martedì 26 agosto 2025

LECTIO: XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 14,1.7-14
 

Invocare
O Dio, che chiami i poveri e i peccatori alla festosa assemblea della nuova alleanza, concedi a noi di onorare la presenza del Signore negli umili e nei sofferenti, per essere accolti alla mensa del tuo regno.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto perché, quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». 12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Gesù, nella sua itineranza in mezzo alla gente, accettava di buon grado l’ospitalità di chiunque. La sua spiritualità è fondata sull’offerta gratuita del Regno da parte di Dio. Per lui conta soprattutto accostarsi a ogni uomo e donna per comunicargli la bella notizia. Quest’annuncio non richiede la sacralità del culto, ma risuona negli spazi della quotidianità umana per meglio interpellare la coscienza del singolo e aprirla a Dio.
Uno di questi spazi privilegiati da Gesù è la tavola apparecchiata per un pasto conviviale. Per la cultura antica, soprattutto semitica, condividere un pasto, ancor più se in occasioni festose, equivale a sancire una comunione di intenti e di destini. Condividere il pane è simbolo di una condivisione più profonda, quella degli affetti e degli ideali.
La parabola sulla scelta dei posti viene raccontata in giorno di sabato quando ormai Gesù è a Gerusalemme, dove si compirà il mistero pasquale, dove si celebrerà l'Eucarestia della nuova alleanza, a cui segue, poi, l'incontro con il vivente e l'incarico di missione dei discepoli che prolunga quella storica di Gesù.
La luce della Pasqua fa vedere il cammino che il Signore fa percorrere a tutti quelli che sono chiamati a rappresentarlo come servo, diakonos, in mezzo alla comunità, raccolta attorno alla mensa. È il tema lucano della commensalità o convivialità. Per questo le realtà più belle Gesù le ha realizzate, proclamate e insegnate a tavola in una cornice conviviale.
Nel capitolo 14 Luca, con la sua arte di abile narratore, dipinge un quadro, descrivendo due scene: prima l'invito a pranzo in casa di uno dei capi dei farisei, in giorno di festa, sabato (Lc 14, 1-6); poi l'insegnamento con due piccole parabole sul modo di scegliere i posti a tavola e i criteri per fare gli inviti (Lc 14, 7-14). Anche se non è previsto dalla liturgia, abbiamo ancora una scena: la parabola sulla grande cena (Lc 14,15-16), che riguarda ancora il problema degli invitati: chi parteciperà alla mensa del regno? Questa si prepara fin d'ora nel rapporto con un Gesù, che convoca attorno a sé le persone nella comunità-chiesa. In conclusione questo quadro cercherà di raffigurare l’identità del vero discepolo di Gesù nella vita di tutti i giorni.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 1: Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Il convito è il momento più alto della convivenza umana, è il simbolo della maggiore intimità che questa convivenza può raggiungere.
In questo versetto – dalla traduzione non appare – abbiamo un semitismo: “per mangiare pane” che ha lo stesso significato di “prendere cibo”. Ciò vuole collegarsi al v. 15: beato chi mangia il pane nel regno di Dio che l’evangelista Luca userà per introdurre la parabola del banchetto messianico.
Gli occhi di tutti sono posati su di lui. I suoi miracoli, i suoi discorsi pungenti, le sue parabole geniali, erano già saltati di bocca in bocca e, se non bastasse, la sua ultima invettiva contro il potere costituito (Lc 13,31-35) aveva fatto del giovane Rabbi di Nazareth uno degli argomenti preferiti nei circoli dei benpensanti.
Apparentemente potrebbe sembrare che le regole offerte da Gesù durante questo pranzo, e proposte attraverso due parabole, siano solo norme di buon comportamento. Invece Gesù mira molto più in alto. Non vuole dare delle regole di buon’educazione, ma regole del Regno di Dio.
