Lectio divina su Mc
4,26-34
O Padre, che a piene mani semini nel nostro cuore il germe della verità e della grazia, fa’ che lo accogliamo con umile fiducia e lo coltiviamo con pazienza evangelica, ben sapendo che c’è più amore e giustizia ogni volta che la tua parola fruttifica nella nostra vita.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
La parabola è un elemento tipico della predicazione di Gesù: non è un discorso immediato, da interpretare alla lettera; Gesù si serve di paragoni e similitudini presi dalla natura o dalla quotidianità e, poiché Dio rispetta la libertà degli uomini, ha la prerogativa di risultare luminosa per chi ha il cuore aperto al mistero di Dio; mentre rimane enigmatica e oscura per chi non è interessato al Signore e ha l'animo ingombro da altre attrattive.
Marco non ha la ricchezza delle parabole come Matteo e Luca, ma le concentra nel cap. 4 con questa sequenza: vv. 1-12, parabola del Seminatore; vv. 13-20, spiegazione di essa; vv. 21-25, la lampada sotto il secchio; vv. 26-29, la crescita del seme; vv. 30-34, il granello della senape. Ora, la prima di queste parabole è di gran lunga la più importante, per la clausola interrogatoria severa del Signore: «Non comprendete voi questa parabola? E come comprenderete tutte le altre?» (4,13).
Il brano può rivelarsi come un testo chiave per la comprensione del Vangelo di Marco, ed è anche annoverato tra quelli di più difficile interpretazione. In questo testo Marco presenta la predicazione di Gesù in modo molto particolare. Vengono messi in scena due gruppi di uditori: le folle (cfr. vv. 1-2.33) e “quelli che erano intorno a lui con i dodici” (v. 10; cfr. v. 34).
Il brano evangelico di questa domenica è costituito da due parabole poste dopo la parabola del seminatore e dei diversi tipi di terreno, in cui si afferma che “il seminatore semina la parola” (Mc 4,14), le due parabole odierne parlano dell’efficacia di tale parola.
La prima, si esprime attraverso un «seme» che germoglia e cresce da solo, ed è propria di Marco. Invece la seconda parabola parla di un regno che cresce, facendo risaltare il contrasto tra umili e nascosti inizi e l'effetto prodigioso della crescita. È la storia umana che spesso si ripete che vive nel buio della notte dove un raggio di luce attende di entrare perché l’uomo si apra alla bellezza della vita vera. La parabola è narrata anche da Matteo e Luca ma con minor ricchezza di particolari. Nella redazione di Marco, i due brevi racconti fanno parte di un discorso più ampio inglobante altre parabole. Il tema sviluppato è il regno di Dio. L’espressione, la cui origine la troviamo nell’Antico Testamento, designa la signoria di Dio sull’universo e, in modo particolare, sul popolo di Israele che, a motivo dell’alleanza, è sua proprietà particolare: «Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una Nazione santa» (Es 19,6).
Gesù riprende il tema del regno di Dio e ne fa l’oggetto centrale della sua predicazione evidenziandone la natura, le caratteristiche, le esigenze.
v. 26: Diceva: Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno
Gesù sta insegnando lungo il mare (Mc 4,1) e continua il suo discorso parabolico alla folla per far comprendere ai suoi uditori che il regno di Dio è una realtà essenzialmente soprannaturale.
In questo versetto l’attenzione sul Regno di Dio associato ad un uomo che getta nel terreno il seme. L’uomo si attende tutto dalla sua semina. La semina avviene sulla terra, per indicare l’universalità (cfr. 2,10) e la terra darà il suo frutto (Sal 67,7).
Gesù è molto sensibile alla vita dei campi, la osserva e ne parla con simpatia evidente, al modo del fine osservatore, ma anche, come è dato di vedere analizzando i testi, anche con un enorme senso poetico. Egli è quell’uomo che getta il seme (la sua Parola) da cui germoglia il Regno di Dio. Nello stesso tempo Gesù stesso è il seme del Regno, venuto sulla terra per essere nascosto nel silenzio della morte, da cui far nascere vita nuova.
v. 27: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.
Il tempo si computava partendo dal tramonto. Il tempo è la dimensione che struttura la vita umana. Dormire e vegliare; sonno e tenebra sono immagini di morte ma è proprio così per il seme: deve cadere a terrà e morire (Gv 12,24). È una necessità della passione, della morte, della croce. Il seme deve morire e dare origine a una nuova pianta che moltiplica i semi nella spiga, della vita. “Così Gesù legge la propria morte e così ci rivela che anche per noi, uomini e donne alla sua sequela, diventa necessario morire, cadere a terra e anche scomparire per dare frutto”.
v. 28: Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga
Il verbo greco automátê nella Bibbia lo incontriamo in altre pagine con eventi particolari, a cui non si da spiegazione (cfr. Sap 17,6; Lev 25,5.11 dei LXX). L'uso del termine suggerisce che è Dio che si cela dietro la crescita.
Questo prodigio avviene in maniera automatica con delle proprie fasi di crescita: prima uno stelo, che l’occhio inesperto non distingue dall’erba; secondo una spiga, cioè il frutto ma che necessita del tempo per la maturazione; terzo il grano pieno nella spiga, è già frutto maturo.
