Lectio divina su Lc 18,1-8
O Dio, che per le mani alzate del tuo
servo Mosè hai dato la vittoria al tuo popolo, guarda la tua Chiesa raccolta in
preghiera: fa’ che il nuovo Israele cresca nel servizio del bene e vinca il
male che minaccia il mondo, nell’attesa dell’ora in cui farai giustizia ai tuoi
eletti che gridano giorno e notte verso di te.
Per Cristo nostro Signore. Amen.1Diceva loro una parabola sulla
necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città
viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In
quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva:
"Fammi giustizia contro il mio avversario". 4Per un po' di
tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non ho
riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio,
le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi"». 6E
il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E
Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso
di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro
giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede
sulla terra?».
In Luca si trova alla fine di un
insieme di brani che trattano un tema comune: la venuta del Figlio dell’uomo,
che vengono interrotti dalla domanda del fariseo sulla venuta del Regno di Dio
(17,20). Qui Luca compone diverse dichiarazioni singole per una triplice
risposta: essa è misteriosa, visibile solo alla fede; arriverà all’improvviso e
inaspettata; verrà come risposta di Dio all’incessante chiamata del suo
prescelto.
Nel capitolo 18 troviamo Luca che
conclude il lungo insegnamento sulla fede, che aveva iniziato nel capitolo
precedente con la richiesta dei discepoli a Gesù: “Accresci la nostra fede”.
Questa
domenica abbiamo una parabola che, tra gli Evangelisti, troviamo solo in Luca.
Il motivo sono i suoi destinatari che si trovano in Asia minore e che in quel
momento stavano attraversando un momento molto difficile: la persecuzione.
Questi vengono esortati perché, se non pregano, rischiano di cadere nella
tentazione di fare del male non solo a se stessi ma anche a coloro che li
perseguitano.
La parabola ha la funzione di invitare a
mantenersi costanti e fedeli nella preghiera, senza cadere nella tentazione
dello sconforto e della demotivazione.
Sullo sfondo abbiamo una
persecuzione ai danni dei cristiani. Gli “eletti”, cioè quelli che Dio ha
scelto per essere suoi, stanno soffrendo la persecuzione e gridano al Signore
perché faccia loro giustizia
Quindi il fine di questo brano è la
giustizia e il mezzo è la preghiera, una preghiera al servizio del Regno, che
bussa al cuore di Dio insistentemente. Per questo i grandi santi ci hanno
testimoniato che le grandi opere si sostengono con la preghiera, e il desiderio
del regno di Dio viene alimentato con la preghiera.
v. 1: Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai.
Quest’introduzione
ha lo scopo di collegare la parabola con la «piccola apocalisse» precedente,
suggerendo un comportamento adatto al tempo dell’attesa. Il tema centrale qui
non è la preghiera come può far intendere il versetto, ma la richiesta di
giustizia. La preghiera è introdotta come terapia per non incattivirsi
(l’attuale traduzione riporta “senza stancarsi mai”). Infatti, se di fronte
all’ingiustizia smetti di pregare, tu ti incattivisci e finisci per comportarti
male. Questa necessità della preghiera senza incattivirsi ricorre spesso nel
NT. Per esempio, al cap. 5 della Lettera ai Tessalonicesi è riportato: «non
rendete mai a nessuno male per male» (5,15), «non cessate di pregare» (5,17).
Anzi san Paolo nella Lettera ai Romani esorta: «Siate lieti nella speranza,
costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (12,2). Giobbe
ricorda che la vita dell’uomo sulla terra è una continua tentazione (Gb 7,1)
per questo occorre vigilare e pregare (cf. 1Pt 5,8). La tribolazione non è un
dato per continuare a sprofondare in se stessi, ma un tempo propizio per
pregare, per intensificare il rapporto con Gesù. Questa necessità è legata al
Figlio dell’uomo che bisogna che sia crocifisso. Finché Gesù rimarrà innalzato
sulla Croce, sempre il sole dell’amore del Padre splenderà per l’intera
umanità. Il Crocifisso è il vero sacramento della nostra rinascita,
rigenerazione. È in Lui, con Lui e per Lui che si passa dalla morte alla vita.
Chi guarda con fede Lui, il Crocifisso, passa dalla non umanità, dalla disumanità,
alla vera sua umanità. In Lui si diviene veri uomini.
vv. 2-3: In una città viveva un giudice, che non
temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c'era anche una
vedova, che andava da lui e gli diceva: "Fammi giustizia contro il mio
avversario".Luca mette sulla bocca di Gesù
questa parabola per aiutare a perseverare nel momento della difficoltà e a
chiedere con insistenza al Signore che faccia loro giustizia.
