mercoledì 10 dicembre 2025

LECTIO: III DOMENICA DI AVVENTO (Anno A)

Lectio divina su Mt 11,2-11

 

Invocare
Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore il nostro cammino incontro a colui che viene e fa’ che, perseverando nella pazienza, maturiamo in noi il frutto della fede e accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».  7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Il Vangelo di questa terza domenica d’Avvento, detta “Gaudete”, è racchiusa nel contesto di una serie di racconti circa l’attività di Gesù che fa seguito al discorso sull’apostolato (cf. Mt 10-13).
In questa sezione non vengono narrati molti miracoli, ma l’Evangelista pone l’accento sulla polemica fra Gesù e i suoi avversari, in un crescendo che continuerà per tutto il resto del vangelo.
In questo tratto evangelico, dominato in modo preponderante dalla diffidenza e dall'ostilità, la predicazione di Gesù è costretta a farsi misteriosa e Gesù, per non togliere del tutto la luce dei suoi insegnamenti al popolo d'Israele, propone sotto il velo del genere parabolico i vari aspetti della misteriosa realtà del Regno.
Anche questa domenica entra in scena Giovanni Battista che domenica scorsa l’abbiamo visto come inviato a preparare la via davanti al Signore con un battesimo di conversione. Questa volta, però, la vita del Battista è imprigionata a causa della Parola di verità ciò è indice di quell’umanità di Giovanni sempre in cerca della Verità, la stessa che ha proclamato, la stessa di cui è amico, la stessa per cui è disposto a perdere la sua vita. Purtroppo, Giovanni Battista sentendo parlare del Messia la sua vita appare dubbiosa, vacillante, in quanto Gesù si presenta in maniera diversa da come il Battista l’aveva presentato, soprattutto doveva averlo sconvolto il fatto che Gesù si sedeva a mensa con i peccatori (cf. Mt 9,9-17). Ecco perché avanza un dubbio timido ma abbastanza deciso sulla vera identità di Gesù in quanto messia. Gesù risponde con le profezie di Isaia e approfitta della domanda per ricordare il ruolo di Giovanni Battista nella storia della salvezza.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 2-3: Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo
Parlando del Battista, Matteo ci ha lasciati al suo arresto in 4,12 dicendo che Gesù incominciò a predicare dopo aver sentito che Giovanni era stato arrestato. Successivamente, in Mt 14,2-12, spiegherà i motivi dell'arresto di Giovanni e le circostanze della sua uccisione.
Giovanni si trova in carcere nella fortezza di Macheronte, un luogo di segregazione, che si trova a mt 1.120 di altezza circa, a oriente del Mar Morto. Qui verrà ucciso.
Paolo scrivendo a Timoteo dice: “la Parola di Dio non è incatenata” (2Tim 2,9), non si lascia mettere nessuna catena, perché essa «è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4, 12).
Giovanni è convinto di questo e non ripiega la sua vita su se stesso, anzi, non smette di fissare lo sguardo verso ciò che ritiene lo scopo della sua vita: preparare la strada al Messia. In Lui è tutta la sua gioia, da Lui aspetta la sua salvezza. È attento ai segni dei tempi anche se questi segni sono molto diversi da quelli da lui stesso annunciati.
per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Giovanni Battista ha sentito parlare delle "opere del Cristo", cioè dell'Unto, del Messia ma nessuna di esse rispondeva alla sua attesa, per questo ora nutre dei dubbi e si pone una domanda drammatica, colma di mille dubbi. Forse un dubbio della stessa comunità per cui scrive Matteo. Può essere anche il nostro dubbio, specialmente per quelle volte che chiediamo a Gesù di venire allo scoperto.
Non sappiamo il motivo per cui il Battista è spinto alla domanda; forse l’ambiente stesso l’ha portato a questo. In questo momento egli rappresenta tutti quegli uomini giusti dell’Antico Testamento e di tutte le epoche, che hanno il valore di esprimere i loro dubbi, di mettersi in discussione con serietà, di cercare una risposta alle loro domande.
Giovanni da uomo pieno di Spirito Santo si mette in discussione e si apre ad una nuova proposta da parte di Dio, pur con la fatica che avrà fatto nel comprendere questo progetto. La sua è una domanda aperta alla verità che gli viene da un Altro. C'è un «colui che deve venire», che tutti aspettano.
Giovanni Battista lo aveva già annunciato nel capitolo 3. È colui che viene ricordato in Sal 117,26, «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». Ma qui viene menzionato in forma di domanda: “Sei tu o è un altro?”. Questa domanda è drammatica. Anche Giovanni, che pur conosceva bene Gesù, sembra cominciare a dubitare di lui.
vv. 4-5: Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo.
Alla domanda precisa di Giovanni, Gesù non dà una risposta altrettanto precisa, ma facendo parlare i fatti, ricorda loro quanto hanno visto e udito, elencando poi i i segni che la tradizione profetica (Is 35,4-6) considerava premonitori dell’avvento del Messia, attesta esplicitamente la sua missione.
I verbi “udite” e “vedete” messi al presente descrivono un'azione che si sta svolgendo ora, in questo momento, con tendenza a durare verso un immediato futuro.
Qui Gesù invita, non solo Giovanni, ma i discepoli di ogni tempo, a leggere i segni dei tempi per riconoscervi la presenza del Messia-Gesù. Questa “è la via della fede, che iniziando dall’attività visibile culmina nel riconoscimento di Gesù. È la via che conduce dall’oscurità alla luce, dal segno alla realtà” (W. Trilling).
Con il metodo narrativo matteano, Gesù citando alcune profezie di Isaia: Is 35,5-6 (ciechi sordi e zoppi); 26,19 (morti); 29,18 (sordi); 61,1 (buona novella ai poveri), afferma che in Lui le Scritture hanno avuto il loro compimento e ci invita a raccontare noi stessi ciò che abbiamo visto e udito (cf. 1Gv 1,1-4). Inoltre, ci invita a porci degli interrogativi sulla verità nascosta: un incitamento anche per noi ad essere svegli per essere portatori di un annuncio vivo e vissuto della nostra fede in Lui.
v. 6: E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!
Questa è l'affermazione più forte di Gesù. Forse ci appare in più. Forse era inutile dirla. Però è una frase ben determinante. Gesù è consapevole che quanto compie può provocare scandalo, perché non è conforme all’attesa. Nel suo agire Gesù rivolge a tutti, e soprattutto ai più disgraziati e agli esclusi, una parola di speranza, di consolazione, di perdono. Ecco, quindi, la beatitudine per chi riesce a superare lo sconcerto che prova davanti a un Messia povero e disarmato. Questa è una beatitudine che invita a leggere i segni dei tempi per dare risposta a noi stessi e a quanti ci circondano.
Gesù le aveva già proclamate le beatitudini. Qui sembra aggiungerne ancora una. In realtà il discorso è legato all’atteggiamento del discepolo che dovrà vivere il vangelo del regno ai poveri, della misericordia, della pace, della giustizia. Seguire gli insegnamenti del Maestro: la via per giungere al Regno di Dio. Quanti sapranno accogliere questo messaggio e questo stile di vita, senza che esso gli provochi inciampo nel cammino, saranno felici perché avranno trovato la via della vita e della vera libertà.
