Lectio
divina su Lc 2,1-14
Signore, Dio onnipotente, che ci avvolgi della nuova luce del tuo Verbo fatto uomo, fa’ che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Siamo verso la fine del "vangelo dell'infanzia" nella versione lucana. I versetti 15-20 chiuderanno il racconto. Il vangelo dell’infanzia non fa altro che prepararci all’evento salvifico già annunziato dai profeti. In questo periodo di avvento abbiamo visto il parallelismo che Luca fa tra Giovanni Battista e Gesù e tra l’ambiente, i personaggi e le prospettive dell’uno e dell’altro, con la tensione dinamica del compimento delle attese dell’antico popolo alle realtà del nuovo popolo di Dio.
Il brano lucano è semplice, suggestivo, pieno di spunti teologici costruito sul modello dell’annuncio missionario.
Punto centrale della narrazione sono le parole dell’angelo ai pastori, che riguardano il senso gioioso dell’avvenimento e la professione di fede in Gesù Salvatore e la universalità della sua salvezza.
Dio entra nella vita degli uomini fuori dal
tempio, dai suoi incensi e dalle case degli uomini, sente di dover chiamare a
raccolta gli uomini per questo avvenimento in un luogo lontano e fuori dalla
“Città”.
Dio non va pensato come uno che si compiace della bontà dell'uomo ma
piuttosto come uno che infonde la bontà nell'uomo attraverso la sua divina
elezione e misericordia.
Riflettere
sulla Parola (Meditare)
vv. 1-3: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Luca è l’unico evangelista che fa delle ricerche accurate e ci presenta il contesto storico mostrando l’azione di Dio all’interno di una storia profana: di un decreto di Cesare.
La salvezza è storia, avviene nella storia e si inserisce nella storia, perché la stessa storia è il luogo della salvezza. E la storia si ricollega con Cesare Augusto e i suoi decreti.
Negli Atti, Dio si servirà ancora delle stesse leggi romane per condurre Paolo a Roma per annunciare il vangelo. Infine, e soprattutto, ciò offre un pretesto per il viaggio: un pretesto, poiché tali censimenti si fanno sempre nella località di residenza, non in quella di origine.
Le parole di Luca hanno però un senso teologico. Gesù doveva essere compreso nel censimento di tutta la terra, anche lui ormai faceva parte dell'umanità. Anche lui era all'interno della grande pax romana, prefigurazione della vera pace che egli era venuto a portare sulla terra.
Ciò che è importante è che in un contesto storico vi è un annunzio di salvezza. Origene scrive: "In questo censimento del mondo intero Gesù doveva essere incluso... affinché potesse santificare il mondo e trasformare il registro ufficiale del censimento in un libro di vita".
vv. 4-5: Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Anche Giuseppe e Maria obbediscono alle leggi, non si ribellano e partono verso Betlemme. Essi accolgono quelle leggi che sono per il bene comune. Luca qui sottolinea la “casa” e la “famiglia” cioè l’origine davidica di Giuseppe. Di Maria é detto per la prima volta, che é incinta ma la chiama “fidanzata” “promessa sposa”.
In Mt 1,18-25 sappiamo che Giuseppe ha condotto Maria nella propria casa ed ha giá superato i suoi dubbi personali sulla strana gravidanza. Ma Luca presentando una fidanzata incinta in viaggio vuole lanciare una provocazione scioccante, forse invitare a leggere e cercare.
La prospettiva provvidenziale di Luca nel raccontare i fatti emerge anche dal fatto che Giuseppe porta con sé Maria: le donne non dovevano farsi registrare, dunque la giovane puerpera avrebbe potuto rimanere a Nazaret. Luca, però, vuole mostrare che ella è considerata a pieno titolo legale membro della famiglia davidica.
Tutte queste indicazioni preliminari permettono, comunque, a Luca di affermare due elementi molto importanti riguardo la nascita di Gesù: egli era discendente di Davide e nacque a Betlemme, così che si compisse la profezia di Michea (5,2): “E tu Betlemme di Efrata... da te uscirà per me colui che deve essere il capo d'Israele”.
vv. 6-7: Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
Il luogo è Betlemme. Nell’AT é importante soprattutto come luogo dell’origine della stirpe di David. In questo luogo Luca ci ha condotti senza però precisare nulla. Qualcosa però ci riconduce a capire che si realizza quanto previsto in 1,26-38 ed il bambino giudeo é integrato nel popolo della promessa tramite la circoncisione (2,21).
