Lectio divina su Mc 5,21-43
O Padre, che nel mistero del tuo Figlio povero e crocifisso hai voluto arricchirci di ogni bene, fa che non temiamo la povertà e la croce, per portare ai nostri fratelli il lieto annunzio della vita nuova.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Questa domenica la liturgia presenta due miracoli legati tra loro. Abbiamo due donne, due situazioni diverse che si accostano a Gesù: una all’inizio della sua vita, l’altra al termine di lunghe sofferenze che la sfiniscono. Né l’una né l’altra possono più essere salvate dagli uomini (vv. 23.26). Grazie alla fede in Gesù, le donne verranno salvate. Insieme ai due fatti e personaggi, un elemento che viene messo in risalto è la folla, una costante della vita di Gesù.
Dalla Parola la fede appare come la risposta capace di offrire una soluzione globale a realtà vitali come la salute, la vita... La fede, infatti, è capace di dare consolazione nella sofferenza e speranza anche davanti alla morte. Alla fine, ogni discepolo si riscopre nei panni della donna che tocca Gesù e viene salvato dal suo male, oppure come la ragazza morta, che risuscita al tocco dello Sposo.
v. 21: Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare.
In Marco l'ambientazione «lungo il mare» è il luogo dove si svolgono altri avvenimenti importanti (1,16-20, la chiamata dei discepoli; 2,13-15, la chiamata di Levi; 4,1-34, il discorso in parabole; vedi anche 3,7).
Ricollegandosi all’episodio precedente dove Gesù aveva annientato i demoni sulla costa orientale del lago e successivamente invitato a lasciare quella regione, adesso, ancora una volta Gesù cambia riva. È la vita che è fatta di cambiamenti, di passaggi, di situazioni diverse.
Mentre Gesù è lungo la costa, si raduna attorno a Lui tanta gente ed è un momento propizio per fare una catechesi sulla spiaggia. Al cap. 4 troviamo la stessa cosa e forse, anche la folla, è la stessa.
L’Evangelista lega questo episodio ai precedenti fatti svoltisi in territorio giudaico. Mentre Gesù è attorniato da questa folla che lo cerca e lo ascolta. Inoltre, Gesù stava “lungo il mare” (cf. 2,13; 4,1), segno del passaggio nei paesi pagani e figura dell’orizzonte universale del messaggio.
vv. 22-23: E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva».
Qui inizia il racconto. Un uomo corre incontro a Gesù. La sua è una situazione disperata, di morte. Viene descritto come “uno dei capi della sinagoga” (cf. At 13,15). Il suo nome è un composto di un nome ebraico che nel Vangelo è stato grecizzato. Il suo significato può essere: «egli illuminerà» o «egli susciterà, risveglierà».
Quest’uomo fa una preghiera insistente, supplice (parakaléō), con la faccia per terra, quasi a velarsi dal mistero divino. Simbolicamente significa riconoscere la sua autorità, dichiararsi disposto ad eseguire la sua volontà, mettersi ai suoi ordini (cf. Mc 7,25; Dt 33,3; Rt 3,4.8). Il motivo della supplica è la figlioletta morente.
Di seguito abbiamo dei termini importanti. In greco per dire che “è agli estremi” si dice che è “in fase escatologica”, “sta alla fine”, quindi c’è una prospettiva di conclusione, di escatologia, di compimento dell’esistenza. Inoltre, il versetto termina con il verbo “salvare”. Quell’uomo chiede che Gesù venga a imporre le mani alla figlioletta in modo tale che sia salvata e viva.
Il capo della sinagoga ha la ferma fiducia che Gesù è in grado di salvare sua figlia, basta solo che le imponga le mani. Gesù però non risponde alla preghiera dell’uomo. Più avanti, chiederà di avere la stessa fede (cfr. v. 36: continua a credere).
v. 24: Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
L’Evangelista sottolinea la presenza di questa grande folla che si accalca attorno a Gesù, lo segue, lo strattona, lo spinge, gli si stringe attorno quasi a tirarlo dalla propria parte tra verità e falsità. Però la fede comporta un andare con Gesù, per vivere da salvati, comporta un stringersi sempre attorno a Lui e vivere di Lui. La croce sarà il bastone che darà sicurezza nella sequela (cf. Sal 23,4).
vv. 25-29: Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni
Qui si inserisce un nuovo racconto. Il nuovo episodio è in parallelo con Mt 9,20-22; Lc 8,43-48. Il brano in se si ricollega anche alla figlia di Giairo, che ha dodici anni.