La
parabola delinea le caratteristiche di due protagonisti: un giudice e una
vedova. Il giudice, colui che conosce bene la legge e la applica in modo
consono e adeguato alle varie situazioni e che per tutti deve essere una
persona retta, onesta. Ebbene qui è descritto in modo breve e incisivo come la
figura tipica dell’empio, che non teme Dio e non si cura del suo prossimo. È un
oppressore nel campo della giustizia sociale.
La
vedova viene descritta in modo conciso. Nella Bibbia le vedove, insieme agli
orfani, rappresentano una categoria indifesa non era considerata, a nessun
livello (politico, culturale, sociale, religioso) ed esposta all’oppressione,
perché prive di protezione contro gli sfruttatori e i prepotenti (cf. Es
22,21-23; Is 1,17.23; 9,16; Ger 7,6; 22,3). Essa viveva solo grazie al marito,
alla sua ombra, ed era vagamente lodata per i suoi figli maschi. Una vedova era
considerata meno di zero, non esisteva, non aveva diritti, non aveva alcun
valore la sua opinione, scarto della società, la sua vita era considerata
inutile, se non anche dannosa.
La
protagonista del racconto appartiene a questa categoria, ma non è disposta ad
accettare il sopruso di cui è vittima; perciò, si rivolge al giudice per avere
giustizia.
In
questo atteggiamento insistente abbiamo un esercizio a vivere un’esistenza
contrassegnata da quella che i Padri chiamavano «memoria di Dio», di ricordare,
cioè, che Dio è costantemente all’opera nella nostra esistenza e nella storia:
questo ci condurrà a familiarizzarci con lui fino a discernere come vivere in
modo conforme alla sua volontà.
vv. 4-5: Per un po' di tempo egli non volle; ma poi
disse tra sé: "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato
che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga
continuamente a importunarmi".Il
giudice non vuole fare il giudice, non vuole applicare la legge, non vuole
interessarsi di un caso per lui totalmente insignificante e rimanda a tempo
indeterminato il suo intervento. Ma la donna non si rassegna alla situazione e
fa ricorso all’unica arma in suo possesso, l’insistenza.
Il
giudice si presenta come una persona cinica alla quale interessa soltanto il
proprio interesse e non i bisogni delle persone. Ma all’insistenza della donna
cambia pensiero. L’evangelista usa il termine “importunarmi”. È curioso il
termine che adopera l’evangelista, che letteralmente è “a farmi un occhio
nero”. Fare un occhio nero non significa tanto il ricevere un pugno in un
occhio, ma è un’espressione che significava “danneggiare la reputazione”. Alla
fine, il giudice, se non altro per liberarsi di tale molestia, cede e fa
giustizia alla donna: ciò che prevale in lui non è il senso del dovere, ma il
desiderio di non essere più scocciato dalla vedova.
vv. 6-7: E il Signore soggiunse: Ascoltate ciò che
dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che
gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo?Qui
Gesù propone la sua interpretazione della parabola. Egli richiama l’attenzione
dei discepoli non tanto sull’insistenza della donna, a cui sembrava rimandare
l’introduzione, ma piuttosto sul giudice.
Nelle
sue parole Gesù esprime il pensiero fondamentale della parabola, facendo la
differenza tra il giudice e Dio. Se un giudice disonesto per motivi egoistici
acconsente alle richieste insistenti di una vedova, quanto più Dio, che è padre
buono, ascolterà le grida di implorazione dei suoi eletti. È l’atteggiamento
del giudice il punto sul quale Gesù fa leva per illustrare il comportamento di
Dio. Egli esprime il suo punto di vista con una domanda: «Ma Dio non farà
giustizia per i suoi eletti che gridano a lui giorno e notte?».
In
base al metodo rabbinico chiamato qal
wahomer (ragionamento a fortiori), egli afferma che, se un giudice, per di
più empio, alla fine si decide a fare giustizia alla vedova, maggior ragione
Dio farà giustizia per i suoi eletti, dal momento che è un Padre premuroso e
giusto.
L’espressione
«fare giustizia», usata sia per il giudice che per Dio, significa difendere i
diritti di una persona, darle ragione, garantirle quello che le spetta. Per gli
eletti, anche quando non sono oggetto di persecuzione, ciò significa proclamare
pubblicamente, mediante l’attuazione piena del regno, che le loro scelte erano
giuste e conformi alla volontà di Dio. Proprio la certezza che ciò avverrà
rappresenta il punto saliente della parabola.
C’è
ancora una domanda di Gesù: «E tarderà nei loro riguardi?». Egli dice che il
tempo dell’attesa sarà breve: Dio farà presto giustizia agli eletti che gridano
a lui. Questa idea però non è in sintonia con quanto l’evangelista intende dire
nel suo vangelo, e cioè che la venuta finale del regno di Dio non è imminente.
