martedì 2 settembre 2025

LECTIO: XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno C)

Lectio divina su Lc 14,25-33
 

Invocare
O Dio, tu sai come a stento ci raffiguriamo le cose terrestri, e con quale maggiore fatica possiamo rintracciare quelle del cielo; donaci la sapienza del tuo Spirito, perché da veri discepoli portiamo la nostra croce ogni giorno dietro il Cristo tuo Figlio. Egli è Dio e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
25Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. 28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: «Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro». 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
 
Silenzio meditativo ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato
 
Dentro il Testo
La Parola di Dio di questa XXIII Domenica del Tempo ordinario ci offre, ancora una volta, l'opportunità di riflettere sulla nostra sequela di Cristo, mettendo in evidenza le caratteristiche del vero discepolo di Gesù: amare il Maestro con un legame più forte di quello che ha con la famiglia, accettare – portare - la croce seguendo le orme di chi lo chiama, e valutare bene la propria reale disponibilità.
Il Signore propone ai suoi discepoli una scelta radicale, che supera qualsiasi altro legame, fino a metterli in secondo piano (questo il senso dell'«odiare» usato nei confronti della famiglia). Emerge il rischio della delusione – una dichiarazione di guerra improvvida, o una costruzione avventata – che nasce dall'aver preso la scelta troppo alla leggera, pensando che si è discepoli di Gesù solo perché ci si entusiasmo un poco di fronte alle sue idee.
Con una parabola, Gesù esorta ad aprire bene gli occhi e a misurare attentamente le proprie forze prima di mettersi con Lui. Non nasconde, ovviamente, la sua ferma convinzione che il calcolo più saggio, anzi l'unico calcolo da fare, è decidere di seguirlo con la radicalità che Lui si attende.
Con linguaggio tagliente, Gesù, ci traccia l'identikit del cristiano, per il quale il legame con Lui è il valore più grande che ci sia. Un legame di appartenenza totale a Cristo, operata dal battesimo, che a livello esistenziale non può essere vissuta a metà o in parte, ma interamente, con radicalità.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 25: Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro…
Gesù è sulla strada per Gerusalemme, il luogo della sua glorificazione che avviene attraverso il dolore e la morte. Ora una «folla numerosa», affascinati dalle sue parole, attirati dai suoi miracoli, lo segue. Perché lo faceva? Che cosa si aspettava? Avevano tutti le idee chiare su Gesù? Da quali motivi erano spinti?
Questi interrogativi riguardano anche noi che, in quanto "cristiani", lo stiamo "seguendo" e siamo pure anche noi una folla numerosa. Ma cosa in realtà andiamo cercando?
Il Signore che sa leggere nei nostri cuori non vuole che le persone si leghino a Lui sull'onda di un entusiasmo superficiale, come stava accadendo ai tempi dell’evangelista Luca, facili poi a stancarsi e quindi a defilarsi e a "piantarlo". Per questo, con estrema chiarezza, volgendo a tutti noi il suo sguardo, rivela le condizioni irrinunciabili per mettersi alla sua sequela.
Questo voltarsi di Gesù verso di noi richiede a nostra volta il tenere vivo il confronto “faccia a faccia” con il suo volto perché la direzione che Egli sta imprimendo al suo cammino è chiara: ha indurito il suo volto prendendo la ferma decisione di andare a Gerusalemme (cf. Lc 9,51). Ora, se questa è la forza della scelta del Maestro, ogni suo discepolo non potrà avere minore decisione, né altra direzione.
v. 26: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Il versetto si apre con un condizionale che indica, fin da subito, che l'amore di chi segue il Signore non è un amore di possesso, ma di libertà. A differenza di Luca, Matteo ha un linguaggio più duro e deciso: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me» (Mt 10,37).
Gesù pone condizioni tali a chi lo segue da far emergere la relazione con Lui come unica ragione, forza e meta dell’andare. Solo la scoperta di Lui come unico amore e come unico tesoro della vita fa di noi suoi discepoli.
