lunedì 30 dicembre 2024

LECTIO: MARIA, MADRE DI DIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 2,16-21
 

Invocare
O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa’ che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita, Cristo tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
In questi giorni siamo stati ricondotti in molti modi al mistero dell’Incarnazione e attorno al presepe; in quel luogo dove abbiamo incontrato diversi personaggi insieme a Dio stesso fatto uomo per noi: Giuseppe, Maria, i pastori, i magi, e anche altri che la liturgia ha ricordato in questo periodo: Stefano, Giovanni, Tommaso, i bambini innocenti. Adesso, all’inizio del nuovo anno, tutta l’umanità è convocata accanto a una Madre nella quale tutto si riassume e trova compimento e spiegazione; una Madre che ci raccoglie nel seno della sua misericordia e ci porta accanto al Verbo di Dio fatto uomo in Lei; una Madre che venne proclamata «Madre di Dio», “Theotókos” dal terzo Concilio di Efeso. 
La parola “maternità” vuole dire fondamentalmente che, attraverso di Lei, Gesù Cristo il Figlio di Dio è diventato carne. E se il Figlio di Dio è diventato carne, e se quel Figlio di Dio è la pace che Dio esprime nei nostri confronti, è attraverso di Lei che la pace di Dio è entrata in questo mondo. Quello che la Chiesa oggi è chiamata a fare è di continuare l’opera di Maria: fare in modo che quella pace non si estingua, non si perda, nel cammino del tempo, ma continui ad essere generata e rigenerata nella vita degli uomini, anno per anno, giorno per giorno. Per fare questo cammino, i nostri giorni terreni, come il giorno eterno, sono illuminati da due nomi: il nome del Signore Gesù, al di là del quale non si dà altro nome né nel secolo presente né in quello futuro, e il nome della sua vergine Madre, Maria memoria della nostra autentica identità, posta come modello e riferimento per dare speranza e senso ai giorni del nuovo anno che incomincia.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 16: Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.
Il versetto è riferito ai pastori che avevano ricevuto l’annuncio. Questi li troviamo in cammino e come per abitudine, Luca li descrive con una certa fretta, simile alla fretta di Maria nell’andare a visitare la parente Elisabetta.
Andare”… un verbo che allude a un attraversamento. Bisogna colmare le distanze … bisogna andare fino a Betlemme. C’è un annuncio ricevuto, ma ci sta una esigenza oculare! Il viaggio dei pastori ... il nostro viaggio della vita, del nostro quotidiano con la fretta di Maria ... il coraggio di mettersi in viaggio anche se è notte, anche se non si conosce l’itinerario, anche se non si sa la meta, anche se c’è la fatica, la stanchezza, il sonno,
il dubbio, il timore ... È il viaggio all’interno di noi stessi: un viaggio faticoso.
Cosa trovarono i pastori a Betlemme? Gente semplice: Maria, Giuseppe e il bambino che giace in una mangiatoia. Giuseppe, anche se nell’annuncio ai pastori non è nominato, appare qui perché prima ancora dei pastori ha creduto alla parola di Maria e dell’angelo, che quel bambino è il figlio di Dio.
La sottolineatura di questo segno dato da parte degli angeli, e il suo riscontro da parte dei pastori, vuole essere un elemento che evidenzia ancora di più l’aspetto umano di colui che è il Figlio di Dio.
I pastori sono modelli di fede. I pastori fanno propria l’attesa dei poveri, di quei poveri di Javhè della Scrittura. Si tratta di un lieto messaggio atteso, dato ai poveri in una stalla, dato a chi ha dimestichezza con queste cose, con le stalle, le mangiatoie.
Quest’incontro con il Verbo della vita è sottolineato dai verbi classici “trovarono...videro”.
v. 17: E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
I pastori vedono la realtà di ciò che il Signore ha fatto loro conoscere. Ed è tanto importante che non possono trattenersi dal renderlo noto agli altri. Diventano come gli angeli, diventano messaggeri e apostoli e quindi, sono i primi a condividere, portare la Parola di Dio.
Con loro si profila la dinamica missionaria della Chiesa: l’annuncio porta all’ascolto, l’ascolto alla visione. A sua volta chi ha visto porta ad altri l’annunzio perché attraverso l’ascolto giungano alla visione.
Il contenuto del loro annunzio è ciò che del bambino era stato detto loro. Sulle labbra dei pastori è la testimonianza che Dio rende del suo Figlio. È il mistero di una povertà che non va risolta ma ascoltata, una povertà che rende testimonianza a un Cristo povero.
v. 18: Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.