Questi sono i tempi per cui la Parola ottiene risultati positivi nel cuore di chi è capace di ascoltare, essa darà frutto in modo anche invisibile. Questa la certezza del “seminatore” credente e consapevole di ciò che opera: la speranza della mietitura e del raccolto non può essere messa in discussione.
v. 29: e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura.
Nella parabola, il contadino è chiamato all’azione interiore, alla vigilanza di chi dovrà essere pronto a cogliere l’attimo in cui il frutto è maturo per mietere. Qui abbiamo una citazione di Gl 4,13: «date mano alla falce, perché la messe è matura» che rimanda al giudizio finale. Chi mette mano alla falce è il seminatore e la mietitura è il regno di Dio, col suo giudizio di salvezza, raffigurato nella gioia del raccolto.
Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca pazientemente l’uomo, gli offre il suo amore, lo accoglie: lui semina, lui fa crescere, lui garantisce il frutto.
v. 30: Diceva: A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?
Inizia qui la seconda parabola che pone in relazione il Regno di Dio con la semente. Questa volta riguarda il piccolo seme di senape. Gesù comincia con delle parole che attirano l’attenzione del proprio uditorio: a cosa possiamo paragonare? Una analoga introduzione la ritroviamo in Is 40,18: «A chi potreste paragonare Dio, e quale immagine mettergli a confronto?». Questo linguaggio è tipico anche delle parabole rabbiniche più tardive.
In questo versetto introitale, Marco fa uno sforzo per trovare la giusta immagine per descrivere la grandezza del regno di Dio partendo dalla piccolezza. Egli sottolinea l’importanza delle cose piccole della vita alle quali non si dà importanza.
La domanda posta in questo versetto fa capire che possiamo incontrare un Gesù che cerca il modo più adatto per farsi capire, cerca di adeguare il proprio messaggio sia alla verità di ciò che vuole comunicare che alle capacità dei suoi uditori.
v. 31: È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno
Il Regno di Dio è paragonato al chicco di senape che tra i semi è più minuscolo, non più grande di un granello di sale; eppure, anch’esso, se seminato in terra, diventa un albero che si impone.
Plinio scrive nei suoi trattati che è una pianta resistente che cresce rapidamente e tende ad invadere il giardino. Il punto è che il regno è un qualcosa sia di resistente che invadente.
Questo seme è un segno dell’inusuale agire di Dio, che si manifesta nella debolezza e nella piccolezza (“Quando sono debole, è allora che sono forte”: 2Cor 12,10).
Questa piccolezza la ritroviamo in Gesù (cfr. Lc 9,48). Egli è il Signore, il primo di tutti, ma è ultimo e servo di tutti. Qui sta la sua piccolezza: essere piccolo per amare. Di conseguenza chi ama si fa piccolo per lasciare posto all’amato.
v. 32: ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra.
Il seme riserva sempre grandi sorprese: questa è la bellezza della vita. Il versetto fa riferimento a Ez 17,22-23: Dio prenderà un ramoscello da un grande cedro e lo pianterà affinché possa portare frutto e diventare un nobile cedro. Poi, «sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all'ombra dei suoi rami riposerà». Questa corrispondenza verbale tra il versetto ed Ez 17,23, dove gli uccelli si riposano all'ombra, attesta che per Marco questa è la principale allusione all'AT.
Possiamo cogliere in questo eccesso parabolico che il regno di Dio proclamato da Gesù è, come il nuovo Israele, il luogo dove tutte le creature viventi troveranno rifugio, cominciando dagli ultimi e dai più lontani.
È un invito a lasciarsi contagiare dalla Parola per essere fecondati da Dio, un imparare a “fare spazio” per lasciarsi dilatare dall’amore perché diventi in noi vita.
vv. 33-34: Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Con questi due versetti termina la sezione dedicata alle parabole. Gesù continua a parlare alla folla in parabole perché è un linguaggio immediato, un insegnamento che il popolo può comprendere. mentre invece ai discepoli, a coloro che avevano preso la decisione di seguirlo, egli spiegava bene ciò che voleva intendere con le parabole. Ma non tutti capiscono o accolgono, perché, è vero, le parabole sono tante invece la Parola è una: quella della croce (1Cor 1,18) che ci dice due verità intimamente connesse: la verità su Dio, e la verità sull’uomo. Per comprenderla c’è bisogno di entrare in intimità con Lui, essere i “suoi veri discepoli”, quelli che stanno alla sua scuola per imparare.
Il Regno di Dio si realizza comunque, perché è quel seme che deve morire perché cresca la pianta. Esso cresce in mezzo alle difficoltà, alle prove, al nascondimento. Cresce senza clamore. È l’operare di Dio. Accogliamolo con piena fiducia nel nostro cuore.
Nel contesto odierno, come mi pongo dinanzi a una Parabola?
In che “gruppo” colloco la mia vita cristiana: tra le folle o tra i discepoli “intimi”?
La vita oggi è una frenesia. Sono paziente, con me stesso, con gli altri? Oppure continuo a vivere nella frenesia?
Quale fede posseggo? Quello della convenienza o l'amore per Cristo e la sua Parola?
Ho capito che la debolezza dei mezzi umani è una ragione di forza nel Regno di Dio?
Sono come quel seme che cresce o che muore per donare se stesso?
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità. (Sal 91)