martedì 26 agosto 2025

LECTIO: XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 14,1.7-14
 

Invocare
O Dio, che chiami i poveri e i peccatori alla festosa assemblea della nuova alleanza, concedi a noi di onorare la presenza del Signore negli umili e nei sofferenti, per essere accolti alla mensa del tuo regno.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto perché, quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». 12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Gesù, nella sua itineranza in mezzo alla gente, accettava di buon grado l’ospitalità di chiunque. La sua spiritualità è fondata sull’offerta gratuita del Regno da parte di Dio. Per lui conta soprattutto accostarsi a ogni uomo e donna per comunicargli la bella notizia. Quest’annuncio non richiede la sacralità del culto, ma risuona negli spazi della quotidianità umana per meglio interpellare la coscienza del singolo e aprirla a Dio.
Uno di questi spazi privilegiati da Gesù è la tavola apparecchiata per un pasto conviviale. Per la cultura antica, soprattutto semitica, condividere un pasto, ancor più se in occasioni festose, equivale a sancire una comunione di intenti e di destini. Condividere il pane è simbolo di una condivisione più profonda, quella degli affetti e degli ideali.
La parabola sulla scelta dei posti viene raccontata in giorno di sabato quando ormai Gesù è a Gerusalemme, dove si compirà il mistero pasquale, dove si celebrerà l'Eucarestia della nuova alleanza, a cui segue, poi, l'incontro con il vivente e l'incarico di missione dei discepoli che prolunga quella storica di Gesù.
La luce della Pasqua fa vedere il cammino che il Signore fa percorrere a tutti quelli che sono chiamati a rappresentarlo come servo, diakonos, in mezzo alla comunità, raccolta attorno alla mensa. È il tema lucano della commensalità o convivialità. Per questo le realtà più belle Gesù le ha realizzate, proclamate e insegnate a tavola in una cornice conviviale.
Nel capitolo 14 Luca, con la sua arte di abile narratore, dipinge un quadro, descrivendo due scene: prima l'invito a pranzo in casa di uno dei capi dei farisei, in giorno di festa, sabato (Lc 14, 1-6); poi l'insegnamento con due piccole parabole sul modo di scegliere i posti a tavola e i criteri per fare gli inviti (Lc 14, 7-14). Anche se non è previsto dalla liturgia, abbiamo ancora una scena: la parabola sulla grande cena (Lc 14,15-16), che riguarda ancora il problema degli invitati: chi parteciperà alla mensa del regno? Questa si prepara fin d'ora nel rapporto con un Gesù, che convoca attorno a sé le persone nella comunità-chiesa. In conclusione questo quadro cercherà di raffigurare l’identità del vero discepolo di Gesù nella vita di tutti i giorni.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 1: Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Il convito è il momento più alto della convivenza umana, è il simbolo della maggiore intimità che questa convivenza può raggiungere.
In questo versetto – dalla traduzione non appare – abbiamo un semitismo: “per mangiare pane” che ha lo stesso significato di “prendere cibo”. Ciò vuole collegarsi al v. 15: beato chi mangia il pane nel regno di Dio che l’evangelista Luca userà per introdurre la parabola del banchetto messianico.
Gli occhi di tutti sono posati su di lui. I suoi miracoli, i suoi discorsi pungenti, le sue parabole geniali, erano già saltati di bocca in bocca e, se non bastasse, la sua ultima invettiva contro il potere costituito (Lc 13,31-35) aveva fatto del giovane Rabbi di Nazareth uno degli argomenti preferiti nei circoli dei benpensanti.
Apparentemente potrebbe sembrare che le regole offerte da Gesù durante questo pranzo, e proposte attraverso due parabole, siano solo norme di buon comportamento. Invece Gesù mira molto più in alto. Non vuole dare delle regole di buon’educazione, ma regole del Regno di Dio.
Questo banchetto avvenne di sabato ed è l'ultimo sabato menzionato nel vangelo, poi ci sarà il sabato che finirà nel sepolcro. Il sabato è il giorno di Dio, è il giorno del riposo, è il giorno del compimento della creazione, il giorno perfetto. È Dio stesso il sabato.
vv. 7-9: Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti…
Per una lectio approfondita si possono aggiungere i i versetti riguardante l’idropico (2-6), cioè dell’uomo che ha sempre una gran sete, una grande arsura, un gran desiderio di acqua, riempiendosi così di se stesso che messo a confronto con il giusto che ha sempre un gran desiderio di fare il bene, di esser perfetto.
Questo contesto ci dice che Gesù osserva la nostra vita, il nostro modo di vivere, di fare, di scegliere. È quanto vediamo costantemente in tutte le nostre relazioni, nella società; ognuno ama il primo posto, magari per essere servito prima e meglio o essere vicino a persone di una certa notorietà.
Luca sottolinea l’invitante e gli invitati pieni di pregiudizi egoistici, banali arrivismi, preoccupazioni gerarchie. L’Evangelista sottolinea l’infelicità nel mondo, perché ognuno cerca l’orgoglio, il potere, il dominare e si litiga per questo e non ci si riesce mai, perché c’è sempre chi vuole stare sopra, non si accontenta mai.
Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te.
Ecco perché Gesù mettendo a nudo, lì su quel banchetto, i sentimenti di tutti li smantella dicendo loro raccontando una parabola: Quando sei chiamato da qualcuno a nozze, non adagiarti sul primo divano ma scegli l’ultimo quello che nessuno vuole.
Gesù mette sotto la lente di ingrandimento l'atteggiamento sicuro e orgoglioso dei farisei, che si credono giusti e si illudono di occupare i primi posti. Sembra che il Vangelo supponga un banchetto dove i posti sono incerti; non si riesce a sapere prima a chi appartenga il posto uno o il posto due. Anzi, l’incertezza è così grande che per essere sicuro di non usurpare un posto che non mi spetta, io dovrei mettermi proprio all’ultimo posto. Perché questo modo di ragionare? Perché qui non si tratta di un banchetto offerto dagli uomini ad altri uomini, qui l’immagine è quella del banchetto di Dio e solo Dio può darmi quella libertà di sedermi all’ultimo posto, in quanto anch’io, come Gesù, sono figlio di Dio.
colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto.
Nel banchetto di Dio non si possono avere pretese e non si possono avere nemmeno dei diritti. Tutto quello che mi viene dato – l’invito a nozze, il posto in cui vengo collocato – tutto quello che mi viene dato è assolutamente gratuito. Lo debbo ricevere come un dono, con riconoscenza, con stupore, con gioia grande. Dobbiamo andare davanti al Signore con l’umiltà di un mendicante che è stato invitato e che riceve gratuitamente e liberamente dal Signore un posto di onore. Chi non vive con onore e rispetto di questo, sarà costretto, con vergogna, a finire all’ultimo posto.
La vergogna è un tema molto caro all’evangelista Luca. Forse nella società odierna è un termine che abbiamo fatto sparire dalla nostra vita o, perché non c’è più il senso dell’onore. Vale più della vita l’onore, ciò significa una vita sensata, perché una vita vergognosa è brutta. Se uno non si sente stimato ha vergogna di sé, è infelice per tutta la vita.
v. 10: Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto perché, quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali.
Gesù capovolge il nostro modo di fare dando una correzione, qualcosa di fondamentale, dice: “quando sei chiamato”. In greco, per “invitare” si utilizza il verbo che significa chiamare (kalein). “Invito” è sinonimo di “chiamata”.