La beatitudine è anche uno scontro, una crisi di fede. La parola “scandalo” vuole indicare la “pietra d’inciampo”, che non ti permette di proseguire il cammino, ma che te lo rende presente se ne prendi coscienza.
Oggi lo scandalo è anche qualcosa di negativo, ma qui parliamo di Gesù. Egli si presenta come uno che “scandalizza”. Lo scandalo di cui parla Gesù è quello che scaturisce dal vivere radicalmente il vangelo, che va controcorrente, quello che ci scuote dalle nostre abitudini di vita e dai nostri schemi mentali.
A nostra volta, siamo chiamati tutti a “scandalizzare” il mondo con “lo scandalo del vangelo” dimostrando con la vita di non assoggettarsi a usi e costumi lontani dalla fede cristiana, di rifiutare compromessi che provocherebbero ingiustizie, di preoccuparsi dei poveri e degli ultimi.
v. 7: Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?
Il versetto si presenta come la corsa della curiosità. Gesù ancora ci interpella con queste parole. In particolare, noi che continuiamo a seguirlo, ad ascoltarlo.
Gesù parla del Battista, rendendogli testimonianza, come il Battista l'aveva data per lui in Mt 3, non come noi che continuiamo ad arrampicarci sugli specchi o che passiamo da un pensiero ad un altro. Egli è il discepolo fedele, che ha annunciato con schiettezza gridandolo alla coscienza di ognuno.
Giovanni compie il suo ministero in funzione della venuta di Gesù, su di lui occorre riflettere probabilmente per poter accogliere meglio il Messia. È un vero elogio quello che Gesù fa del suo Precursore: gli riconosce una solidità interiore; non si è lasciato agitare dai venti contrari seguendo ora questo, ora quello. Giovanni non è una canna sbattuta dal vento (1Re 14,15), cioè non era un debole che si piegava ai poteri più forti di lui; il solo vento che lo muove è quello dello Spirito che lo ha condotto nel deserto, dove ha predicato la conversione e il ritorno a Dio. Infatti, fu incarcerato proprio per la sua franchezza davanti a Erode.
A tal proposito, gli studiosi dicono che nelle monete coniate da Erode Antipa in occasione della fondazione di Tiberiade attorno al 19 d.C., ci stava una canna. L'immagine della canna sbattuta potrebbe alludere dunque allo stesso Erode Antipa.
v. 8: Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 
Gesù ribadisce cercando di arrivare all’identità del Battista: un profeta, compendio della profezia dell’Antico Testamento e anticipo della profezia nel Nuovo Testamento.
C’è nella gente – e anche in noi – un modo diverso di pensare. L'uomo incontrato dalla gente nel deserto non era certo una canna mossa dal vento e non era immerso nel lusso, ma un grande difensore della giustizia. Egli è più che un profeta: è il precursore del Messia. Il suo status, quindi, non è un privilegio, ma una missione; anzi la sua scelta così radicale dice il totale abbandono del mondo per dare a Dio il primato di tutto, per dire che Dio è l’unico vero bene. Questo è un interrogativo per noi quando non siamo in grado di accettare i profeti, quando non accettiamo coloro che parlano nel nome del Maestro.
Giovanni non immischiandosi in faccende politiche, con riconoscimenti e favoritismi era anzitutto un “modello di sopportazione e di pazienza” (Gc 5,10) e come tale divenne l’araldo del Signore. Il richiamo al rispetto della Legge di Dio gli ha procurato la prigionia da parte dei potenti.
v. 9-10: Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via.
Anche noi, spesso, ci ritiriamo nel deserto. Un po’ suggerito da un animatore religioso. Un po’ perché lo desideriamo per fare una pausa nella nostra vita. Ma nonostante questo, Gesù ci ripete la domanda.
La prima domanda fatta da Gesù dovrebbe scuotere le nostre coscienze che spesso confondiamo i verbi, le parole. Vedere non è imparare. Dio non si impara ma si vede perché Lui si mostra. Il profeta non insegna Dio, ma lo mostra e Giovanni non ha fatto altro che mostrare Dio. Giovanni è un profeta, l’ultimo dei profeti che annunciavano l’intervento di Dio a favore del suo popolo.
Gesù, combinando tra loro i brani di Ml 3,1 ed Es 23,30 presenta il Battista come Elia, il profeta atteso per il tempo messianico. Questo messaggero divino, che è stato Giovanni il Battista, ha preparato la strada al Signore. In questo modo Matteo sta definendo in modo indiretto la natura divina di Gesù.
Anche noi dovremmo fare o stare nel deserto per ritrovare la “via santa” e preparare la via al Signore.
v. 11: In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
Ancora un elogio notevole che Giovanni riceve da Gesù. Giovanni è “Tra i nati di donna” (Sir 10,18), una figura di primo piano, ma proprio perché con lui si apre una nuova epoca, il più piccolo di questa nuova situazione è più grande di lui. Giovanni è il più grande; perché mentre agli altri fu affidato di prefigurare e preannunziare il Redentore futuro, a lui fu riservato di mostrarlo presente.
Tuttavia, la logica del Regno dei cieli è un’altra. Con Gesù, cioè Dio che viene a noi, il Regno non è più guadagnato con sforzi umani, ascesi, meriti derivanti da una buona condotta.
Nel suo discorso della montagna il Maestro insegna: “beati i poveri, perché di essi è il Regno dei cieli”. A chi non ha nulla, neppure opere buone da offrire da Dio (e di cui vantarsi), e si presenta a Lui in totale nudità e vuoto, a questi è data la beatitudine del Regno. Paolo afferma: «il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). Tutto deriva dal Padre mediante Lui, che dona lo Spirito. Tutto torna al Padre mediante Lui, con il dono dello Spirito.
Nel Vangelo di Matteo essere piccoli nel regno dei cieli è un'espressione che ricorre spesso. Essere piccoli nel regno dei cieli è un'espressione che ricorre spesso nel vangelo di Matteo, non fa riferimento all’età di una persona, ma a una condizione dello spirito; «piccolo» è chi innanzitutto si riconosce povero, bisognoso, e quindi è colui che si apre senza difese, senza preconcetti alla rivelazione di Gesù, cogliendo fino in fondo la bellezza di quell’annuncio e di quelle opere che raggiungono ogni uomo e ogni donna, indipendentemente dal suo status. La grandezza del Regno rende grande colui che ne fa parte ed è puro dono gratuito dell’Amore di Dio per noi. I più piccoli del Regno sono coloro che assumono la forma di schiavo e sull’esempio del figlio di Dio “nato da Donna” (Gal 4,4), desiderano servire «fino alla morte di Croce» (Fil 2,6-11).
In altri luoghi Gesù stesso spiega che per far parte del Regno di Dio occorre una nuova esistenza, una rinascita (Gv 3,2ss.). Questo ha annunciato il Battista con umiltà e ardore profetico, un morire per risorgere.
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
La Parola che ascolto è chiusa nel carcere del mio cuore oppure l’annuncio?
Per Giovanni Battista fu difficile riconoscere, in Gesù, il Messia. E io? Lo conosco? Lo riconosco?
La domanda di Gesù si rinnova ancora oggi per noi. Nel deserto cosa sono andato a vedere? Che tipo di deserto è la mia vita? Cosa vado a cercare?
Cosa penso sia necessario fare ed essere per entrare a far parte del Regno dei cieli?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
 
