Lectio divina su Gv 3,13-17
O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la croce del tuo Figlio unigenito, concedi a noi, che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero, di ottenere in cielo i frutti della sua redenzione.
Egli è Dio e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Il cap. 3 del Vangelo di Giovanni si apre con l’incontro tra Gesù e Nicodemo, un incontro fatto di notte dove Nicodemo cerca di capire la persona di Gesù e il suo insegnamento. Tra i due nasce un profondo dialogo. Nicodemo è avanti negli anni e con Gesù trova una seconda nascita, anche se all’inizio è stato difficile comprendere che bisognava nascere da acqua e spirito, nascere dall’alto. Gesù rivela al Rabbì di Israele i misteri del Regno, le “cose del cielo”. E questo Gesù lo può fare perché Egli è disceso dal Cielo e dice ciò che sa. Per parlare di queste “cose celesti” fa un paragone tra l’episodio del serpente nel deserto e il Figlio dell’uomo, che sarà innalzato perché chi crede possa avere la vita. Anticipa in questo modo il senso della sua crocifissione (essere innalzato) e della sua morte. Per comprenderla, dice Gesù: dovete ricordare la storia di Israele che nel deserto ha perso la fiducia nel suo Dio, si è sentito abbandonato, ma quando ha sperimentato l’angoscia della morte è ritornato a Dio e Dio gli è venuto incontro.
Nicodemo dalle tenebre della notte si incammina verso Gesù, verso la pienezza della luce e della verità e da lui riceve come nascere dall’alto, come si ha la pienezza della vita.
Gesù fa capire a Nicodemo che uno nasce e vive veramente quando si sente amato e ama. Per questo ciò che ci fa nascere è l’amore e l’evangelista Giovanni presentando il mistero della Croce del Signore, cioè la sua esaltazione, ci parla dell’amore incredibile di Dio per ciascuno di noi.
v. 13: Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo.
L’origine di Gesù è il Padre, Dio; egli proviene in una maniera totalmente diversa da qualsiasi inviato che l’ha preceduto, di conseguenza ora Egli è il tramite indispensabile per accedere al mistero di Dio. Questo presuppone l’incapacità da parte dell’uomo di cogliere nella sua interezza il mistero di Dio perché non ha la possibilità di salire al cielo (cf. Pr 30,4). Questo è possibile solo al «Figlio dell’uomo». Al termine del Prologo, l’evangelista Giovanni indica l’origine celeste di Gesù quando afferma che «il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18).
L’opera di Dio in Gesù non ha tuttavia solo una finalità conoscitiva: essa è in grado di realizzare un’autentica trasformazione dell’essere umano, perché lo guarisce dalla sua distanza da Dio e lo rimette di nuovo in comunione con lui. Possiamo cogliere da queste parole che il Figlio è in grado di parlarci delle realtà celesti, in quanto Egli è disceso dal cielo, ed è capace di schiudere le cose divine.
Ogni accessibilità che Dio ci concede è resa possibile dal mistero dell’incarnazione, dal suo farsi carne.
vv. 14-15: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Nel significato biblico originale il serpente innalzato rappresentava il segno del perdono di Dio che ridona la comunione e quindi la vita a chi, dopo la ribellione, si pentiva e si rivolgeva con fiducia al Signore (cf. Nm 21,4-9; Sap 16,5-7). La ribellione porta morte; tornare ad obbedire al Signore avendo fiducia in Lui come liberatore ridona la vita.
Giovanni usa il verbo “innalzare” che viene applicato sia al serpente che al Figlio dell’uomo. Nel primo caso richiama l’atto di Mosè, nel secondo l’esperienza del servo di Jahvé narrato da Isaia (cf. Is 52,13). Tutti e due riguardano la guarigione ma solo il secondo riguarda la salvezza, la vittoria sul peccato. Abbiamo così un misterioso simbolo richiamato da Gesù per farci vedere in che modo Egli ci darà la Vita divina, occorre però “volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto” (cf. Gv 19,37).
La locuzione avverbiale “bisogna”, che ritroviamo nei Sinottici negli annunci della Passione, mette in evidenza la volontà salvifica di Dio, una condizione che Gesù deve compiere: l’innalzamento. Questo vuol dire che la condizione di coloro che “devono” è condizione che li pone in grado di aprirsi al mistero stesso di Dio. Coloro per i quali si può dire che “devono”, che “bisogna” sono coloro che sono una cosa sola con il Signore, perché Gesù interpreta la loro condizione come condizione che lui ha avuto davanti a Dio.