Quanti ascoltano i pastori si stupiscono. Il verbo «stupirsi» è frequente nel vangelo di Luca: indica quell’interrogativo che l’azione di Dio suscita in modo inaspettato nella vita dell’uomo. È lo stato d’animo di chi è raggiunto improvvisamente dalla presenza di Dio: la rivelazione condivisa dei pastori illumina lo sguardo dei presenti, che vedono il bambino in una luce diversa. Quindi lo stupore non è una semplice curiosità ma la meraviglia. Perché la curiosità può portare al desiderio, al possesso; la meraviglia porta allo stupore, all’accoglienza: è la sorpresa che il Vangelo non può non suscitare. I Genitori del Bambino sono lì che adorano il Mistero in silenzio e vivono di meraviglia.
Anche nel silenzio dei pastori vi è meraviglia una meraviglia che si fa condivisione di vita, perché Dio ha acceso nei cuori la fiamma del suo amore!
I pastori non si rendono conto che ciò di cui sono stati resi depositari aveva creato stupore negli altri. Essi trovano la testimonianza della fede e imparano a lodare Dio, suscitando negli altri lo stupore, la meraviglia... e aiutando gli altri a imparare a lodare Dio per le meraviglie che Egli ha compiuto.
v. 19: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
Maria non capiva neppure lei le parole, ma le custodiva questo è il suo primo atteggiamento. Maria è quella che conserva e ricorda le parole e sarà uno stile continuo della vita di Maria. Maria è la madre di Gesù, non perché l’ha generato, ma perché ha creduto alla parola. È la madre perché ha accolto la parola.
Il versetto dice “tutte queste cose”; alcuni traducono: “queste parole”. Il cuore di Maria, sede di parole ricordate a approfondite nello Spirito, è pertanto un cuore di sapienza simile a quello dello scriba che dal suo tesoro sa trarre e comporre cose antiche e cose nuove; è anticipazione e figura del cuore dei figli della sapienza (Lc 7,35), della chiesa dell’ascolto accolto, custodito, meditato e pregato perché si affretti il tempo in cui il non chiaro sia reso trasparente. Luca sottolinea la meditazione di Maria sui fatti il cui senso sarà manifestato solo nella rivelazione pasquale.
Maria, cioè, è tutta raccolta e concentrata in se stessa per penetrare più a fondo nel significato degli avvenimenti in cui s'è trovata coinvolta. Li confronta fra di loro e con la comunicazione che i pastori hanno fatto sul Bambino. Maria appare così come colei che è madre e sa interpretare gli eventi del Figlio.
Maria diventa, così, simbolo e modello della comunità cristiana, che in atteggiamento sapienziale e contemplativo cerca di assimilare interiormente il mistero inesauribile del Verbo Incarnato.
v. 20: I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
I pastori ritornano. La stessa parola ritorno vuol dire conversione. Han cambiato marcia. Tornano dov’erano prima, ma sono cambiati, non sono più come prima.
Tornano “glorificando e lodando Dio” come gli angeli, “di quanto udirono e videro”. Tutto il Vangelo di Luca sarà sull’udito e sulla vista.
L’ascolto della Parola è dono di Dio. I pastori glorificano Dio per quello che hanno udito. Questa è la forza e l’umiltà della Parola, la forza e l’umiltà dei poveri.
“Vedere” e “udire” sono i verbi della fede. Proprio il binomio, akùein e idèin, che tante volte ricorre negli Atti degli Apostoli, configura i pastori come i primi testimoni-apostoli.
Potremmo osservare che l'esperienza cristiana, in questo brano, è espressa da pochi verbi che interagiscono tra loro: ascoltare, ubbidire, trovare, vedere, testimoniare, lodare. È importante verificare se e come li coniughiamo nella nostra vita, se e in quale misura sappiamo annunciare la gioia d'avere incontrato il Salvatore.
v. 21: Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Il testo evangelico prosegue menzionando la prescrizione del rito della circoncisione. La circoncisione è il segno dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo, quell’Alleanza che il popolo aveva già trasgredito prima di riceverla (cfr. Es 32) Dio l’ha rinnovata.
Circoncidendo il Bambino, viene inserito ufficialmente nel popolo di Dio e l'imposizione del nome, a cui Luca dà un risalto particolare, vuol significare che è Dio che ha voluto tale nome e quindi la missione che esso esprime. Il nome nella Bibbia dice l’identità e la missione di chi lo porta. Gesù, infatti, nella lingua ebraica suona così: Yehôsua‘ e significa YHWH salva (le prime lettere indicano il Nome che i nostri fratelli ebrei non pronunciano mai perciò noi con profondo rispetto, diciamo: “Dio salva”.
Questa attenzione da parte l'evangelista sta ad indicare che il nome imposto è il Nome innominabile, origine di ogni nome. Ora possiamo nominare Dio perché si è donato a noi. Il nome di Dio per l’uomo non può essere che Gesù, cioè “Dio salva”. Dio è per noi, perduti e lontani da lui, perché si chiama Gesù, Dio-con-noi e Salvatore.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Vado senza indugio alla grotta per contemplare con fede l'avvenimento salvifico?
Quale annuncio oggi è capace di mettermi in cammino, di smuovermi?
Sono capace di trasmettere quella gioia che Gesù stesso mi dona?
Mi lascio interpellare dalla Parola di Dio?
Come Maria, riesco ad interiorizzare la Parola di Dio per non viverla passivamente?

Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
fra tutte le genti la tua salvezza.
 
Esultino le genti e si rallegrino,
perché giudichi i popoli con giustizia,
governi le nazioni sulla terra.
 
Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio,
e lo temano tutti i confini della terra. (Sal 66).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Proviamo a contemplare il presepio per vedere se ha qualcosa da dirci. Per conoscerlo, come i pastori, dobbiamo andare alla grotta e cercare di vedere se c'è una novità, ascoltare cosa ci dice Dio. Ripeti spesso e vivi questa Parola: Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
 

mercoledì 25 dicembre 2024

LECTIO: SANTA FAMIGLIA DI GESÙ (ANNO C)

Lectio divina su Lc 2,41-52
 

Invocare
O Dio, nostro Padre, che nella santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, fa’ che nelle nostre famiglie fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
51Scese, dunque, con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
L’episodio del pellegrinaggio della famiglia di Nazareth al tempio di Gerusalemme costituisce la conclusione dei racconti dell’infanzia di Gesù. In questa conclusione del Vangelo dell’Infanzia, Luca ci presenta il mistero di Gesù, partendo dalla sua libertà nei confronti della sua famiglia. Certo non è l'unico aspetto che può essere considerato da questa pagina biblica. Ma è una verità importante a cui ognuno deve dare la sua sottolineatura per capire i rapporti famigliari e in particolare il suo rapporto con Dio, così come fa Gesù.
La pericope di Luca, tradizionalmente titolata: “Gesù tra i dottori”, è l’unico episodio della vita del Signore, tra la nascita e l’inizio della vita pubblica, raccontato dai vangeli canonici (gli apocrifi invece sovrabbondano di narrazioni, forse per rispondere a una insopprimibile curiosità devota) in cui viene evidenziato il mistero di Gesù. Immediatamente dopo Luca prosegue la narrazione evangelica con la testimonianza del battesimo del Signore da parte del Battista (c. 3).
Luca riempie il lungo silenzio degli anni nascosti di Gesù con due frasi molto simili, che descrivono sommariamente il suo svilupparsi come uomo (Lc 2,40.52). Incorniciato dai due ritornelli sta il racconto del viaggio a Gerusalemme; il suo scopo è come quello di pilone di sostegno di un ponte dall'arcata troppo lunga: interrompe il salto sul vuoto e proietta profeticamente verso gli sviluppi futuri. Dodici anni indica l’uscita dalla fanciullezza, l’inizio della maturità. Questo primo viaggio di Gesù a Gerusalemme prefigura l’altro viaggio, “l’esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9,31), il cammino verso la croce, che occupa la seconda parte del Vangelo di Luca (in 9,51 è sottolineata con forza la svolta nella narrazione).
Il canto al Vangelo che troviamo nella liturgia, tratto da At 16,14, è la giusta disposizione all'ascolto.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 41: I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Il racconto si situa dunque al termine del tradizionale pellegrinaggio che la santa Famiglia era solita compiere a Gerusalemme soprattutto in occasione della festa di Pasqua.
Gerusalemme, tre volte l'anno si riempie dei pellegrini, che, secondo il comando del Signore, si recavano al Tempio per le celebrazioni: "Tre volte all'anno farai festa in mio onore: Osserverai la festa degli azzimi...Osserverai la festa della mietitura...la festa del raccolto, al termine dell'anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. Tre volte all'anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio" (Es 23,14-17).
L'obbligo era posto sul maschio ebreo, ma questi era inseparabile dalla sua famiglia, che così, in un certo senso, era computata come parte solidale di lui per ogni adempimento della Legge.
Andare tre volte l'anno al Tempio significa che Israele è un popolo "sempre in cammino verso il suo Dio e riceve la sua identità e la sua unità sempre di nuovo dall'incontro con Dio nell'unico Tempio" (Benedetto XVI).
Il versetto parla di “ogni anno”. Non tutti avevano questa possibilità di affrontare il viaggio tre volte l’anno. Almeno una volta sì. I genitori di Gesù compiono quanto detta la Legge e fecero più di quanto esigeva la legge e tutta la Santa Famiglia si unisce a questo popolo in cammino.  Gerusalemme è il luogo nel quale si svela progressivamente e totalmente la piena identità di Gesù: lui è la luce che si rivela alle genti e la gloria di Israele (cfr. Lc 2,29-32) e colui che squarcia il velo del tempio che impediva una piena esperienza di Dio (cfr. Lc. 23,45).
v. 42: Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa.
