Lectio
divina su Mc 13,24-32
O Dio, che farai risplendere i giusti come stelle nel cielo, accresci in noi la fede, ravviva la speranza e rendici operosi nella carità, mentre attendiamo la gloriosa manifestazione del tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Siamo nel cap. 13 del Vangelo di Marco. Un capitolo un po’ diverso dagli altri, che esula dallo stile usato nelle altre pagine dello stesso vangelo.
Siamo nel 70 d.C., assistiamo alla morte di Nerone, guerre civili e Vespasiano che sale al potere. Assistiamo anche alla distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio. Gesù lo aveva detto: “non resterà pietra su pietra”.
Il linguaggio usato per questo capitolo è apocalittico, un genere letterario che non deve impressionarci. La parola oggi ci fa immaginare la distruzione catastrofica del mondo. Ma non è questo. Apocalittico è una parola greca che vuole dire “togliere il velo”.
L’ultimo libro della Bibbia si chiama Apocalisse, ma non parla di distruzione. Usa immagini per svelare una nuova realtà. L’Apocalisse e i libri dal genere apocalittico sono nati con lo scopo di consolare; è un paradosso, ma è proprio così.
Il libro stesso dell’Apocalisse inizia col dire “Rivelazione…”. Cosa vuol rivelare? Rivela una nuova realtà indicando quell’oscurità che copre la storia del mondo tolta e con chiarezza vengono svelate il senso delle cose, degli avvenimenti, il destino delle persone. Non sarebbe, questo, un evento da desiderare? “Fino a quando – gridano i martiri rivolgendosi a Dio – non farai giustizia?” (Ap 6, 10). Essi desiderano che, al di là del caos della storia umana, si riveli l’armonia e la coerenza del piano divino. E questa è la prospettiva del Vangelo di oggi. Sì, è vero che vi si parla di tribolazione, di sole e luna che perdono il loro splendore (gli astri del tempo erano idoli). Ma questo è solo la preparazione di un evento che si presenta come atteso e desiderato. Dal v. 5 al v. 13 si parla dell’inizio dei dolori, citato in particolare al v. 8. Il linguaggio indica le “doglie di una donna”, quindi la nascita di una nuova creatura. Anche qui ci sarà una nuova nascita, per viverla bisogna andare incontro al vero Sole, alla vera Luna: Cristo Gesù.
È importante notare che subito dopo questo discorso, segue il racconto della Passione del Signore. La sua morte sembrava proprio la fine di tutte le speranze che lui fosse davvero il Messia (cfr Lc 24,13-21). Ma la Risurrezione di Gesù ha portato a compimento tutte le promesse ed ha aperto il futuro di una vita piena e gloriosa in compagnia di Gesù in tutta la sua potenza e magnificenza!
vv. 24-25: In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce
L’evangelista segna per tutti noi i giorni di Gesù che indicano la sua morte. Ma sono anche i giorni della distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio. Infatti, la parola “Tribolazione” vuole indicare, sì, un periodo di sofferenze, di tenebre ma in riferimento a quanto sta accadendo a Gerusalemme. Indica un tempo in cui non si sa dove siamo e dove stiamo andando.
le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Ecco ancora un’altra immagine. Alla grande tribolazione si oppone una nuova realtà. L'evangelista considera vicina la parusia, anche se l'ora resta sconosciuta. Lo sconvolgimento del cosmo è descritto con espressioni tipiche del linguaggio apocalittico, in una forma stilistica accurata: i quattro elementi sono disposti due a due con il ricorso al parallelismo. È evidente il richiamo a Is 13,10 quando si parla di oscurarsi del sole e della luna, a Is 34,4 quando si parla di sconvolgimento delle potenze che sono nei cieli.