La lingua ebraica non possiede il comparativo di maggioranza o di minoranza (amare una cosa più di un'altra, o meno di un'altra); semplifica e riduce tutto ad amare o odiare. Però, il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non mi “ama di più”. Allora non si tratta di una sottrazione ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge sempre un “di più”. Sarebbe sbagliato pensare che questo amore per Cristo entri in concorrenza con i vari amori umani: per i genitori, il coniuge, i figli e i fratelli. Cristo non è un "rivale in amore" di nessuno e non è geloso di nessuno. Bisogna essere disposti a odiare perfino la propria vita. Non vuol dire che bisogna considerare la vita disprezzabile. Alla propria vita bisogna volere bene, ma bisogna essere disposti a perderla perché Gesù la perde. Se uno vuole seguire Gesù deve essere disposto a fare come lui stesso ha fatto (cf. Fil 2,5-11), diversamente non sarebbe sequela e il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento.
Con l’aggiunta di «non può essere mio discepolo», Gesù sicuramente ferisce ma nello stesso tempo apre gli occhi alla realtà vera e concreta che si ha davanti.
v. 27: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Ancora una condizione per seguire Gesù: il portare la propria croce dietro a Lui.
Chi veniva crocifisso, doveva trascinare le traverse al luogo dell’esecuzione. Quanto sta dicendo Gesù ai discepoli non riguarda alle difficoltà inevitabili di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace. Nel Vangelo “croce” contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù, una vicenda da assumere e abbracciare seguendolo fino in fondo, disposti a perdere la vita e l'onore, pronti a qualunque sofferenza per amor suo, in altre parole: amare fino in fondo. Questa allora è l’immagine del “portare la croce”, dove anche il proprio io e la propria vita devono cedere di fronte al legame con Gesù.
L'unico legame che aiuta a seguire Gesù è la croce e Luca insiste su questo valore. Questo simbolo dell'amore che non si tira indietro, capace di essere parola anche quando il mondo mette tutto a tacere con la condanna e la morte.
La croce è il “peso” di essere uomini e cristiani nella storia. Questo peso varia a seconda delle condizioni storiche e può giungere anche al martirio. Rifiutare di portare questo peso significa rifiutare di vivere per Gesù, con Gesù e in Gesù, nella vita eterna (Mt 10,38). Abbiamo un esempio in Simone di Cirene che fu «caricato della croce per portarla dietro a Gesù» (Lc 23,20), è l'immagine del vero discepolo. Questo significa che dobbiamo come Gesù essere pronti a tutto – se è necessario fino al martirio - per realizzare il disegno di Dio; significa che la croce in qualche modo è un passaggio obbligato per la riuscita e la vita, come è avvenuto per Gesù; che le croci e le prove quotidiane devono diventare materia che esprima la nostra sequela di Cristo non a parole ma con i fatti dell'obbedienza. «A tutti poi diceva: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,23-24).  Si può discutere su quale fosse il primitivo senso di queste parole, ma il senso che esse hanno nel Vangelo non è equivoco. La “croce” parla ormai, a un cristiano, col linguaggio chiarissimo della passione di Cristo. Portare la croce vorrà dire tutto questo: accettare la sofferenza, la persecuzione, l’emarginazione, la morte pur di rimanere fedeli al Vangelo, pur di poterlo annunciare con fedeltà.
v. 28: Chi di voi, volendo costruire una torre
Con questo versetto, iniziano due parabole che hanno il sapore di un avvertimento. La prima parabola chiede ai presenti di riflettere e giudicare essi stessi: “chi di voi…” che rimanda non all’entusiasmo o l’innamoramento ma quell’introspezione della propria esistenza nella calma e nel silenzio.
La torre richiama l'esperienza biblica di Babele. Nella costruzione della torre di Babele, troviamo il segno della presunzione umana che pretende di arrivare a Dio solo con i propri mezzi. Gesù usa proprio il simbolo della torre come elevazione dell'uomo verso Dio.
Costruire una torre richiede una spesa non indifferente per chi ha poche risorse. Il buon desiderio di costruire se stessi non è sufficiente per farlo, è necessario sedersi, calcolare le spese, cercare i mezzi per portare il lavoro a compimento. La vita dell'uomo resta incompiuta e insoddisfatta perché tanto il progetto della costruzione è meraviglioso quanto i debiti del cantiere enormi! Un progetto su misura: non saper calcolare ciò che è in nostra capacità di compiere non è la saggezza di chi dopo aver arato attende la pioggia, ma l'incoscienza di chi attende la fioritura e il raccolto da semi gettati tra sassi e rovi, senza fare la fatica di dissodare il terreno.
non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?  
Il calcolare la spesa è quello stile che si chiama discernimento e capacità di vedere con gli occhi della fede in Dio. L’azione del discernimento, un atto difficile ma assolutamente necessario per percepire la voce del Signore non solo fuori di noi, non soltanto nelle eventuali parole di un padre spirituale, ma nel profondo del nostro cuore, dove Dio ci parla personalmente.