L’innalzamento a cui Gesù si riferisce non implica solo la crocifissione: con la croce ha inizio un movimento che porta al definitivo innalzamento, cioè l’ascesa al Padre. La croce di Gesù, allora, non ci ottiene soltanto la remissione dei peccati, ma ci apre la strada per il ritorno alla comunione di vita con Dio. Se, attraverso l’incarnazione, Dio è entrato nel mondo e si è aperto il movimento di discesa di Dio verso l’uomo, ora, con l’innalzamento del Figlio dell’uomo, si opera il movimento di ascesa verso il Padre: in Gesù è aperta, per l’umanità, la via di ritorno alla comunione con Dio. Attraverso l’innalzamento di Gesù, Dio vuole attirare a sé l’umanità intera.
vv. 16-17: Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Secondo la visione della Bibbia c’è all’origine del mondo una benedizione di Dio. Quando Dio ha creato il mondo lo ha anche benedetto e quella benedizione voleva dire approvazione del mondo. Ora, questa benedizione non è stata ritirata, Dio non l’ha tolta nemmeno a causa del peccato: nemmeno la punizione del peccato, nemmeno l’esperienza del diluvio hanno cancellato questa benedizione originaria di Dio nei confronti del mondo e dell’uomo; anzi, la storia la si può descrivere proprio come rinnovato dono di questa benedizione.
Per “mondo” non si deve intendere la creazione buona, santa e bella, ma l’umanità peccatrice, l’umanità ribelle, l’umanità che ha rifiutato Dio. Questo “mondo” che gli era nemico, Dio lo ha amato e lo ha amato in un modo così serio da donare il suo Figlio unigenito.
Il senso di questa donazione è che Dio ha donato sé stesso nel suo Figlio, ha donato la ricchezza della sua vita e del suo amore. In Dio, amare e dare vengono a coincidere. Amare vuol dire dare. Il dare è il modo di essere di Dio. Se per il Figlio dell’uomo “bisogna”, per Dio si tratta di “dare”. Dal dare di Dio si misura il suo amare il mondo. Se consideriamo che il mondo è tutto ciò che si oppone a Dio, allora capiamo bene come, nei confronti di ciò che si oppone a lui, Dio si sia posto come colui che dà e che, nel suo Figlio, “si dà”, cioè, dona se stesso. In questo versetto ci viene dato il contenuto della nostra fede, che è questo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Il credere in lui è il credere all’amore con cui Dio ha amato il mondo. La fede ci porta a credere e a sapere il mondo amato fino al punto che Dio, per esso, ha donato suo Figlio. Il mondo, quindi, non è condannato; per questo mondo Dio non ha esitato a dare il suo Figlio unigenito.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Gesù dice a Nicodemo che la condanna, il giudizio, non rientra in quel momento nella missione del Figlio, ma solo il dono della salvezza destinata a tutti, che nel versetto è indicato dalla parola “mondo”, cioè l’umanità bisognosa di essere salvata. (cf. Gv 12,47; 1Gv 4,8-16). Il tardo giudaismo considerava il Messia come giudice escatologico. Si noti anche la persona del Battista visto come colui che ripulisce l'aia e sfronda gli alberi sterili (Mt 3,10.12). Gesù, secondo Giovanni, aggiunge che il giudizio consiste nel fatto che la luce è venuta nel mondo ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie (Gv 3,19). Il dono della luce richiede che gli uomini l’accettino perché, in caso contrario, condannano se stessi alla cecità, come effettivamente è capitato con la venuta del Verbo (cf. Gv 1,9-10).
La scelta fondamentale dell'uomo è questa: accettare o rifiutare l'amore del Padre che si è rivelato in Cristo.
Nicodemo era in cerca della verità. Io cosa cerco?
Che cosa significa per me l’esaltazione di Cristo e della sua croce?
La parola “croce” suscita in me pensieri o atteggiamenti negativi o è simbolo di salvezza, redenzione?
Come reagisco nelle circostanze della malattia o della sofferenza?
Cosa sono per me la vita eterna e la salvezza?
Ascolta, popolo mio, la mia legge,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca con una parabola,
rievocherò gli enigmi dei tempi antichi.
e tornavano a rivolgersi a lui,
ricordavano che Dio è la loro roccia
e Dio, l’Altissimo, il loro redentore.
ma gli mentivano con la lingua:
il loro cuore non era costante verso di lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.
invece di distruggere.
Molte volte trattenne la sua ira
e non scatenò il suo furore (Sal 77).
Impara a leggere nella tua vita e in quella degli altri i frutti della Croce. “Dobbiamo soffermarci a contemplare questo mistero, farlo penetrare nel nostro spirito, far sì che esso divenga luce interiore e comprensione amorosa del piano di Dio” (Raniero Cantalamessa).