Questo fa parte ancora della speranza, perché vuole dire che tutte le realtà mondane che si presentano come forti e invincibili, e di fronte alle quali l’uomo rimane in un atteggiamento di timore e paura continua, queste potenze vengono svelate in tutta la loro fragilità e in tutta la loro debolezza. Ma tutto ciò lo possiamo leggere sotto quest’ottica: ci sono nel mondo poteri che schiacciano e che condizionano profondamente l’esistenza dell’uomo: il denaro, il potere, l’inganno, la violenza...; ci sono queste realtà, ma queste realtà che sembrano invincibili, che sembrano così salde così come è saldo il sole o la luna o le stelle, in realtà queste potenze dovranno scomparire. Infatti, il traguardo della storia umana, è la rivelazione del Figlio dell’uomo.
Gli uomini sono dispersi, lontani gli uni dagli altri per tutta una serie di separazioni che li dividono. Il Figlio dell’uomo verrà per raccoglierli e per fare di loro un popolo solo e una nazione sola.
vv. 26-27: Allora vedranno il Figlio dell'uomo
In questa nuova immagine, ripresa da Dn 7, abbiamo la contemplazione dell’uomo Dio sulla croce, la stessa che vide il centurione ai piedi della Croce e conobbe Dio (15,39).
venire sulle nubi con grande potenza e gloria.
È il punto culminante del discorso escatologico di Marco. Le parole e le immagini usate sono un insegnamento universale e non si riferiscono a fatti ben precisi. L'affermazione centrale è che Gesù verrà con "grande potenza e forza" e le sue Parole "non passeranno mai".
Il tempo dell'attesa si compie, arriva il momento della ricapitolazione di tutto in Cristo. La fine del mondo non è altro che la premessa della parusia gloriosa del Figlio dell'uomo prevista da Dn 7,13. Le nubi indicano la presenza di Dio che nelle teofanie se ne serve per scendere sulla terra. Gli attributi della sovranità divina, la potenza e la gloria, ricordati da Gesù davanti al sinedrio (14,62), non sono una minaccia per l'uomo, ma la proclamazione solenne della dignità messianica che trascende l'umanità di Cristo.
La venuta del Figlio dell’uomo con potenza vuol dire che le altre potenze, altri idoli decadono.
Il vangelo di Marco ci dice di non lasciarci terrorizzare da quelle potenze che sembrano invincibili e di mantenere la fiducia che l’ultima parola sulla storia toccherà al Figlio dell’uomo e sarà una parola di potenza e di salvezza, di unità e di consolazione. A fronte di tutte le potenze c’è un Gesù che viene. Cosa è lo spegnersi del sole e della luna in confronto a Gesù che viene?
Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.
I quattro venti, l’estremità della terra, l’estremità del cielo: è una condizione di assoluta totalità e apertura.
Chiediamoci se il Veniente non cominci a venire nel momento in cui cominciamo a ragionare in termini di “quattro venti”, di “estremità della terra e di estremità del cielo”. Verrà sì il giorno in cui la nostra vita sarà passata al vaglio, ma sarà aurora di luce e di vita eterna per coloro che sono maturati mediante la verità della sua parola e la potenza della sua Croce. Costoro, ossia "i saggi" – dice il profeta Daniele - "splenderanno come le stelle per sempre" (Dn 12,3).
Se ci abituassimo al venire del Signore cominciando a riunire gli eletti e a considerare eletti coloro che vengono dai quattro venti, dall’estremità della terra e del cielo!
vv. 28-29: Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina.
Alle immagini apocalittiche si accosta una parabola. Gesù porta la parabola del fico per indicare la certezza e la prossimità degli eventi annunciati. L'imperativo rivolto agli ascoltatori: Imparate! rivela il senso della similitudine: è un invito a penetrare a fondo il senso delle parole di Gesù per comprendere il progetto di Dio sul mondo. La pianta del fico che perde le foglie in autunno avanzato e le rimette tardi rispetto alle altre piante, a primavera inoltrata, annuncia l'arrivo dell'estate.