Ecco che il discernimento ti porta a calcolare e costruire sull’umiltà. Tante persone credono che per poter seguire Cristo si debba dire no a ciò che si ha di più caro, come se l'amore di Cristo sia totalitario. L'amore di Dio, invece, è totalizzante, nel senso che una volta che il proprio cuore è nel cuore di Dio, lo si è aperto a quello di Dio la reciproca trasfusione di donazione ha preso avvio.
vv. 29-30: Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: «Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro».
Un lavoro incompiuto mette il responsabile in balìa degli scherni altrui e lo rende ridicolo. La derisione degli altri che arriva come grandine sui sentimenti di speranza di chi voleva arrivare in alto con le sue sole forze è il compenso alla propria arroganza vestita di buona volontà. Quante umiliazioni ognuno porta con sé, ma quanto poco frutto da queste esperienze di dolore! Avere le fondamenta e non ultimare la costruzione, serve a ben poco. I desideri che si infrangono qualche volta sono buoni tutori al nostro ingenuo affermarci... ma noi non li comprenderemo finché tentiamo di coprire l'insuccesso e la delusione del risveglio dal mondo fiabesco dei sogni dell'infanzia. Gesù ci chiede di diventare bambini sì, ma un bambino non pretenderà mai di costruire una torre "vera"! Si accontenterà di una piccola torre sulla riva del mare, perché conosce bene le sue capacità.
vv. 31-32: Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Qui inizia la seconda parabola che parla delle modalità di vita, di una battaglia (guerra) che rimanda a saper misurare bene le proprie forze, per vincere quello che è il combattimento spirituale senza tregua, fino all’ultimo. Ogni vera vocazione, infatti, è una battaglia contro il nemico, «il diavolo, che come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5,8), che ci tenta e vorrebbe farci cadere, spingendoci ad abbandonare la sequela stessa. Qui Gesù svela che la posta in gioco è completamente altro da nostri valori e dalle cose del mondo. Avere questa consapevolezza genera una lotta che solo da essa può scaturire la vera pace e non la falsa pace che nasce dal mondo.
Qui abbiamo la serietà della vocazione cristiana, che come una ambasceria parte dal proprio cuore per arrivare al cuore di Dio: il nostro niente.
v. 33: Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Qui la terza condizione: la rinuncia alla logica del possesso, dell'avere, per entrare nella logica del dono, della gratuità, della libertà. Gesù domanda la libertà di fronte ai beni, la disponibilità a condividerli con chi soffre, la gioia di servirlo in chiunque è bisognoso e umiliato.
La rinuncia del cristiano non è mortificazione fine a se stessa. L'ascesi cristiana è la possibilità di scoprire il nostro essere veri uomini come discepoli di Cristo. È il ricercatore che, trovata la perla vende tutto per poterla tenere per sé. Nel discepolato di Cristo, che sembra essere esigente, troviamo il senso profondo del nostro esistere perché scopriamo in Cristo il nostro unico e vero bene. Possiamo, allora chiederci, quali siano gli strumenti per realizzare questa torre? Certamente non ad avere ma ad amare ogni giorno, tempo che il Signore ci dona con più libertà, con più amore, con più consapevolezza.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
So bene cosa vuol dire essere discepolo Cristo Gesù? Ho coscienza di quale rischio e impegno comporti?
Ho ben presente dove si arriva se prendo sul serio l’andare dietro a Gesù?
Sono convinto che sia necessario arrivare a separarmi da tutto ciò che lega il cuore: affetti ricevuti e donati, la vita stessa, per seguire Gesù?
Prego perché Dio mi doni la Sapienza, oppure uso me stesso come metro di misura?
Porto in me la logica della croce, vale a dire la logica dell'amore gratuito?
Sono convinto che la chiave della sequela sia la povertà del non possedere, ma la beatitudine dell'appartenenza?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
 
Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.
 
Insegnaci a contare i nostri giorni
E acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!
 
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda. (Sal 89).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Lasciamo che lo Spirito Santo entri nella nostra vita. Chiediamo allo Spirito Santo la lucidità interiore per cogliere i legacci e gli impedimenti dell'ego. Chiamiamo per nome le inutilità che mi ingombrano: siano esse cose o desideri o un mio gestire le relazioni e gli affetti in modo possessivo.