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.
 
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. (Sal 145).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Nel silenzio, ascoltiamo il passo leggero della presenza divina, perché possiamo essere capaci di gioire delle piccole cose, di riconoscere il volto del Signore nei volti di quanti incontreremo sul nostro cammino ed essere, come il Battista, canto di lode, luce che scalda, sorriso che consola.

martedì 2 dicembre 2025

LECTIO: II DOMENICA DI AVVENTO (Anno A)

Lectio divina su Mt 3,1-12

 
Invocare
O Padre, che hai fatto germogliare sulla terra il Salvatore e su di lui hai posto il tuo Spirito, suscita in noi gli stessi sentimenti di Cristo, perché́ portiamo frutti di giustizia e di pace.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
1 In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». 3Egli, infatti, è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. 5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? 8Fate, dunque, un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: «Abbiamo Abramo per padre!». Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò, ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell'acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Il profeta Isaia è il profeta chiave dell’Avvento del Signore. Questa domenica ne abbiamo “uno più grande” (Mt 11,11): Giovanni il Battista che si proclama la voce che grida, e grida quella parola che gli ha dato il Signore Gesù Cristo.
L’evangelista Giovanni, nel suo vangelo, presenta la sua grandezza in tre modi: personalmente, in testimonianza e moralmente.
La predicazione del Battista non è altro che per i suoi uditori la stessa predicazione di Gesù partendo da quello stesso invito alla conversione: “il regno dei cieli è vicino” e opera un battesimo che prepara ad incontrare il Signore. Non rimane altro tempo per la conversione. La forma fisica della sua figura, il vestito, il cibo, la voce, la riva del fiume sono lo sfondo o quel tempo breve di cui si parla, per accogliere l’invito.
Il primo passo da fare è metterci davanti al Signore e ascoltare la sua Parola perché giunga sino al cuore e lo trasformi.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
v. 1: In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea.
Ogni volta che ci accostiamo alla Parola in quel momento qualcosa accade. Anche l’inizio di questo episodio indica qualcosa che accade concretamente, in particolare se accolgo col e nel cuore la Parola, se credo veramente in Essa.
Il v. 1 di questo III capitolo del Vangelo di Matteo inizia con un avverbio molto importante: «in quei giorni», che ritroviamo sempre nel Vangelo, anche quando non è scritto perché è il mio sì che concretizza la Parola. Per questo l’evangelista Matteo presenta la venuta di Giovanni, il Battista, colui che ha fatto sì che la Parola accadesse nella sua vita, nel deserto della Giudea simile alla venuta di Elia, il Tisbita (cf. 1Re 17,1), in seguito Gesù dirà di lui che «egli è quell’Elia che deve venire» (Mt 11,14).
In questo versetto viene detto semplicemente solo il nome e il “soprannome” che indica la missione di colui che immerge nell’acqua, come segno del desiderio di purificazione.
Giovanni venne a “predicare”. La cosa principale è l’annuncio della Parola. Egli è colui che annunzia, proclama, intima (dall’etimologia greca di profeta). Ora questa proclamazione avviene “nel deserto”. Il deserto, lo sappiamo, non c’è nulla ma solo morte. Però il deserto, per la storia ebraica e cristiana,  è un luogo fondamentale perché è il luogo dove si è formato il popolo di Dio, è il luogo della speranza di ogni pio israelita (cf. Es 15,22-18,27), dell’incontro tra lo sposo e la sposa (cf. Os 2,12). Lì il Signore della vita fa nuove tutte le cose (Ap 21,5). Il deserto è il luogo da dove verrà la salvezza: «Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa»
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,19). Il deserto è il luogo in cui ci misuriamo con la nostra fragilità, per poi proseguire nella giusta direzione, evitando di sbagliarla, facendo sì che fiorisca una nuova primavera dello spirito.
v. 2: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».
Giovanni proclama la Parola dicendo subito: «Convertitevi». Questa è la parola fondamentale dei profeti. E Giovanni è l'ultimo dei profeti. Questa parola (dal greco metanoein) vuole indicare il “cambiare modo di pensare”. All’invito della conversione viene aggiunta la motivazione: «il regno dei cieli è vicino», espressione che Matteo ripete nel Vangelo ben cinquanta volte, mentre Luca e Marco preferiscono usare l’espressione “Regno di Dio” che indica la stessa identica Realtà; una realtà che non ha nulla a che vedere con i regni di questo mondo.
L’espressione oltre ad esser le prime parole che proclama il Battista (Mt 3,2), sono anche le parole annunciate da Gesù all'inizio della sua missione (Mt 4,17), e sono le primissime parole che dovranno predicare i discepoli quando saranno inviati in missione (Mt 10,7). Matteo vuole così mostrare Giovanni come l'anticipatore che prepara la strada al Cristo che viene, e i discepoli come i continuatori che proseguono la sua missione.
L’invito del Battista è un richiamo di ritorno a Dio, sembra quasi un registratore che è rimasto acceso nei secoli e che ogni profeta ha gridato. Per poter convertirci, cambiare direzione, volgersi a ciò che può cambiare la nostra vita da dissoluta e infelice, in vita autentica e gioiosa, è necessario cambiare mentalità, cambiare modo di pensare, volgere il nostro interesse verso il modo di porsi a Dio.
Giovanni allo stesso grido dei profeti aggiunge una nota più sublime: perché il regno dei cieli è vicino. Il termine è ricco di gioiosa speranza e corrisponde al Disegno di Dio che tutti siamo chiamati ad attuare in tutti i momenti e gli aspetti della vita. Un Regno spirituale che va ricercato presso Dio, vicino a noi, intorno a noi e dentro di noi.