Maria da alla luce il suo primogenito. Il termine “primogenito” non indica che Maria abbia avuto altri figli dopo la nascita di Gesù. Il primo figlio - anche se non ne fossero nati altri in seguito – era sempre chiamato primogenito, per designare i diritti e i doveri che lo riguardavano (cfr. Es 13,12: “Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi figli”; Es 34,19: “Ogni essere che nasce per primo nel seno materno è mio”).
Il versetto presenta dei “movimenti” che fa Maria: lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, sono gli stessi movimenti che si faranno alla morte di Gesù. Gesù sarà segnato fino alla morte da questa estrema povertà. Non si tratta solo dell'indigenza materiale della sua famiglia. C'è molto di più. Gesù, il Verbo fatto carne, "venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11). E la mangiatoia ne è il simbolo: “il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. (Is 1,3). C'è qui il grande mistero dell'incarnazione. Paolo dirà che "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8, 9).
Questo segna il rifiuto di Dio. Per Dio non c’è nessun luogo: l’unico luogo, l’unico tempio è quello, la carne di quel piccolo, in cui abita corporalmente la pienezza della divinità.
Inoltre, l’ alloggio (= Katàljma) di cui si parla, diviene simbolo di una povertà e di un rifiuto che troverà il suo culmine nel rifiuto assoluto di lui nel processo davanti a Pilato (cfr. Gv 18,28-19,16). Più tardi Gesù dirà “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Katàljma ricorda anche quel luogo ove Gesù mangerà la pasqua con i discepoli (Lc 22,11; Mc 14,14; cfr. anche: Lc 9,12; 19,7; 22,14).
Possiamo aggiungere che i versetti richiamano esattamente la scena della morte di Gesù, e spiego. Gesù verrà fasciato e bendato e messo nel sepolcro. Di fatto quando uno nasce, nasce già mortale e c’è già quel lenzuolo che ti prende e che poi ti avvolgerà alla fine.
v. 8: C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Cambia la scena, è notte. Questa ambientazione notturna (cfr. Sap 18,14-15) ha dato supporto alla tradizione che Gesù fosse nato a mezzanotte.
Luca, è sensibile nel mettere in evidenza che Dio consegna se stesso ai semplici; pensiamo a Maria in Lc 1,48: “alla bassezza della sua schiava”; Lc 6,20: “beati voi poveri”; Lc 10,21: “ti benedico o Padre che ti sei rivelato a piccoli e ti sei nascosto ai sapienti”.
Nel versetto, Luca indica dei pastori che vegliano il proprio gregge. Questi sono coloro che godono di una cattiva reputazione: sono spesso considerati ladri e disonesti. I pastori, sono coloro che occupano il gradino più basso della scala sociale, sono i primi ad essere coinvolti dalla nascita di colui che ha per madre un'umile donna (1,48) ed è "inviato a portare ai poveri il lieto annunzio" (4,18).
Il neonato è già colui che sarà accessibile ai peccatori e mangerà alla loro tavola (15,2). Proprio queste persone sono coloro i quali vegliano per sorvegliare il gregge. C’è una capacità di attenzione in loro che in altri non si riscontra.
vv. 9-10: Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce.
Gli angeli sono quelli che annunciano, che portano un messaggio. E noi tutti siamo arrivati alla fede tramite qualche angelo. Qui un angelo del Signore annuncia la Parola che dà il significato al fatto.
L’annuncio ai pastori è motivato dal fatto che anche Davide fosse pastore prima di diventare re di Israele. Quindi la presenza dei pastori, come la città di Betlemme e la discendenza Davidica, sottolinea nuovamente la messianicità di Gesù.
Proprio a queste persone capaci di vegliare il gregge, il vero Guardiano e Pastore del gregge li chiama (1Pt 2,20-25, Gv 10,1-10). Questi avvolti dalla gloria di Dio, cioè dalla sua Presenza, dalla sua Rivelazione sono riempiti interiormente dall’amore di Dio, dalla sua stessa passione.
La luce non sta semplicemente davanti a loro ma li avvolge, entra nella loro vita, essi accolgono quell’annuncio che non è per loro soli, ma è una luce che è per tutto il popolo.
Custodi di un gregge ora sono custodi di un mistero da conoscere e poi irradiare a tutti.
Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo.
I pastori sono presi da timore perché si trovano di fronte a qualcosa, non solo d’imprevedibile e impensabile, ma anche ad un’azione che riscontriamo solamente nelle teofanie dell’AT, specie ad Is 6,1-5 ed Ez 1; 3,12.23.
L'angelo li rassicura, come Gabriele ha rassicurato Zaccaria (Lc 1,13) e Maria (1,30). L’espressione “non temete”, nella Bibbia ricorre 365 volte, possiamo dire “una volta al giorno” e questo perché fin dall’inizio, l’uomo si è nascosto, perché “aveva paura” (cfr. Gen 3,10).
Il Signore è Colui che abita questa storia tra paura, nascondimento e verità e rassicura, conforta con la sua Parola di salvezza. Quel timore che coinvolge immediatamente ed emotivamente ora trova un’apertura di significato grazie all’angelo del Signore, interprete luminoso dei fatti oscuri conducendo alla gioia vera.
Luca utilizza poi per la prima volta il termine evanghelizesthai (da cui deriva il termine vangelo), che è il verbo caratteristico della predicazione e anche degli annunci di nascita di un principe o di un imperatore.
L'annuncio è di gioia, la gioia caratteristica dei tempi nuovi e che percorre tutto il vangelo. La gioia presente in tutto il vangelo lucano é una caratteristica della fede nell’itinerario salvifico. È una gioia che non si affievolisce e non si stabilizza, ma cresce all’infinito perciò l’angelo dice: vi evangelizzo, c’é qui qualcosa proprio per voi, vi immergo in una realtà per voi assolutamente inedita, una realtà che ha il suo culmine a Gerusalemme, sotto la croce (Lc 23,35).
v. 11: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Si rinnova quel prodigio, ma Luca scrive “oggi”, “semeron” è un termine teologico e difficilmente cronologico. Luca non fa altro che farci entrare nel “tempo di Dio”. Il tempo di Dio è oggi, non 2020 anni fa!
Alcuni episodi del Vangelo e dell’intera Sacra Scrittura ci testimoniano l’oggi di Dio: “oggi è entrata in questa casa la salvezza” (Lc 19,9), “ascoltate oggi la voce del Signore” (Sal 95,7), ”oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4,21), “oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43), “oggi ti ho generato” (Sal 2,7), “siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi” (Es 14,13). L’autore della lettera agli Ebrei ci invita ad affrettarci ad entrare nell’oggi di Dio (cfr. Eb 4,11).
C’è un “oggi” che si relaziona nel qui ed ora con ciascuno e con tutti, una storia che diventa storia di salvezza.
Qui è il centro del racconto: l’iniziativa di Dio non è parola ma “Carne”, “Corpo”, presenza incarnata, profondamente dentro la storia: la mia, la tua, la nostra storia. Egli è Dio, l’annuncio si presenta ancora difficile per molti.
Nei versetti precedenti abbiamo appreso il nome del bambino, qui l’angelo del Signore, annunciando la nascita di Gesù non lo chiama con il nome proprio ma con tre titoli teologici: Salvatore; Cristo; Signore. In questi titoli teologici è racchiusa una professione cristologica riassunta dall’angelo stesso.
Salvatore: è la funzione principale del Messia, liberazione e remissione dei peccati (cfr. Lc 1,68-79). È un titolo divino che viene applicato al Messia (cfr. Lc 1,47).
Cristo Signore: Cristo
è la parola greca che traduce l’ebraico Messia, l’Unto. Il Messia è colui che
realizza la libertà dell’uomo e che è il Signore. Il Cristo Signore è il
condensato della confessione di fede cristiana: “Dio ha costituito Cristo e
Signore quel Gesù che voi avete crocifisso!” (At 2,36). Per Luca, come per ogni
credente, la realtà messianica di Gesù è inseparabile dalla sua risurrezione.
Luca non fa altro che
insistere sulla signoria di Gesù e sulla sua missione di salvezza. In altre
parole la sua signoria è la nostra salvezza.
vv. 12-14: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia.