Gesù ha dodici anni, l'età in cui, secondo tradizioni giudaiche, il dodicesimo anno di Gesù era legato all'usanza del bar mitsvah (il figlio del precetto). La Bibbia ci ricorda che a quell’età Samuele cominciò a profetizzare (1Sam 3) e Daniele pronunciò una sentenza molto saggia (Dan 13). La scena al Tempio possiamo collegarla a quella precedente (2,1-40): per la seconda volta, Gesù è nel tempio. La prima volta si era manifestato per mezzo del cantico profetico di Simeone: Adesso, seconda volta, la sua sapienza ai dottori della legge e la sua relazione con il suo Padre celeste ai suoi genitori.
v. 43: trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
La festa pasquale durava sette giorni. La partenza avveniva solo dopo il secondo giorno festivo. Alla fine della settimana Giuseppe e Maria partirono e si viaggiava suddivisi in gruppi di parenti e conoscenti Gesù si sottrae all'attenzione premurosa e si ferma nel tempio, nella casa di suo Padre.
Attenzione, "rimase" e non si "smarrisce"! Gesù rimane nel luogo della preghiera; rimane nel luogo dell'ascolto; rimane ad insegnare. Un giorno in questo luogo resterà nuovamente per essere crocifisso.
Questo insegna a ciascuno di noi a vivere una relazione con il Signore e seguirlo sulle croci quotidiane fino alla Croce del Venerdì Santo!
Il particolare di questo pellegrinaggio annuale a Gerusalemme è il fatto che Gesù non segue i suoi genitori sulla via del ritorno ma si ferma nella città santa.
v. 44: Credendolo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra parenti e conoscenti
Giuseppe e Maria non possono non pensare che Gesù sia nel "cammino con gli altri" (synodia). Il pellegrinaggio era fatto da gruppi di famiglie e Gesù poteva viaggiare tranquillamente con qualche altro parente all’interno del numeroso gruppo. Un giorno, anche le donne al sepolcro cercheranno tra i morti colui che è vivo (Lc 24.5). Ma "le sue vie non sono le nostre vie, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri" (Is 55.8). Passano dalle tre alle cinque ore di viaggio, cioè, siamo alla sera quando la famiglia si riunisce (durante il cammino ci si può mescolare), i Genitori di Gesù si accorgono che Lui non si trova tra i parenti o gli amici. Questo particolare tornerà ancora, quando ascolteremo che la famiglia di Gesù "sono coloro che ascoltano la Parola di Dio" (Lc 8,21).
Nell’animo di Maria e Giuseppe vi è tutto lo smarrimento di chi cerca e non riesce a trovare colui che gli è necessario, che fa parte inevitabilmente della sua vita. I genitori non riescono a trovare Gesù perché egli sta compiendo un altro cammino che non è quello umano. Maria e Giuseppe, se vogliono ritrovare Gesù che hanno perso, sono costretti a cambiare il loro cammino.
Anche noi ogni qualvolta che ci sembra di essere lontano da Gesù, dobbiamo invertire la rotta se vogliamo trovare Colui che ci è necessario.
v. 45: tornarono in cerca di lui a Gerusalemme
I Genitori di Gesù non lo trovano. Il cuore, in questo momento, è umanamente triste e religiosamente cieco. Maria comincia a vivere il distacco da Gesù e tutta la sua vita terrena sarà essenzialmente così. Il distacco vuol dire che pian piano il Bambino appare come colui che non appartiene a lei, di cui lei è la madre che ha generato non per se stessa, ma per Dio e per il mondo, perché faccia la volontà di Dio e compia la sua missione nel mondo.
Quello che è significativo è questo: il distacco di Gesù da Maria non vuole dire per Maria una perdita di significato e di fecondità, anzi, vuol dire che questa fecondità diventa ancora più grande. In realtà, la maternità di Maria viene dilatata, affiliata e diventa maternità ecclesiale. Ogni distacco che ci viene chiesto nella vita è solo l’occasione per una dilatazione della nostra vita. Di fronte al distacco una persona ha l’impressione che la vita diventi più stretta, misera, povera, perché perdiamo qualcosa di bello. La legge del vangelo è che ogni distacco, in realtà, arricchisce la vita, perché: “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
v. 46: Dopo tre giorni....
Almeno cinque volte nel Vangelo e un’altra negli Atti, Luca usa l’espressione “tre giorni” o “terzo giorno” in relazione alla morte e resurrezione di Gesù, un tempo non eccessivo eppure importante. Poiché l’episodio di “Gesù tra i dottori” è ricco di segnali e riferimenti alla vita adulta di Gesù, i tre giorni di ricerca di Gesù da parte di Maria e Giuseppe alludono allo spazio temporale tra la Croce e la Risurrezione.
La vicenda di Maria è quella di ogni credente che “trova Gesù nella casa del Padre dopo tre giorni”. Il terzo giorno nella teologia neotestamentaria è il giorno della risurrezione. Ritrovare Gesù nella casa del Padre dopo tre giorni è, quindi, lo sbocco ultimo della fede, è un annuncio pasquale, è un invito a cercare sempre Gesù dove realmente è.
lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava.
Il tempio di Gerusalemme è la meta finale del viaggio di predicazione di Gesù, è la “casa di preghiera” (Lc 19,46), il luogo in cui negli ultimi giorni della sua vita “insegnava ogni giorno” (Lc 19,47) e “annunciava la parola di Dio” (Lc 20,1).
Nel tempio si conclude il vangelo di Luca, con gli Undici che vi “stavano sempre lodando Dio” (24,53) e ancora nel tempio troviamo numerose volte gli apostoli agli inizi della Chiesa (At 2,46; 3,1ss; 5,20ss).
Con Gesù al tempio, Luca anticipa il punto d’arrivo della missione del Signore e il punto di partenza della missione della Chiesa.
Gesù è trovato seduto. il verbo greco kathézomai, stare seduto in luogo visibile richiama quello del maestro in cattedra (cfr. Mt 26,55).  Gesù è il nuovo Rabbino che viene ascoltato e interrogato dai rabbini del tempio. Gesù è un fanciullo sapiente e intelligente riguardo alle Sacre Scritture; in lui è nascosta e presente la volontà di Dio.
Con il suo stare seduto, Gesù preannuncia il suo ruolo di maestro escatologico venuto a esporre in maniera perfetta la volontà del Padre, così come il ritrovamento dopo tre giorni nella casa di suo Padre è un accenno che prefigura il mistero pasquale, la risurrezione.
v. 47: E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte
Il dialogo con i dottori del tempio, in cui Gesù “li ascoltava e li interrogava”, sta a significare il legame di continuità tra l’Antico Testamento e il Vangelo, il loro continuo interrogarsi e rispondersi. Nello stesso tempo, però, lo stupore che coglie i maestri di Gerusalemme “per la sua intelligenza e le sue risposte” raggiunge gli astanti. Già da adesso la dottrina del Signore suscita "meraviglia", in seguito questo risulterà anche da altri contesti evangelici (cfr. Mt 7,28-29; Gv 7,14b-15). Questa meraviglia la incontreremo nuovamente alla risurrezione, con i discepoli di Emmaus che raccontano la sorpresa che aveva suscitato la notizia della resurrezione portata dalle donne al gruppo di discepoli (24,22-23). Più avanti sarà chiamato e ritenuto maestro (10,25) e il popolo si meraviglierà della sua dottrina e dichiarerà che egli insegna come uno che ha autorità e non come gli scribi (Mt 7,28ss).
v. 48: al vederlo restarono stupiti…
“alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti” (Lc 24,22). Si tratta dello stupore di chi si trova dinanzi a un fatto che supera l'attesa e la comprensione. La stessa meraviglia la riscontriamo nei genitori. Questi, al vederlo, gli raccontano tutto il loro dolore della perdita e l'ansia della ricerca.
sua madre gli disse: figlio perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io angosciati ti cercavamo.
Le parole di Maria sono l'espressione spontanea del dolore e dell'angoscia di quelle lunghe ore di ricerca. Sia la madre che il padre non sanno spiegarsi perché quel loro Figlio compia passi per loro incomprensibili. Per Maria iniziano a compiersi le parole profetiche di Simeone (cfr. Lc 2,35).
Maria da vera madre parla a Gesù come se fosse un bambino ma in realtà è un ragazzo. Comincia ad appianarsi il mistero che circonda Gesù. Egli ha la coscienza che supera quella di ogni altro uomo.
Anche per noi non è facile capire il Mistero, la persona di Gesù. Egli si rivela progressivamente e non sempre immediatamente comprensibile e chiede sempre di approfondire la conoscenza che si ha di lui.
v. 49: Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».
In questa risposta di Gesù, risuona il verbo "devo", che lo troveremo in altri nove casi, ciò dimostra che la missione di Gesù (4,43) e soprattutto la sua passione-resurrezione (9,22; 24,26) rientrano nel piano divino della salvezza che egli si assume.
In questo versetto risuona quel "principio" di cui parla Giovanni nel suo prologo. Gesù ha la coscienza di essere presso il Padre, di essere Figlio di Dio secondo la Scrittura: “Proclama di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore” (Sap 2,13).
Gesù chiama Dio “Abba” “Padre”. C’è questo: “Padre mio” che sembra incominciare a costituire una forza di attrazione più grande che non la famiglia, la casa di Nazareth e i suoi genitori; c’è qualcosa che pian piano allontana Gesù. È vero che dopo Gesù ritorna con i genitori e “stava loro sottomesso”, però, intanto, questa piccola frattura si è manifestata.
Gesù ha percepito la sua vita è dominata da un “io devo” che guida la sua vita consacrata al regno di Dio (4,43). È un’attrazione fortissima nei confronti della sua vita, tanto da diventare tutto l’orizzonte del suo mondo e la motivazione delle sue scelte. E nel dialogo e nel rapporto che si sviluppa con i suoi genitori emerge una paternità divina che prevale sui rapporti umani.