v. 3: Egli, infatti, è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Da questo versetto, Matteo presenta il Battista più da vicino dicendoci quale è il posto che Giovanni occupa nel piano di Dio. Già Isaia aveva preannunziato in anticipo questa venuta e la sua funzione. Egli, invitava gli esuli ebrei a organizzarsi per il ritorno in patria dall’esilio in Babilonia, preparando una via nel deserto (cf. Is 40,3-59-11).
Giovanni, il Battista è quella «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
Quante volte oggi, come ai tempi del Battista, la voce di chi annuncia la Parola del Signore, è come una voce che grida nel deserto delle nostre città, dove le case sono una accanto all’altra, le finestre si aprono quasi a ridosso le une delle altre, ma ciascuno vive come isolato, solo, in un deserto. L’invito perentorio è di preparare la via del Signore. Egli è molto discreto, non è invadente, attende che manifestiamo il desiderio di accoglierlo.
v. 4: E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.
Giovanni conduce una vita da asceta. Non era vestito con morbide vesti, non banchettava lautamente. Viveva in modo austero, come i Profeti, avvicinandosi allo stile di Elia (cf. 2Re 1,8). San Paolo richiamerà a rivestirci di Cristo a rivestirci della nostra verità di figli.
Il cibo di cui si nutriva erano cavallette e miele selvatico, un modo per indica che il Battista si nutriva della Parola di Dio la cui forza serviva per combattere il male e per proclamare la verità che da Essa promana.
La “voce che grida nel deserto” non è inascoltata ma raggiunge tutti e tutti si avvicinano per capire e per ravvedersi. Quando una persona è autentica, la gente lo percepisce ed accorre per avere le indicazioni per una vita autentica, che valga la pena di essere vissuta. “Dove vibra la voce di Dio, non ci si arresta a fuochi di paglia, non si tratta di suggestione collettiva che presto svanisce: è il singolo che viene colpito fino in fondo ed è chiamato a una decisione personale” (W. Trilling). Una voce che grida risuona solo nel deserto della nostra vita, una vita che, una volta purificata dal peccato in virtù dell’opera redentrice di Cristo, attende di rifiorire.
vv. 5-6: Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Questi due versetti mettono anzitutto al centro Gerusalemme, luogo del Tempio, luogo dell’incontro con Dio presentandone un esodo. Però qui si nota un esodo diverso: la meta non è Gerusalemme ma il luogo del Battista: il fiume Giordano. Un luogo diverso, diverso dal modo di pensare, diverso da quella sacralità che si può pensare, quella stessa sacralità che per molti di noi sarà inviolabile. Di questo Gesù dirà alla Samaritana: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21). Tutto il Vangelo, infatti, è un invito a uscire dalle nostre idee su Dio, dai nostri luoghi santi, intoccabili, perché Dio è diverso da come noi lo pensiamo. Ecco, quindi, il nostro esodo da quel vissuto scontato per incontrare Dio, lasciarci purificare, confessando i nostri peccati.
C’è una presa di coscienza di “sbagliare bersaglio”, di peccare e questa coscienza è molto sublime nell’uomo. Se non c’è il senso del peccato c’è il senso di colpa che è il senso di inadeguatezza dell’uomo che non arriva a adempiere il suo dover essere. Allora è importante capire il nostro rapporto con Dio, anche nel mio fallimento, nel mio peccato, ma che pure è un rapporto con Dio. Ed è un rapporto di perdono. E l’uomo è salvato perché è perdonato nei suoi peccati. E vive non più dei suoi sensi di colpa e quindi delle sue chiusure, ma dell’amore che Dio ha per lui.
vv. 7-8: Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente?
Anche alla predicazione del Battista accorrono molti Farisei e Sadducei per farsi battezzare. Il Battista li sferza aspramente chiamandoli “razza di vipere”. Questi, nel corso del Vangelo si dimostreranno tali (cf. 12,34; 23,33). L’intenzione di Giovanni è di preparare la via al Signore, ad aprire gli occhi di chi lo ascolta e fare in modo che non siano travolti dal veleno del serpente, e lo fa con il suo carattere focoso, irruente. Anche il profeta Isaia apostrofava gli israeliti così: “Dischiudono uova di serpente velenoso” (Is 59,5).
Il giorno di Jahvè è descritto come “ira imminente”. Non è un giorno di luce ma di tenebre. Questo giorno “alle porte” e sarà violento, fulmineo così come descrive il profeta Amos: «Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che cosa sarà per voi il giorno del Signore? Tenebre e non luce! Come quando uno fugge davanti al leone e s'imbatte in un orso; come quando entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. Non sarà forse tenebra, non luce, il giorno del Signore? Oscurità, senza splendore alcuno?» (Am 5,18-20). Nessuno può sentirsi sicuro, anzi chi della sua vita ne ha fatto una sicurezza (se vogliamo sentirci a posto con la coscienza), il giorno del Signore sarà anche per lui.
L’evangelista Matteo continua il versetto dicendo che il giorno del Signore sicuramente verrà, ma sarà diverso per coloro i quali faranno penitenza.
Fate dunque un frutto degno della conversione.
Quale frutto siamo chiamati a portare? Quale frutto maturo appeso all’albero porta la salvezza all’umanità perduta, quando dal frutto di un albero è venuta la morte a causa del peccato?  Anche Gesù dirà ai suoi discepoli nell’ultima cena: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). La conversione deve dimostrarsi coi fatti: nel totale orientamento verso Dio e corrispondere a una vita nuova. Siamo chiamati a portare al mondo lo stesso frutto che ha portato Maria, la Tutta Santa. Lei ci ha donato il Frutto Benedetto del suo Grembo Immacolato con la disponibilità piena alla Parola del Signore! C’è un solo modo per portare frutto come Lei. Essere disponibili ad ascoltare la voce del Signore e metterla in pratica. «Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,35), un vincolo che ci rende una sola cosa con Cristo.
