Lectio divina su
Gv 13,31-33a.34-35
O Dio, che nel Cristo tuo Figlio rinnovi gli uomini e le cose, fa' che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Questa domenica ritorniamo al Cenacolo. Davanti abbiamo un brano che rientra nei discorsi di addio di Gesù (13,31-16,33) – questo è il primo – (13,31-14,31), e ci presenta proprio questo momento culminante, collocato significativamente tra l’uscita di Giuda dal cenacolo (v. 30) e l’annuncio del rinnegamento di Pietro (vv.36-38).
Gesù da poco ha “lavato i piedi” ai suoi discepoli ed ha spiegato loro quanto stava per accadere: la sua passione e morte, cioè il cammino della Croce verso il Calvario, facendo capire che era una sua scelta di servizio.
Questo è il gesto di colui che serve dice Gesù e lui si è fatto servo dei suoi servi, dei suoi discepoli. Successivamente siede a tavola e, in una maniera insolita, annuncia il tradimento di Giuda, il quale esce dal cenacolo e l’Evangelista sottolinea: “Ed era notte” (v. 30).
Dentro questa collocazione possiamo leggere i versetti che l’Evangelista organizza come una sintesi meravigliosa della gloria di Cristo: morte e resurrezione (vv. 31-32); ascensione in cielo e congedo dagli apostoli (v. 33); il cosiddetto testamento spirituale (vv. 34-35).
Il mistero pasquale si rivela come una duplice glorificazione: Gesù glorifica il Padre (cioè, lo manifesta come Dio) portando a perfezione la sua obbedienza e sottomissione; non esiste nella storia del mondo un altro momento in cui la sovranità di Dio sia rivelata così pienamente come nella croce di Gesù. Reciprocamente il Padre glorifica il Figlio (cioè, lo manifesta come figlio), assumendolo nella sua gloria; la passione di Gesù non è infatti una sconfitta, ma è il passaggio glorioso da questo mondo al Padre.
Gesù, nel suo mistero pasquale, “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1), ha manifestato perfettamente l’amore stesso del Padre e ha presentato se stesso come il perfetto rivelatore di questo amore. La gloria di Dio, quindi, è un mistero di amore.
v. 31: Quando fu uscito
Siamo nel Cenacolo e Gesù ha appena intinto un boccone e l’ha dato a Giuda, intimandogli di fare subito ciò che doveva fare. Il v. 30 annota questo: «egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte».
Giuda esce dal cenacolo dopo aver preso il boccone. È notte, dice l’Evangelista. Questa è una caratteristica nei «discorsi d'addio» che appunto avvengono nella notte.
Il brano posto alla meditazione è preceduto da questa immersione nel buio della notte. Qual è il significato simbolico?
Giovanni esprime in tutto il suo Vangelo la simbologia sponsale, sia attraverso diverse situazioni “nuziali” vissute da Gesù, sia nel linguaggio e nei gesti vissuti dal Messia.
Il buio della notte, nel Vangelo di Giovanni, rappresenta il momento più alto dell'intimità sponsale, ma anche quella dell'estrema angoscia. Altri significati del buio notturno: rappresenta il pericolo per antonomasia, è il momento in cui il nemico tesse le trame della vendetta verso di noi, esprime il momento della disperazione, della confusione, del disordine morale e intellettuale: è come una via senza uscita.
Qui abbiamo un invito a riconoscere la notte che abbiamo dentro il nostro cuore, a differenza di Giuda che si è lasciato trascinare nel baratro della notte. Riconoscere il buio della notte significa che nel nostro cuore vi è l’unica vera luce che cambia la nostra vita, la nostra storia e quella del mondo, la luce di Dio che illumina “a giorno” tutto in modo nuovo.
Gesù disse: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui.
Per il vangelo di Giovanni è tipica la concezione secondo cui la gloria di Gesù si manifesta nella Croce e nella Risurrezione. Più avanti, in 17,1 Gesù prega: «Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo». Questa preghiera si compie adesso, con l’uscita di Giuda dal Cenacolo. In questo versetto è racchiuso in una maniera indiretta il tradimento di Giuda. Giuda sta per tradire, il suo cuore è tenebroso e ostile, Dio manifesterà quanto lo ama proprio in questo tradimento. Giuda si è perso, ma «il Figlio dell'uomo, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). La perdizione è, appunto, il luogo teologico della salvezza.
Qui inizia l’ora di Gesù. Il momento che sta per accadere è la rivelazione del mistero di Dio e della missione di Gesù, che offre la vita al Padre nell'«ora» della croce.