Perciò è più conveniente leggere queste parole non come una domanda, ma come
una frase concessiva: «Anche se egli ha pazienza con loro».
La
prospettiva del racconto è escatologica: la situazione della vedova rappresenta
quella degli eletti della comunità che sono in preda alle tribolazioni degli
ultimi tempi, descritte da Luca nel brano precedente. Il termine “eletto” nei
Vangeli sinottici viene utilizzato solo per indicare i credenti nel momento
della tribolazione e della prova legata ai discorsi apocalittici. L’eletto è
colui che sottoposto alla prova è capace di resistere per amore di Cristo. Luca
con questa parabola esorta quanti lamentano il “tardare di Dio” a perseverare e
a continuare con fiducia a chiedere aiuto a Dio, nonostante possano
sperimentare il suo silenzio.
v. 8: Io vi dico che farà loro giustizia
prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?
Gesù
conclude rassicurando i suoi discepoli: «Dio farà giustizia prontamente», cioè,
«improvvisamente». In altre parole, il ritardo della parusia è una realtà con
cui bisogna fare i conti, nella certezza che Dio, dopo aver lungamente
pazientato, interverrà quando meno gli uomini se lo aspettano e farà giustizia
ai suoi eletti.
Luca
non fa altro che dire che l’intervento di Dio non è solamente sicuro, ma
accadrà prontamente. Certo la sua prontezza non è legata alla “bacchetta
magica” che andiamo cercando. La parte finale del v. 8 che chiude con una
domanda è una aggiunta posteriore, risponde a tutti noi con lo scopo di farci
riflettere sulla perseveranza nella fede. Il ritardo della parusia, l’ostilità
e le persecuzioni crescenti avevano provocato un raffreddamento nella fede dei
credenti. La comunità deve quindi ritornare a un genuino atteggiamento di
vigilanza, perché Gesù al suo ritorno non la trovi impreparata. È necessario
avere molta fede per continuare a resistere e ad agire, malgrado il fatto di
non vedere il risultato. Chi aspetta risultati immediati, si lascerà prendere
dallo sgomento.
La preghiera è ciò che mantiene viva la fede del
credente nel tempo che lo separa dal ritorno del Figlio dell’uomo ma deve essere
costante, insistente, che non si lascia fiaccare da una situazione che potrebbe
abbatterci. Fede e preghiera ottengono un orientamento escatologico. Per fede
qui si intende l’esistenza del cristiano vissuta nella vigilanza e nella
fedeltà, fedeltà al Vangelo che viene mantenuta nel momento della prova e in
particolare, quando proviamo il silenzio di Dio. Gesù chiede la costante fiducia
in Dio. Bisogna pregare senza stancarsi e la fede è questa preghiera
instancabile, è la ricerca, il desiderio continuo di Lui.
Non è strano che Gesù termina la parabola
domandandosi se quando tornerà incontrerà tra i suoi la fede. Nel Cantico dei
Cantici l'amato rivolgendosi all'amata dice: «Alzati amica mia, mia bella, e
vieni presto!» (Ct 2,13). L'amore desidera essere desiderato. Dio desidera
trovarci! Se perdiamo la fiducia in Dio solo perché non da risposta senza farci
attendere, abbiamo perso la fede in lui e la sicurezza di contare un giorno
sulle sue attenzioni.
Riponiamo la nostra fede in lui. Crescere nella
relazione con Lui è una fede piena d’amore e che fa sì che possiamo amare come
siamo amati. Allora la nostra preghiera sarà legata all’amore, condividendone i
tempi, le attese, le trasformazioni, perché pregare è amare, è desiderio
profondo, è tendere con tutto il proprio essere verso un incontro sperato
aspirando a una comunione con Dio che non conoscerà mai fine.
Avverto Dio come un Padre che si prede cura anche di me?
Nei momenti di difficoltà con quanta convinzione e pazienza lo invoco?
Pregare sempre: come attuo questo comandamento nella mia vita? Come vivo la mia preghiera?
Quali fatiche provo e quali attenzioni “metto in campo” per superarle?
Quando il Figlio di Dio verrà, mi troverà addormentato, avvilito, riunito in seduta permanente, oppure sveglio, attivo e vigilante?
Riesco a pensare alla mia vita cristiana come relazione con Gesù e che mi porterà all’incontro finale con Lui?
Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre. (Sal 120).
Accogliamo
dentro il nostro cuore il sano rimprovero di Gesù, il suo sano realismo, la sua
sconcertante provocazione. Conserviamo la fede nelle avversità, non demordiamo,
non molliamo, ma continuiamo con costanza la disarmata e disarmante battaglia
del Regno. Amen.