v. 9: e non crediate di poter dire dentro di voi: «Abbiamo Abramo per padre!». Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo.
Alle volte capita che ci rifugiamo dietro alle nostre belle opere o alla nostra pia devozione. Il Vangelo ci dice che non è sufficiente. Anche l’israelita che si vanta di essere discendente di Abramo non è sufficiente. È necessaria la vera conversione, un mutamento radicale di fede per comprendere la verità che è luce sfolgorante. Di fronte ad essa si è liberi di farsi illuminare la mente per discernere il cammino posto di fronte a noi e incamminarsi al seguito di Colui che viene per portare la salvezza, o chiudere l’intelligenza alla illuminazione e continuare il cammino ponendo la fiducia nella ricchezza, nel potere, nel dominio andando verso il disfacimento. San J.H. Newmann faceva capire che questo nuovo orientamento della Parola di Dio va inteso così: «Qui in terra vivere è cambiare ed essere perfetto è aver cambiato spesso».  Il problema allora è la mia conversione personale ed una vita che sia risposta al dono di Dio. Tanto è vero che dice: “Dio può fare figli di Abramo anche dalle pietre”. Di fatti il Signore farà anche del nostro cuore di pietra il cuore di figlio.
v. 10: Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò, ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco.  Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 
Il versetto descrive due categorie di alberi. Ma descrive anche un tempo breve per il discernimento. Ritorna per noi la parola “frutto”. L’aggettivo che accompagna il termine frutto nell’originale greco è bello. Bello, perché ciò che è buono è anche bello, ed è bello non solo nell’apparenza, ma anche nell’interiorità. Questa estetica che troviamo nella Parola di Dio, l’Autore sacro la descrive così: «Dio vide che tutto era bello» (Gen 1,4.10.12.18.21.25.31). Colui che fa discernimento deve trovare il suo frutto bello in Colui che ha dato origine a tanta bellezza! C’è tanto bisogno di discernimento, perché molte cose che attraggono lo sguardo per la loro apparenza esterna, in realtà all’interno sono piene di marciume e portano alla perdizione.
L’immagine della scure posta alla radice degli alberi esprime l’abbattimento degli alberi che non producono frutto: tagliarli e bruciarli. Questi alberi non sono figura degli uomini, che Dio ama sempre come figli, ma le radici del male che sono presenti in ciascuno di noi e che devono essere tagliate a pezzi in modo che non possano più gettare germogli (cf. Ml 3,19) e bruciati.
Anche qui Dio è Provvidenza perché fa in modo che spuntino “rami nuovi” capaci di produrre frutti degni dello Spirito (cf. Gal 5,22).
v. 11: Io vi battezzo nell'acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Qui inizia l’annuncio del Messia. L’espressione “Per la conversione” è propria di Matteo per indicare non l’effetto, ma lo scopo del battesimo di Giovanni. Il “Veniente” è più forte e battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Nel Vangelo di Giovanni si legge che il Battista dichiara apertamente: «Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,28-30).
Giovanni Battista assume in pieno il suo mandato di precursore. Prepara l’umanità ad accogliere Colui che prende la sua stessa carne per farsi un tutt’uno con Lei. Il dono che farà lo sposo sarà lo Spirito Santo. Isaia l’aveva preannunziato: «infine in noi sarà infuso uno spirito dall'alto; allora il deserto diventerà un giardino» (32,15) e ancora «Verserò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri» (44,3).
Anche il fuoco viene distinto. Ci sarà il fuoco del giudizio, ma ci sarà anche il fuoco dell’amore che diventa giudizio che brucia il negativo e fa vivere la vita nuova.
v. 12: Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile.
Sembra che Giovanni anticipi il modo di parlare di Gesù. Sappiamo benissimo che Gesù il suo parlare è tratto dalla vita. Anche qui abbiamo una immagine tolta dalla vita. E in questa immagine abbiamo una indicazione forte per dire quanto il Signore desidera che ognuno sia purificato e da ciascuno sia tolta ogni cosa vana per godere della vita, e gioire dell’incontro con l’amante dell’umanità per sempre. Il fuoco di cui si parla tanto non è altro che quella potenza che crea e fa nuova ogni cosa. Un popolo che vive il non senso sarà reso nuovo popolo spirituale capace a sua volta, con la grazia divina, di rendere bella ogni cosa.
Non resta altro che accogliere l’invito di san Paolo: «Perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri ed irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo a lode e gloria di Dio» (Fil 1,9-11).
La gioia è il sentimento che emerge negli annunci dei profeti dell’Antico Testamento quando scorgono che il Signore sta per venire in mezzo al suo popolo per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi (cf. Lc 4,18).
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Ci lasciamo convertire dalla Parola? Oppure continuiamo a vivere nel nostro peccato?
Quale deserto vivo nella mia vita?
Sono come il Battista, l’uomo/profeta che sta nell’attesa di Dio, nel deserto, disposto a convertirsi, a vivere della parola, ad accettare quel fuoco che è l’amore stesso di Dio?
Sono convinto che il Signore chiama anche me ad essere voce di chi grida nel deserto tra i miei contemporanei?
Come il Battista, so condurre altre persone a Gesù?
Come il Battista, so condurre altre persone a Gesù?
Vivo la mia vita in umiltà come il Battista per essere “l’amico dello sposo”?
Quale buon frutto troverà in me il Signore?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Dio, dà al re il tuo giudizio,
al figlio del re la tua giustizia;
regga con giustizia il tuo popolo
e i tuoi poveri con rettitudine.