Il versetto non è una norma di galateo; si tratta di una scelta che ha il valore di contestazione per coloro che cercano i primi posti. Per Gesù non si tratta di una semplice norma sapienziale, di una regola del buon vivere; è invece la regola del Regno di Dio e intende descrivere il vero atteggiamento religioso. L’invitato che si mette all’ultimo posto non cerca altro che la gioia del banchetto; gode semplicemente di essere stato invitato e considera questo invito un dono più che un merito. L’umile, che considera ogni bene un dono di Dio, proclama in questo modo la grandezza e la generosità infinita di Dio; ma il superbo, che considera tutto come suo merito, che vede ogni beneficio di Dio come una glorificazione di sé, si appropria ingiustamente della gloria che spetta a Dio solo; perciò, quanto più sei grande tanto più grande è il dono che hai ricevuto e tanto più grande deve diventare la tua umiltà.
Gesù chiede di seguire la via che è la sua: l’ultimo posto è, nel Vangelo, il posto scelto da Gesù: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve”, dirà Gesù durante l’ultima cena, quella cena che diverrà sintesi di una vita intera, la vita di Gesù. Allora si sta all’ultimo posto perché lì c’è Lui, stai con Lui.
L’umiltà è quindi forma autentica della vita; ma l’umiltà non è il deprezzamento di sé, bensì quel modo di pensare di sé che nasce dalla convinzione di non avere in sé il fondamento ultimo della propria vita. Gesù lo dice parlando di quell’invitato che non cerca da sé il primo posto e attende che sia un altro a chiamarlo “a salire più in alto”: un modo inusuale per dire che la vita piena si ottiene per grazia.
Abbiamo qui un riferimento all’Eucarestia. L’Eucaristia è un banchetto, è il banchetto del Signore e a questo banchetto il Signore ci ha invitato. Dovremmo perciò riuscire a vivere la gioia semplicemente di essere invitati, lo stupore e la riconoscenza per questo. E poi non conta, stiamo all’ultimo posto: non è un posto di umiliazione, è un posto d’onore anche quello, perché chiunque tu sia, invitato all’Eucaristia, sei invitato a ricevere il dono della vita del Signore. Vuol dire: il Signore è vissuto ed è morto per te, la sua vita e la sua morte ti vengono donate, regalate in questa Eucaristia. Qui, veramente, ritroviamo il senso di un’esistenza dilatata, arricchita e liberata dall’amore del Signore.
v. 11: Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.  
Questa è la regola fondamentale della mensa del Regno! Il Regno esige che l’uomo rinunci ad ogni pretesa di salvarsi da solo, coi suoi titoli personali. Il linguaggio usato da Luca “innalzare-esaltare” e “umiliare-abbassare” rimanda alla figura e all’esperienza del Cristo così come ce lo descrive san Paolo: «Cristo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,6-11); ed è questa la gloria che conta, quella vera che non tramonta; ma è la gloria che, necessariamente, passa per la via dolorosa dell'umiliazione e della croce. Ecco allora profilarsi il volto del vero umile glorificato, il Cristo, che diventa modello per tutta la comunità dei discepoli. Il messaggio ha come sua radice l’imitazione di Cristo.
Questo è lo stile di Dio: l’amore: ultimo, servo, modesto, umile, dà la vita. Non esiste la gloria per qualcuno, perché il primo è sempre Dio. Noi, stando con lui riceveremo quella gloria, cioè Lui stesso. Invece innalzarsi per poi umiliarsi significa gettare la propria vita nel non senso, nella spazzatura, nella morte.
v. 12: Disse poi a colui che l’aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Gesù, dopo aver parlato a quelli che cercavano i primi posti in quel convito sabatico, ora si rivolge proprio “a colui, il fariseo, che l’aveva invitato” esortandolo a rifuggire dalla logica del “do ut des” alla quale non solo lui, ma tutti i presenti, oltre a chi aveva alte cariche, erano abituati. In altre parole, Gesù dice che puoi impostare i rapporti con gli altri secondo la logica del dono o secondo la logica dello scambio. E dice: quando inviti scegli gli ultimi, non scegliere i primi, i tuoi amici, i tuoi fratelli, i parenti. Invita chi non ha da contraccambiare! Certo, la logica dello scambio non è cattiva, ma è conclusa in sé stessa: io ti faccio un dono e ricevo da te un dono corrispondente. Ma c’è un altro modo d’impostare le cose: quello di dare gratuitamente, senza aspettare un contraccambio. Dio stesso prende su di sé il debito del povero che tu hai beneficiato e tu vieni a trovarti in credito nei confronti di Dio: «riceverai la tua ricompensa, alla risurrezione dei giusti» (Lc 14,14). Fa parte della tradizione biblica la convinzione che «chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore» (Pr 19,17). E anche questa affermazione trova un’eco nella prima lettura: «L’acqua spegne un fuoco acceso, l’elemosina espia i peccati» (Sir 3,29). Il peccato è un debito verso Dio; l’elemosina lo estingue pagando l’ammontare al povero.
Cristo ci ha amati di un amore gratuito. «Ci ha amati» (Rm 8,37), per farci scoprire che da questo amore nulla «potrà mai separarci» (Rm 8,39). Non ci ha amati di un amore interessato, semmai interessante. Il Suo Amore, infatti, è pieno di interesse, di passione, di donazione, ma è completamente vuoto di interessi. In Gesù «abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1Gv 4,16).
vv. 13-14: Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Cambia il linguaggio: se prima si parlava di pranzo o cena adesso si parla di banchetto in riferimento a quello del Regno. Ed è la finale di questa parola di salvezza. Gesù invita a scegliere la gratuità invece del calcolo opportunistico che cerca di ottenere una ricompensa, che cerca l’interesse e che cerca di arricchirsi di più. Infatti, i poveri, i semplici, quelli che non contano, non potranno mai ricambiare un invito a mensa. Ecco perché troviamo questo riferimento dell’Evangelista al discorso della pianura (Lc 6,20), dove sono state proclamate le beatitudini. Ora sembra riprendere quell’elenco iniziando dai poveri, destinatari della beatitudine: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio». Nell'elenco degli invitati i poveri sono precisati come i menomati fisicamente, gli handicappati, esclusi dalle confraternite farisaiche e dal rituale del tempio (cf. 2Sam 5,8; Lv 21, 18). Questo stesso elenco si ritrova nella parabola della grande cena: poveri, storpi, ciechi e zoppi prendono il posto degli invitati di riguardo (Lc 14, 21).
L’Evangelista indirizza questo messaggio a quelle comunità che sognano un luogo di ospitalità per tutti gli esclusi. Discorso che Gesù stesso ha fatto: «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,32-35).
Che cos’è la ricompensa di cui si parla? Qualcosa di adatto alla propria persona, infatti ogni nostra azione ne possiede una, sia nel bene che nel male.
Qui viene indicata una ricompensa dei giusti alla risurrezione (cf. Gv 5,29; At 24,15). Per Gesù chi sono i giusti? Coloro che ascoltano la Parola di Dio e la vivono ogni giorno. E questa Parola è per tutti. Soprattutto per coloro che cercano di arricchirsi davanti a Dio facendo del bene e attendono con umiltà, con gioia il giorno in cui vedranno faccia a faccia il Signore. Questo ha insegnato il Signore al giusto (cf. Sap 12,19).
In questa certezza la forza di andare contro corrente e la capacità di compiere il cammino non ripiegati su se stessi ma facendosi compagno di viaggio dei poveri, dei ciechi, di chi vive la sofferenza e la difficoltà. In altre parole, si è chiamati ad essere come Dio, che non cerca contraccambio, che ama perché ama gratuitamente, perché l’amore per contraccambio non è amore, ma è sfruttamento.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Seguo lo stile del mondo, lottando per essere primo in ogni cosa rendendo impossibile la festa della vita?
Umile e aperto a tutti, soprattutto agli ultimi; è lo stile di Dio. È anche il mio stile?
Con quali sentimenti vivo le mie relazioni con il prossimo nella vita di tutti i giorni?
Lo stile a cui Dio mi invita, mi mette in discussione, mi sta chiedendo di cambiare qualcosa nella mia vita?
Mi presento a Dio con cuore puro, che mi apre; o con l'orgoglio che chiude in me stesso?
Ogni sera “conto” gli atti di amore che ho fatto durante la giornata?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
I giusti si rallegrano,
esultano davanti a Dio
e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il suo nome.
 
Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.
 
Pioggia abbondante hai riversato, o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio. (Sal 67).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
“Chi nella sua vita ha provato una volta la misericordia di Dio, non desidera che servire. Non lo attira più l’alto trono del giudice; egli vuole vivere in basso con i miseri e gli umili, perché Dio lo ha trovato lì in basso” (Dietrich Bonhoeffer). Al banchetto del Regno ciò che conta è l’amore. Su questo saremo giudicati.
 
 

martedì 19 agosto 2025

LECTIO: XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 13,22-30

 
Invocare
O Padre, che inviti tutti gli uomini al banchetto pasquale della vita nuova, concedi a noi di crescere nel tuo amore passando per la porta stretta della croce, perché, uniti al sacrificio del tuo Figlio, gustiamo il frutto della libertà vera. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Il Vangelo di Luca, di questa domenica, ci fa domandare a Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Luca approfitta di uno scenario: un Gesù di passaggio, un Gesù che insegna sempre, una domanda profondamente “religiosa” per unire tre sentenze di Gesù sull’entrata nel regno (Lc 13,24.25-29.30).
L'opinione corrente, in verità, si basava sulla convinzione che bastasse appartenere al popolo eletto per partecipare al regno futuro. Una convinzione che arriva anche in mezzo a noi. Questa domanda, invece, sembra suggerire che non basta appartenere al popolo eletto per ottenere la salvezza. Gesù non risponde e va oltre e risponde con un’immagine più accessibile: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno».
Gesù sottolinea che la porta è stretta ed è aperta, ma che il tempo si è fatto breve e sta per essere chiusa. Bisogna perciò entrare, perché il padrone di casa «si alzerà e chiuderà la porta». E se si resta fuori, magari perché si indugia troppo nelle proprie cose, non è più sufficiente mettersi a bussare ripetutamente, vantando appartenenze, consuetudini, e persino meriti. Il padrone non aprirà. Ecco, perciò, la questione centrale posta da Gesù attraverso l'immagine della porta: è urgente accogliere il Vangelo.
La predicazione del messaggio di Gesù offre a tutti gli uomini la salvezza: tutti sono chiamati, nessuno è escluso. Ma quanti in realtà si salveranno? Gesù ci prende in contropiede e risponde alla nostra curiosità avvertendoci che salvarsi è cosa ardua. È impegno che coinvolge tutto l’uomo e che si svolge nel tempo.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 22: Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Il camminare di Gesù è il cammino della vita, ed ha un solo obiettivo: Gerusalemme, si dirige verso la città che uccide i profeti, verso la sua “ora” con una forza e una libertà inimmaginabile.
Andando a Gerusalemme incontra tutti i perduti, tutti quelli che scendono da Gerusalemme; lui è il samaritano che fa il cammino opposto per ricondurre tutti al Padre.
In questo viaggio di Gesù non vi è nessuna cattedra, nessuna altezza, ma solo la semplicità di un uomo che cammina verso la sua meta e strada facendo lascia di sé qualcosa di prezioso che può essere utile per altri.
Questo versetto introduce una nuova sezione del “grande viaggio” (Lc 13,22-17,10). In esso contiene due elementi che illuminano la nostra vita.
Da una parte incontriamo Gesù che continua a portare instancabilmente la sua parola di salvezza (At 13,26); d’altra parte tale messaggio contiene questo elemento fondamentale: lo “scandalo della croce” (1Cor 1,23) che qui viene espresso nel “cammino verso Gerusalemme”, il luogo della croce.
C’è un intreccio tra l’umano e il divino. La strada è la stessa, ma con una differenza: l’uomo scende da Gerusalemme, Dio vi sale e vi porta chiunque incontra nel suo cammino (cf. 1Tm 2,4).
v. 23: Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
C’è un anonimo, un tale, che fa una domanda particolare. Non è la prima volta che nei Vangeli si incontra un anonimo, esso può essere chiunque e anche tutti. A questa domanda, che nasce da pura curiosità, Gesù non dà una risposta diretta, ma se ne serve per richiamare gli impegni seri che l’annuncio evangelico comporta.
La domanda riguarda la salvezza. Chi è chi si salva? Quanti se ne salvano? Per chi e per cosa si salvano?
L’uomo nel suo profondo vuole essere salvato da tante cose, a iniziare dalla malattia, dalle miserie, dalle cattive relazioni, dalle ingiustizie, dalle guerre, dal male, dal peccato, dalla morte. Però in realtà perché desideriamo la salvezza?
Dio dà a tutti la grazia sufficiente per la salvezza. Dipende dalla libertà dell'uomo accoglierla e renderla efficace. «Così dice il Signore: Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria» (Is 66,18b). Il profeta destina la salvezza a tutti i popoli e non solo agli israeliti (Is 25,6), espressione ripresa nel Libro dell’Apocalisse nel simbolo dei 144.000 (Ap 7,4).
Qui troviamo più una responsabilità che una sicurezza in cui rifugiarsi. Infatti, Gesù non risponde alla domanda posta male e che si può tradurre fuorviante. Non entra in speculazioni sulla fine del mondo e sulla salvezza eterna, gli preme chiarire come si entra nel regno di Dio, che la salvezza è un dono e per chi vuole seguirlo, come mantenere il discepolato.
v. 24: Sforzatevi di entrare per la porta stretta perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Gesù non risponde direttamente alla domanda circa il numero dei salvati, risponde invece con un imperativo: “sforzatevi” (dalla radice greca “agone” rimanda al concetto di “lotta” e “fatica”) termine che ordina di continuare un’azione già iniziata; come a dire: “continuate a lottare”. Esprime infatti l’idea di lotta e richiede l’impegno di tutte le forze per resistere al maligno e nell’arrendersi a Dio, esattamente come farà Gesù nell’orto del Getsemani quando, entrato in agonia, pregava più intensamente.
L'immagine della porta stretta indica che la salvezza è uno sforzo difficile e richiede il massimo impegno: «Il Regno dei cieli - dice Gesù - soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11,12). Ognuno può mettere la sua buona volontà per entrarci ma non deve sbagliare modo. Perché non entra chi lo desidera, ma chi è riconosciuto ed accolto dal suo Signore. Qui ricordiamo come esempio la parabola del fariseo e del pubblicano al tempio (Lc 18,10-14). Il fariseo che conduce una vita impeccabile ed esemplare, digiuna due volte alla settimana, non è ladro, né adultero, eppure non entra. In lui ci sta la presunzione di poter entrare nel Regno di Dio. Chi deve entrare per la porta stretta non deve contare su stesso, sui propri meriti ma deve farsi piccolo, come il pubblicano. Gesù dice che non si può essere discepoli se non si rinuncia ad essere grandi, se non ci si fa piccoli e servi di tutti.
La porta stretta è la disposizione interiore del piccolo, qualunque pratica religiosa esegua – preghiere, catechesi, prediche, devozioni, persino miracoli (Mt 7,22) – non entra nel regno di Dio. Per riuscirsi bisogna guardare a Lui - ci dice la Lettera agli Ebrei: «Corriamo anche noi con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sè una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato!» (Eb 12,1-4).
La Porta stretta è lo strumento per uscire da una vita senza amore, senza Dio. La Porta è Gesù che ci insegna un amore senza confini, verso il perdono e la misericordia.
