribuito al rifiuto del Messia. Un Salmo che spesso ripetevano nelle loro liturgie. Un Salmo che anche noi ripetiamo la domenica.
Scartiamo la pietra più importante della nostra vita. Scartiamo il Regno di Dio e cedendolo ad un altro popolo capace di portare frutti, cioè capace di una fede viva ed operante in una prassi d’amore. Gesù è la vite che porta frutto. Dall’albero della croce scaturisce la vita; dall’albero della croce nascono i germogli della nuova vita. Dalla croce di Gesù, dalla sua morte e dal suo fianco squarciato scaturisce per l’umanità il dono dello Spirito Santo, quel frutto che è in grado di portare frutto a sua volta. Dalla croce di Cristo si ha l’apertura al mondo dell’amore trinitario, l’apertura di Dio fuori di sé.
L’espressione «perciò vi dico... sarà tolto e sarà dato...» indica la solennità dell’azione di Dio con cui viene segnata la storia dell’antico Israele e quella del nuovo popolo.  Qui “popolo” (ethnos) non sta ad indicare - come di consueto - le nazioni pagane (i gentili) né il popolo eletto (concetto reso con il termine laos), ma la nuova comunità dei credenti: Ebrei e pagani che formano la Chiesa di Cristo; quella comunità che nasce dal costato trafitto di Cristo e dal suo dono all’umanità dello Spirito Santo, quello Spirito che guida l’esistenza cristiana all’amore Trinitario che è più forte del pensare umano.

Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

La Parola illumina la vita e la interpella
Come vivo il mio rapporto con Dio? Quale volto di Dio ricerco nella vita di tutti i giorni?
Quali frutti porto? Oppure anche io scaccio il Vangelo, il Figlio di Dio, la pietra più importante della mia vita?
Nel mio servizio all’interno della Chiesa (parrocchia, comunità, Diocesi) come mi comporto? Sono tra quelli del “faccio tutto io” oppure vivo la condivisione dell’amore?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Hai sradicato una vite dall’Egitto,
hai scacciato le genti e l’hai trapiantata.
Ha esteso i suoi tralci fino al mare,
arrivavano al fiume i suoi germogli.

Perché hai aperto brecce nella sua cinta
e ne fa vendemmia ogni passante?
La devasta il cinghiale del bosco
e vi pascolano le bestie della campagna.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.

Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
Signore, Dio degli eserciti, fa’ che ritorniamo,
fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi. (Sal 79).

L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
La parola di Dio non la si può comprendere se Dio stesso non apre il cuore (At 16,14). A noi, però, quell’ordine: “ascoltate!” è adesione con tutto il cuore, con tutta l’anima con tutta la mente. Per non far prevalere la curiosità sull’ascolto, sosta in silenzio davanti alla Parola e lasciati trasportare da Essa nella ricerca del’Essenziale.