Questo banchetto avvenne di sabato ed è l'ultimo sabato menzionato nel vangelo, poi ci sarà il sabato che finirà nel sepolcro. Il sabato è il giorno di Dio, è il giorno del riposo, è il giorno del compimento della creazione, il giorno perfetto. È Dio stesso il sabato.
vv. 7-9: Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti…
Per una lectio approfondita si possono aggiungere i i versetti riguardante l’idropico (2-6), cioè dell’uomo che ha sempre una gran sete, una grande arsura, un gran desiderio di acqua, riempiendosi così di se stesso che messo a confronto con il giusto che ha sempre un gran desiderio di fare il bene, di esser perfetto.
Questo contesto ci dice che Gesù osserva la nostra vita, il nostro modo di vivere, di fare, di scegliere. È quanto vediamo costantemente in tutte le nostre relazioni, nella società; ognuno ama il primo posto, magari per essere servito prima e meglio o essere vicino a persone di una certa notorietà.
Luca sottolinea l’invitante e gli invitati pieni di pregiudizi egoistici, banali arrivismi, preoccupazioni gerarchie. L’Evangelista sottolinea l’infelicità nel mondo, perché ognuno cerca l’orgoglio, il potere, il dominare e si litiga per questo e non ci si riesce mai, perché c’è sempre chi vuole stare sopra, non si accontenta mai.
Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te.
Ecco perché Gesù mettendo a nudo, lì su quel banchetto, i sentimenti di tutti li smantella dicendo loro raccontando una parabola: Quando sei chiamato da qualcuno a nozze, non adagiarti sul primo divano ma scegli l’ultimo quello che nessuno vuole.
Gesù mette sotto la lente di ingrandimento l'atteggiamento sicuro e orgoglioso dei farisei, che si credono giusti e si illudono di occupare i primi posti. Sembra che il Vangelo supponga un banchetto dove i posti sono incerti; non si riesce a sapere prima a chi appartenga il posto uno o il posto due. Anzi, l’incertezza è così grande che per essere sicuro di non usurpare un posto che non mi spetta, io dovrei mettermi proprio all’ultimo posto. Perché questo modo di ragionare? Perché qui non si tratta di un banchetto offerto dagli uomini ad altri uomini, qui l’immagine è quella del banchetto di Dio e solo Dio può darmi quella libertà di sedermi all’ultimo posto, in quanto anch’io, come Gesù, sono figlio di Dio.
colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto.
Nel banchetto di Dio non si possono avere pretese e non si possono avere nemmeno dei diritti. Tutto quello che mi viene dato – l’invito a nozze, il posto in cui vengo collocato – tutto quello che mi viene dato è assolutamente gratuito. Lo debbo ricevere come un dono, con riconoscenza, con stupore, con gioia grande. Dobbiamo andare davanti al Signore con l’umiltà di un mendicante che è stato invitato e che riceve gratuitamente e liberamente dal Signore un posto di onore. Chi non vive con onore e rispetto di questo, sarà costretto, con vergogna, a finire all’ultimo posto.
La vergogna è un tema molto caro all’evangelista Luca. Forse nella società odierna è un termine che abbiamo fatto sparire dalla nostra vita o, perché non c’è più il senso dell’onore. Vale più della vita l’onore, ciò significa una vita sensata, perché una vita vergognosa è brutta. Se uno non si sente stimato ha vergogna di sé, è infelice per tutta la vita.
v. 10: Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto perché, quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali.
Gesù capovolge il nostro modo di fare dando una correzione, qualcosa di fondamentale, dice: “quando sei chiamato”. In greco, per “invitare” si utilizza il verbo che significa chiamare (kalein). “Invito” è sinonimo di “chiamata”.
Il versetto non è una norma di galateo; si tratta di una scelta che ha il valore di contestazione per coloro che cercano i primi posti. Per Gesù non si tratta di una semplice norma sapienziale, di una regola del buon vivere; è invece la regola del Regno di Dio e intende descrivere il vero atteggiamento religioso. L’invitato che si mette all’ultimo posto non cerca altro che la gioia del banchetto; gode semplicemente di essere stato invitato e considera questo invito un dono più che un merito. L’umile, che considera ogni bene un dono di Dio, proclama in questo modo la grandezza e la generosità infinita di Dio; ma il superbo, che considera tutto come suo merito, che vede ogni beneficio di Dio come una glorificazione di sé, si appropria ingiustamente della gloria che spetta a Dio solo; perciò, quanto più sei grande tanto più grande è il dono che hai ricevuto e tanto più grande deve diventare la tua umiltà.