Nei suoi giorni fiorirà la giustizia
e abbonderà la pace,
finché non si spenga la luna.

E dominerà da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

Egli libererà il povero che grida
e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero
e salverà la vita dei suoi miseri.

Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole persista il suo nome.
In lui saranno benedette
tutte le stirpi della terra
e tutti i popoli lo diranno beato. (Sal 71).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
L’incontro con Lui nella nostra esistenza e nella nostra interiorità comporta necessariamente un giudizio, un rimettersi in discussione, un abbattere i nostri idoli anche se questi si fondano sulla nostra “religiosità” per poter accogliere in pienezza la forza dirompente della sua grazia (Comunità Kairos – Palermo).


martedì 25 novembre 2025

LECTIO: I DOMENICA DI AVVENTO (Anno A)

Lectio divina su Mt 24,37-44
 
 
Invocare
O Dio, Padre misericordioso, che per riunire i popoli nel tuo regno hai inviato il tuo Figlio unigenito, maestro di verità e fonte di riconciliazione, risveglia in noi uno spirito vigilante, perché camminiamo sulle tue vie di libertà e di amore fino a contemplarti nell’eterna gloria. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
In ascolto della Parola (Leggere)
37Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata.
42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
Nella liturgia della prima domenica di Avvento, la Chiesa ci pone dinanzi uno dei cinque discorsi di Gesù. Tutto inizia con i discepoli che, uscendo dai cortili del tempio, invitano Gesù ad ammirare tutta la sua bellezza. Gesù risponde in modo netto: «in verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta» (Mt 24,2). Per i discepoli questo è un colpo al cuore. Poi continuano con la domanda: «Di' a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo» (Mt 24,3). Da questo momento, l’Evangelista include nel suo Vangelo un “discorso escatologico” in due capitoli (Mt 24 e 25) centrato sulla rivelazione da parte di Gesù circa la sua prossima venuta, la parousìa, termine che nel mondo greco indicava la venuta e presenza dell’imperatore o di un’alta autorità in un determinato luogo. Ripreso nel NT, ove sta a indicare la venuta di Gesù alla fine dei tempi, per instaurare il Regno di Dio.
La seconda parte del discorso escatologico è aperta e chiusa dall’affermazione: nessuno conosce il “giorno” e l’“ora” (Mt 24,36; 25,13). Il messaggio è chiaro: la venuta del Signore è imprevedibile, di qui la necessità della vigilanza indicata dal verbo “vegliate” e dall’avverbio conclusivo “dunque” (perciò) “tenetevi pronti”. Per i discepoli è fondamentale il quando, ma Gesù non offre nessuna risposta precisa, perché il quando è sempre e ovunque.
Il ritorno di Gesù alla fine dei tempi è una gioia, ma anche un invito a impegnarsi seriamente, lasciando a margine le cose secondarie e preparando il suo arrivo.
 