Tra la folla troviamo una donna ammalata di emorragie. Il sangue è la vita, chi lo perde muore. La malattia di questa donna in Israele era considerata causa d'immondezza legale e pertanto, come la mestruazione, escludeva dalle relazioni con altri esseri umani (cf. Lv 15,25-27), in più questa donna da dodici anni era esclusa anche dall'assemblea cultuale del popolo di Dio (cf. Lv 15,19ss).
Il numero dodici non è dato a caso. C’è un grande valore simbolico poiché esso è legato a qualcosa che si compie. Qui ricordiamo Gesù che fa la sua prima profezia a dodici anni (Lc 2,42.49). Gesù che sceglie i dodici, poiché è giunto il tempo. Significano la stessa cosa le dodici ceste di pane con le quali Gesù sfama i suoi discepoli (Mc 6,43). E la fine dei tempi è simboleggiata dalle dodici porte della Gerusalemme celeste (Ap 21,12-21). Così come la donna dell’Apocalisse (immagine di Maria, Madre della Chiesa) è coronata da dodici stelle (Ap 12,1). Ma ritornando “in principio”, l’albero della vita si trova, in un giardino, al centro della città e dà dodici raccolti.
aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando
Di questa donna ammalata l’Evangelista descrive la sua storia come un cammino sofferto, dove tutto e di più si è tentato di fare e nessuno ci è riuscito. La figlia di Giairo sta morendo, ma anche questa donna sta rapidamente andando incontro alla morte.
Questa donna, sottolinea l’Evangelista, ha speso tutti i suoi averi nel vano tentativo di liberarsi dalla morte e porta un affanno con sé che la condurrà solo a se stessa, alla morte. Il rimedio peggiora il male!
udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
L’annuncio del Regno raggiunge la donna. La fede nasce dall’ascolto del Vangelo. Però la donna, in questo momento, è come una lebbrosa, non potrebbe stare nell’ambiente comune, non potrebbe andare al mercato, non potrebbe toccare nessuno, eppure in lei vi è quella speranza e fede in Lui e si mescola alla folla per “toccare” Gesù (cf. Mt 14,36; Mc 3,10; 6,56; 8,22; Lc 6,19; At 5,15; 19,11-12), per instaurare una comunione reale con Lui.
Il toccare il mantello è accompagnato dal desiderio di salvezza. Nella traduzione sōthḗsomai è reso con «salva» per mantenere l'idea di «ricuperare» dalla malattia e forse anche dalla morte e per dare maggior risalto al legame con il contesto del racconto (vv. 23 e 35).
La fede e la speranza della donna è reale. Al tocco Marco fa risaltare l’istantaneità della guarigione, di cui la donna si rese subito conto (cf. anche v. 33). Il testo letteralmente dice «il flusso di sangue si seccò», che fa ricordare Lv 12,7 dove è detto che la donna sarà dichiarata «purificata dal flusso del suo sangue» dopo essersi sottoposta ai riti di purificazione. Qui non c'è nessun rito. È semplicemente il potere di Gesù che opera la guarigione.
v. 30: E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?».
La donna ha studiato come violare la legge senza farsene accorgere. Gesù non sente il tocco ma l’energia (dýnamis) che esce da lui e si guarda attorno. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo che passa in rassegna le persone. Nel momento in cui il maestro chiede chi lo ha toccato si è creato un vuoto intorno a Gesù. È uno sguardo che passa in rassegna le persone. Nel momento in cui il maestro chiede chi lo ha toccato si è creato un vuoto intorno a Gesù.
vv. 31-32: I suoi discepoli gli dissero: Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: Chi mi ha toccato? Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo.
Forse la domanda può apparire strana ai discepoli che pongono una osservazione del tutto naturale a causa della folla. Ma Gesù vuole mettere in risalto la guarigione. Marco ci descrive Gesù che si guarda intorno per vedere «chi le aveva fatto questo».
Gesù si guarda attorno, alza il suo sguardo. Lo sguardo di Gesù non è posto solo sulla donna ma anche sui discepoli. Anche loro sono tra coloro che stanno perdendo la vita.
vv. 33-34: E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».