v. 50: Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro
Maria e Giuseppe non compresero le parole del figlio. La fede dei due è una fede in cammino, che deve maturare. E' presto per comprendere.
Maria è cresciuta nella conoscenza del Figlio, per mezzo dell'angelo, dei profeti e della Sacra Scrittura. Ma qui, nonostante tutto rimane un enigma. Per Maria e Giuseppe, non comprendere l’agire del loro figlio equivale a non comprendere l’agire di Dio. Ogni rivelazione presenta nuovi enigmi: la nascita in una mangiatoia, la sua infanzia, la sua vita coi parenti e col popolo, il suo fallimento, la sua morte in croce. Abbiamo sempre bisogno della parola rivelatrice e della meditazione su Gesù e sugli eventi salvifici. Anche se Gesù ci fosse del tutto familiare, rimarrebbero ancora oscurità e misteri.
Maria e Giuseppe, come i discepoli di Emmaus, non capirono che bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua Gloria (24,26). Infatti, da questo luogo di culto inizia il cammino che avrà il suo culmine nella Croce.
v. 51: Scese, dunque, con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso.
Gesù ritorna coi Genitori a Nazareth, ritorna alla vita normale della sua famiglia vivendo in umiltà, semplicità, obbedienza verso i genitori terreni; questi non sanno qual è la missione di quel bambino; lui la conosce, sa quello che loro non sanno, però si sottomette a loro. Ma si sottomette a loro con una missione nuova e grande, quella missione che lo pone in un rapporto unico ed esclusivo con Dio.
L’esperienza cristiana è fondamentalmente un fatto di sottomissione che si concretizza nell'obbedienza alla Parola, ove “obbedire” significa “ascoltare la voce ponendosi sotto”. Mediante l'obbedienza, Gesù si prepara alla glorificazione dopo il battesimo. "E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono" (At 5,32).
Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.
Maria capisce che anche per lei deve iniziare quel faticoso itinerario di fede che le farà scoprire il mistero del suo Figlio ai piedi della croce. Maria inizia a comprendere che il suo distacco dal Figlio non è segno di lontananza ma di vicinanza, perché con la fede ella entra sempre più nel progetto di salvezza che il Cristo sta attuando.
Questi avvenimenti riempiono lo spirito di Maria e diventano luce della sua vita. Nella storia ci sono i segni del compimento della volontà d Dio, ma sono velati e possono essere colti solo attraverso una rivelazione di luce interiore.
Parte essenziale della vita spirituale è il silenzio, perché solo nel silenzio si può cogliere il mistero delle cose. La superficie delle cose la si coglie immediatamente perché bastano i sensi degli occhi o degli orecchi. Ma il mistero delle cose e degli avvenimenti richiede uno svelamento.
Maria ha custodito e amato “queste cose” nel suo cuore e pian piano dentro di lei le hanno rivelato il disegno di Dio: il loro pieno e vero significato.
Questo ha fatto di Maria l'immagine della Chiesa, che custodisce la parola nel suo cuore, fin dal principio (cfr. 1,1-4) e la trasmette.
v. 52: Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini
L'evangelista conclude, riprendendo la Sacra Scrittura, dicendo che Gesù "progrediva in sapienza e in statura e in grazia presso Dio e uomini". Luca usa per Gesù l'esperienza del giovane Samuele: “Andava crescendo e avvantaggiandosi presso Dio e presso gli uomini” (1Sam 2,26). Infatti “tutti i profeti, quanti parlarono da Samuele in poi, anche essi annunziarono questi giorni (di Gesù Cristo)” (At 3,24; cfr. 13,20).
"Grazia" indica amabilità nei confronti di Dio e degli uomini che include non soltanto la santità ma anche la gentilezza, il tatto, il fascino. Gesù crebbe sotto ogni aspetto - fisico, intellettuale, emotivo, spirituale - per la grande opera che l'aspettava.
Da questo momento in poi la sua sapienza è compiere la volontà del Padre e resistere a Gerusalemme. La sua statura è quella che assumerà crescendo nel cuore dei credenti fino alla consegna definitiva del Regno al Padre. La sua grazia è il suo essere insieme presso il Padre e presso di noi.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
▪ Sosto davanti alla Parola? Sono capace sull'esempio di Gesù a vivere sottomesso?
▪ Resto nel tempio per occuparmi delle cose di Dio?
Vi è nella mia famiglia il senso del sacro? Come genitore, mi preoccupo spesso di più dei progetti sui figli, che di quelli di Dio?
Ho ancora rispetto del piano di Dio sulla mia vita? Come genitore pongo attenzione a questo "piano", attraverso la fede, la preghiera, una pedagogia fondata sulla Parola di Dio?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.
 
Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore.
 
Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato (Sal 83).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
La santità della vita familiare di Gesù, Maria e Giuseppe sono un modello da seguire per la santità delle nostre famiglie, luogo privilegiato per scoprire la figliolanza e la volontà di Dio Padre, perché possiamo compierla nella libertà, nella fedeltà e nella giustizia.
Nel silenzio del cuore incontra il Signore. Ripeti spesso e vivi questa Parola: "devo occuparmi delle cose del Padre mio".

sabato 21 dicembre 2024

LECTIO: NATALE DEL SIGNORE (ANNO C - MESSA DI MEZZANOTTE)

Lectio divina su Lc 2,1-14
 

Invocare
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana.
Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 13Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
8C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11og­gi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
In questo tempo di avvento abbiamo meditato i fatti che hanno preceduto il Natale del Signore. I giorni che hanno preceduto il ricordo di questo evento sono stati segnati dalla persona del figlio di cui Maria di Nazareth è venuta misteriosamente incinta.  
Siamo verso la fine del "vangelo dell'infanzia" nella versione lucana. Il vangelo dell’infanzia non fa altro che prepararci all’evento salvifico già annunziato dai profeti.
La liturgia, nella notte di Natale, ci presenta solo 14 versetti. La nascita di Gesù è in 40 versetti. In questi 40 versetti ci sta un confronto tra questa scena e la precedente: riguardo al Figlio di Maria, l'obiettivo è puntato in primo luogo sulla scena della nascita, mentre per Giovanni si dà risalto alla circoncisione e all'imposizione del nome. Ma è la notte di Natale. Una notte che nei Vangeli prende forma riflessa per la nostra vita.
Il brano lucano è semplice, suggestivo, pieno di spunti teologici costruito sul modello dell’annuncio missionario.
Punto centrale della narrazione sono le parole dell’angelo ai pastori, che riguardano il senso gioioso dell’avvenimento e la professione di fede in Gesù Salvatore. Dio entra nella vita degli uomini fuori dal tempio, dai suoi incensi e dalle case degli uomini, sente di dover chiamare a raccolta gli uomini per questo avvenimento in un luogo lontano e fuori dalla “Città”. Dio non va pensato come uno che si compiace della bontà dell'uomo ma piuttosto come uno che infonde la bontà nell'uomo attraverso la sua divina elezione e misericordia.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 1-3: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria.Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Con questi primi versetti, Luca vuole indicare il contesto storico-teologico della nascita di Gesù mostrando che l'azione divina si serve dell’uomo, si serve di un decreto di Cesare. L’indicazione cronologica che apre il racconto tende al compimento definitivo dell’evento, la nascita di Gesù (v. 6).
L’imperatore di cui si parla è Ottaviano Augusto. Egli aveva ottenuto il titolo di “Cesare” che lo indicava degno di adorazione, innalzandolo al rango divino. L’evangelista Luca sottolinea così la contrapposizione tra il regno umano e il regno di Dio. L’uomo esalta la sua grandezza, Dio la sua piccolezza.
Negli Atti, Dio si servirà ancora delle stesse leggi romane per condurre Paolo a Roma per annunciare il Vangelo. Infine, e soprattutto, ciò offre un pretesto per il viaggio: un pretesto, poiché tali censimenti si fanno sempre nella località di residenza, non in quella di origine.
Ciò che è importante è che in un contesto storico vi è un annunzio di salvezza. Origene scrive: "In questo censimento del mondo intero Gesù doveva essere incluso... affinché potesse santificare il mondo e trasformare il registro ufficiale del censimento in un libro di vita".
Il censimento di cui si parla è strumento di carattere economico e politico, in funzione delle tasse e degli impegni militari. Esso indica il potere dell’uomo sull’uomo. Il Messia entra e nasce in questa storia di male: «la luce nelle splende nelle tenebre» (Gv 1,5).
vv. 4-5: Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
L'evangelista Luca ci dice che la storia universale è al servizio della storia della salvezza; il decreto di Augusto è soggetto al piano di Dio. Per questo i due santi sposi si incamminano verso Betlemme per il censimento. Il profeta Michea aveva infatti profetato: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele…» (Mi 5,1). E in questi versetti, Luca sottolinea il casato e l’origine davidica di Giuseppe. Di Maria é detto per la prima volta, che é incinta ma la chiama “fidanzata” “promessa sposa”. In Mt 1,18-25 sappiamo che Giuseppe ha condotto Maria nella propria casa ed ha già superato i suoi dubbi personali sulla strana gravidanza. Ma Luca presentando una fidanzata incinta in viaggio vuole lanciare una provocazione scioccante, forse invitare a leggere e cercare. La prospettiva provvidenziale di Luca nel raccontare i fatti emerge anche dal fatto che Giuseppe porta con sé Maria: le donne non dovevano farsi registrare; dunque, la giovane puerpera avrebbe potuto rimanere a Nazareth. Luca, però, vuole mostrare che ella è considerata a pieno titolo legale membro della famiglia davidica.
v. 6-7: Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
Quindi il luogo è Betlemme.  Nell’Antico Testamento è importante soprattutto come luogo dell’origine della stirpe di Davide. Il luogo è la casa, è la famiglia parole sottolineate dall’evangelista Luca. In questo luogo Luca ci ha condotti senza però precisare nulla. Tutto converge verso «il tempo in cui colei che deve generare avrà generato» (Mic 5,2), si realizza quanto previsto in Lc 1,26-38 ed il bambino giudeo é integrato nel popolo della promessa tramite la circoncisione (Lc 2,21).
La nascita del figlio di Dio è descritta nel modo più spoglio, semplice e umano. Maria dà alla luce il suo primogenito. Il termine “primogenito” non indica che Maria abbia avuto altri figli dopo la nascita di Gesù. Il primo figlio - anche se non ne fossero nati altri in seguito – era sempre chiamato primogenito, per designare i diritti e i doveri che lo riguardavano (cfr. Es 13,12: “Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi figli”; Es 34,19: “Ogni essere che nasce per primo nel seno materno è mio”).
I movimenti che fa Maria (lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia), sono gli stessi movimenti che si faranno alla morte di Gesù. Gesù sarà segnato fino alla morte da questa estrema povertà. Non si tratta solo dell'indigenza materiale della sua famiglia. C'è molto di più. Gesù, il Verbo fatto carne, "venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11). E la mangiatoia ne è il simbolo: “il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. (Is 1,3). C'è qui il grande mistero dell'incarnazione. Paolo dirà che "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8, 9).