v. 25: Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”.
Con questo versetto, che riprende la parabola delle dieci vergini di Mt 25,10-12, Gesù aggiunge un’altra esigenza. Riporta la situazione di ogni uomo fuori dalla salvezza che grida: “Signore, aprici!”.
In questa parabola, abbiamo “un padrone”, cioè Dio, che organizza il banchetto del Regno. Abbiamo anche chi rimane fuori. Chi sono? Sono coloro che hanno conosciuto bene Gesù. Lo hanno ascoltato, con lui hanno mangiato il pane (Eucarestia). Non sono dunque dei pagani, sono membri della comunità cristiana, sono dei battezzati. Sono persone che basta fare alcune cose, si sentono con le carte in regola per poter entrare al banchetto del Regno.
L’evangelista Luca sottolinea quelli “rimasti fuori”. In Mt 7,22 questi sono i cattivi cristiani, Per Luca invece sono i contemporanei di Gesù, che hanno disatteso il suo invito alla conversione e hanno opposto al netto rifiuto la sua proposta di salvezza. Ciò non toglie, che questa Parola è rivolta a tutti. Se la fede è vissuta con esteriorità, senza che la vicinanza alle cose di Dio riesca davvero a raggiungere il cuore, dove matura la giustizia delle nostre azioni agli occhi di Dio, per una vita intera resteremo “operatori di iniquità” e quindi, respinte perché la conoscenza della proposta evangelica non basta, è necessario aderirvi se no resteremo ultimi.  
vv. 26-28: Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
In questi versetti vi è la severa condanna per i cristiani tiepidi. Certamente non va inteso come un rifiuto definitivo. Ricorda certamente che la salvezza non è per appartenenza culturale, religiosa, etnica. Di più! Potremmo anche essere stati suoi commensali, suoi predicatori e sentirci dire: non so di dove siete!
In questi versetti, l’insegnamento che viene messo in risalto richiama a Lc 8,21; 11,28: non importa quanto si conosca personalmente il Gesù terreno, quello che vale è il seguire Gesù “passando dalla porta stretta”. Perché Lui è del Cielo, e noi, nonostante tutto, continuiamo ad essere radicalmente “mondani”.
Questa è la conseguenza: pianto e stridore di denti. Un'espressione che indica il rimorso, la disperazione, la delusione cocente di chi riconosce, troppo tardi, d'aver perduto per colpa propria l'unico bene che lo avrebbe fatto felice. E non basta essere figli di Abramo, Isacco e Giacobbe. Non basta essere cristiani che vanno a Messa, consacrarsi al Signore, se non viviamo il nostro battesimo, se non viviamo quanto professiamo.
Nel cammino verso la salvezza non ci sono privilegi o corsie preferenziali. La salvezza è un dono, a cui non si ha diritto. Un dono che si riceve con gratitudine e con un'accoglienza libera e responsabile. Ciò significa il coraggio di lottare, di impegnarsi al massimo per "entrare attraverso la porta stretta". Significa andare contro corrente, alleggerirsi di tutto ciò che ingombra, diventare piccoli. Lo sforzo è la via verso la gioia.
Il lasciarsi andare, l'adagiarsi senza sforzo è la via verso il fallimento e la disperazione.
I criteri di Dio, quindi, sono diversi da come si possa pensare – ricorda Gesù rivolgendosi agli uomini del suo tempo e a noi – e dunque non perdetevi in questioni secondarie, non giudicate la situazione degli altri (saranno ammessi? Saranno esclusi?): datevi da fare per voi stessi.
v. 29: Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.
Nei testi ebraici quest’espressione è spesso associata al ritorno in patria degli ebrei della diaspora ed è riferita rispettivamente a Babilonia e all’Egitto. Non si riscontrano invece esempi in cui la stessa frase prefiguri il pellegrinaggio escatologico dei pagani. Questo significa che il ritorno non è un ritorno qualsiasi, ma è un ritorno frutto della misericordia, è un ritorno frutto delle grandi opere che il Signore ha compiuto.
I cristiani sono coloro che sanno leggere questi avvenimenti come avvenimenti che possono realizzare l’ingresso nella comunione con il Padre attraverso Cristo.
Parlando di porta stretta si può pensare ad una restrizione... c'è un numero limitato di persone che può passare di lì, e invece sia il profeta Isaia che l'evangelista Luca dilatano a dismisura: Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno... La porta stretta non è una porta per pochi perché il raduno, al contrario, è grande. Gesù è la porta fatta su misura, lui è colui attraverso il quale abbiamo accesso alla realtà del regno, è colui attraverso il quale abbiamo accesso al Padre.
La realtà della vita cristiana è l'avere accesso al Padre per mezzo del Cristo. Anche il Cristo è passato attraverso la porta della sua umanità, attraverso la porta dell'incarnazione, una porta che lui ha sfondato e ha aperto con la sua piccolezza, con la sua povertà. Questo gli ha permesso il suo accesso al cuore del Padre.
A conclusione di una parabola tremenda, un giorno Gesù ebbe a dire a quanti l'avevano rifiutato, lui «pietra scartata dai costruttori e divenuta pietra angolare: Il regno di Dio sarà tolto a voi e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare» (Mt 21,43). Sarà la sorpresa sconsolata d'aver sbagliato tutto nella vita, e d'aver perso le occasioni di Dio: «Quando mai, Signore, ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno questi al supplizio eterno» (Mt 25, 44-46).
Certo il Signore non sta a spaventare minacciando l’inferno, ma richiama quella vita tiepida, incoerente, ipocrita. In Ap 3,14-21, il Signore descrive l'atteggiamento del cuore “tiepido”, in questo caso di coloro che facevano parte della chiesa di Laodicea, un atteggiamento manifestato dalle loro azioni. I Laodicesi non erano né freddi né caldi in relazione a Dio, ma solo tiepidi. Il Signore li vede e dice loro: «Non sai invece di essere disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo» (Ap 3,17). Un atteggiamento autosufficiente e una fede tiepida sono pericoli costanti quando si vive nell'agio e nella prosperità.
v. 30: Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi.
Luca, a differenza di Matteo che conclude in modo cupo e minaccioso: «i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 8,12), chiude la parabola con una scena diversa: ultimi che saranno primi e primi che saranno ultimi.  
L’evangelista Luca e solo lui, ci dice come fare ad entrare nel Regno di Dio: occorre farsi ultimo per sedersi al banchetto festoso preparato da Dio. Davanti a Dio non ci sono priorità, né privilegi. Ognuno di noi è giudicato secondo la propria condotta.
In queste parole troviamo la salvezza che deve essere accolta come dono, come grazia da vivere con uno stile adeguato. In altre parole, davanti a Dio non ci sono priorità né privilegi: ognuno è giudicato secondo la sua condotta (cf. Ez 18).
Questa è la Parola che ci chiama a conversione. Fino a quando penseremo di essere i primi, ci ritroveremo ultimi è fuori. Questa “è la meravigliosa durezza dell'amore che giorno per giorno pare ti strappi la pelle e invece ti regala il Regno” (A. Riboldi).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Mi accorgo del passaggio di Gesù dalla mia vita e di quanto mi lascia?
Quale disponibilità interiore per vivere il messaggio evangelico?
Vivo gesti di accoglienza, di amore oppure sono pieno di me stesso?
Come valuto la mia vita cristiana: dalle preghiere o dalla “porta stretta”?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode.
 
Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre. (Sal 116).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
“Conclusione di tutto questo messaggio del vangelo è una sola: sforzatevi di entrare nel regno dei cieli per la porta stretta che è Cristo, il quale ci chiede una vita coerente, santa, giusta, fedele e senza compromessi con il male, lontano dalle ingiustizie, dall'odio, dalle guerre, dalle violenze, ma immersi solo in quell'esperienza continuativa dell'amore redentivo di Cristo che passa attraverso la croce e il dolore, soprattutto attraverso l'amore che si fa dono” (Antonio Rungi).


martedì 12 agosto 2025

LECTIO: XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 12,49-53
 

Invocare
O Dio, che nella croce del tuo Figlio riveli i segreti dei cuori, donaci occhi puri, perché, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, corriamo con perseveranza incontro a lui, nostra salvezza.
Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
49Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! 50C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! 51Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. 52D'ora innanzi in una casa di cinque persone 53si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
In queste domeniche stiamo percorrendo con Gesù, insieme ai suoi discepoli e discepole, "la salita verso Gerusalemme". Gesù è pienamente consapevole che la meta del viaggio che sta facendo è la Città santa, la stessa che uccide i profeti e li rigetta (cf. Lc 13,33-34) e che diventerà il luogo del suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Lc 9,31; Gv 13,1) attraverso la sua morte in croce.
Durante il percorso, abbiamo avuto modo di meditare sui diversi detti formativi che Gesù fa ai discepoli. Adesso proseguiamo per completare il discorso della domenica precedente, sull'attesa degli ultimi tempi, quando verrà lo Sposo presso i suoi per farne la sua Sposa (Lc 12,32-48).
Questa domenica fa seguito il tema della sfida del tempo presente (12,49-57). Essa si divide in due parti: il tempo della decisione (vv. 49-53, proposto dalla liturgia odierna); i segni dei tempi (vv. 54-57), simboleggiati dal fuoco (= il giudizio) e dalla spada (= la divisione interna).
Nei vv. 49-53 "Cristo divide gli uomini tra loro con il suo vangelo, con le sue pretese, non solo al suo ritorno ma fin d'ora. Ciò dipende, soprattutto, dalla radicalità della proposta di salvezza che egli delinea molto bene qui nei vv. 49s, quando parla della sua passione-morte" (Carlo Ghidelli).
Il Vangelo rivolge a tutti gli uomini e donne di tutti i tempi una proposta radicale con immagini di fuoco e di divisione, immagini “violente” rispetto a come siamo abituati a percepire la fede.
Lasciamoci riscaldare, infiammare, purificare dalla Parola per provocare un incendio inarrestabile e seguire Cristo Gesù nella quotidianità.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 49: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra;  
L'immagine del fuoco ricorre spesso nella Bibbia con molteplici significati. Anzitutto è simbolo della Parola di Dio pronunciata dal profeta (Ger 5,14; 23,29; Sir 48,1). Viene visto anche segno della devastazione e del castigo, ma anche come immagine della purificazione e dell'illuminazione (Is 1,25; Zc 13,9). Il fuoco può anche evocare protezione come appare in Isaia: «Se dovrai attraversare il fuoco, sarò con te» (Is 43,2).
Il fuoco, in conclusione, è “la forza che guida i nostri passi nell'approssimarsi del Regno! L’esperienza pasquale dei discepoli di Emmaus si ripete ancora nel quotidiano incontro con Dio, il quale si fa “compagno” nel cammino e fa “ardere il cuore “di ciascun credente per una rinnovata speranza nella vita e nel compimento della felicità promessa" (Giuseppe De Virgilio).
e come vorrei che fosse già acceso.
Il versetto contiene un desiderio di Gesù: il desiderio del fuoco, della luce, dell’amore che è venuto a portare: è il fuoco dello Spirito Santo che scenderà a Pentecoste (At 2,2-4); è il battesimo dell’acqua e del fuoco di cui parlò il Battista (Lc 3,16); è il fuoco del giudizio di Dio che è il suo amore che salva il mondo.
Il fuoco di cui parla Gesù non è quel semplice amore tra Dio e l'uomo, ma l'azione dello Spirito Santo, «perché il nostro Dio è un fuoco divorante» (Eb 12,29).
Questo fuoco è quel fuoco che già ardeva nel roveto senza consumarlo e senza consumarsi, un fuoco che non si spegne (cf. Es 3,2), il segno che Dio è vicino, profezia di ciò che siamo chiamati a diventare e a vivere.
Quella passione di Dio è sempre viva. È un continuo desiderio sempre acceso, per ciascuno di noi, per il mondo; quell’amore passionale di cui san Paolo ricorda: «è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
v. 50: C’è un battesimo che devo ricevere.
Letteralmente: "con una immersione devo essere immerso". Qui non parliamo del comune battesimo, un rito, ma della stessa vita di Gesù che è un continuo battesimo fino alla morte di croce. Non perché Gesù è un masochista ma perché si compia la volontà del Padre. Gli avversari di Gesù cercheranno di spegnere questo fuoco passionale, ma succederà il contrario: sarà proprio la sua Passione a rivelarci quanto è grande e incondizionato l'amore di Dio per noi.
E come sono angosciato finché non sia compiuto.
Il verbo indica degli «acuti dolori corporali» (Mt 4,24; Lc 4,38). L'angoscia di Gesù qui è legata alla sua Passione, ma anche a quel forte desiderio che "arde e non si consuma".