Gesù chiede di seguire la via che è la sua: l’ultimo posto è, nel Vangelo, il posto scelto da Gesù: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve”, dirà Gesù durante l’ultima cena, quella cena che diverrà sintesi di una vita intera, la vita di Gesù. Allora si sta all’ultimo posto perché lì c’è Lui, stai con Lui.
L’umiltà è quindi forma autentica della vita; ma l’umiltà non è il deprezzamento di sé, bensì quel modo di pensare di sé che nasce dalla convinzione di non avere in sé il fondamento ultimo della propria vita. Gesù lo dice parlando di quell’invitato che non cerca da sé il primo posto e attende che sia un altro a chiamarlo “a salire più in alto”: un modo inusuale per dire che la vita piena si ottiene per grazia.
Abbiamo qui un riferimento all’Eucarestia. L’Eucaristia è un banchetto, è il banchetto del Signore e a questo banchetto il Signore ci ha invitato. Dovremmo perciò riuscire a vivere la gioia semplicemente di essere invitati, lo stupore e la riconoscenza per questo. E poi non conta, stiamo all’ultimo posto: non è un posto di umiliazione, è un posto d’onore anche quello, perché chiunque tu sia, invitato all’Eucaristia, sei invitato a ricevere il dono della vita del Signore. Vuol dire: il Signore è vissuto ed è morto per te, la sua vita e la sua morte ti vengono donate, regalate in questa Eucaristia. Qui, veramente, ritroviamo il senso di un’esistenza dilatata, arricchita e liberata dall’amore del Signore.
v. 11: Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.  
Questa è la regola fondamentale della mensa del Regno! Il Regno esige che l’uomo rinunci ad ogni pretesa di salvarsi da solo, coi suoi titoli personali. Il linguaggio usato da Luca “innalzare-esaltare” e “umiliare-abbassare” rimanda alla figura e all’esperienza del Cristo così come ce lo descrive san Paolo: «Cristo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,6-11); ed è questa la gloria che conta, quella vera che non tramonta; ma è la gloria che, necessariamente, passa per la via dolorosa dell'umiliazione e della croce. Ecco allora profilarsi il volto del vero umile glorificato, il Cristo, che diventa modello per tutta la comunità dei discepoli. Il messaggio ha come sua radice l’imitazione di Cristo.
Questo è lo stile di Dio: l’amore: ultimo, servo, modesto, umile, dà la vita. Non esiste la gloria per qualcuno, perché il primo è sempre Dio. Noi, stando con lui riceveremo quella gloria, cioè Lui stesso. Invece innalzarsi per poi umiliarsi significa gettare la propria vita nel non senso, nella spazzatura, nella morte.
v. 12: Disse poi a colui che l’aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Gesù, dopo aver parlato a quelli che cercavano i primi posti in quel convito sabatico, ora si rivolge proprio “a colui, il fariseo, che l’aveva invitato” esortandolo a rifuggire dalla logica del “do ut des” alla quale non solo lui, ma tutti i presenti, oltre a chi aveva alte cariche, erano abituati. In altre parole, Gesù dice che puoi impostare i rapporti con gli altri secondo la logica del dono o secondo la logica dello scambio. E dice: quando inviti scegli gli ultimi, non scegliere i primi, i tuoi amici, i tuoi fratelli, i parenti. Invita chi non ha da contraccambiare! Certo, la logica dello scambio non è cattiva, ma è conclusa in sé stessa: io ti faccio un dono e ricevo da te un dono corrispondente. Ma c’è un altro modo d’impostare le cose: quello di dare gratuitamente, senza aspettare un contraccambio. Dio stesso prende su di sé il debito del povero che tu hai beneficiato e tu vieni a trovarti in credito nei confronti di Dio: «riceverai la tua ricompensa, alla risurrezione dei giusti» (Lc 14,14). Fa parte della tradizione biblica la convinzione che «chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore» (Pr 19,17). E anche questa affermazione trova un’eco nella prima lettura: «L’acqua spegne un fuoco acceso, l’elemosina espia i peccati» (Sir 3,29). Il peccato è un debito verso Dio; l’elemosina lo estingue pagando l’ammontare al povero.