Anche un alloggio (Katàljma) diviene simbolo di una povertà e di un rifiuto che troverà il suo culmine nel rifiuto assoluto di lui nel processo davanti a Pilato (cfr. Gv 18, 28-19, 16). Più tardi Gesù dirà “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Katàljma ricorda anche quel luogo ove Gesù mangerà la Pasqua con i discepoli (Lc 22,11; Mc 14,14; cfr. anche: Lc 9,12; 19,7; 22,14).
v. 8: C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Lo scenario cambia. Siamo nella regione dove un tempo Davide pascolava il gregge. In questo luogo vivono ancora i pastori. Come al solito, di notte si radunano e, a turno, vegliano il gregge.
Luca indica i pastori perché questi sono coloro che godono di una cattiva reputazione: sono spesso considerati ladri e disonesti, anche se il loro mestiere tornava utile anche al tempio per l’offerta dell’agnello. I pastori sono coloro che occupano il gradino più basso della scala sociale, sono i primi ad essere coinvolti della nascita di colui che ha per madre un'umile donna (1,48) ed è "inviato a portare ai poveri il lieto annunzio" (4,18). Ecco Dio si rivolge proprio a loro, perché Egli «ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato per ridurre a nulla le cose che sono» (1Cor 1,28).
Il neonato è già Colui che sarà accessibile ai peccatori e mangerà alla loro tavola (15,2). Proprio queste persone sono coloro i quali vegliano per sorvegliare il gregge. C’è una capacità di attenzione in loro che in altri non si riscontra.
Luca è sensibile nel mettere in evidenza che Dio consegna sé stesso ai semplici; pensiamo a Maria in Lc 1,48: «alla bassezza della sua serva»; Lc 6,20: «beati voi poveri»; Lc 10,21: «ti benedico o Padre che ti sei rivelato a piccoli e ti sei nascosto ai sapienti».
Questi pastori sono presentati mentre fanno la veglia, ed è l’atteggiamento giusto per accogliere Dio. E la liturgia «ci invita a preparare con gioia il suo Natale, ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode» (Messale Romano, Prefazio dell’Avvento II).
vv. 9-10: Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo.
Un angelo del Signore che appare ai pastori indica l’intervento di Dio. Proprio a queste persone capaci di vegliare il gregge, il vero Guardiano del gregge li chiama (1Pt 2,20-25, Gv 10,1-10). Questi avvolti dalla gloria di Dio, cioè dalla sua Presenza, dalla sua Rivelazione sono riempiti interiormente dall’amore di Dio, dalla sua stessa passione.
La luce non sta semplicemente davanti a loro ma li avvolge, entra nella loro vita, essi accolgono quell’annuncio che non è per loro soli, ma anche per tutto il popolo.
Custodi di un gregge ora sono custodi di un mistero da conoscere e poi irradiare a tutti.
I pastori sono presi da timore perché si trovano di fronte a qualcosa, non solo d’imprevedibile e impensabile, ma anche ad un’azione che riscontriamo solamente nelle teofanie dell’AT, specie ad Is 6,1-5 ed Ez 1; 3,12.23.
Però il Signore rassicura, conforta con la sua Parola di salvezza. Quel timore che coinvolge immediatamente ed emotivamente ora trova un’apertura di significato grazie all’angelo del Signore, interprete luminoso dei fatti oscuri conducendo alla gioia vera.  
La gioia presente in tutto il vangelo lucano é una caratteristica della fede nell’itinerario salvifico. È una gioia che non si affievolisce e non si stabilizza, ma cresce all’infinito perciò l’angelo dice: vi evangelizzo, c’é qui qualcosa proprio per voi, vi immergo in una realtà per voi assolutamente inedita.
v. 11: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Si rinnova quel prodigio, ma Luca scrive “oggi”, un termine teologico e difficilmente cronologico. Luca non fa altro che farci entrare nel “tempo di Dio”, puntualizzando l’era messianica.
Lungo le pagine della Bibbia questo «oggi» si rinnova: “oggi è entrata in questa casa la salvezza” (Lc 19,9), “ascoltate oggi la voce del Signore” (Sal 95,8), “oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4,21), “oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43), “oggi ti ho generato” (Eb 1,5).
C’è un “oggi” che si relaziona nel qui ed ora con ciascuno e con tutti, una storia che diventa storia di salvezza.
Qui è il centro del racconto: l’iniziativa di Dio non è parola ma “Carne, Corpo”, presenza incarnata, profondamente dentro la storia, la mia, la tua, la nostra storia. Egli è Dio, l’annuncio si presenta ancora difficile per molti.
Nei versetti precedenti abbiamo appreso il nome del bambino, qui l’angelo del Signore, annunciando la nascita di Gesù non lo chiama con il nome proprio ma con tre titoli teologici: Salvatore; Cristo; Signore. In questi titoli teologici è racchiusa una professione cristologica riassunta dall’angelo stesso.
Luca non fa altro che insistere sulla signoria di Gesù e sulla sua missione di salvezza. In altre parole, la sua signoria è la nostra salvezza. Non solo opera, fa salvezza, salva, ma é salvezza. 
vv. 12-14: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
L’annuncio dell’angelo ai pastori è accompagnato da un segno salvifico, come per l’annuncio a Zaccaria (cf. Lc 1,18-20), a Maria (cf. Lc 1,36); la cugina Elisabetta al sesto mese, il bambino nella mangiatoia per i pastori, sono i segni che accompagnano, per sempre, la fede di chi ha il desiderio di ascoltare, vedere, incontrare, servire il Vangelo che è lieta notizia. Tutto questo è un segno paradossale, misterioso. San Paolo lo definirà «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23). L’evangelista Luca ce lo ricorda, perché questo è il cuore di tutto, della rivelazione di Dio, della storia, della vita dell’uomo. È la predicazione dell’evento da accogliere e da testimoniare così come cantano gli angeli confermando il messaggio salvifico: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace tra gli uomini, che egli ama». Questo è un inno che acclama Dio per il dono del Messia che lo glorifica. Non è una semplice lode ma rivelazione che è in atto l’evento della salvezza, che manifesta la potenza divina e svela finalmente la sua misericordia, svela un nuovo arcobaleno (cf. Gen 9,11), una nuova alleanza tra Cielo e terra mediante il «principe della pace». E noi possiamo incontrarlo, possiamo conoscerlo, possiamo farne esperienza.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
C'è posto per Gesù nella mia vita? Quali segni mi sta offrendo Dio della sua presenza?
Gesù è nato per portare gioia e pace. Quanto caratterizzano la mia vita questi doni? Sono portatore di gioia e di pace per gli altri?
Cosa significa per me la parola Salvatore, da cosa vorrei essere salvato?
Credo che sia possibile anche per me diventare complice di un nuovo annuncio?
Con quale gesto concreto posso accogliere il Signore nella mia vita, nella mia storia, per poi testimoniarlo?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
 
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
 
Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.
 
Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. (Sal 95).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
In questa pausa meditativa, accogliamo con tutta la tenerezza del nostro cuore il Neonato che viene a noi e avvolgiamolo di amore lasciandoci rapire da Lui.