La donna ha paura, trema davanti ai fatti. Tuttavia, la gratitudine, che nasce dalla consapevolezza di «ciò che le era accaduto», prende il sopravvento sulla paura, sicché ella riesce a dire «tutta la verità» circa il suo stato interiore e circa il gesto furtivo compiuto in buona fede.
Gesù non la rimprovera, anzi, l’accoglie chiamandola “figlia”. Ecco come Dio considera questa donna che era ammalata. Anche Giairo aveva parlato di sua figlia e aveva chiesto al Maestro che intervenisse a salvargli la figlia e Gesù, lungo la strada, salva una figlia. Giairo, capo della sinagoga, si interessa della sua bambina di 12 anni; Gesù si interessa di un’altra sua figlia che da 12 anni soffre ed è emarginata.
Qui possiamo fare una differenza di fede: quella dei discepoli sulla barca (cf. 4,38) e la fede che questa donna ha riposto in Gesù. La prima lontano dalla salvezza la seconda, invece, ha reso possibile la sua salvezza. A tal motivo la donna viene congedata col saluto di commiato e con l’augurio di benedizione sanante.
v. 35: Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».
Riprende nuovamente il primo racconto. Gesù sta ancora parlando che arriva la notizia della bambina che era agli estremi adesso è morta. Sembra che la fede non sia stata sufficiente per la guarigione.
I parenti comunicano la tremenda notizia a quell’uomo dicendo che ormai è inutile chiamare il Maestro, non serve più (cf. Gv 11,21.32). Finché c’è vita c’è speranza, ma quando non c’è più vita non c’è più speranza.
vv. 36-37: Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!».
Gesù, lasciando cadere le parole udite, interviene rassicurando e adopera un imperativo presente e quindi l’italiano è costretto a rendere con “continua ad avere fede”. Il tempo greco corrisponde infatti a un imperativo continuativo, dice cioè una cosa che bisogna continuare a fare; non un atto istantaneo, ma un atteggiamento prolungato e abituale. “Solo credi”: l’unica cosa che devi fare è continuare a credere. Continuare a credere non significa essere caparbi per ottenere il miracolo sulla bambina, significa: non lasciarti dominare dalla paura, ma continua ad avere fede a fidarti della proposta di Gesù. La fede, infatti, è il contrario della paura.
E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Gesù Sceglie i primi tre discepoli (1,16-20), essi sono nominati per primi nell'elenco dei Dodici (3,16-17) e saranno coloro che lo accompagneranno anche sul monte della Trasfigurazione (9,2) e nel Getsemani (14,33) quando lo vedranno angosciato davanti alla morte. Solo tre saranno testimoni della gloria e dell’agonia adesso sono anche testimoni di questa potenza. Il popolo non dev’essere presente, affinché sia conservato il segreto messianico.
vv. 38-39: Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte.
Non appena Gesù entra nella casa di Giairo ode il vociare delle lamentazioni funebri. Secondo l’atteggiamento consueto in oriente; c’è un gruppo di persone nella casa che fa il lamento funebre, urla e si dispera (cfr. Mt 9,23). Nella nostra vita c'è sempre agitazione. C'è sempre un distacco da colui che può donare pace.
Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Gesù fa questa domanda un po’ strana, stupida ai nostri occhi. Ma Gesù mette in rilievo le cose ovvie. La sua Parola è quel seme che cresce quanto un albero.
Gesù ha già deciso di intervenire, Egli, Dio, guarda da quel punto di vista dicendo che la bambina dorme. Infatti, solo per Dio la morte non è morte, ma soltanto un sonno. (cfr. Gv 11,11). Un detto rabbinico recita: “Dio disse a Giacobbe: tu dormirai, non morirai”.
Per analogia la Chiesa ha sviluppato il linguaggio di Cristo, estendendolo a tutti coloro che «si addormentano nel Signore» in attesa della resurrezione finale.
v. 40: E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina.
È facile deridere Gesù quando non si accoglie Lui così come egli è, quando non si accoglie il suo messaggio, quando si ha una certa ostilità verso dì lui, oltre che alla mancanza di fede nella sua potenza, che del resto già altri grandi profeti d'Israele avevano posseduto (cfr. 1Re 17,17-24; 2Re 4,32-37).