Nel testo greco il termine viene ad indicare come una "pressa". L'angoscia di Gesù è quel dolore che pressa il cuore «finché tutto sia compiuto» (Mt 5,18).
Con questo desiderio, Gesù indica la strada del cristiano. Il battesimo è associato con l'acqua ed è sempre l'espressione di un impegno. In un altro punto, il battesimo appare come il simbolo dell'impegno di Gesù con la sua passione, che sarà impegno di ogni battezzato: «Potete essere battezzati con il battesimo con cui io sono battezzato? … nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati» (Mc 10,38-39). Questo è per i cristiani il Battesimo della “testimonianza” fino al “martirio” se occorre, il Battesimo del sangue.
Il cristiano deve ripetere quest’esperienza nel suo battesimo che è morte e risurrezione (Rm 6).
Questo grande desiderio viene comunicato col dono dello Spirito Santo come fuoco che purifica e trasforma in testimone e annunciatore (At 2).
v. 51: Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.
Suona strano il versetto. Il Vangelo di Cristo è messaggio di pace per eccellenza. Forse qualcosa ci sfugge eppure tra le pagine del Vangelo si scorge che appare un giusto e tutti si scatenano contro di lui; all’orizzonte vi è una possibilità di pace, e quanti sono armati reagiscono; nasce Gesù, e subito si scatena il potere omicida col sottofondo di un coro angelico «pace in terra agli uomini che Dio ama» (Lc 2,14), ed è subito una strage di bambini innocenti e ignari (cf. Mt 2,16-18).
Gesù fu annunziato da Simeone ai suoi genitori come colui che sarebbe stato per la rovina e la risurrezione di molti, quindi un segno di contraddizione (Lc 2,34-35). L’abbiamo visto anche alla sinagoga di Nazaret, la sua omelia ha prodotto divisione tra gli astanti: se vi è chi è ammirato di lui, vi è anche chi diffida di lui e lo denigra (cf. Lc 4,16-30). E sarà così durante tutto il suo ministero fino alla morte di croce (cf. Lc 23,39-43).
Tutto questo è la parola di Dio: essa penetra come spada a doppio taglio nel profondo della persona, la mette in crisi attuando un giudizio, «penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, e mette a nudo i sentimenti e i pensieri del cuore» (cf. Eb 4,12). La parola che Gesù pronuncia è parola di grazia (Lc 4,22), ma, al contempo parola di giudizio, che sa discernere e che spinge a una opzione della vita. Del resto questa passione che nasce dalla stessa Parola di Dio raggiunge la persona, il singolo, la sua coscienza, il suo cuore, e questo può provocare anche delle divisioni all’interno della stessa famiglia, della stessa comunità, tra chi aderisce alla novità evangelica e chi invece vi resta refrattario.
vv. 52-53: D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Nel libro del profeta Michea troviamo scritto: «Il figlio insulta suo padre, la figlia si rivolta contro la madre, la nuora contro la suocera e i nemici dell'uomo sono quelli di casa sua» (Mic 7,6). Gesù riprende le parole del profeta apportando una leggera ma significativa modifica. Se in Michea si parla di conflitto tra il nuovo e il vecchio. Gesù parla di un conflitto tra il vecchio e il nuovo, tra la legge e lo Spirito.
Gesù non cerca conflitti tra le persone, figuriamoci tra i familiari ma un ritorno del cuore a Dio. L'evangelista Luca aveva detto in 1,16, riprendendo il profeta Malachia che l’azione del Signore sarebbe stata quella di ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i cuori dei figli verso i padri (cf. Mal 3,22-24), cioè il vecchio deve accogliere il nuovo, non ci si può limitare al “si è sempre fatto così!”. “Questo perché il Vangelo è sempre una novità, l'amare è sempre una cosa nuova. Questa divisione è tra le religioni, tra le varie linee di pensiero, anche tra cristiani, ma è soprattutto dentro di noi” (Paul Devreux).
Chiunque conosca minimamente il Vangelo di Cristo, sa che è messaggio di pace per eccellenza; Gesù stesso «è la nostra pace» (Ef 2,14), morto e risorto per abbattere il muro dell’inimicizia e inaugurare il Regno di Dio che è amore, gioia e pace. Quest’espressione di Cristo significa che la pace che Egli è venuto a portare non è sinonimo di semplice assenza di conflitti. Al contrario, la pace di Gesù è frutto di una costante lotta contro il male.  Gesù richiama, nonostante le vicissitudini della vita, ad essere fedele a Dio e al bene e «resistendo al diavolo» (Gc 4,7), affrontando incomprensioni e qualche volta vere e proprie persecuzioni, ma tutto ciò li conformerà fino in fondo a Gesù Maestro, morto e risorto.
Tutto questo accadrà “d’ora in poi”, cioè dall’evento Pasqua la Parola di Dio provocherà un movimento di verità, di svelamento del cuore. Non ci saranno spazi neutrali, ma semplicemente chi accoglie e chi rifiuta il Vangelo che Gesù è venuto a portarci.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Cosa fermenta la mia esistenza? Mi alimento di quel fuoco che è la Parola di Dio oppure mi addormento?
Quanto oggi il Vangelo mi interroga e mi inquieta?
Ho scambiato la pace di Gesù, che è la pienezza di ogni bene messianico, con le mie convenzioni sociali, col mio "perbenismo"?
Sono capace di resistere al diavolo e orientarmi e decidermi per Cristo?
Mi sono mai trovato in contrasto con qualcuno a causa delle esigenze del Vangelo?
Diffondo il fuoco dell’amore di Dio nella vita di tutti i giorni?
Sono tra coloro che accolgono il Vangelo o tra coloro che lo rifiuta?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
 