L’annuncio dell’angelo ai pastori è accompagnato da un segno, come per l’annuncio a Maria: la cugina Elisabetta al sesto mese; il bambino nella mangiatoia per i pastori, è il segno di Dio: della fragilità, della debolezza, della mortalità. Questi sono i segni che accompagnano la fede di chi ha il desiderio di ascoltare, trovare, vedere, incontrare, servire il vangelo che è lieta notizia. È il mistero di un Dio che non detiene il potere come Cesare ma si avvicina all'umanità nel bisogno, un segno che prefigura l'insegnamento, il comportamento e la morte di Gesù. Un segno che mette l'uomo davanti alla scelta di convertirsi. È la predicazione dell’evento da accogliere e da testimoniare.
E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
La scena dell’annunciazione termina con un inno di lode cantato dalle schiere angeliche: il cantico nuovo della liturgia celeste che celebra la nascita del Messia, sul modello della lode che nella letteratura giudaica accompagna l'opera divina della creazione. Un inno che manifesta la potenza divina e svela finalmente la sua misericordia.
Già nei salmi gli uomini sono invitati a partecipare alla lode degli angeli (Sal 148,1-2).
La gloria che annunciano gli angeli è il peso, la consistenza. E Gesù lo rivela: “Gesù, sapendo che era venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi fino alla fine, mentre cenava con loro, lavò loro i piedi” (cfr. Gv 13,1-5). Questa è la gloria di Dio: amore, servizio; un Dio che si fa servo dell’uomo, si fa
piccolo, ultimo di tutti.
Chi non vede la gloria di Dio in questo non ha conosciuto Dio. Ha l’immagine diabolica di Dio, ha un’immagine distorta di Dio come lo ha l’imperatore di turno.
La parola "pace" esprime tutto il contenuto della salvezza che ha incominciato a compiersi a Betlemme. Non è assenza di guerra, ma comunione piena con Dio che si è fatto bambino, che si ripercuote in rapporti giusti e pieni tra gli uomini e con se stessi. Questo inno di gloria che si traduce in pace, si rivela nella povertà terrena.
Questa pace comincerà a concretizzarsi quando Gesù entrerà a Gerusalemme in groppa all’asinello, simbolo del servizio, e sarà acclamato Messia. Accogliere il Messia umile e povero è accogliere Dio.
La pace scende sugli uomini che Dio ama, cioè coloro che Dio ha scelto, non solo l'Israele storico, ma tutto il popolo di Dio desideroso di aderire alla sua gloria nel cielo (cfr. Liturgia,Colletta).
Ci
fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il
Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
La
Parola illumina la vita e la interpella
Mi sento parte della storia universale che si sta compiendo parallelamente alla mia vita?
C'è posto per Gesù nella mia vita? Quali segni mi sta offrendo Dio della sua presenza?
Cerco Dio nei palazzi o nella mangiatoia, nella ricchezza o nella povertà, nella grandezza o nella piccolezza, nel dominio o nel servizio?
Gesù è nato per portare gioia e pace. Quanto caratterizzano la mia vita questi doni?
Sono portatore di gioia e di pace per gli altri?
Cosa significa per me la parola Salvatore, da cosa vorrei essere salvato?
Credo che sia possibile anche per me diventare “complice di un nuovo annuncio”?
Rispondi
a Dio con le sue stesse parole (Pregare)
Cantate al Signore un canto
nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in
giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Gioiscano i cieli, esulti
la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.
Davanti al Signore che
viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. (Sal 95)
L’incontro
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità (Contemplare-agire)
Lasciamoci sorprendere da
un Dio che abita la notte, così che anche la notte del dolore si apra alla luce
pasquale del Figlio di Dio crocifisso e risorto. Nel mistero del Verbo
incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo
fulgore, perché, conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti
all'amore delle realtà invisibili.
vv. 1-3: In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Luca è l’unico evangelista che fa delle ricerche accurate e ci presenta il contesto storico mostrando l’azione di Dio all’interno di una storia profana: di un decreto di Cesare.
La salvezza è storia, avviene nella storia e si inserisce nella storia, perché la stessa storia è il luogo della salvezza. E la storia si ricollega con Cesare Augusto e i suoi decreti.
Negli Atti, Dio si servirà ancora delle stesse leggi romane per condurre Paolo a Roma per annunciare il vangelo. Infine, e soprattutto, ciò offre un pretesto per il viaggio: un pretesto, poiché tali censimenti si fanno sempre nella località di residenza, non in quella di origine.
Le parole di Luca hanno però un senso teologico. Gesù doveva essere compreso nel censimento di tutta la terra, anche lui ormai faceva parte dell'umanità. Anche lui era all'interno della grande pax romana, prefigurazione della vera pace che egli era venuto a portare sulla terra.