La gloria di Gesù (del Figlio) consiste nel suo «estremo amore» per tutti gli uomini, tanto da offrirsi anche a coloro che lo tradiscono. Un amore, quello del Figlio, che si fa carico di tutte quelle situazioni distruttive e drammatiche che gravitano sulla vita e la storia degli uomini. Il tradimento di Giuda simboleggia, non tanto l'atto di un singolo, ma quello di tutta l'umanità malvagia e infedele alla volontà di Dio.
v. 32: Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
La «doxa» del Padre e quella del Figlio sono identiche. Qui abbiamo l’unione tra Gesù e il Padre e quanto si realizza in Gesù è lo splendore della gloria del Padre. Nell’Antico come nel Nuovo Testamento la gloria è la manifestazione visibile del Dio invisibile. È facile comprendere allora come l’Evangelista abbia visto in Gesù l’incarnazione della gloria divina, l’icona del Dio invisibile che cammina tra gli uomini compiendo gesti concreti di liberazione, guarendo i ciechi, moltiplicando i pani e facendo risorgere i morti.
Più volte si ripete che quest’uomo, Gesù, è glorificato! Una persona glorificata solitamente è una persona che ha fatto una cosa importante o che è importante ai nostri occhi. Un atto glorioso è una cosa difficile da fare e che mi distingue dagli altri. Infatti, Colui che è “innalzato” sulla croce in premio dell’obbedienza viene innalzato alla gloria del cielo, quella stessa che già possedeva prima del suo ingresso nel mondo (17,5; 6,62; 20,17; Fil 2,9-11).
Nel momento in cui Gesù percorre il suo cammino verso la croce, il Padre gli fa percorre il cammino verso la gloria, la risurrezione, la partecipazione alla vita divina, alla vita del Padre. Dunque, il Padre fa entrare Gesù nel mistero della sua stessa vita, e in questo modo lo glorifica.
Gesù proclama che Dio è credibile e può essere amato, e che in Dio si può avere fiducia. È un Dio fedele e ricco di amore, tanto è fedele e ricco di amore e si rivelerà tale con l’invio dello Spirito e all’inabitazione nei suoi fedeli.
v. 33a: Figlioli, ancora per poco sono con voi;
Col termine “figlioli”, espressione giovannea, Gesù intende comunicare ai suoi discepoli l'immensa tenerezza che nutre per loro. Infatti, il termine, nella forma letterale indica il bambino generato, indica che i discepoli sono ancora piccolini e che devono ancora crescere e di questo Gesù si preoccupa.
Inoltre, Gesù sta per lasciare loro il suo testamento spirituale, prima di congedarsi da loro, prima che loro sentano il dolore della sua assenza.
La liturgia salta la seconda parte di questo v. 33 che recita: «voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Questo versetto nella sua interezza anticipa la consegna di Gesù. Questa consegna è esplicitata da una ricerca. I discepoli cercano Gesù. Come all’inizio del cammino, Gesù rivolgendosi loro disse: «chi cercate?». Il discepolo è l’uomo che cerca, l’uomo che desidera e cercare e desiderare sono molto importanti nella vita del discepolato. Ma qui il discepolo si trova nell’impossibilità nell’attuare questa ricerca e questo desiderio. Gesù indica come fare a soddisfare questa ricerca. Come fare a compiere questo desiderio di incontrare il Signore.
v. 34: Vi do un comandamento nuovo
Da questo punto, gli altri Evangelisti riportano l’Istituzione dell’Eucarestia. È nell’Eucaristia che incontriamo il Signore, Lui che si dona a noi, nell’amore. È quanto spiega l'evangelista Giovanni.
Anzitutto Gesù ci fa dono di qualcosa: un nuovo comandamento. Questo comandamento è un dono, è il dono più grande che Dio ci fa. Ci comanda di essere come Lui che è Amore. Quindi non è un obbligo, è un dono. E questo dono vuol dire “mandare insieme”. Dio ci manda insieme verso l’amore, verso la vita. Ogni comando di Dio è per l’amore, per la vita, per la libertà.
Gesù aggiunge che il comandamento che dona è nuovo (Kainos) nel senso di qualità e non è un altro aggiunto alle Tavole della Legge e ai Dieci Comandamenti e undici con quello di Gesù, cioè Néos (che significa un altro aggiunto). Inoltre, avevano già 613 regole da seguire, bastavano quelle, erano più che sufficienti! Gesù non aggiunge, ma lascia la sua eredità che copre ogni legge e ogni comandamento. Ne dà uno solo, unico, totalmente nuovo, letto sotto un’altra luce. Il comando è insieme antico e nuovo. Antico come Dio che è amore, nuovo per il cuore nuovo e lo spirito nuovo che Gesù ci dona.