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
 
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
 
Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare. (Sal 39).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
"L'uomo è attaccato alla sua piccola pace e tranquillità, anche se precaria e illusoria, e questa immagine di Gesù che viene a portare lo scompiglio rischia di indisporlo e fargli considerare Cristo come un nemico della sua quiete. Bisogna cercare di superare questa impressione e renderci conto che anche questo è amore da parte di Gesù, forse il più puro e genuino" (Raniero Cantalamessa).
 
 
 

martedì 5 agosto 2025

LECTIO: XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

Lectio divina su Lc 12,32-48

 
Invocare
Dio onnipotente ed eterno, guidati dallo Spirito Santo, osiamo invocarti con il nome di Padre: fa crescere nei nostri cuori lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell'eredità che ci hai promesso.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
32«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. 33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». 41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Il Vangelo di questa domenica è la conclusione del brano che precede e che abbiamo accolto domenica scorsa. Esso è collocato in un duplice contesto: la formazione dei discepoli e delle discepole durante il cammino di Gesù verso Gerusalemme (9,51-19,28) e la reazione dei pagani convertiti, nelle comunità lucane, dopo l'entusiasmo iniziale e il prolungarsi del ritorno del Signore.
I discepoli hanno paura (9,45) della nuova prospettiva della missione di Gesù che dovrà soffrire (9, 22.43-44), continua a dominare in loro la mentalità di un Messia glorioso, più rassicurante. Così anche nelle nuove comunità cristiane comincia a riaffiorare lo spirito pagano.
Il Vangelo inizia con l’invito di Gesù a smetterla di angosciarsi e di preoccuparsi. Nella nostra vita Ci preoccupiamo, ci angustiamo, spalmando questa forma di ansia su tutte le cose. Preoccuparsi è tra l’altro il contrario di occuparsi. Noi spendiamo le nostre energie non per lavorare e quindi non sono produttive, ma per preoccuparci, gettando il 90% dell’ansia per qualcosa di immaginario che di concreto e le persone. Bisogna stare tranquilli.
La Parola di questa domenica ricorda anche che il Signore è sempre “colui che viene” e che noi, di conseguenza, dobbiamo sviluppare un corretto e continuo senso dell’attesa. Meglio attendere prima di convertirsi stabilmente e profondamente, rimandare il cambiamento di vita e di mentalità. Gesù rassicura i discepoli e le discepole, con tre piccole parabole li fa riflettere sul significato dell'incontro con Dio, sul senso della vigilanza e della responsabilità di ciascuno nel momento presente chiamati a essere parte viva e responsabile di tale regno.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 32: Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Il nostro brano inizia con un invito a “non temere”, a non avere paura di un messaggio che Gesù sta per dare. L’espressione “non temere” risuona nella Bibbia 365 volte, come i giorni dell’anno, quasi a dirci “non avere mai paura”, quasi a dirci della tenerezza di Dio nei nostri confronti, sempre. Non aver paura perché il bene sta racchiuso nella piccolezza.
Il termine poimnion designa già un piccolo gregge e si riferisce al popolo di Israele. Aggiungendovi mikron (piccolo), Luca lo rende ancora più piccolo.
Gesù si rivolge ad un gregge piccolo ma illuminato e sostenuto dallo Spirito, un piccolo gregge che ha popolato la terra, un piccolo gregge inerme ma ricco della grazia della fede, che ha trasformato la Storia con l'annuncio della presenza operante del Salvatore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita e la felicità in eterno.
È un versetto che invita a non aver paura e vuole concludere il testo riguardante la provvidenza aprendone uno in ordine all’elemosina e in ordine al tenersi pronti. La condizione per la quale non temere (questo è un tema molto caro ai profeti, soprattutto Amos e Osea) è quella di essere “piccoli piccoli”. Ciò che ci permette di non temere, di non avere timore è proprio questa condizione di piccolezza.
Non temere da una parte vuol dire riconoscere la nostra condizione di piccolezza, dall’altra riconoscere che ciò che siamo lo siamo per il Signore. Difficilmente noi leghiamo il non temere alla piccolezza, questa è la condizione che il vangelo ci indica e sulla quale davvero dobbiamo stare molto attenti. Il timore è proprio non dei più piccoli, il timore è proprio dei grandi. Non temere… perché «Ecco, l'occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame. Così, l'anima nostra attende il Signore, egli è nostro aiuto e nostro scudo» (Sal 32).
vv. 33-34: Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
A differenza del ricco stolto che accumulava per se, qui abbiamo un forte invito che il Signore Gesù rivolge a chi vuol seguire i suoi passi, e vuol fare di Lui la via che conduce alla felicità e alla vita.
Gesù aveva detto di non accumulare beni (Mt 6,20-21). Accumulare è il contrario di condividere. Tutto ciò che accumuli stai tranquillo che accumula ansia e non serve. Mentre è gioia se condivido la mia esistenza, questo dà gioia. L’accumulo invece ci priva in quanto sacrifica la nostra esistenza all’accumulo senza dare senso alla vita, senza dare amore all’altro.
L'invito del Figlio di Dio è un invito alla felicità fondata sull'amore vero, l'amore operoso che non tiene per sè ciò che ha ma lo divide con chi ha di meno o non ha assolutamente nulla. Anche le qualità buone, se non sono condivise, servono a sentirsi più soli e tristi, perché si punta tutto su quello. Invece la mia relazione con gli altri, anche nei miei limiti, rende la vita divina vivibile, diventa una vita di accettazione, di comunione, di dono, di perdono, di crescita. Qui troviamo la vera carità, la vera ricchezza, che ci rende somiglianti al nostro Salvatore, l'unica vera ricchezza che non teme usura e non viene meno. Di conseguenza troviamo l’invito a interrogare il nostro cuore, per capire dove è riposto: se nella paura o nella fiducia e nella vita, se nelle cose terrene o nel Cielo.
La comunità cristiana aveva capito il senso della libertà dai beni e della loro condivisione (At 4,34) poiché il tempo si è fatto breve (1Cor 7,29-31). La vita nuova in Cristo diventa il criterio per il possesso di qualsiasi bene. Questo è un buon investimento che non va in deficit (borse che non invecchiano e tesori inesauribili nel cielo). In Cielo vi è un tesoro inesauribile che è il nostro essere figli di Dio.
v. 35: Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese.
È l’appello all'attesa e alla vigilanza, atteggiamenti propri di chi non si accontenta dei beni e delle gioie immediate, ma aspira e desidera beni di gran lunga durata. I Giudei si cingevano le lunghe vesti ai fianchi per poter lavorare meglio. Elia si cinge per correre (1Re 18,46). L'atteggiamento che Gesù raccomanda a coloro che aspettano la sua venuta è quella di mettersi all'opera, di non adagiarsi nella mediocrità (1Ts 5,6-8; 1Pt 5,8; 1,13). La vigilanza è fondamentale per il cristiano. Più che un atteggiamento morale è la sua condizione di vita, ormai rivestito di Cristo e dedito al suo Regno. Il discepolo di Gesù è chiamato ad essere come l’israelita nella notte di Pasqua, «con i fianchi cinti» (Es 12,11), pronto a mettersi in cammino, per un esodo che durerà “quarant’anni”, un’intera vita.
Nell’essere pronti è contenuto il significato profondo di ogni esistenza umana, il cui destino è realizzare un rapporto di comunione e di amore sponsale col suo Dio e Padre e col Figlio Gesù Cristo che si è fatto dono per noi, dono nell'amore redentivo, dono nel servizio di carità, dono nel pane eucaristico che ci conforta e ci sostiene nel cammino e nell'attesa del compimento finale.
v. 36: siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Storicamente, le case di un tempo non potevano essere chiuse dall'esterno, quindi se il padrone di casa avesse tardato, il portiere avrebbe dovuto attenderlo per aprirgli la porta. Qui è bello osservare il comportamento del padrone di casa: Gesù. Lui non sta a spalancare le porte in quanto padrone, ma è talmente rispettoso e delicato che bussa, propone la sua presenza nella nostra vita non la impone.
Il versetto richiama anche a diventare ciò che attendiamo alla fine: se attendi il Signore diventi come il Signore, ti unisci a lui. Diversamente, se attendi la morte, diventi la morte. Noi diventiamo ciò che attendiamo. La nostra vita deve essere come quel fuoco che arde per riscaldare ed illuminare la notte, un anticipare l’apertura del cuore al Signore che viene per restare con noi (Ap 3,20).