Ciò che è importante è che in un contesto storico vi è un annunzio di salvezza. Origene scrive: "In questo censimento del mondo intero Gesù doveva essere incluso... affinché potesse santificare il mondo e trasformare il registro ufficiale del censimento in un libro di vita".
vv. 4-5: Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Anche Giuseppe e Maria obbediscono alle leggi, non si ribellano e partono verso Betlemme. Essi accolgono quelle leggi che sono per il bene comune. Luca qui sottolinea la “casa” e la “famiglia” cioè l’origine davidica di Giuseppe. Di Maria é detto per la prima volta, che é incinta ma la chiama “fidanzata” “promessa sposa”.
In Mt 1,18-25 sappiamo che Giuseppe ha condotto Maria nella propria casa ed ha giá superato i suoi dubbi personali sulla strana gravidanza. Ma Luca presentando una fidanzata incinta in viaggio vuole lanciare una provocazione scioccante, forse invitare a leggere e cercare.
La prospettiva provvidenziale di Luca nel raccontare i fatti emerge anche dal fatto che Giuseppe porta con sé Maria: le donne non dovevano farsi registrare, dunque la giovane puerpera avrebbe potuto rimanere a Nazaret. Luca, però, vuole mostrare che ella è considerata a pieno titolo legale membro della famiglia davidica.
Tutte queste indicazioni preliminari permettono, comunque, a Luca di affermare due elementi molto importanti riguardo la nascita di Gesù: egli era discendente di Davide e nacque a Betlemme, così che si compisse la profezia di Michea (5,2): “E tu Betlemme di Efrata... da te uscirà per me colui che deve essere il capo d'Israele”.
vv. 6-7: Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
Il luogo è Betlemme. Nell’AT é importante soprattutto come luogo dell’origine della stirpe di David. In questo luogo Luca ci ha condotti senza però precisare nulla. Qualcosa però ci riconduce a capire che si realizza quanto previsto in 1,26-38 ed il bambino giudeo é integrato nel popolo della promessa tramite la circoncisione (2,21).
Maria da alla luce il suo primogenito. Il termine “primogenito” non indica che Maria abbia avuto altri figli dopo la nascita di Gesù. Il primo figlio - anche se non ne fossero nati altri in seguito – era sempre chiamato primogenito, per designare i diritti e i doveri che lo riguardavano (cfr. Es 13,12: “Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi figli”; Es 34,19: “Ogni essere che nasce per primo nel seno materno è mio”).
Il versetto presenta dei “movimenti” che fa Maria: lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, sono gli stessi movimenti che si faranno alla morte di Gesù. Gesù sarà segnato fino alla morte da questa estrema povertà. Non si tratta solo dell'indigenza materiale della sua famiglia. C'è molto di più. Gesù, il Verbo fatto carne, "venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1,11). E la mangiatoia ne è il simbolo: “il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. (Is 1,3). C'è qui il grande mistero dell'incarnazione. Paolo dirà che "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8, 9).
Questo segna il rifiuto di Dio. Per Dio non c’è nessun luogo: l’unico luogo, l’unico tempio è quello, la carne di quel piccolo, in cui abita corporalmente la pienezza della divinità.
Inoltre, l’ alloggio (= Katàljma) di cui si parla, diviene simbolo di una povertà e di un rifiuto che troverà il suo culmine nel rifiuto assoluto di lui nel processo davanti a Pilato (cfr. Gv 18,28-19,16). Più tardi Gesù dirà “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Katàljma ricorda anche quel luogo ove Gesù mangerà la pasqua con i discepoli (Lc 22,11; Mc 14,14; cfr. anche: Lc 9,12; 19,7; 22,14).
Possiamo aggiungere che i versetti richiamano esattamente la scena della morte di Gesù, e spiego. Gesù verrà fasciato e bendato e messo nel sepolcro. Di fatto quando uno nasce, nasce già mortale e c’è già quel lenzuolo che ti prende e che poi ti avvolgerà alla fine.
v. 8: C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Cambia la scena, è notte. Questa ambientazione notturna (cfr. Sap 18,14-15) ha dato supporto alla tradizione che Gesù fosse nato a mezzanotte.