Riflettere sulla Parola (Meditare)
vv. 37-39: Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo.
In questi versetti, che si riferiscono alla Genesi, Gesù risponde a coloro che chiedono una data sulla fine del mondo, data che Gesù non conosce. Queste persone sono coloro che della vita fanno il fondamento della propria sicurezza e, rifacendosi alla Sacra Scrittura, cita la generazione di Noé, ai tempi del diluvio, che passò alla storia come la più corrotta di tutte: «la malvagità degli uomini era grande sulla terra e ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male; la terra per causa loro era piena di violenza» (cf. Gen 6,5-8,14; 1Pt 3,20) e alla visione del profeta Daniele per “la venuta del Figlio dell’uomo”: «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui» (Dan 7,13).
In questo paragone troviamo una vita non dedita “alle cose di lassù”, una mancanza di presa di coscienza interiore per poter accogliere la grazia divina. Un vivere troppo sicuri di sé. Solo Noè era uomo di fede!
Anche oggi, in qualche modo, succede la stessa cosa: viviamo una certa sicurezza di noi stessi, ci arrampichiamo alla cieca e continuiamo a sopravvivere.
Gesù invita a fare attenzione, la storia si ripete, all’improvviso come il diluvio ai tempi di Noè, e il pensare umano si rivelerà stoltezza (cf. 1Cor 1,18-2,5). Dice l’Orante: «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella» (Sal 127 [126],1).
Nelle parole del Salmista, abbiamo un ammonimento per indicare che senza Dio non è possibile la sicurezza e il benessere. Sì, il progresso va avanti ma manca un vivo orientamento a Dio. «Senza il Signore non possiamo fare nulla» (Gv 15,5). Noi siamo l’edificio di Dio, così come dice Paolo (1Cor 3,9) non un semplice edificio umano.
Allora nell’attesa che si compiano i giorni, che non sappiamo come, interroghiamoci su come viviamo il proprio quotidiano. Se la nostra vita è come ai tempi di Noè: piena di egoismo.
vv. 40-41: Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata.
Il discorso continua in punta di piedi nella vita e come una parabola, anche qui accade la stessa cosa. Abbiamo due uomini che lavorano nei campi e due donne che macinano alla mola. Alla venuta del Figlio dell’uomo – il cui giorno nessuno conosce, «né gli angeli del cielo, né il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36) – uno verrà «preso», cioè, salvato, entrerà nell’arca che sempre ha accolto nella sua vita, e l’altro «lasciato», cioè, abbandonato alla perdizione, perché ha condotto una vita senza senso, non vi entrerà, non la riceverà.
Si lavora intensamente, con affanno, per avere ricchezza, ma Dio la darebbe senza tutto quell'affannarsi, se si fosse uniti a lui, se si «cerca prima il Regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33).
Gesù aveva detto: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso» (Lc 21,34).
In questi personaggi possiamo leggere i due aspetti della vita che conduciamo: contare su sé stessi, l’altra invece su Dio e sulla sua venuta; al lavoro da soli, al lavoro insieme con Dio; addormentati interiormente, vigilanti.
Modi diversi di vivere la vita. Il discepolo però deve gettare nel Signore il suo affanno (Sal 55,22) che è un umiliarsi: «Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi a suo tempo, gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi» (1Pt 5,6-7).
L’umiltà è data come referenza in questo passaggio: affrontare la vita di ogni giorno con i suoi affanni e gettare tutte le nostre preoccupazioni su Dio, perché Egli è il nostro Pastore.
Gesù ci ricorda che la Sua venuta è per ciascuno di noi momento di svelamento della nostra interiorità: «Non vi è nulla di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto» (Mt 10,26). L’essere «preso» o «lasciato» si gioca nell’interiorità della nostra coscienza. Il nostro futuro si decide nell’oggi, nel modo di vivere il quotidiano, il lavoro, le relazioni, gli affetti: liberi e solidali, pronti a vivere il comandamento nuovo dell’amore o perennemente ripiegati su sé stessi e i propri interessi.
v. 42: Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.
Di conseguenza il richiamo accorato di Gesù: «vegliate!». Questo sconvolgimento naturale è un richiamo alla vigilanza e a una profonda conversione interiore che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda.
Questo versetto, simile al v. 44 («tenetevi pronti»), nelle pagine del Vangelo lo troviamo più volte in bocca a Gesù. La non sicurezza è stata sempre messa in guardia da Gesù. Persino la morte può essere per noi motivo di rifiuto e quindi vivere come se non esistesse. Eppure, lo sappiamo che dobbiamo morire. È la nostra cecità che in questo momento viene ammonita. Il nostro essere duri nel cuore. Gesù intende semplicemente di suscitare un’attesa responsabile e consapevole della Sua venuta unita alla capacità di discernere i «segni» della Sua azione nella nostra vita e nella vita del mondo.
Che cos’è questa vigilanza di cui parla l’evangelista anche nel capitolo seguente? Vigilare significa, non starsene barricati, sicuri, ma assumersi ogni giorno le proprie responsabilità, affrontare gli avvenimenti della vita. È un mettersi continuamente alla presenza del Signore. Nell’essere vigilanti ci sta quella forza di spezzare l’indifferenza, l’inerzia, la distrazione. San Paolo scrivendo ai cristiani di Roma dice: «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti» (Rm 13,11). Chi dorme vive nel torpore dei sensi, è supino, «ha occhi ma non vede, ha orecchi ma non ode» (Ger 5,21), ha labbra ma non parla, il suo cuore batte ma non ama: dorme!