Gesù caccia buttando fuori i presenti. Entra, lui, il "padre della bambina" con "la madre" nella camera, e assiste al risveglio della "fanciulla".
L’Evangelista fa entrare in scena una nuova protagonista: la madre: fino adesso era presente solo il padre. La "figlia di Giairo" appartiene a una famiglia, e non più soltanto al capo della sinagoga, essa ha un "padre" e una "madre" che Gesù prende con sé per la sua guarigione. Il padre e la madre sono i testimoni scelti da Gesù. I due genitori, cioè coloro che hanno dato origine a questa vita, che è destinata a finire. Questi sono coloro che devono fare verifica nella loro esistenza e sono chiamati a conservare la vita fino al suo decorso naturale.
v. 41: Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!».
Abbiamo il gesto fisico. Il tocco è frequente negli episodi miracolosi ed è il gesto abituale delle guarigioni (cfr. 1,31.41; 9,27), che tuttavia non implica alcun effetto a sé stante. La parola riportata da Marco è una parola detta in aramaico perché l’evangelista vuole conservare proprio le parole stesse pronunciate da Gesù. «Talità kum»: In aramaico questa espressione letteralmente significa «agnellino, alzati»; la parola «agnello» (talithá) può essere un termine affettuoso, specialmente se rivolto a un bambino (vedi 2Sam 12,1-6; Ct 2,10).
Il versetto termina col verbo «alzati» (egeírō), è il verbo della resurrezione è tradotto con un imperativo presente (continua a vivere). L'azione esprime la potenza divina (il dono della vita è di Dio), ma non è ancora quella definitiva, la vita gloriosa del Risorto.
v. 42: E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
Qui l’Evangelista descrive la figlia di Giairo come una fanciulla. Abbiamo avuto fino adesso una identità della giovane malata in perpetua evoluzione: "figlioletta" (v.23),"figlia" (v. 35) poi "bambina" (v. 39) e ora, sulla bocca di Gesù che si rivolge a lei, "fanciulla" (v. 41, cf. 6,22.28). E si alza, cammina, mangia. E un soggetto attivo e desiderante. Qui viene usato il verbo alzarsi, (anístēmi lett. «sorgere» o «alzarsi»), usato anch'esso nel contesto della risurrezione dai morti nelle predizioni della passione di Gesù (8,31; 9,31; 10,34).
Ciò su cui insiste Marco e quel saper cogliere nella propria vita la morte e la risurrezione di Gesù e del proprio risveglio dal sonno della morte per unirsi in un eterno sposalizio. Infatti, viene sottolineato l’età della giovane che non è altro l’età del fidanzamento/matrimonio nella legislazione sia romana che giudaica e che la ragazza è prossima all'età da poter avere figli.
Lo stupore dei presenti è simile a quello che esprime l'emozione delle donne al sepolcro di Gesù dopo l'annuncio della sua resurrezione (Mc 16,8).
v. 43: E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
Il comando di Gesù secondo una spiegazione ormai classica è in linea con tutti i testi relativi al «segreto messianico» (1,25.34.44; 3,12; ecc.). Marco sottolinea questo silenzio non perché Gesù ha vinto la morte, ma il contesto sarebbe riduttivo se non passa dalla fede.
Gesù non compie miracoli per avere discepoli o è in cerca di persone a cui risolvere i casi. Egli compie dei gesti significativi per aiutare la fede. Non li fa per suscitare la fede, ma li fa dove trova una disponibilità di fede.
Alla fanciulla le resta un lungo cammino da fare, come quello del profeta Elia (cfr. 1Re 19,7). Questa nuova vita avrà bisogno di un nuovo alimento, quel pane che Gesù stesso procurerà.
Come è la casa della mia vita? È ancora spoglia di vita e piena di morte oppure ogni giorno piena di Dio?
Sono consapevole della potenza salvifica di Dio? Lo invoco con fede? Solo per la salute del corpo o anche per la salvezza della mia vita?
Sono pronto a confidare in Gesù, a porre tutto nel suo amore che mai delude?
Come vivo la missione di testimone? Mi sento liberato e annuncio questa liberazione potente per coinvolgere altri nella fede?
Mi sento testimone della buona notizia di Dio? Opero come annunciatore di Dio e della sua potente salvezza?
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre. (Sal 29).