Luca, è sensibile nel mettere in evidenza che Dio consegna se stesso ai semplici; pensiamo a Maria in Lc 1,48: “alla bassezza della sua schiava”; Lc 6,20: “beati voi poveri”; Lc 10,21: “ti benedico o Padre che ti sei rivelato a piccoli e ti sei nascosto ai sapienti”.
Nel versetto, Luca indica dei pastori che vegliano il proprio gregge. Questi sono coloro che godono di una cattiva reputazione: sono spesso considerati ladri e disonesti. I pastori, sono coloro che occupano il gradino più basso della scala sociale, sono i primi ad essere coinvolti dalla nascita di colui che ha per madre un'umile donna (1,48) ed è "inviato a portare ai poveri il lieto annunzio" (4,18).
Il neonato è già colui che sarà accessibile ai peccatori e mangerà alla loro tavola (15,2). Proprio queste persone sono coloro i quali vegliano per sorvegliare il gregge. C’è una capacità di attenzione in loro che in altri non si riscontra.
vv. 9-10: Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce.
Gli angeli sono quelli che annunciano, che portano un messaggio. E noi tutti siamo arrivati alla fede tramite qualche angelo. Qui un angelo del Signore annuncia la Parola che dà il significato al fatto.
L’annuncio ai pastori è motivato dal fatto che anche Davide fosse pastore prima di diventare re di Israele. Quindi la presenza dei pastori, come la città di Betlemme e la discendenza Davidica, sottolinea nuovamente la messianicità di Gesù.
Proprio a queste persone capaci di vegliare il gregge, il vero Guardiano e Pastore del gregge li chiama (1Pt 2,20-25, Gv 10,1-10). Questi avvolti dalla gloria di Dio, cioè dalla sua Presenza, dalla sua Rivelazione sono riempiti interiormente dall’amore di Dio, dalla sua stessa passione.
La luce non sta semplicemente davanti a loro ma li avvolge, entra nella loro vita, essi accolgono quell’annuncio che non è per loro soli, ma è una luce che è per tutto il popolo.
Custodi di un gregge ora sono custodi di un mistero da conoscere e poi irradiare a tutti.
Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo.
I pastori sono presi da timore perché si trovano di fronte a qualcosa, non solo d’imprevedibile e impensabile, ma anche ad un’azione che riscontriamo solamente nelle teofanie dell’AT, specie ad Is 6,1-5 ed Ez 1; 3,12.23.
L'angelo li rassicura, come Gabriele ha rassicurato Zaccaria (Lc 1,13) e Maria (1,30). L’espressione “non temete”, nella Bibbia ricorre 365 volte, possiamo dire “una volta al giorno” e questo perché fin dall’inizio, l’uomo si è nascosto, perché “aveva paura” (cfr. Gen 3,10).
Il Signore è Colui che abita questa storia tra paura, nascondimento e verità e rassicura, conforta con la sua Parola di salvezza. Quel timore che coinvolge immediatamente ed emotivamente ora trova un’apertura di significato grazie all’angelo del Signore, interprete luminoso dei fatti oscuri conducendo alla gioia vera.
Luca utilizza poi per la prima volta il termine evanghelizesthai (da cui deriva il termine vangelo), che è il verbo caratteristico della predicazione e anche degli annunci di nascita di un principe o di un imperatore.
L'annuncio è di gioia, la gioia caratteristica dei tempi nuovi e che percorre tutto il vangelo. La gioia presente in tutto il vangelo lucano é una caratteristica della fede nell’itinerario salvifico. È una gioia che non si affievolisce e non si stabilizza, ma cresce all’infinito perciò l’angelo dice: vi evangelizzo, c’é qui qualcosa proprio per voi, vi immergo in una realtà per voi assolutamente inedita, una realtà che ha il suo culmine a Gerusalemme, sotto la croce (Lc 23,35).
v. 11: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Si rinnova quel prodigio, ma Luca scrive “oggi”, “semeron” è un termine teologico e difficilmente cronologico. Luca non fa altro che farci entrare nel “tempo di Dio”. Il tempo di Dio è oggi, non 2020 anni fa!
Alcuni episodi del Vangelo e dell’intera Sacra Scrittura ci testimoniano l’oggi di Dio: “oggi è entrata in questa casa la salvezza” (Lc 19,9), “ascoltate oggi la voce del Signore” (Sal 95,7), ”oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4,21), “oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43), “oggi ti ho generato” (Sal 2,7), “siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi” (Es 14,13). L’autore della lettera agli Ebrei ci invita ad affrettarci ad entrare nell’oggi di Dio (cfr. Eb 4,11).