Giovanni qui preferisce usare il termine kainòs per indicare l’amore. Ed è anche significativo che Giovanni usi questo aggettivo esclusivamente per indicare l’amore (ed egli è il solo fra gli autori del NT a farlo): 1 Gv 2,7-8; 2 Gv 5. Egli è convinto che l’amore è la vera novità del Cristo, è il suo dono più specifico e originale. L’amore è il nocciolo della novità cristiana. Dunque, la novità dell’amore non è cronologica, ma qualitativa. L’amore può sempre dirsi “nuovo”: la sua è una novità persistente, sempre in urto con la logica vecchia che è in noi.
che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Gesù ci comanda di avere per l’altro lo stesso amore che lui ha per noi. Il comandamento nuovo non è semplicemente amatevi, ma “amatevi gli uni gli altri” senza specificare qualcuno in particolare.
L'AT annuncia: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Dt 6,5). Cosa molto buona. Il NT guarda sotto un’altra luce: “Ama il prossimo tuo come Io ho amato te”. L'AT proclama: “Tu amerai (sottolinea una forma di dovere) il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti (cioè, i comandi) che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore” (Dt 6,4-6). Il grand'angolo del NT riflette così: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse suo fratello, è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1Gv 4,19-21).
La novità del cristianesimo non è l'amore, ma l'amore come quello di Cristo. Gli uomini amano, il cristiano ama al modo di Gesù, custodendo nel cuore, ravvivando nella memoria il «come» Gesù ha amato. Questa è “la scuola dell'amore”. L'amore è Lui: quando lava i piedi ai suoi discepoli (13,1-11); quando si rivolge a Giuda che lo tradisce chiamandolo: amico (Mt 26, 50); quando prega per chi lo uccide: Padre, perdonali perché non sanno (Lc 23,34); quando piange per l'amico morto (Gv 11,35) o esulta per il nardo profumato dell'amica (Gv 12,1-8), o ricomincia dai più perduti (cfr. Lc 19,10). Infatti, “Si era davvero perduto l'intero genere umano; di esso peccò un solo uomo nel quale era il tutto, e il tutto si perdette” (Sant'Agostino). Urge riprendere in mano il Vangelo, scovare e ricomporre tutte le tessere del mosaico che mostra l'amore usato da Gesù. L'amore reciproco trova in Gesù il modello e la fonte: «Come io ho amato voi». C'è nell'amore di Gesù una dimensione di gratuità che anche il nostro amore deve avere se si vuole assomigliare a Cristo.
v. 35: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.
Gesù dona un distintivo particolare a ogni discepolo: amarsi a vicenda, avere amore gli uni per gli altri, così come ha fatto Lui. Essere discepoli di Gesù significa vivere la logica dell’amore, vestirsi dell’Amore. Si tratta di amare l’altro come lo ama Gesù, cioè, accogliendolo così com’è, perdonandolo e rimettendogli i peccati, prendendosi fedelmente cura di lui, rendendolo fratello o sorella fino alla morte.
Amare significa rischiare sé stessi, uscire dal proprio io per mettere in gioco la propria vita. La gratuità dell’amore di Dio che si rivela pienamente nel Figlio morto e risorto per noi, è un segno che impegna anche noi, nell’amore, e questo, segno, è la connotazione più eloquente del cristiano. Anzi l’amore reciproco non è una croce che ci è stata messa addosso, un peso difficile da portare, ma è l’abito del cristiano: una nuova capacità di vita.
Essere discepoli di Gesù non è una questione di consacrazione della vita. Scribi e farisei venivano riconosciuti dal modo di vestire. L’abito da indossare non è di nessun tessuto: il vestito visibile è l'amore. L'esteriorità materiale non dimostra la fede. La fede si misura solo nell'amore e nell'amore concreto.
Una società spesso frastornata dalle troppe parole cerca testimoni prima che maestri, vuole modelli prima che parole. Essa è più facilmente resa partecipe se vede un Vangelo fatto vita, capace di creare rapporti nuovi, improntati dalla fraternità e dall’amore.
Sono testimone del dono pasquale, rimanendo saldo nella fede?
Cerco di imitare lo stile di Gesù, il suo donare la vita per amore?
Sono consapevole dell’amore di Cristo per me?
Verifico nel cuore quanto amore mi abita, quanto sono disposto ad amare il mio prossimo con lo stesso amore di Gesù e dei primi discepoli?
Sento la responsabilità di manifestare nella vita concreta e feriale il dono del Vangelo che ha trasformato la mia esistenza?
Mi educo ad essere autentico testimone dell’Amore? Come vivo il discepolato?
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni. (Sal 144).
Lasciamo che lo Spirito ci aiuti a discernere la Parola che ci fa uscire da noi per vivere l’amore reciproco con tutti: vecchi e giovani, uomini e donne, sposati o meno, adulti e bambini, ammalati o sani possono indossare le vesti di Cristo Gesù (cf. Gal 3,27; Col 3,12-14) per gridare dovunque e sempre, con la propria vita, Colui nel quale credono, Colui che vogliono amare.