Cristo ci ha amati di un amore gratuito. «Ci ha amati» (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla «potrà mai separarci» (Rm 8,39). Non ci ha amati di un amore interessato, semmai interessante. Il Suo Amore, infatti, è pieno di interesse, di passione, di donazione, ma è completamente vuoto di interessi. In Gesù «abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1Gv 4,16).
vv. 13-14: Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Cambia il linguaggio: se prima si parlava di pranzo o cena adesso si parla di banchetto in riferimento a quello del Regno. Ed è la finale di questa parola di salvezza. Gesù invita a scegliere la gratuità invece del calcolo opportunistico che cerca di ottenere una ricompensa, che cerca l’interesse e che cerca di arricchirsi di più. Infatti, i poveri, i semplici, quelli che non contano, non potranno mai ricambiare un invito a mensa. Ecco perché troviamo questo riferimento dell’Evangelista al discorso della pianura (Lc 6,20), dove sono state proclamate le beatitudini. Ora sembra riprendere quell’elenco iniziando dai poveri, destinatari della beatitudine: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio». Nell'elenco degli invitati i poveri sono precisati come i menomati fisicamente, gli handicappati, esclusi dalle confraternite farisaiche e dal rituale del tempio (cf. 2Sam 5,8; Lv 21, 18). Questo stesso elenco si ritrova nella parabola della grande cena: poveri, storpi, ciechi e zoppi prendono il posto degli invitati di riguardo (Lc 14, 21).
L’Evangelista indirizza questo messaggio a quelle comunità che sognano un luogo di ospitalità per tutti gli esclusi. Discorso che Gesù stesso ha fatto: «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,32-35).
Che cos’è la ricompensa di cui si parla? Qualcosa di adatto alla propria persona, infatti ogni nostra azione ne possiede una, sia nel bene che nel male.
Qui viene indicata una ricompensa dei giusti alla risurrezione (cf. Gv 5,29; At 24,15). Per Gesù chi sono i giusti? Coloro che ascoltano la Parola di Dio e la vivono ogni giorno. E questa Parola è per tutti. Soprattutto per coloro che cercano di arricchirsi davanti a Dio facendo del bene e attendono con umiltà, con gioia il giorno in cui vedranno faccia a faccia il Signore. Questo ha insegnato il Signore al giusto (cf. Sap 12,19).
In questa certezza la forza di andare contro corrente e la capacità di compiere il cammino non ripiegati su se stessi ma facendosi compagno di viaggio dei poveri, dei ciechi, di chi vive la sofferenza e la difficoltà. In altre parole, si è chiamati ad essere come Dio, che non cerca contraccambio, che ama perché ama gratuitamente, perché l’amore per contraccambio non è amore, ma è sfruttamento.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Seguo lo stile del mondo, lottando per essere primo in ogni cosa rendendo impossibile la festa della vita?
Umile e aperto a tutti, soprattutto agli ultimi; è lo stile di Dio. È anche il mio stile?
Con quali sentimenti vivo le mie relazioni con il prossimo nella vita di tutti i giorni?
Lo stile a cui Dio mi invita, mi mette in discussione, mi sta chiedendo di cambiare qualcosa nella mia vita?
Mi presento a Dio con cuore puro, che mi apre; o con l'orgoglio che chiude in me stesso?
Ogni sera “conto” gli atti di amore che ho fatto durante la giornata?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
I giusti si rallegrano,
esultano davanti a Dio
e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il suo nome.
 
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.
 
Pioggia abbondante hai riversato, o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio. (Sal 67).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
“Chi nella sua vita ha provato una volta la misericordia di Dio, non desidera che servire. Non lo attira più l’alto trono del giudice; egli vuole vivere in basso con i miseri e gli umili, perché Dio lo ha trovato lì in basso” (Dietrich Bonhoeffer). Al banchetto del Regno ciò che conta è l’amore. Su questo saremo giudicati.