C’è un “oggi” che si relaziona nel qui ed ora con ciascuno e con tutti, una storia che diventa storia di salvezza.
Qui è il centro del racconto: l’iniziativa di Dio non è parola ma “Carne”, “Corpo”, presenza incarnata, profondamente dentro la storia: la mia, la tua, la nostra storia. Egli è Dio, l’annuncio si presenta ancora difficile per molti.
Nei versetti precedenti abbiamo appreso il nome del bambino, qui l’angelo del Signore, annunciando la nascita di Gesù non lo chiama con il nome proprio ma con tre titoli teologici: Salvatore; Cristo; Signore. In questi titoli teologici è racchiusa una professione cristologica riassunta dall’angelo stesso.
Salvatore: è la funzione principale del Messia, liberazione e remissione dei peccati (cfr. Lc 1,68-79). È un titolo divino che viene applicato al Messia (cfr. Lc 1,47).
vv. 12-14: Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia.
L’annuncio dell’angelo ai pastori è accompagnato da un segno, come per l’annuncio a Maria: la cugina Elisabetta al sesto mese; il bambino nella mangiatoia per i pastori, è il segno di Dio: della fragilità, della debolezza, della mortalità. Questi sono i segni che accompagnano la fede di chi ha il desiderio di ascoltare, trovare, vedere, incontrare, servire il vangelo che è lieta notizia. È il mistero di un Dio che non detiene il potere come Cesare ma si avvicina all'umanità nel bisogno, un segno che prefigura l'insegnamento, il comportamento e la morte di Gesù. Un segno che mette l'uomo davanti alla scelta di convertirsi. È la predicazione dell’evento da accogliere e da testimoniare.
E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
La scena dell’annunciazione termina con un inno di lode cantato dalle schiere angeliche: il cantico nuovo della liturgia celeste che celebra la nascita del Messia, sul modello della lode che nella letteratura giudaica accompagna l'opera divina della creazione. Un inno che manifesta la potenza divina e svela finalmente la sua misericordia.
Già nei salmi gli uomini sono invitati a partecipare alla lode degli angeli (Sal 148,1-2).
La gloria che annunciano gli angeli è il peso, la consistenza. E Gesù lo rivela: “Gesù, sapendo che era venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi fino alla fine, mentre cenava con loro, lavò loro i piedi” (cfr. Gv 13,1-5). Questa è la gloria di Dio: amore, servizio; un Dio che si fa servo dell’uomo, si fa
piccolo, ultimo di tutti.
Chi non vede la gloria di Dio in questo non ha conosciuto Dio. Ha l’immagine diabolica di Dio, ha un’immagine distorta di Dio come lo ha l’imperatore di turno.
La parola "pace" esprime tutto il contenuto della salvezza che ha incominciato a compiersi a Betlemme. Non è assenza di guerra, ma comunione piena con Dio che si è fatto bambino, che si ripercuote in rapporti giusti e pieni tra gli uomini e con se stessi. Questo inno di gloria che si traduce in pace, si rivela nella povertà terrena.
Questa pace comincerà a concretizzarsi quando Gesù entrerà a Gerusalemme in groppa all’asinello, simbolo del servizio, e sarà acclamato Messia. Accogliere il Messia umile e povero è accogliere Dio.
La pace scende sugli uomini che Dio ama, cioè coloro che Dio ha scelto, non solo l'Israele storico, ma tutto il popolo di Dio desideroso di aderire alla sua gloria nel cielo (cfr. Liturgia,Colletta).
Mi sento parte della storia universale che si sta compiendo parallelamente alla mia vita?
C'è posto per Gesù nella mia vita? Quali segni mi sta offrendo Dio della sua presenza?
Cerco Dio nei palazzi o nella mangiatoia, nella ricchezza o nella povertà, nella grandezza o nella piccolezza, nel dominio o nel servizio?
Gesù è nato per portare gioia e pace. Quanto caratterizzano la mia vita questi doni?
Sono portatore di gioia e di pace per gli altri?
Cosa significa per me la parola Salvatore, da cosa vorrei essere salvato?
Credo che sia possibile anche per me diventare “complice di un nuovo annuncio”?
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. (Sal 95)