Il nostro vivere da cristiani è sostanzialmente il vivere di coloro che trovano, ricercano i segni della venuta ormai prossima del Figlio dell’uomo. È significativo, in fondo, che i segni vengano individuati in un ramo che si fa tenero, in un ramo che mette le foglie. Naturalmente il ramo che si fa tenero è il germoglio della stirpe di Davide.
Questo germoglio della stirpe di Iesse proclama un’estate vicina. In fondo il ramo che si fa tenero è l’albero “piantato lungo corsi d’acqua”; questo ramo che si fa tenero è l’albero della croce. Il segno che ci viene dato dell’avvicinarsi del Regno di Dio, di questa estate che è vicina, cioè della stagione della maturità, è quello che avverrà di lì a poco: la Pasqua del Signore.
Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
Fin dall’inizio del Vangelo viene evidenziato questo “vicino”: c’è un compimento, fin dall’inizio il regno di Dio si è fatto vicino, questo significa che sarà sempre così. Basta che ci convertiamo a lui e lo seguiamo (1,15-20).
v. 30: In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga.
Sono state fatte molte ipotesi sul significato di questa generazione. Più che un'affermazione cronologica si tratta di una espressione Cristologica. La Chiesa primitiva ha sempre affermato, pur sperando in una venuta a breve termine del Signore, l'incertezza del momento preciso. Ogni credente che legge, in qualsiasi tempo, può pensarsi come facente parte di questa generazione, perché queste cose avvengono sempre: se apri gli occhi le vedi, se li tieni chiusi avvengono ma non le vedi. Sempre ci sono perché chiamati a vivere la novità dello Spirito, la novità dell’amore e a nascere uomini nuovi!
v. 31: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Gesù indica che c'è una realtà che passa e qualcosa che rimane, qualcosa che resta. Tutto passa, perché siamo limitati, e il tempo passa. C'è qualcosa che, invece, non passa mai, ed è la Parola. La certezza che le parole del Signore non passeranno mai infonde fiducia a chiunque riflette sulla caducità del mondo e delle cose del mondo. Costruirsi sulla Parola di Dio permetterà che non sussista l'abominio della desolazione e che il sole, la luna e le stelle non perdano il loro splendore. L'oggi di Dio diventa per l'uomo l'unica via per accedere a se stesso perché, se nelle sue parole l'oggi non sarà mai ieri né domani, non dovrà più temere la morte.
v. 32: Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.
Frase misteriosa, forse, dal punto di vista teologico; ma ben chiara dal punto di vista esistenziale: non stare a speculare sul quando, sul momento preciso della fine. » cosa che non entra, e non può entrare, nell’ambito delle tue conoscenze. Non di curiosità si tratta ma di conversione, di iniziare a vivere il tempo della fine come regola del tempo presente.
L’invito è a non perdere energie e tempo per cercare di indovinare il giorno e l’ora in cui questo avverrà. Non lo sappiamo e non lo possiamo sapere. Ci è dato di sapere che il tempo che viviamo è il tempo della vicinanza, è il tempo della conversione, dell’incontro con il Signore: il resto è fantasia. Il giorno della fine del mondo non lo sa nessuno; Dio lo ha tenuto per sé come un segreto e dobbiamo lasciarlo a lui, perché lui decida come e quando vuole. Per quanto ci riguarda, l’unica cosa importante è che sappiamo che questo è il tempo della conversione, questo è il tempo in cui il Signore è vicino e lo possiamo incontrare nella carità e nella fede.
Ogni giorno quante parole vane uso. La roccia sulla quale ho costruito me stesso è la roccia della Parola del Dio vivente?
Il Vangelo parla di un’ora che nessuno conosce, tranne il Padre. Mi sta bene così? Sono disposto a fidarmi?
Gesù mi invita alla responsabilità, alla vigilanza operosa, all'attesa nella fede, nella preghiera, nelle opere buone come ogni giorno mi impegno in questo?
Quando sarò davanti al Signore e Lui mi chiederà come ho vissuto il suo grande comandamento d'amore, cosa potrò rispondere?
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra. (Sal 15).