Diversamente è la persona opposta che è sveglia. Egli è capace di stare in piedi nella vita di tutti i giorni, perché capace di stare alla presenza di Dio e legge la realtà della vita partendo dal cuore di Dio, un cuore capace di amare oltre ogni misura fino al dono della propria vita.
Questa attenta e costante sottolineatura sulla vigilanza, è illustrata dall’Evangelista in tre parabole: quella del servo fidato e prudente (Mt 24,45-51), la parabola delle ragazze sagge e delle stolte (Mt 25,1-13), e la parabola dei talenti (Mt 25,14-30), dove l’evangelista Matteo ci dice che il servo vigile e fedele è colui che della sua vita ne fa un atto concreto e generoso superando paure e falsità. Mentre ci rimane inerte e pauroso, chiuso in se stesso, gli sarà tolto anche quello che ha (Mt 25,29).
v. 43: Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.
Gesù porta questo paragone del padrone di casa che sta in all’erta nel caso arrivasse il ladro. Con questo Gesù non si presenta come un ladro, in questo momento sta solo facendo un esempio: come uno è sempre all’erta per il fatto che non sa quando potrebbe giungere un ladro, così deve stare sempre pronto perché non sa quando potrebbe essere la fine (della sua vita, del mondo), quando sarà la venuta del Figlio dell’Uomo.
«Cercate di capire» è l’invito perentorio di Gesù, in quanto ci fa capire quanto Egli ha a cuore la nostra sorte (queste prime parole riprendono quanto detto al v. 34).
La parte finale di questo versetto ci obbliga a metterci in ricerca interiore e non ad aspettare gli eventi della vita che ci distruggono (descritti qui con il ladro). La notte, il ladro, non facciamoci prendere dalla paura di questi paragoni. Magari ci sta una tensione verso “quella notte” ma c’è anche una casa, che è la cella del nostro cuore, dove possiamo riscoprire e orientare le nostre scelte di fede, riscoprire la sobrietà della vita: vivere la purità di cuore che è legata fondamentalmente alla vita spirituale per la beatitudine che gli è associata: «perché vedranno Dio» (Mt 5,8).
Uno deve custodire i doni che ha, coltivarli, lasciarli crescere e proteggerli. Saperli leggere alla luce del Vangelo. Per questo si mette qui a confronto l’atteggiamento del padrone di casa con il servo fedele. Il primo ama possedere ma perde la propria vita. Il secondo invece volge il suo sguardo, la sua attenzione, sulla sapienza e su una vita all’insegna dell’amore per questo entra in quell’arca, entra nella gioia del Signore.
“Se noi dunque desideriamo incontrare Dio, dobbiamo cercarlo nella cella del nostro cuore. Se riusciremo veramente a comprendere che tutto è intimamente unito in Dio, raggiungeremo la pace e la bellezza!” (Tagore) e la casa del nostro cuore sarà intatta.
v. 44: Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo.
Per rafforzare quanto detto prima, Gesù dice che occorre “essere pronti” perché il Figlio dell’uomo verrà nel momento in cui non si pensa. Dio viene quando meno si aspetta (cf. Mt 25,1-13).
Essere pronti vuol dire conoscere di disegno salvifico di Dio, vuol dire una vita veramente umana, che risponda alla volontà e alla vocazione del Creatore.
L’ora, invece, di cui parla Matteo richiama il giorno e il tempo di cui Paolo parla ai Romani. Non un semplice tempo cronologico, ma un kairos, un rivestirsi della luce di Cristo (cf. Rm 13,11-14).
Nella Bibbia il tempo è visto come dono di Dio ed è posto sempre in relazione all’uomo e alla storia. Per questo la vigilanza è vivere ogni frammento di vita come fosse prezioso, il solo a disposizione.
In questo momento Gesù rivolgendosi a noi continua a chiederci di vigilare attentamente conducendo una vita serena verso la perfezione. La vigilanza è la matrice di ogni virtù umana e cristiana, è il sale di tutto l’agire, è la luce del pensare, ascoltare e parlare di ogni umano e in quanto tale bisogna cogliere, capire il presente per scoprirvi il passaggio di Dio, non per ammirarlo, ma come un tempo di grazia per vivere e dare speranza al nostro tempo.
San Paolo esorta: «il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 5,23). Questo atteggiamento è segno di maturità, in cui vigilanza e pace si mescolano.  
Lasciamo allora che la Parola di Dio invada le nostre coscienze e ci riempia della forza dell’amore da poter donare e restare “svegli” per incontrare il Signore che viene nella pace e nella quiete vigile che è la carità!
 
Ci fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la vita e la interpella
Come leggo, alla luce del brano evangelico odierno, la realtà che mi circonda?
Come mi guardo attorno, dentro il mio cuore, per rivedere le mie scelte, il mio stile di vita alla luce della Parola di Dio?
Sono vigilante e pronto, vivendo ogni frammento di vita come fosse prezioso, il solo a disposizione?
Quale è il mio modo di aspettare la venuta di Gesù? Sono pronto ad entrare nella sua “arca”?
 
Rispondi a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
 
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
 
Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.
 
Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene. (Sal 121).
 
L’incontro con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Vigilate sulla vostra vita: che le vostre lampade non si spengano e non si sciolgano le cinture dai vostri fianchi. State pronti, perché non sapete l'ora in cui nostro Signore verrà. Radunatevi frequentemente, per cercare insieme ciò che più conta per le vostre anime; a che cosa vi gioverà il tempo vissuto nella fede, se, all'ultimo momento, non sarete trovati fedeli? (Didaché).