vv. 37-38: Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
In questo versetto, si fa riferimento a un padrone che serve. L’annuncio della venuta del Signore e quindi la sua attesa con il discorso del servizio vengono accostati a questa pagina evangelica.
Il servizio contraddistingue coloro che attendono la venuta del Signore. Il servizio è la condizione permanente nella quale e per la quale noi attendiamo il Signore. Questo testo dà al servizio una apertura escatologica. Il vangelo dice: servire è attesa. In vista di cosa? In vista del servizio per eccellenza. E qual è il servizio per eccellenza?
La seconda parte del versetto, lo descrivo così: “si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. È sorprendente il gesto del padrone che si mette a servire i servi! È ciò che ha fatto Gesù lavando i piedi ai discepoli (Gv 13,4-5). Servire vuol dire questo. Quasi a dire che poi la condizione definitiva sarà un servizio reso da Dio a noi. Non una condizione da cui fuggire, ma una condizione eterna.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!
Il versetto contiene una beatitudine, ma la beatitudine richiede una fedeltà creativa al Signore in quanto è la beatitudine di chi è sveglio, vigilante nel cuore. L’atteggiamento del credente è sempre quello del servizio. Dove c’è il servizio il Signore collabora con il suo Spirito. Quindi a chi serve il Signore comunica le sue energie, dona di godere del suo mistero.
v. 39: Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa.
Un argomento per la vigilanza è il fatto che non si sa quando il Signore verrà (Mt. 24,42-51). Il versetto mette in guardia da illusorie previsioni e da una preparazione “all’ultimo minuto”: come è imprevedibile la venuta di un ladro, così non è programmabile la venuta del Signore. La sua venuta non può essere prevista (Ap 3,3).
In termini positivi il tempo indeterminato è dato all’uomo perché sappia esprimere con continuità il suo amore al padrone, operando bene e rispondendo alla fiducia accordatagli.
vv. 40-41: Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il tenersi pronti non ha sconti per nessuno, tantomeno per chi è più vicino al Signore. La conversione è un processo che dura tutta la vita, anche per coloro che si sentono vicini al Signore.
Pietro, il suo uomo vecchio, pensa ancora a qualche privilegio, avendo abbandonato ogni cosa per andare con Gesù (Mt 19,27). Gesù aiuta a maturare la coscienza di Pietro rispondendo indirettamente con la parabola del buon amministratore facendo capire che ognuno è responsabile degli altri, tutti siamo amministratori della nostra vita – e la possiamo amministrare o da padroni, come colui che accumula nella sua stoltezza, oppure come chi dà la misura di grano agli altri servi, ai suoi fratelli, cioè uno che sa condividere.
v. 42: Il Signore rispose: Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito?
Il termine “amministratore” è tradotto anche con “distributore”, “dispensatore”. Il vocabolo esprime bene qual è la funzione di coloro che sono preposti dal padrone a questa funzione. La loro fedeltà e il loro amore si manifesteranno nella misura in cui sapranno trattare gli altri secondo la volontà e lo spirito del padrone stesso.
L’amministratore è fedele e saggio nel momento in cui, posto a capo della servitù, distribuisce a tempo debito la razione di cibo. Qui c’è tutto il mistero dell’Eucaristia. Eucaristia che è intesa così: distribuire in tempo opportuno la razione di cibo. La saggezza sta nel distribuire e questo è un criterio che contrasta con il mondo. La fedeltà consiste nel distribuire perché ciò che l’amministratore fa non è altro che distribuire i beni del suo padrone; l’amministratore è fedele distribuendo, perché i beni del suo padrone sono evidentemente destinati alla distribuzione. In fondo Gesù è insieme amministratore e bene del Padre, è amministratore e cibo. La sua fedeltà e la sua saggezza nell’Eucaristia consistono in questo: dare sé stesso in cibo. Qui troviamo il senso da dare all’Eucarestia, a quelle parole di Gesù: “fate questo in memoria di me”, fate come ho fatto io.
Non è facile nel servizio ai poveri essere così saggi e fedeli da dare in tempo debito la razione di cibo; a ciascuno il suo. E questo vuol dire che tu devi conoscere le persone, che tu le devi amare, che devi essere per loro motivo per cui il cibo che dai non sia per loro offesa ma sia la loro razione, che sia conforme alle loro esigenze e alle loro necessità.
vv. 45-47: Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. 
È facile cadere nella tentazione, pensare di vivere come se nulla fosse, come se la Parola di Dio che abbiamo accolto nella nostra vita ad un tratto svanisse con tutta la sua energia vitale e ne approfittiamo per darci a quei valori contrari al Vangelo. Sempre l’egoismo tenta di infiltrarsi infatti nei nostri pensieri e sempre è necessaria la lotta per respingerlo. Sempre dobbiamo, come scrive S. Paolo, liberarci dalla schiavitù del peccato per metterci al servizio di Dio; un servizio libero ma esigente, dell’esigenza dell’amore vero. Questi due versetti ci dicono che vi sono persone che, avendo scoperto che siamo salvati gratuitamente, non per le nostre opere ma per la fede in Gesù, si sono fermate qui, senza fare il passo ulteriore che pure è indispensabile, cioè: “tendere verso i frutti della conversione”.
Su quel servo che vivrà così incombe un terribile giudizio: egli sarà trattato come se non avesse mai avuto nulla a che fare con Gesù benché sia stato al suo servizio. La traduzione letterale del testo, infatti, è: “lo separerà e porrà la sua parte con chi non ha fede”.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
Il Signore renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Mt 16,27) e secondo la grazia ricevuta (Rm 11,11-24). Giudei, pagani, convertiti o fedeli alla propria religione saranno giudicati secondo la loro retta coscienza. Una retta coscienza porta il servo a percepire il kairòs nella sua vita fatta di ascolto della parola, preghiera e santità che rende feconda la memoria e conduce alla verità tutta intera (cfr. Gv 16.13).
v. 48: A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più. Alla morte passeremo il nostro esame sull’amore. Se saremo promossi, andremo a vivere eternamente nell’Amore” (Michel Quoist). Sono parole che ci fanno capire, fin da adesso, il desiderio di Dio: Egli ci dà molto, ma affinché possiamo portare molto frutto, un frutto che rimanga. Il primo frutto che il Signore attende da noi è la conversione, è il compiere opere di giustizia, è l’amore. Nell’Apocalisse, nelle Lettere alle Chiese, le prime parole che Egli rivolge a ognuna di esse sono: «Conosco le tue opere» (Ap 3,14-22). Non dice: «Conosco il tuo cuore»; perché ci sono molti che si professano credenti, ma conducono poi una vita dissoluta o mondana, per poi magari concludere con presunzione: «Dio conosce il mio cuore». Ora Dio guarda, sì le nostre intenzioni, il nostro cuore, ma guarda anche le nostre opere, guarda se abbiamo amato come Lui!
Ognuno è responsabile dinanzi a Dio di ogni bene di grazia e di verità che Lui ci ha elargito per la nostra santificazione e salvezza. Il credente è il testimone di Gesù risorto, speranza del mondo, e a tale fedeltà deve rifarsi, così anticipa la gioia dell’incontro, aspira a consegnargli il suo lavoro e sedendosi alla Sua mensa servito da Lui, sentirà il grande elogio: «Bene, servo buono e fedele: entra nella gioia del tuo signore» (Mt 25,21). “La vittoria dell’amore sarà l’ultima parola della storia del mondo” (Benedetto XVI).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Come faccio per essere sempre vigile?
Dove sta il mio cuore?
Quale tesoro prevale nella mia vita, quale comanda sulla mia vita?
La risposta di Gesù a Pietro serve anche a noi, anche a me?
Sono un buon amministratore, una buona amministratrice della missione che ho ricevuto?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
 
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
 
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo. (Sal 32).                 
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Lasciamoci trasformare dalla Parola di Dio e ricordiamo nella nostra preghiera e nella vita di tutti i giorni che siamo gli amici di Gesù e i suoi amministratori: a noi vengono affidate le cose più belle e preziose e a noi viene richiesta la fedeltà, affinché un giorno possiamo ascoltare da Lui quella parola santa e benedetta: «Vieni, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore».